le tappe del processo di unificazione europea

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le tappe del processo di unificazione europea
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LE TAPPE DEL PROCESSO DI UNIFICAZIONE EUROPEA
L’idea di Europa nel XVIII e XIX secolo
L’idea di una Europa unita è antica: alcuni la fanno risalire a Carlo Magno; tra i precursori di
un’Europa unita, ricordiamo anche l’abate Saint-Pierre, autore di un trattato per una pace perpetua
in Europa, il filosofo Immanuele Kant, il nostro Giuseppe Mazzini e Victor Hugo, uno dei più
grandi romanzieri del XIX secolo.
Molti altri, come Einaudi, Briand, Kalergi, etc., tutti fautori di un sistema che bandisca le guerre,
hanno pensato all’unità del continente in senso federale, ma ci sono stati anche coloro che hanno
tentato di realizzarla con la forza delle armi, come Napoleone e Hitler.
L’idea di Europa tra le due guerre mondiali
L’Unione Paneuropea
Solo dopo la prima guerra mondiale l’idea di Europa si esprime in un programma e dà vita a un
movimento. Ciò avviene nell’ottobre del 1926 con la fondazione dell’Unione Paneuropea, promossa
dal conte austriaco Richard Coundenhove Kalergi, che raccoglie un’élite di intellettuali, diplomatici
e uomini di stato. L’Unione Paneuropea nasce in un periodo in cui è oggetto di un dibattito culturale
e filosofico il tema del declino dell’Europa. Tale dibattito riflette anche la diffusa aspirazione alla
pace dopo la prima guerra mondiale e sembra approdare a un risultato concreto con il patto
Briand-Kellog stipulato il 27 agosto 1928 per il bando della guerra come mezzo di soluzione delle
controversie internazionali e ottiene l’adesione di una settantina di stati, fra cui gli Stati uniti e
l’Unione Sovietica. Inoltre, tre anni prima, il patto di Locarno tra Francia e Germania, Gran
Bretagna e Italia, sembra aver sancito la riconciliazione di due avversari storici, Germania e
Francia, grazie all’azione di Aristide Briand, convinto europeista e presidente dell’Unione
Paneuropea.
Kalergi e chi si raccolse intorno a lui pensano che davanti alla nascita di nuovi poli di potere nel
mondo, tra cui gli Stati Uniti d’America e l’Unione sovietica, l’Europa debba difendere la sua
supremazia politica e culturale e debba unirsi per conservarla.
La crisi del 1929
Con la crisi del ’29, insieme alle Borse e alle economie del mondo industrializzato, crolla anche la
cultura della collaborazione internazionale; in realtà, rinchiudendosi in se stessi e innalzando
barriere economiche e ideologiche, i governi riaccendono la fiamma dei vecchi nazionalismi. Quasi
tutti i paesi adottano politiche economiche autarchiche e protezionistiche. La mancanza di sbocchi
per le economie di Paesi, privi di grandi imperi coloniali, creano tensioni che sfociano nel secondo
conflitto mondiale.
La Società delle Nazioni, creata nel 1919 per risolvere le controversie internazionali attraverso le
trattative diplomatiche, viene abbandonata dai Paesi “revisionisti” come la Germania, l’Italia e il
Giappone, che chiedono la revisione del trattato di Versailles e la redistribuzione dei territori
coloniali.
Il 1° settembre 1939 le truppe tedesche invadono la Polonia aprendo il secondo conflitto mondiale.
Quella crisi si sarebbe potuta evitare con il ricorso alla collaborazione internazionale, mantenendo
aperti i mercati e favorendo gli scambi commerciali, che invece SI sono drasticamente interrotti. A
tale proposito, qualche anno più tardi, Cordell Hull, segretario di stato americano nel 1932-44,
durante la presidenza Roosvelt, afferma che il libero commercio ha come corollario la pace, mentre
gli alti dazi, le barriere commerciali e la concorrenza sfrenata e sleale portano alla guerra. Solo dopo
la seconda guerra mondiale l’America di Roosvelt adotta i consigli di Hull e li pone alla base della
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propria politica e di quella dei suoi alleati, segnando profondamente tutta la seconda metà del XX
secolo.
L’Europa nel modo bipolare
L’ONU
Le drammatiche esperienze della seconda guerra mondiale contribuiscono a mettere in crisi
profonda le dottrine nazionaliste e il mito della sovranità nazionale. USA e URSS, i due grandi
paesi emersi dal conflitto come i maggiori vincitori, rappresentano due ideologie internazionaliste,
seppure con ideali e programmi diversi: sia la democrazia americana sia il comunismo sovietico
sostengono la necessità di una più stretta collaborazione e unione fra i popoli e le classi sociali.
Ideologie internazionaliste sono il socialismo e il comunismo, che mirano a realizzare l’unione dei
lavoratori di tutto il mondo. Internazionalista è l’idea wilsoniana fatta propria da Roosvelt alla base
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), nata alla Conferenza di S. Francisco nell’aprilegiugno 1945, che sembra prefigurare un governo mondiale, dove i conflitti e le ingiustizie sociali
sarebbero potuti essere risolti grazie alla collaborazione tra popoli.
Piano Marshall
Nel secondo dopoguerra gli Stati Uniti d’America appoggiano il progetto di unità europea e ne
fanno una delle idee portanti della loro politica estera, tendente a costituire un blocco di forze
democratiche in funzione anticomunista. Alla fine del 1946 gli Americani raggiungono la
convinzione che la ricostruzione di tutta l’Europa occidentale e l’unità europea rappresentano
l’unico modo per garantire gli europei contro il pericolo di un ritorno aggressivo di una Germania
ricostruita e, soprattutto, contro l’avanzata dell’URSS nell’Europa dell’est.
Il piano Marshall ha rappresentato il primo strumento di congiunzione tra la politica americana e il
processo di unità europea, nel quadro del conflitto Est-Ovest. Esso viene presentato come un
programma per la ricostruzione delle economie europee sconvolte dalla guerra, ma sottintende il
progetto di creare, attraverso un ampio progetto di liberalizzazione, un mercato privo di barriere
doganali e libero dai molteplici ostacoli che impediscono quel libero scambio che, nel corso della
guerra, è diventato uno degli obiettivi principali della pace americana.
Nel secondo dopoguerra il piano Marshall ha avviato la ripresa economica dell’Europa, ha ridotto
gli squilibri monetari tra le due sponde dell’Atlantico, ha facilitato, con organismi come l’Unione
europea per i pagamenti (EPU), il processo di liberalizzazione del commercio e ha aumentato il
volume degli scambi. Sebbene i progetti riguardanti l’integrazione delle economie europee e la
creazione di un’area di libero scambio non siano stati attuati, il piano Marshall ha costituito
un’esperienza importante per l’economia europea e per la costruzione della Comunità europea,
perché ha costretto i governi europei a collaborare fra di loro in determinati settori economici.
I Movimenti federalisti del secondo dopoguerra
Nel corso della lotta antinazista i partiti socialisti e cattolici, in Belgio, in Italia e soprattutto in
Francia, accolgono nei loro programmi l’idea di una Europa federata per il dopoguerra. In una
dichiarazione del movimento europeo per la resistenza del luglio 1944, si afferma che soltanto
un’unione federale può assicurare la conservazione delle libertà e della civiltà sul continente
europeo.
L’idea della creazione di una federazione europea viene promossa anche in Italia da un gruppo di
antifascisti attraverso il Manifesto di Ventotene del 1941, il cui principale estensore è Altiero
Spinelli, leader e ispiratore del Movimento federalista italiano ed europeo. Il programma di Spinelli
punta alla creazione di uno Stato federale, che disponga di una forza armata europea al posto degli
eserciti nazionali; spezzi decisamente le autarchie economiche; sia dotato di organi e di mezzi
sufficienti per far eseguire, nei singoli Stati federali, le sue deliberazioni dirette mantenendo un
ordine comune.
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Il movimento federalista, nato tra il 1946 e il 1947 in tutti i paesi dell’Europa occidentale, rimane
un gruppo di minoranze; diversi gruppi, con non molti membri, aderiscono all’Unione europea dei
federalisti, fondata nel dicembre del 1946 dall’olandese Henry Brugmans.
Conferenza dell’Aja del 1948
La prima manifestazione veramente continentale a favore dell’unità europea si tiene all’Aja. Alla
Conferenza tenutasi nella città olandese tra il 7 e il 10 maggio 1948. La partecipazione è alta,
riunisce oltre 750 delegati, personaggi quali lo statista britannico Wiston Churchill, i politici
francesi Henry Spaak, lo scrittore e uomo politico Salvador de Madariaga, i nostri Salvatore
Quasimodo e Giuseppe Ungaretti.
La Conferenza dell’Aja afferma solennemente l’urgenza di un’unione politica ed economica per
garantire la sicurezza e il progresso sociali in Europa. A tale scopo si decide di convocare
un’assemblea europea, i cui membri siano scelti dai vari parlamenti dei paesi partecipanti. Il 5
maggio 1949 i ministri degli esteri di Francia, Inghilterra, Belgio e Irlanda, riuniti a Londra, varano
lo statuto che crea il Consiglio d’Europa che, nel suo testo definitivo, prevede la creazione di
un’assemblea, organo puramente consultivo, i cui membri sono designati dai vari governi
partecipanti, secondo criteri che ciascuno avrebbe fissato. All’Assemblea viene riconosciuta la
facoltà di avanzare suggerimenti e raccomandazioni sotto forma di risoluzioni. Le decisioni sono
riservate a un comitato di ministri, che si sarebbe riunito due volte l’anno a porte chiuse e avrebbe
deliberato all’unanimità. Ma anche le decisioni del comitato dei ministri rimangono delle pure e
semplici raccomandazioni ai governi dei Paesi membri. Il Consiglio d’Europa nasce pertanto
come un foro di dibattito, sotto lo stretto controllo degli Stati membri e ben lontano dal costruire il
primo nucleo di un governo europeo.
A dare forza al progetto dell’unità europea sarà il graduale deterioramento della situazione
internazionale e la sua involuzione nel conflitto Est-Ovest, soprattutto in seguito allo scoppio della
“guerra fredda”.
Unionisti e federalisti
Dalla Conferenza dell’Aja emerge che l’unica divisione veramente significativa è quella fra
unionisti e federalisti.
Gli unionisti puntano a una stretta collaborazione tra gli Stati europei, dei quali si ipotizza l’unione
in una struttura confederale che conservi intatte le sovranità statali.
Diversamente i federalisti mirano a liquidare definitivamente al struttura centralista dello Stato
nazionale unitario e ad adottare quella della federazione che comporta la creazione di un nuovo
soggetto internazionale con poteri di azione e di controllo al di sopra degli Stati membri.
Inoltre, i federalisti respingono la strumentalizzazione che Churchill fa dell’idea europea in
funzione anticomunista, pur rifiutando il comunismo come ideologia negatrice delle libertà civili.
Almeno nella fase iniziale i federalisti non considerano il conflitto Est-Ovest come un ostacolo per
la costruzione dell’Europa e, anzi, mirano alla creazione di una terza forza autonoma e
possibilmente neutrale fra Stati Uniti e Unione Sovietica.
Ma anche fra gli stessi federalisti, esistono delle divergenze sulla natura dello Stato federale e sui
tempi necessari per costruirlo. Al congresso del Movimento federalista europeo (MFE), tenuto a
Montreaux nell’agosto del 1947, si scontrano due tesi: quella di chi, in nome del federalismo
integrale, vuole uno stato plurinazionale con organi esecutivi forti, seguendo come modello il
processo di formazione degli Stati Uniti d’America e coloro che, mirando alla creazione di uno
Stato con poteri sopranazionali, intendono procedere dal basso attraverso l’allargamento delle
autonomie di base, territoriali, amministrative ed economiche e socialiche prendeva come modello
la Confederazione Svizzera.
Più tardi, negli anni cinquanta, si impone la soluzione funzionalista che suggerisce un
meccanismo di integrazione graduale da svolgere per funzioni e per settori nel
raggiungimento del traguardo della federazione.
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1950 -Dichiarazione Schuman e la CECA
Se la paura del comunismo sovietico ha spinto l’Europa verso una più stretta collaborazione
economica nel quadro del piano Marshall, un’altra paura, quella della Germania, funziona da
incentivo a due grandi progetti di integrazione: la Comunità europea del carbone e dell’acciaio e la
Comunità di difesa.
Dal 1945 al 1949 la Francia tenta di ostacolare la rinascita di uno Stato tedesco, chiede prima il
distacco e poi l’internazionalizzazione del bacino carbonifero e industriale della Ruhr e cerca di
integrare culturalmente ed economicamente la regione tedesca della Saar con i territori francesi
confinanti, per fornire alle acciaierie della Lorena un sicuro approvvigionamento grazie al carbone
di quel bacino.
Ma la politica di Parigi, tendente a bloccare la rinascita tedesca, si scontra con la determinazione
americana che pone la ricostruzione della Germania al centro della sua politica europea, nella
convinzione che la difesa dell’Europa da un eventuale attacco sovietico renda indispensabile il
riarmo della Germania.
Davanti alle insistenze americane, il governo di Parigi è costretto a cambiare politica, ma resta
aperta la questione del futuro delle industrie della Ruhr e delle miniere della Saar, questione
fondamentale per il governo francese, i cui programmi economici tracciati da Monnet prevedono un
forte sviluppo della produzione siderurgica.
Jean Monnet formula dunque la proposta di un Mercato comune del carbone e dell’acciaio, il cui
controllo sarebbe stato affidato a un’autorità sopranazionale. L’approvazione da parte di Robert
Schuman, ministro degli esteri francese, del piano dettagliato e quella successiva del governo
francese avvengono in rapida successione. Schuman è in grado di presentarlo alla stampa il 9
maggio 1950.
Al cancelliere Adenauer la dichiarazione viene fatta pervenire solo alcune ore prima della
Conferenza stampa di Schuman: l’accettazione da parte sua è immediata; è la grande occasione
attesa dai tedeschi per ri-legittimare la Germania nella famiglia delle nazioni europee.
Con la decisione, limitata ma innovativa, di mettere in comune le risorse di carbone e acciaio
affidandone la gestione a un’autorità sovranazionale ha avuto inizio la creazione dell’Unione
europea: un’iniziativa nata sul terreno economico che ha sempre avuto un significato e un fine
politico: quello di creare le condizioni stabili per realizzare la pace in Europa.
1951 –CECA
Oltre alla Francia e alla Germania al progetto CECA, Comunità del carbone e dell’acciaio,
aderiscono l’Italia, il Belgio, l’Olanda e il Lussemburgo. Gli obiettivi della CECA sono quelli di
promuovere la più razionale distribuzione al più alto livello di produttività, assicurare un adeguato
approvvigionamento dei vari mercati, mantenere i prezzi al più basso livello, favorire la
modernizzazione della produzione, l’aumento delle esportazioni e il miglioramento dei livelli di vita
e di lavoro degli operai del settore.
Per raggiungere queste finalità vengono adottate misure a favore della liberalizzazione del
mercato: sono aboliti i contingentamenti, cioè i limiti all’importazione di certi prodotti, i dazi
doganali sull’esportazione e l’importazione, ogni pratica discriminatoria sui prezzi, i sussidi
governativi di ogni genere, le pratiche restrittive dirette alla suddivisione dei mercati, ogni accordo
sui prezzi che possa limitare la libera concorrenza tra i produttori.
La realizzazione di questi obiettivi è affidata a una serie di istituzioni che rappresentano
embrionalmente il futuro governo dell’Europa: Alta Autorità, Assemblea parlamentare comune,
Comitato di ministri, Corte di Giustizia.
L’Alta Autorità (futura Commissione europea) è la istituzione più importante, vero e proprio
organo di governo della Comunità europea del carbone e dell’acciaio: ad essa sono attribuiti poteri
di gestione e di controllo sulla produzione, la determinazione dei prezzi e la distribuzione dei
finanziamenti. La futura Commissione europea è fiancheggiata da un’Assemblea parlamentare e
da un Comitato di ministri, in rappresentanza degli Stati aderenti, nonché da una Corte di
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Giustizia a cui sono affidate le soluzioni delle controversie che sarebbero sorte tra i produttori e tra
essi e i governi.
In questo modo si dà vita a un sistema istituzionale europeo che presenta caratteristiche dinamiche,
in perenne stato di avanzamento, grazie alla guida attiva e lungimirante dei capi di governo e di
Stato che si sono succeduti nel tempo: Schuman e Adenauer, De Gasperi, Giscard D’Estaing e
Schmidt, Kohl e Mitterrand.
L’ideatore di questo sistema è Jean Monnet, il teorico del funzionalismo, il quale ritiene che gli
interessi nazionali siano troppo radicati per essere superati di colpo, perciò l’evoluzione verso una
sovranità sovranazionale deve guadagnare consensi progressivamente costringendo i governi
a collaborare su settori specifici e, inoltre, deve abituare la gente alla nuova realtà europea,
superando la diffidenza culturale, permettendo il costituirsi e l’organizzarsi di nuovi interessi.
1954 – fallimento della CED e il piano Pleven
Qualche mese dopo l’annuncio del piano Schuman, il governo di Parigi avanza una nuova proposta,
quella del piano Pleven, dal nome del presidente del Consiglio francese di allora, per la creazione
di un esercito integrato europeo.
Nel giugno 1950 è scoppiata la guerra di Corea, che il governo americano interpreta come un
ritorno di Mosca a una politica aggressiva. Alla riunione del Consiglio atlantico, tenutosi a New
York alla fine di settembre 1950, il segretario di stato americano, Dean Acheson, avanza
ufficialmente la proposta di riarmo tedesco.
Alla richiesta americana, la Francia risponde con il piano Pleven, anch’esso frutto delle idee di Jean
Monnet per la creazione di una Comunità europea di difesa. Il suo scopo è quello di creare un
esercito europeo di sei divisioni, in cui sarebbero state integrate unità militari tedesche; una volta
costituito, l’esercito europeo sarebbe entrato a far parte dell’organizzazione militare atlantica, la
NATO, rimanendo tuttavia sotto il controllo di un ministro europeo della Difesa e di un’autorità
politica europea da costruire in parallelo con l’esercito integrato.
Dopo laboriose trattative iniziate nel febbraio 1951, il trattato istitutivo della Comunità europea di
difesa (CED) viene firmato a Parigi nel maggio del 1952 dai ministri degli esteri di Francia,
Germania, Italia e Benelux, gli stessi paesi che hanno dato vita alla Comunità europea del carbone e
dell’acciaio.
Dietro le pressioni del MFE (movimento federalista europeo) e in particolare di Altiero Spinelli che
vedono nella creazione dell’esercito europeo l’occasione per realizzare il disegno federalista, il
presidente del Consiglio De Gasperi fa inserire nel trattato istitutivo della CED l’art. 38, con il
quale all’assemblea della CECA viene affidato il compito di formulare un progetto di
Comunità politica europea.
L’assemblea della CECA viene ribattezzata “Assemblea ad hoc”, la quale a sua volta designa un
Comitato istituzionale di 26 membri con il compito di formulare il progetto di Comunità politica
europea, che viene presentato ai governi dei sei paesi il 9 marzo 1953. Il progetto prevede la
struttura istituzionale della futura Comunità articolata in un Senato di 87 membri, designati dai
Parlamenti nazionali, e in una Camera dei popoli europei di 268 membri eletta a suffragio
universale, nonché in un Consiglio esecutivo europeo, vero e proprio governo federale, munito di
un diritto di iniziativa, le cui decisioni hanno carattere di obbligatorietà per i governi nazionali; a un
Consiglio dei ministri veniva affidata la salvaguardia degli interessi nazionali.
I paesi del Benelux ratificano il trattato senza particolari difficoltà. Nella Repubblica federale
tedesca la questione della ratifica apre un aspro dibattito: i socialdemocratici sono fortemente
contrari al riarmo, così come lo erano stati alla partecipazione della CECA, nel timore che possa
provocare l’ostilità dei sovietici impedendo la riunificazione della Germania; a favore della CED si
schierano l’opinione moderata e anticomunista, i profughi dell’est che hanno trovato accoglienza
nelle file del CDU e naturalmente i partiti di governo. Adenauer difende il trattato come mezzo per
riaccreditare la Germania sul piano internazionale e riesce a farlo ratificare dal Bundestag nel marzo
del 1953.
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In Italia si preferisce rinviare, condizionando la ratifica del trattato alla soluzione del problema di
Trieste. Nei mesi successivi il progetto del Comunità politica europea è discusso, criticato e
modificato e la sua approvazione è rinviata a dopo la ratifica del trattato CED da parte del
Parlamento francese.
Il 30 agosto 1954 l’Assemblea nazionale francese silura il trattato CED ricorrendo a una
questione di carattere procedurale con 319 voti contro 264. Con il trattato cade anche la Comunità
politica europea collegata ad esso. Dopo meno di un anno dal voto del 30 agosto 1954 la Germania
entra a far parte prima dell’Unione dell’Europa occidentale (UEO), creata per porre precise
condizioni al riarmo tedesco, e poi a pieno titolo nella NATO. Nell’opinione pubblica europea la
bocciatura della CED crea disorientamento e un certo scetticismo sul futuro dell’unificazione: essa
avrebbe potuto arrestare il processo di integrazione europea.
1957 - CEE
Il rilancio del processo di integrazione avviene per iniziativa di alcune personalità politiche di primo
piano, e ancora una volta di Jean Monnet che, nel novembre 1954, lascia la presidenza dell’Alta
Autorità della CECA per dedicarsi completamente al processo di rilancio europeo che porta alla
creazione del Mercato comune nel giro di due anni.
Gli altri artefici sono: il ministro degli Esteri olandese Johann Willem Beyen, il ministro degli esteri
belga Paul-Henry Spaak e il ministro degli esteri italiano Gaetano Martino, che indice una
conferenza a Messina il 2 giugno 1955, con cui inizia il complesso negoziato che condusse al
Mercato Comune. Il loro obiettivo è la creazione di un’autorità sul modello della CECA per
l’energia atomica, che proprio in quegli anni si propone la più ampia liberalizzazione degli scambi
commerciali, secondo un piano già presentato da Beyen nel 1953, e l’integrazione di settori come
quello dei trasporti e delle costruzioni aereonautiche.
Alla Conferenza di Messina segue, alla fine di maggio 1956, una seconda riunione a Venezia
indetta per discutere le proposte fatte da una commissione di lavoro sotto la presidenza di Spaak.
Per raggiungere un accordo devono essere superate una serie di obiezioni da parte della Francia, che
condiziona la liberalizzazione del mercato a una forte protezione per le produzioni agricole e si
riserva piena libertà per gli usi militari dell’energia atomica nell’ambito degli accordi per la
Comunità europea dell’energia atomica (EURATOM).
Un altro ostacolo è rappresentato dalla tariffa esterna, cioè dai dazi doganali da adottare per le
importazioni dei Paesi fuori della comunità, che francesi e italiani vogliono alti per proteggere il
mercato comunitario, olandesi e tedeschi mirano a tenere bassi per favorire gli scambi con Paesi
terzi.
Pur nel compromesso, prevalgonno le tesi dei governi di Parigi e Roma, per cui la Comunità
economica europea (CEE), denominazione ufficiale dell’istituzione che crea il Mercato comune,
nasce sulla base di un’evidente contraddizione: la liberalizzazione degli scambi dei membri aderenti
al Mercato è accompagnata da misure protezionistiche verso gli altri Paesi. Le misure
particolarmente rigide nel settore agricolo renderanno difficili i rapporti con gli Stati Uniti
d’America, grandi esportatori di prodotti agricoli, e sfavoriranno il commercio dei paesi in via di
sviluppo. Superati tutti gli ostacoli si arriva alla firma dei trattati costitutivi delle nuove comunità a
Roma nel marzo del 1957.
Trattato di Roma: tappa fondamentale della costruzione europea
Il Trattato di Roma crea una nuova struttura istituzionale, che comprende una prima Commissione
di nove membri che rappresenta l’esecutivo della CEE e una seconda di cinque membri per
l’EURATOM. Le politiche formulate dai due organi devono essere adottate da un Comitato di
ministri, in cui ognuno dei sei governatori (gli stessi della CECA, cioè Belgio, Francia, Germania
federale, Italia, Lussemburgo e Olanda) conserva il diritto di veto.
Come organi di controllo sono previsti: un’Assemblea parlamentare comune alla CEE, alla
CECA e all’Euratom e che, dal marzo 1962, diventava Parlamento europeo di 142 membri eletti dai
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Parlamenti nazionali e, successivamente, nel 1979 verrà eletto a suffragio universale diretto; una
Commissione di nove membri, in cui i tre maggiori paesi, Francia, Germania e Italia, hanno due
rappresentanti, uno gli altri; una Corte di giustizia, quella della CECA riorganizzata e dotata di più
ampi poteri e che, come il Parlamento europeo, diventa comune a tutte e tre le istituzioni; nel
complesso una struttura istituzionale a metà tra quello sopranazionale adottato per la CECA e il
modello intergovernativo.
Con Il Trattato firmato a Roma il 27 marzo 1957 è proseguita la costruzione europea. Tale Trattato
non è un semplice accordo internazionale per la libertà degli scambi e l’integrazione dei mercati, ma
costituisce il passaggio decisivo della costruzione europea. Il Trattato di Roma rappresenta sul
piano economico il fondamento del successo dell’Europa comunitaria e, sul piano storico-politico,
costituisce il nucleo del Trattato-Costituzione dell’Unione europea firmato nel 2004, ma non
ratificato: è una costruzione giuridico-istituzionale ampia, completa ed equilibrata, una
combinazione senza precedenti di costituzione economica e politica, di programma per i singoli
Stati e per l’Unione, che ha creato il sistema dei poteri federali ma ha anche definito il programma e
la regola per la formazione del mercato comune.
Il Trattato di Roma è allo stesso tempo un trattato e una costituzione: è un Trattato perché
scritto nelle forme classiche di un testo pattizio tra governi e sottoposto alle ratifiche dei Parlamenti
nazionali; è una Costituzione perché trasforma tutto l’ ordinamento economico e giuridico degli
Stati aderenti e ne integra i testi costituzionali. A partire dal Trattato di Roma, attraverso
l’approfondimento, ovvero la riforma dei trattati (Maastricht, Amsterdam, Nizza, etc) si è
sviluppato un vero processo costituente europeo, con il quale, prima la Comunità e
successivamente l’Unione ha acquisito molti caratteri di statualità, segnata da alcuni aspetti
qualificanti:
• un quadro istituzionale completo, nel quale si ritrovano le componenti essenziali di un
ordinamento statale: i tre poteri, i meccanismi decisionali, il voto popolare;
• un corpo di diritto europeo, derivato dai Trattati, cogente, applicabile per via giudiziaria non
solamente verso gli Stati membri ma verso tutte le persone fisiche e giuridiche;
• una cittadinanza dell’Unione, complemento di quella degli Stati membri, frutto della
giurisprudenza interpretativa della Corte di giustizia e poi del Trattato di Maastricht e di
Amsterdam.
La creazione del Mercato comune
Con la creazione della CEE, la liberalizzazione degli scambi dei prodotti siderurgici e carboniferi
previsti dalla CECA viene allargata a tutti gli altri beni industriali e agricoli, secondo un calendario
che stabilisce i tempi della riduzione dei dazi e dei contingenti fino alla loro completa abolizione.
L’inizio del processo di liberalizzazione è fissato per il 1° gennaio 1958, con un primo taglio del
10% nei dazi e del 20% nei contingenti. Entro il 1969 dazi e contingenti tra i paesi della CEE
devono essere completamente aboliti.
Insieme alla libera circolazione dei beni vengono liberalizzati anche la manodopera, i capitali
e i servizi, e queste sono le novità più rivoluzionarie; ma forse proprio per questo destinate a essere
realizzate solo in parte e rinviate nel tempo. È anche prevista la creazione di una legislazione
comunitaria per regolare la concorrenza relativa ai monopoli, agli incentivi e al regime fiscale, e
all’adozione di politiche comuni nei settori dell’agricoltura, dei trasporti e della formazione
professionale.
La realizzazione di questi obiettivi richiede un complesso sforzo di armonizzazione di leggi,
regolamenti e politiche, nonché la creazione di una serie di altri organismi come il Fondo sociale
europeo, il Comitato economico sociale, la Banca europea degli investimenti, il Fondo per lo
sviluppo, il Comitato per i trasporti, etc.
Dopo la firma dei Trattati comincia la procedura delle ratifiche, che questa volta si svolge
rapidamente e senza sorprese; anzi in Germania il dibattito sulla CEE offre un’ulteriore occasione
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per il riavvicinamento dei socialdemocratici alle posizioni europeistiche e atlantiche. In Italia
votano contro il trattato solo i comunisti. La ratifica incontra residue opposizioni in Francia, dove i
trattati vengono approvati in Parlamento nel luglio 1957, nonostante ben 235 voti contrari, tra i
quali quelli dei comunisti, dei poujadisti, di qualche radicale e dei repubblicani sociali, il gollisti.
L’allargamento e le politiche europee
L’EFTA
Una minaccia ambigua e insidiosa al Mercato comune viene dalla Gran Bretagna. Durante tutti gli
anni cinquanta, il governo inglese si era chiamato fuori dal processo comunitario e, dopo averlo
favorito alle origini, in concordanza con la politica americana, lo segue con sospetto e
preoccupazione.
Un tentativo di annacquare la CEE è condotto tra il 1958 e il 1959 dal ministro britannico Reginald
Mauling, che lo collega con la creazione di un’area di libero scambio da costituire con la
partecipazione della Gran Bretagna e degli Stati ad essa commercialmente legati (Danimarca,
Norvegia, Svezia, Austria e Svizzera): tale tentativo viene respinto da De Gaulle da poco arrivato al
potere.
Dopo di che, Londra imbocca decisamente la strada dello scontro con la formazione dell’EFTA
(European Free Trade Area Association) che nasce tra la fine del 1959 e il gennaio 1960 a
Stoccolma. Vi aderisce, oltre ai cinque paesi sopraindicati, anche il Portogallo. Gli accordi alla base
dell’EFTA riguardano la riduzione dei dazi doganali solo per i prodotti industriali e non prevedono
la tariffa esterna, che caratterizza la CEE come un vero e proprio blocco economico. Ma, la ragione
principale per la costituzione dell’EFTA, per il governo di Londra, è quella di impedire ai paesi
gravitanti nella propria area economica di aderire al Mercato comune.
Così agli inizi degli anni Sessanta, che segnano una forte crescita degli scambi commerciali, si
fronteggiano in Europa due sistemi: quello dei sei attorno al Mercato comune e quello dei sette
Paesi riuniti nell’EFTA. Una vera e propria guerra commerciale non si verifica solo perché, appena
un anno dopo, il governo inglese, diretto da Harold MacMillian chiede l’ammissione alla CEE, con
un vero e proprio rovesciamento di posizioni.
A provocare la svolta nell’atteggiamento inglese è in primo luogo il successo incontrato dal
Mercato comune fin dalle prime battute. L’altro motivo è che le conversazioni tra i Sei per
allargare la cooperazione dal settore economico al settore politico, secondo le proposte del piano
Fouchet, procedono e, se fossero approdate a risultati concreti, gli inglesi sarebbero rimasti isolati e
privi di riferimenti continentali e ciò avrebbe svalutato inevitabilmente il loro ruolo di interpreti e di
garanti della politica americana in Europa. Ma la motivazione ancora più forte è quella costituita
dall’incoraggiamento di Washington: gli americani vogliono, infatti, una sorta di “cavallo di Troia”
nel Mercato comune, un alleato di cui potersi fidare completamente. L’arrivo alla Casa Bianca di
John F. Kennedy, con i suoi programmi di espansione economica e militare e di revisione dei
rapporti Europa-USA, rende ancora più urgente l’operazione.
Il veto francese all’ingresso dell’Inghilterra nella CEE
Il veto francese all’ingresso della Gran Bretagna avviene due anni dopo, il 14 gennaio 1963. Ma per
comprendere le ragioni di tale veto non va dimenticato che tra la richiesta inglese di partecipazione,
accolta con favore nel momento in cui viene avanzata, e il gennaio 1963, si verifica la crisi dei
missili sovietici a Cuba dell’ottobre 1962, che gli USA gestiscono senza consultare gli alleati
europei, nonostante i rischi di una guerra nucleare e un accordo per la cessione a Londra dei missili
americani Polaris, che ribadisce il rapporto fra il governo USA e quello britannico.
Più in generale in quegli anni si svolge lo scontro tra due progetti portati avanti da Kennedy e de
Gaulle. Quello kennediano mira a una più stretta integrazione dei partner europei con gli Stati Uniti
nell’Alleanza Atlantica, sotto la direzione americana, mentre si delinea il tentativo di creare una
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grande area euro-atlantica di libero scambio, di cui l’ingresso della Gran Bretagna rappresenta una
delle pedine principali.
Parallelamente a quello kennediano, De Gaulle persegue il suo progetto di una Europa costruita su
una stretta collaborazione franco-tedesca, che tende alla costruzione di una terza forza politica e
militare rispetto all’Alleanza Atlantica, la quale avrebbe sconvolto le strategie del conflitto EstOvest. Il piano gollista, fondato sulla collaborazione della Germania, viene poi respinta dal
Bundestag tedesco.
L’asse franco-tedesco e il rifiuto dell’allargamento all’Inghilterra
Chiusa la porta all’ingresso britannico, rifiutato una seconda volta nel 1967, tramontato il progetto
di De Gaulle di una Europa carolingia, la Comunità europea rimane ostaggio del generale De
Gaulle, così nel 1962 venne concordato un regolamento della Politica agricola comune (PAC),
particolarmente vantaggioso per l’agricoltura francese, ma anche per gli altri membri della CEE.
Nel luglio 1964 nacque il Mercato agricolo europeo.
Alla fine degli anni sessanta l’”Europa dei Sei” si trova in una posizione economica e finanziaria
solidissima.
In un clima di rinnovato ottimismo si svolge la Conferenza dell’Aja tra il l1 e il 2 dicembre 1969:
Francia e Germania federale si trovano d’accordo su una serie di punti, che delineano un
programma ambizioso che tuttavia richiede per la sua attuazione tempi molto più lunghi del
previsto. La Francia è rappresentata da George Pompidou, successore di De Gaulle alla presidenza
della Repubblica francese, la Germania federale da Willy Brandt, il cancelliere tedesco che ha
inaugurato un decennio di governo socialdemocratico. I punti dell’accordo franco-tedesco, divenuto
motore della costruzione europea, sono:
• completamento della politica agricola con il relativo regolamento finanziario;
• ampliamento della Comunità con l’ingresso di nuovi candidati, compresa l’Inghilterra;
• approfondimento della collaborazione economica tra i membri della Comunità con
l’adozione di una politica monetaria comune;
• unione politica che prevede una politica estera e di difesa comuni,
• elezione del Parlamento a suffragio popolare.
Le politiche europee e l’allargamento all’Inghilterra
Negli anni settanta vengono completati solo i programmi già iniziati negli anni precedenti. Il primo
ad essere affrontato è quello del finanziamento della politica agricola.
L’altro momento importante nella vita della Comunità durante gli anni Settanta è il suo
allargamento a Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca, che entrano con il 1° gennaio del 1973 e
più tardi, alla Grecia nel 1981; infine a Spagna e Portogallo, ma solo nel 1986.
Su un altro fronte proseguono i tentativi di realizzare le decisioni prese alla Conferenza dell’Aja.
Scarso successo hanno i tentativi di approfondimento delle politiche comunitarie, soprattutto quelli
che puntano all’unione monetaria e a quella politica. Il tentativo di creare l’unione monetaria è
oggetto del rapporto Werner, dal nome del presidente del comitato di studio costituito dopo la
Conferenza dell’Aja. Il traguardo finale del piano previsto per gli anni Ottanta è la moneta comune,
ma intanto a partire dal 1° gennaio 1971, la Comunità invita i propri membri a ridurre i margini
delle rispettive monete e ad armonizzare le rispettive politiche di bilancio, il che significa
sostanzialmente allineare i deficit ai livelli più bassi, fino a tendere al pareggio.
Nel dicembre 1974 si svolge a Parigi un vertice di capi di stato, che tenta di riannodare i rapporti
allentati dalla crisi energetica e finanziaria del 1971-72 e di riprendere alcuni dei temi già affrontati
nel 1972 sempre a Parigi e che aveva definito nuovi settori di intervento come quelli della politica
regionale e della politica energetica e ambientale, non previsti dai trattati di Roma.
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1974 - Il Consiglio europeo e il tentativo di riforma del trattato
Al vertice del 1974 viene raggiunto un importante accordo in merito alle risorse da assegnare al
Fondo di sviluppo regionale a sostegno degli interventi nelle regioni a basso reddito della
Comunità, inoltre viene creato il Consiglio europeo, l’organo che riunisce i capi di stato e che da
ora in poi si riunirà a intervalli regolari.
Infine il primo ministro belga, Leo Tindemans, è incaricato di preparare un rapporto che
prenderà il suo nome per trasformare la Comunità in Unione politica. L’Unione europea, che
potrà essere realizzata entro il 1980, richiede
• una unione politica e monetaria;
• la riforma delle istituzioni comunitarie;
• la riforma del Parlamento di Strasburgo;
• l’attuazione di una politica sociale e regionale comune;
• una politica estera comune.
1979 – SME: sistema monetario europeo
Nella difficile fase degli anni Settanta il primo segno di svolta viene con la creazione del Sistema
monetario europeo (SME) alla fine del decennio. Saranno il presidente della Commissione europea,
Roy Jenkins, e il cancelliere tedesco, Helmut Schmidt, nel corso delle riunioni dei Consigli europei
di Copenhagen, Brema e Bruxelles, tenutesi tutte nel 1978, a promuovere un progetto di
integrazione monetaria e a vararlo nel marzo del 1979.
Le proposte del cancelliere Schmidt trovano consenso e appoggio nel presidente della Repubblica
francese, Valeri Giscard d’Estaing e, per tutta la seconda metà degli anni Settanta, la politica della
Comunità è segnata dalla collaborazione tra i due statisti.
Lo SME costituisce un nuovo tentativo di stabilizzare le fluttuazioni monetarie e di creare le
condizioni per l’unione monetaria attraverso i cambi fissi; inoltre può costituire il primo passo
per accreditare la futura moneta europea come moneta di riserva e di scambio accanto al dollaro o
addirittura in sua sostituzione.
Anni ’80: verso un nuovo Trattato
1984 - Progetto Spinelli di Unione europea
Per iniziativa di Altiero Spinelli che, dopo aver rappresentato l’Italia nelle Commissione, è
diventato membro del Parlamento europeo, si crea un gruppo di lavoro informale, il “club del
Coccodrillo”, dal nome di un noto ristorante di Strasburgo, dove si tengono le prime riunioni. Con il
tempo al gruppo aderiscono ben 180 deputati e, dunque, da gruppo informale si costituisce in un
vero e proprio organo del Parlamento europeo, sotto forma di una commissione di 37 membri, alla
quale viene data il compito di mettere a punto una vera e propria riorganizzazione della Comunità e,
successivamente, un nuovo trattato, il cui progetto nasce tra il 1982 e il 1983.
Il Parlamento europeo approva il progetto Spinelli il 14 febbraio 1984, con una larghissima
maggioranza. Oltre a una redistribuzione dei poteri fra Commissione, Parlamento e Consiglio, esso
prevede la creazione di una Unione europea, che si avvicina al modello di una federazione sulla
base di un trattato che avrebbe sostituito tutti quelli precedenti.
1986 - Atto unico europeo e completamento del mercato unico
Nonostante la favorevole accoglienza e il forte sostegno del movimento federalista, il progetto
Spinelli incontra l’opposizione dei governi e viene abbandonato, nonostante gli sforzi del governo
italiano, ma quasi contemporaneamente nasce una nuova iniziativa diretta al rilancio e al
completamento del Mercato comune.
Già nella riunione di Fontainbleau del giugno 1984, il Consiglio europeo chiede agli Stati membri
di avviare lo studio delle misure idonee a realizzare in tempi brevi la soppressione di tutte le
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formalità di polizia e di dogana alle frontiere intracomunitarie per la circolazione delle persone.
Alcuni mesi dopo, a dicembre, nella riunione di Dublino, il Consiglio si impegna a intraprendere i
passi necessari per completare il mercato interno e, più esplicitamente nel marzo 1985 a Bruxelles,
chiede di promuovere azioni volte a realizzare un grande mercato unico entro il 1992 e dà mandato
alla Commissione di elaborare un programma dettagliato.
Durante il semestre di presidenza italiana, nel gennaio-giugno 1985, matura il progetto di un nuovo
trattato e, al vertice di Milano, che conclude il semestre, il presidente del Consiglio Bettino Craxi e
il ministro degli esteri Giulio Andreotti, riescono a fare accettare ai partner europei la
rinegoziazione e il completamento del trattato, ricorrendo a una votazione a maggioranza, insolita
nei lavori del Consiglio europeo, sulla preparazione del Mercato unico. Le trattative hanno luogo
durante la seconda metà del 1985 e l’Atto unico europeo viene firmato a Lussemburgo il 17
febbraio 1986.
1989 - Il crollo dell’impero sovietico e la riunificazione della Germania
In parallelo con gli adempimenti richiesti dal nuovo trattato per il Mercato unico, si creano le
condizioni politiche e istituzionali per la realizzazione della moneta unica. Alla fine degli anni
Ottanta a favorirne la nascita interviene un avvenimento imprevisto, destinato ad aprire un nuovo
capitolo nella storia dell’Europa e del mondo: la fine dell’impero sovietico, seguito, qualche anno
dopo, da quello del regime comunista.
I paesi satelliti in Europa orientale, non più sostenuti dagli aiuti economici di Mosca, cadono uno
dopo l’altro nell’arco di pochi mesi, nel corso di quello che diventerà il fatidico 1989. Dopo la
Polonia e l’Ungheria è la volta della Germania orientale, con la rapida disintegrazione del regime e
del governo comunista e la caduta del muro di Berlino, da trent’anni simbolo della divisione tra
l’Europa dell’Est e dell’Ovest.
Si vengono così a creare le condizioni della riunificazione tedesca. Il cancelliere Kohl negozia con
il governo sovietico il ritiro pacifico delle unità dell’Armata Rossa, che occupano il paese, e riceve
il sostegno degli Stati Uniti al progetto di riunificazione tedesca, che avrebbe creato una nazione di
più di 80 milioni di abitanti nel mezzo dell’Europa, facendo della Germania il Paese
economicamente più forte di ogni altro membro della Comunità
Tutto ciò rischia di rompere un equilibrio accuratamente mantenuto fino ad allora nella Comunità.
Occorre una contropartita: la rinuncia tedesca alla moneta nazionale e l’adozione di una moneta
comune, secondo il progetto nato già nel 1969 alla Conferenza dell’Aja e preparato dallo SME, in
modo da dare agli altri partner la garanzia che la Germania sarebbe rimasta fedele all’unità europea
e alle regole comunitarie.
1992 -Trattato di Maastricht
Il Trattato di Maastricht, che prevede la sostituzione delle monete nazionali con l’euro e la
creazione della Banca centrale europea, è l’esito dell’iniziativa della conferenza intergovernativa
del 1990-91 di Kohl e Mitterand, nella quale il tema dell’unione politica assume un posto di primo
piano. Esso ha origine dalla combinazione di due obiettivi: il passaggio alla moneta unica, che è
realizzato come un emendamento del Trattato di Roma, e l’avvio dell’unione politica, che richiede
un trattato a sé stante. A Maastricht sono convocate due Conferenze intergovernativa: una dedicata
all’Unione monetaria, l’altra all’Unione politica.
Il 10 e 11 dicembre 1991 a Maastricht i rappresentanti dei dodici paesi, che costituiscono la
Comunità, prendono la decisione di creare l’EURO, moneta europea destinata a sostituire quelle
nazionali, e fissano le condizioni e il calendario per la sua realizzazione. In esecuzione delle
decisioni prese nei consigli di Madrid nel giugno 1989 e di Roma nell’ottobre 1990, vengono
previste tre fasi per la realizzazione dell’Unione economica e monetaria:
• la liberalizzazione dei capitali,
• la creazione dell’Istituto monetario europeo,
• la fissazione dei tassi di cambio effettivi tra le monete della Comunità.
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Unione europea: una costruzione a tre pilastri
Maastricht segna senz’altro il punto più alto dell’azione europeistica. A Maastricht nasce anche
l’Unione europea attraverso un maxi-trattato, che consta di due capitoli relativi all’unione
economica e monetaria e a quella politica. L’Unione economica prevede la creazione della moneta
unica, l’Unione politica prevede l’avvio di una politica estera e di sicurezza comune e la
cooperazione nei settori della sicurezza interna e dell’azione giudiziaria. L’espressione Unione
viene scelta per identificare la costruzione a tre pilastri formata dalla Comunità europeo, il cui
nucleo è costituito
• dal mercato unico e dalla moneta unica,
• dalla politica estera e di sicurezza comune,
• dalla politica di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
L’istituzione della cittadinanza europea
Il Trattato di Maastricht comprende altre componenti, in primo luogo,
• quella che istituisce la cittadinanza europea, di cui ha rappresentato una tappa importante
l’accordo di Schengen che ha portato all’abolizione delle frontiere fisiche per un gruppo di
paesi;
• quelle che estendono il campo d’azione e di intervento della Comunità alla ricerca
scientifica, alla protezione dell’ambiente, alla politica industriale, allo sviluppo delle grandi
reti di comunicazione, alla protezione dei consumatori, all’educazione e alla formazione
professionale, alla sicurezza sociale, alla giustizia e ai problemi di polizia.
Sul piano istituzionale, il trattato di Maastricht estende i poteri del Parlamento in materia di
co-decisione e crea un Comitato delle regioni di 222 membri a carattere consultivo. Sempre sul
versante istituzionale, adotta il principio di sussidiarietà secondo cui l’iniziativa della Comunità
sarebbe stata richiesta solo laddove si fosse rivelata più efficace dell’azione degli Stati e delle
Regioni.
Con il Trattato del 1992 l’Unione europea si fonda sulle Comunità già esistenti, ma rimane distinta
esse: Comunità e Unione hanno infatti scopi istituzionali diversi. L’Unione costituisce una forma
diversa e più intensa di aggregazione fra i paesi comunitari: essa intende avere un respiro e una
dimensione politica. Nelle Disposizioni comuni (Art. A) il Trattato si autoqualifica come “una
nuova tappa del processo di creazione di una unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in
cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini” e si afferma che l’Unione “ha il
compito di organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli stati membri e tra i loro
popoli”. Queste espressioni sono state riprese nella Costituzione per l’Europa approvata nel 2004,
ma non ratificata dai francesi:
• la prima affermazione indica la volontà di unire i popoli europei, essa è recepita nel
Preambolo della Costituzione al 4° comma: “Persuasi che i popoli dell’Europa, pur
restando fieri della loro identità e della loro storia nazionale, sono decisi a superare le loro
antiche divisioni e, uniti in modo sempre più stretto, a forgiare un loro comune destino”;
• la seconda affermazione secondo cui “le decisioni siano prese il più vicino possibile ai
cittadini” fa riferimento al principio di sussidiarietà, recepito nell’art 9, comma 3, della
Costituzione: “In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua
competenza esclusiva, l’Unione europea interviene soltanto se e nella misura in cui gli
obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati
membri, sia a livello centrale sia a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della
portata o degli effetti dell’azione in questione, essere meglio raggiunti a livello
dell’Unione”.
• Il terzo obiettivo, quello della giustizia sociale e dello sviluppo economico equilibrato, è
ribadito nell’art. 3, comma 3, della Costituzione per l’Europa: ”L’Unione si adopera per lo
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sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata (…).
Combatte l’esclusione sociale e la discriminazione e promuove la giustizia e la protezione
sociale, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti
dei minori. Promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli
stati membri”.
1995: ingresso di Finlandia, Austria e Svezia nella UE
Nel 1995 entrano a far parte dell’Unione tre nuovi membri: la Finlandia, l’Austria e la Svezia.
Il 1° gennaio 1999, le monete dei dodici paesi aderenti all’euro adottano cambi fissi tra loro e, tre
anni dopo, la nuova moneta entrava in circolazione a sostituire le monete nazionali.
Trattato di Amsterdam e di Nizza: limiti della costruzione europea
Altri due trattati, quello di Amsterdam del 2 ottobre 1997, già ratificato, e quello di Nizza del 9
dicembre 2000, rafforzano i poteri del Parlamento, ma rinviano il delicato problema delle votazioni
a maggioranza qualificata e altre questioni legate all’allargamento ai Paesi dell’Est europeo previsto
per il 2004.
Rimangono insoluti il problema dell’autorità politica e della riorganizzazione istituzionale, quello di
una politica estera e di difesa comune. Rimangono resistenze, riserve e timori che impongono nuove
e coraggiose decisioni, ma anche un momento di riflessione sulle reali volontà dei cittadini di
procedere oltre i traguardi raggiunti. Ambedue i compiti verranno affidati nel dicembre 2001 alla
Convenzione, un comitato di saggi incaricato di formulare le grandi linee di una Costituzione per
l’Europa.
Materiali di documentazione sull’Unione Europea
a cura di Anna Floris
Bibliografia: T. Padoa-Schioppa, Europa, forza gentile, Il Mulino, Bologna, 2001