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A PRILE
2007
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OPINIONI
F RANCIA, A MERICA, E UROPA
VISTI DA LONTANO
di MASSIMO GAGGI
Nessun alibi Telecom
Le privatizzazioni
hanno funzionato
I
n una coraggiosa intervista a Orazio Carabini (Sole 24
Ore di domenica scorsa) l’ex capo della Fiat (ed ex editore di questo giornale) Cesare Romiti, ha criticato i capitalisti italiani «che non rischiano più niente» ed ha attribuito
anche a se stesso errori importanti: negli anni 80 Romiti si
battè affinché l’Iri cedesse l’Alfa Romeo alla Fiat, anziché
agli americani, ma «oggi, col senno di poi, riconosco che
probabilmente sarebbe stato meglio per la Fiat se la Ford
fosse venuta a farci concorrenza in casa nostra».
Nella polemica sul futuro della Telecom, cresciuta di tono
col ritiro dell’offerta At&t, questo aspetto — la necessità di
far crescere ovunque meccanismi concorrenziali all’interno
di una cornice di regole certe — continua a restare sullo sfondo. Non che i temi che catalizzano l’attenzione (l’ipotesi Berlusconi e le condizioni dell’uscita di scena di chi ha fin qui
gestito il gruppo in modo non certo brillante) siano secondari. Ma la necessità di soluzioni che (salvaguardando la rete)
rispondano a meccanismi di mercato, non può finire nel dimenticatoio. Invece molti nella maggioranza e nello stesso
governo parlano con disinvoltura di ipotesi di «ripubblicizzazione» più o meno parziale delle telecomunicazioni e il
caso della Telecom viene usato anche per «bocciare» in blocco 15 anni di privatizzazioni.
È senz’altro vero che il vecchio gioco delle «scatole cinesi»
continua a prosperare e che la cessione delle aziende di Stato
non ha fatto crescere, come si sperava,
nuovi protagonisti dell’imprenditoria
italiana, capaci di diventare giganti sulle ceneri di Iri ed Efim. Ma due cose
non vanno dimenticate: 1) All’inizio de- Le barricate
gli anni 90 l’Italia era sull’orlo di una americane? Bush si è
crisi finanziaria di tipo «argentino».
La bancarotta fu evitata anche grazie chiamato fuori
ai miliardi affluiti nelle casse dello Sta- e non sono state
to con le privatizzazioni. 2) La Tele- cambiate le regole
com, che nelle acque del mercato ha affrontato varie tempeste, faceva parte
di un mondo delle Partecipazioni statali farcito di aziende di
Stato ed enti abituati a perdere migliaia di miliardi di lire
ogni anno. O a guadagnare imponendo agli utenti tariffe
esorbitanti. Perfino l’Eni, il gruppo pubblico più redditizio e
meglio gestito, arrivò a bruciare 1.500 miliardi nell’anno dello scontro più duro tra manager democristiani e socialisti.
Oggi l’Eni — come del resto Enel e (in misura minore)
Finmeccanica — guadagna vari miliardi di euro l’anno ed è
spinto dagli azionisti italiani ed esteri a fare sempre meglio.
Due giorni fa ho scritto sul Corriere che le interferenze
politiche che hanno spinto l’At&t a ritirare la sua offerta
fanno perdere credibilità all’Italia. Alcuni lettori mi hanno
obiettato che anche l’America ha alzato barricate davanti a
cinesi e arabi che volevano comprare rispettivamente Unocal (petrolio) e sei scali marittimi Usa. Attenti a non fare
confusione: in quei due casi il governo (cioè Bush) non si è
opposto né ha cercato di cambiare le regole. C’è stata una
reazione dell’opinione pubblica (e di una parte del Congresso) dettata, nel caso dei porti, all’incubo-terrorismo nel quale l’America è ormai sprofondata dal 2001. Quanto a Unocal, ha pesato la natura tuttora comunista della Cina e la
mancanza di reciprocità. Nonostante ciò l’Ibm ha venduto il
suo settore computer ai cinesi di Lenovo. E, ancora, Lucent
e Laboratori Bell, un tempo cuore tecnologico di At&t, sono
passati ai francesi di Alcatel, mentre T-mobile, grande operatore Usa di telefonia cellulare, è tedesca. Di nuovo: è lecito
chiedersi se At&t sia il partner giusto per Telecom (non sono
così certo che sia l’impresa straordinaria descritta ieri sul
Corriere dall’ambasciatore Ronald Spogli, visti i dubbi sulla
lungimiranza delle sue strategie avanzati da diversi analisti
Usa); ma non si possono invocare interventi contro l’«invasore».
[email protected]
LA
L
a competizione tra i due principali candidati nelle presidenziali francesi si arroventa. L’elettorato è al tempo stesso diviso e indeciso, insicuro se
volgersi a destra o a sinistra, nella duplice sfida di immigrazione e globalizzazione. Profonde spaccature politiche non sono certo una caratteristica francese; in Europa (e negli Usa), le tensioni innescate dai flussi migratori
e dalla perdita dei posti di lavoro in seguito alla globalizzazione danno vita a società polarizzate ed elettorati imbufaliti. Ma la posta in gioco nelle elezioni francesi è
particolarmente elevata. Persa la fiducia dei cittadini, il
presidente Jacques Chirac è rimasto a tutti gli effetti paralizzato negli ultimi due anni, mandando alla deriva
tanto l’Unione Europea che i rapporti tra Francia e
Usa.
I francesi sembrano sempre più diffidenti verso la loro classe politica e non sorprende perciò che i due protagonisti di questa competizione elettorale siano in qualche modo due outsider. Nicolas Sarkozy si è fatto strada
lentamente all’interno della blindatissima élite politica
francese per diventare il candidato del centrodestra. Ségolène Royal, candidato del centrosinistra, dà l’impressione anche lei di essere uscita dal nulla per strappare la
candidatura del Partito socialista ai suoi rappresentanti
maschili più affermati. È la prima donna che tenti seriamente la carta della presidenza in Francia.
Sarkozy, fino a poco tempo fa ministro degli Interni,
è l’uomo da battere. I suoi punti di forza sono il suo stile
risoluto e un atteggiamento di grande fermezza sugli immigrati, in particolare i musulmani. Benché da definire,
la sua proposta di un ministero per l’Immigrazione e
l’Identità nazionale affronta di petto le preoccupazioni
della destra sul pericolo della radicalizzazione degli immigrati. Sarkozy si è rivolto di continuo proprio a quegli
elettori che rischiano di lasciarsi trascinare da Jean-Marie Le Pen, l’inossidabile portavoce dell’estrema destra.
Paradossalmente, il maggior punto di forza di
Sarkozy coincide con la sua principale debolezza. Molti
elettori temono infatti che l’intransigenza nel nome della legge e della nazionalità possa superare ogni limite e
compromettere le libertà fondamentali del Paese. La Royal si presenta invece come l’alternativa morbida, la pa-
IL
C
aro direttore,
un amico sovrappeso vi chiede consiglio. Da anni cerca di
perdere 20 chili senza riuscirci; ora — anche se non sa bene come — ha finalmente perso un chilo in un mese, mentre mirava a perderne solo mezzo. Che consiglio gli date: festeggiare con un lauto
pranzo o continuare a prender cura di se
stesso?
Lo stesso vale per il cosiddetto tesoretto. Il forte gettito fiscale è senz’altro una
buona notizia. Il dibattito si è concentrato su come usare queste entrate impreviste, con proposte che spaziano da sgravi
fiscali a nuove spese. Ma perché scartare
così alla leggera la possibilità di accantonare questi proventi inattesi? Quest’abbondanza di gettito potrebbe anche non
durare. Simili boom d’entrate sono stati
sinora rari, e spesso fragili. Un esempio
semplice ma rappresentativo è dato da
quanto successo fra il 1996 ed il 2005 nei
Paesi della zona euro. In quel periodo, vi
sono stati solo nove aumenti annuali del
rapporto entrate/Pil paragonabili a quello visto in Italia l’anno scorso. Fra questi nove, sei hanno poi subito un’inversione di tendenza, e altri due sono troppo recenti per poterne trarre una conclusione definitiva.
Ma anche se l’extra-gettito fosse permanente, gli argomenti a favore di usarlo per altro che ridurre il disavanzo restano deboli. Da anni l’Italia si pone l’obiet-
SARDEGNA 4
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di CHARLES A. KUPCHAN
ladina materna del generoso Stato sociale francese, promettendo di risparmiare alla Francia le ingiustizie e i
sacrifici di un mercato libero e senza vincoli. Tuttavia,
neppure lei ha saputo sottrarsi alle sirene del populismo,
e intona «La Marsigliese». La campagna elettorale di
Ségolène si è rivelata carente di contenuti e ricca di gaffes. Un importante politico francese mi ha confidato:
«Abbiamo paura di quello che potrebbe fare Sarkozy,
ma abbiamo ugualmente paura di quello che non farebbe la Royal».
Sia Sarkozy che Royal hanno iniziato la campagna
elettorale facendo leva sul centro, ma da allora si sono
ripiegati verso la loro base. L’immigrazione sta spingendo la destra sempre più a destra, mentre la globalizzazione sollecita la sinistra sempre più a sinistra. Non appena
Sarkozy e Royal hanno abbandonato il centro, ecco che
è spuntato un nuovo candidato, François Bayrou, che si
è rivolto proprio a questo settore dell’elettorato. Nel
frattempo, le posizioni di Le Pen contro l’immigrazione
continuano a erodere la base di Sarkozy.
FRANCESCONI
F ONDO M ONETARIO
Fate tesoro del tesoretto
di ALESSANDRO LEIPOLD
tivo di equilibrare i conti pubblici nel
«medio termine», senza mai arrivarci.
Per esempio, nel 2000, le proiezioni ufficiali prevedevano un bilancio in pareggio entro il 2003. Nei fatti, quell’anno si
è chiuso con un disavanzo del 3,5% del
Pil. Ora, l’impegno del governo è di eliminare il disavanzo entro il 2011. Per
raggiungere quest’obiettivo, l’Italia dovrebbe trovare risparmi pari al tesoretto
ogni anno, da ora fino al 2011. Un’impresa ardua: perché allora non avvantaggiarsi subito del terreno già percorso per
arrivare prima alla meta? Nelle parole
dell’ultimo Bollettino della Banca d’Italia: «L’andamento dei conti pubblici
consente di accelerare il processo di riduzione del disavanzo».
L’esperienza internazionale, e l’intuizione, indicano che il risanamento dei
conti pubblici è più facile in fase di ripresa economica, in tempi di «vacche grasse». Nell’ultimo decennio Belgio, Spagna e Olanda sono riusciti a raggiungere
il pareggio di bilancio approfittando di
periodi di forte gettito fiscale, risanando
i conti a un passo più sostenuto di quello
attualmente contemplato dall’Italia. In
questi e in altri Paesi la disciplina è spes-
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Francia, per esempio, dopo una brutta
esperienza con l’equivalente del tesoretto (la cosiddetta cagnotte, usata nel 2000
e seguita da un peggioramento dei conti
pubblici), ha introdotto una regola di bilancio che assegna ogni extra-gettito automaticamente alla riduzione del disavanzo. Anche in Italia le leggi finanziarie contengono una regola simile, diluita
però da varie eccezioni, come dimostra
l’attuale dibattito sul tesoretto.
Il continuo mancato raggiungimento
degli obiettivi a medio termine può avere conseguenze nefaste. La storia abbonda di esempi di espansioni fiscali inopportune, seguite da anni di crescita deludente e una politica di bilancio restrittiva. Il Portogallo della fine degli anni Novanta ne è un esempio e ne sta pagando
tuttora le conseguenze, con la crescita
più bassa della zona euro.
I costi dei disavanzi non sono meramente accademici. Sono costi reali, specie per un Paese ad alto debito pubblico
come l’Italia. Infatti, se l’Italia avesse
nell’ultimo decennio ridotto il peso del
debito quanto il Belgio, i risparmi d’interesse ammonterebbero a più dell’1% del
STELLE
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La fiammata di sostegno per Bayrou e Le Pen è segno
dell’insoddisfazione degli elettori per le campagne piuttosto scialbe dei due principali contendenti. Senza il supporto di un grosso partito, Bayrou non ce la farà ad
approdare al secondo turno. E se Le Pen sopravvive al
primo turno — come fece nel 2002 — sarà certamente
sconfitto il 6 maggio. L’impatto dell’immigrazione e della globalizzazione sul Paese hanno prodotto campagne
elettorali ripiegate su se stesse. Nessuno dei candidati in
lizza ha voluto affrontare le questioni chiave di politica
estera oggi sul tavolo, come il progetto d’integrazione
europea o i tormentati rapporti tra Europa e Usa.
L’Unione Europea zoppica dal giorno della bocciatura
francese della bozza di Costituzione europea, nel referendum del 2005. Quel rifiuto ha rappresentato a tutti
gli effetti un voto di sfiducia nei confronti di Chirac, che
l’aveva caldeggiata. Il governo ne è uscito indebolito, e
questo a sua volta ha lasciato l’Ue orfana della visione e
della guida francese, di cui ha bisogno.
I candidati presidenziali si sono dimostrati ugualmente poco loquaci riguardo i rapporti con gli Usa. L’ondata di antiamericanismo provocata dalla guerra in Iraq si
è placata, come pure si è ridimensionata la tradizione
gollista di inveire contro i pericoli dell’egemonia americana. Ma persino Sarkozy, ben saldo nei suoi istinti
pro-americani, ultimamente si è tenuto alla larga dalle
questioni transatlantiche, per non farsi vedere troppo
vicino all’amministrazione Bush.
Chiunque sarà il vincitore, resta l’incertezza sulle future relazioni franco-americane come pure sulle intenzioni del prossimo governo riguardo l’Europa, se riuscirà o meno a contribuire a un’Unione europea forte, sulla quale l’America potrà fare affidamento per risolvere i
conflitti in Medio Oriente e altrove. Mentre gli elettori
ancora indecisi sceglieranno questa settimana da una rosa di candidati che ha suscitato ben pochi entusiasmi, la
realtà per il resto dell’Europa e per gli Stati Uniti appare
chiara: non conta chi vincerà le elezioni francesi, ma se il
vincitore sarà capace di superare le divisioni del Paese
per mettere in piedi un governo forte ed efficace.
© C. A. Kupchan, 2007
Traduzione di Rita Baldassarre
Pil. Le risorse così durevolmente liberate (che, in soli due anni, ammontano al
costo di un grande progetto di infrastruttura quale il Tav) potrebbero essere state utilizzate per spese pubbliche produttive o per alleggerire la fiscalità.
Vi sono poi rischi particolari alla finanza pubblica italiana. Se l’attuale contesto globale favorevole dovesse mutare, il conto interessi dell’Italia ne risentirebbe più di altri. Su un orizzonte più
lungo, vi sono inoltre i costi dell’invecchiamento della popolazione. Né si può
trascurare il fatto che i dati sulla spesa
pubblica ed il debito sono, in Italia, spesso soggetti a correzioni verso l’alto, in
seguito all’emergere di debiti «nascosti». Utilizzare ora il tesoretto andrebbe
anche contro le importanti iniziative del
governo dirette a valutare e riformare il
sistema di bilancio e la spesa pubblica.
Se vi sono delle necessità di spesa impellenti, esse andrebbero affrontate attingendo alle ampie risorse di spesa già disponibili, confrontandole con altre priorità nel normale percorso di bilancio,
piuttosto che trattate affrettatamente in
corso d’anno.
Dopo anni passati a cercare di dimagrire, e con la prospettiva di un ulteriore
aumento di «peso» dovuto all’invecchiamento, i conti pubblici italiani stanno appena cominciando a snellirsi. Il tesoretto va protetto, non consumato.
Fondo monetario internazionale