Assortimenti

Transcript

Assortimenti
11
instoremag.it
Giugno
Luglio
2016
€ 5.00
N° Bimestrale
dall’esperienza di
CURA CASA
VAPIANO
DELIVERY
PET FOOD
Detersivi per lavatrice:
un settore dinamico.
L’analisi di Iri
I piani di espansione
del franchisor tedesco
nel nostro Paese
Non solo droni:
saranno i robot
a portare la spesa
Mercati globali
e trend
internazionali
Assortimenti
Emulare il display
dei discount?
Forse non è la via giusta
EDITORIALE
L
ayout, promozioni, dieta vegana, chilometro zero, servizi tarati ad hoc, infedeltà al
punto vendita, ricerca di nuovi formati,
lusinghe dell’e-commerce e seduzioni tecnologiche sempre più spinte.
Il mix è composito e variegato e l’elemento catalizzante è
sempre lo stesso: il consumatore. Che cambia a seconda
dell’orario, della latitudine, del prodotto che vuole acquistare, della caratterizzazione anagrafica, di quella sociale
e pure di quella culturale.
È proprio a causa di questa complessità di variabili che,
per fare un esempio, l’ormai annoso dubbio amletico relativo agli assortimenti e alla loro razionalizzazione non
ha ancora trovato una risposta univoca (e molto probabilmente mai la troverà).
Non c’è “una scelta giusta e una scelta sbagliata”. Si può
solo optare per una strategia, riservandosi il beneficio
del dubbio e la possibilità di rimettersi in discussione,
nel tentativo di avvicinarsi quanto più è possibile ai desiderata dei clienti.
Ben lo rileva, ad esempio, il Kantar Wordpanel da cui
emerge come le politiche dei discount anglosassoni, non
sortiscano i medesimi effetti, se adottati da altri formati
distributivi (persino da quelli dei Big Four!). Evidentemente,
allora, la chiave del successo non è univoca: tutto dipende
dalla serratura che si vuole aprire (pag 18).
Il consumatore, quindi, come misura di tutte le cose. Comprese le promozioni, la cui efficacia (ormai è ampiamente
dimostrato) sottostà al severo giudizio di chi acquista (pag.6).
Non a caso si fa spesso ricorso alla definizione di prosumer, quasi a sottolineare il protagonismo del cliente 3.0
e – ahimè – la sua infedeltà, inevitabile conseguenza di
questa sempre più spiccata autonomia negli atti di acquisto (da pag. 8).
E se questo ininterrotto confronto con le aspirazioni cosumeristiche si rivela complesso in Italia, la cosa non si
fa affatto più semplice fuori dai confini nazionali, là dove
portano le nuove aspirazioni verso un business “targato
Usa o Emirati” (da pag 11).
Questa rapida evoluzione di una domanda mai uguale
a se stessa, complica l’operatività, certo. Ma apre anche
scenari inconcepibili fino a poco tempo prima, fornendo
terreno fertile a nuovi business.
È successo con la catena KFC, assente fino a pochissimo tempo fa dal nostro paese, e oggi in pieno boom di
crescita, grazie agli imponderabili mutamenti intervenuti
(da pag 24).
E nella stessa direzione va pure la strategia del player
tedesco Vapiano, oggi consapevole del fatto che l’Italia è
ormai pronta ad accoglierlo (da pag. 14).
Per restare, infine, in territorio nazionale, con il repentino successo del personal shopper di Supermercato 24:
solo un cambio rapido nelle abitudini dei consumatori
(oggi finalmente inclini e propensi a una lista della spesa
on line) avrebbe potuto supportare un exploit di questo
tipo. Evidentemente questa inversione di rotta c’è stata.
(da pag 22).
Per concludere, uno sguardo ai mercati, anch’essi sintomatici “della direzione del vento dei consumi”.
Dirimente è quasi sempre l’età dei consumatori: gli acquisti
più classici sono appannaggio dei clienti più maturi, quelli
più evoluti delle nuove generazioni (da pag 46).
Emerge infatti chiaramente come in certi settori la caratterizzazione anagrafica sarà via via più importante: i
Millennials sono sempre più spesso i nuovi responsabili
d’acquisto e la temperie culturale che li ha formati, sarà
progressivamente destinata a condizionare tanto la loro
domanda, quanto l’offerta delle aziende (da pag. 52).
Carmela Ignaccolo
sommario
POLITICHE E ANALISI
DISTRIBUZIONE
IMMOBILIARE
04 ITINERARI
10 EXPORT
33
AGILE E INTELLIGENTE:
ARRIVA LO SMART WORKING
06 ECONOMIA
USA ED EMIRATI: ISTRUZIONI PER L’USO
14 PROSPETTIVE
VAPIANO CERCA PARTNER IN ITALIA
Re
IL VOLTO
REAL ESTATE
DEL RETAIL
IL NUOVO CHE AVANZA
LA PROMO PERDE FASCINO
ED EFFICACIA
08 CONSUMATORI
MERCATI
INFEDELTÀ:
ALLA RICERCA DELLA
CONVENIENZA
40 ECCELLENZE
14
18 ASSORTIMENTI
LA REVISIONE DEGLI SCAFFALI,
POLITICHE A CONFRONTO
22 SUPERMERCATO 24
LA SPESA: UN ALGORITMO
LA CONSEGNERÀ
25 FORMAT
08
AL POPOLO DEL WEB PIACCIONO
SOSTENIBILI
46 DETERSIVI BUCATO
2015: LA LAVATRICE
RIPRENDE A GIRARE
52 PET FOOD
MERCATI INTERNAZIONALI
E TREND GLOBALI
28 BERKELEY BOWL
56 I PROTAGONISTI
IL PROFETA DEL “BIOLOGISMO” LAICO
RICATI DEL TRATTAMENTO DEI DATI PER LE FINALITÀ SUDDETTE SONO GLI ADDETTI ALLA GESTIONE AMMINISTRATIVA DEGLI ABBONAMENTI
ED ALLE TRANSAZIONI E PAGAMENTI CONNESSI, ALLA CONFEZIONE E SPEDIZIONE DEL MATERIALE EDITORIALE, AL SERVIZIO DI CALL CENTER,
AI SENSI DELL’ART. 7, D. LGS 196/2003 SI POSSONO ESERCITARE I RELATIVI DIRITTI, FRA CUI CONSULTARE,
MODIFICARE, CANCELLARE I DATI OD OPPORSI AL LORO UTILIZZO PER FINI DI COMUNICAZIONE COMMERCIALE INTERATTIVA RIVOLGENDOSI
A FIERA MILANO MEDIA SPA – SERVIZIO ABBONAMENTI – ALL’INDIRIZZO SOPRA INDICATO. PRESSO IL TITOLARE È DISPONIBILE ELENCO
COMPLETO ED AGGIORNATO DEI RESPONSABILI.
42 CIBI IN SCATOLA
KFC, LA GRANDE SFIDA
INFORMATIVA AI SENSI DEL CODICE IN MATERIA DI PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI
INFORMATIVA ART. 13, D. LGS 196/2003
I DATI DEGLI ABBONATI SONO TRATTATI, MANUALMENTE ED ELETTRONICAMENTE, DA FIERA MILANO MEDIA SPA – TITOLARE DEL TRATTAMENTO –STRADA STATALE DEL SEMPIONE 33, N. 28 - 20017 RHO (MILANO), - PER L’INVIO DELLA RIVISTA RICHIESTA IN ABBONAMENTO,
ATTIVITÀ AMMINISTRATIVE ED ALTRE OPERAZIONI A CIÒ STRUMENTALI, E PER OTTEMPERARE A NORME DI LEGGE O REGOLAMENTO. INOLTRE,
SOLO SE È STATO ESPRESSO IL PROPRIO CONSENSO ALL’ATTO DELLA SOTTOSCRIZIONE DELL’ABBONAMENTO, FIERA MILANO MEDIA SPA
POTRÀ UTILIZZARE I DATI PER FINALITÀ DI MARKETING, ATTIVITÀ PROMOZIONALI, OFFERTE COMMERCIALI, ANALISI STATISTICHE E RICERCHE
DI MERCATO. ALLE MEDESIME CONDIZIONI, I DATI POTRANNO, ALTRESÌ, ESSERE COMUNICATI AD AZIENDE TERZE (ELENCO DISPONIBILE A
RICHIESTA A FIERA MILANO MEDIA SPA) PER LORO AUTONOMI UTILIZZI AVENTI LE MEDESIME FINALITÀ. LE CATEGORIE DI SOGGETTI INCA-
AI SERVIZI INFORMATIVI.
PRODOTTI TIPICI IN GDO
FIDA RIPORTA IN ITALIA LA ROSSANA
INFORMATIVA RESA AI SENSI DELLART. 2, CODICE DEONTOLOGICO GIORNALISTI
AI SENSI DELL’ART. 13, D. LGS 196/2003 E DELL’ART. 2 DEL CODICE DEONTOLOGICO DEI GIORNALISTI, FIERA MILANO MEDIA
SPA – TITOLARE DEL TRATTAMENTO - RENDE NOTO CHE PRESSO LA REDAZIONE DI MILANO, STRADA STATALE DEL SEMPIONE 33, N.
28 - 20017 RHO (MILANO), VENGONO CONSERVATI GLI ARCHIVI DI DATI PERSONALI E DI IMMAGINI FOTOGRAFICHE CUI I GIORNALISTI,
PRATICANTI E PUBBLICISTI CHE COLLABORANO CON LE TESTATE EDITE DAL PREDETTO TITOLARE ATTINGONO NELLO SVOLGIMENTO DELLA
PROPRIA ATTIVITÀ GIORNALISTICA PER LE FINALITÀ DI INFORMAZIONE CONNESSE ALLO SVOLGIMENTO DELLA STESSA.
I SOGGETTI CHE POSSONO CONOSCERE I PREDETTI DATI SONO ESCLUSIVAMENTE I PREDETTI PROFESSIONISTI, NONCHÉ GLI ADDETTI
PREPOSTI ALLA STAMPA ED ALLA REALIZZAZIONE EDITORIALE DELLE TESTATE.
I DATI PERSONALI PRESENTI NEGLI ARTICOLI EDITORIALI E TRATTI DAI PREDETTI ARCHIVI SONO DIFFUSI AL PUBBLICO. AI SENSI DELL’ART.
7, D. LGS 196/2003 SI POSSONO ESERCITARE I RELATIVI DIRITTI, FRA CUI CONSULTARE, MODIFICARE, CANCELLARE I DATI OD OPPORSI
AL LORO UTILIZZO, RIVOLGENDOSI AL TITOLARE AL PREDETTO INDIRIZZO.
SI RICORDA CHE, AI SENSI DELL’ART. 138, D. LGS 196/2003, NON È ESERCITABILE IL DIRITTO DI CONOSCERE L’ORIGINE DEI
DATI PERSONALI AI SENSI DELL’ART. 7, COMMA 2, LETTERA A), D. LGS 196/2003, IN VIRTÙ DELLE NORME SUL SEGRETO PROFESSIONALE, LIMITATAMENTE ALLA FONTE DELLA NOTIZIA. PRESSO IL TITOLARE È DISPONIBILE L’ELENCO COMPLETO ED AGGIORNATO
DEI RESPONSABILI.
46
n. 11 Giugno/Luglio 2016
www.instoremag.it
Redazione
Antonio Greco • Direttore Responsabile
Carmela Ignaccolo • Redattore - Coordinamento InStore
[email protected] • tel: 02 4997 6555
David Migliori • Vicecaporedattore
[email protected] • tel: 02 4997 6556
Elena Cotos • Segreteria e abbonamenti
[email protected] • tel: 02 4997 6553
Collaboratori
Fulvio Bersanetti, Enrico Biasi, Nicole Cavazzuti, Elena Consonni,
Manuela Falchero, Silvia Fornari, Stefano Fossati, Iri, M. Oltrona Visconti,
Guido Montaldo, Gian Marco Stefanini, Daniele Tirelli
52
Pubblicità
Giorgio Lomuoio • Sales Manager
[email protected] tel: 02.4997.7383
Deborah Tessari • Segreteria commerciale
[email protected] tel: 02.4997.6514
Chiara Donini
[email protected] tel: 02 4997 6547
Piera Pisati • Lombardia
[email protected] tel: 02 4997 6548
Mondo Media Srl • Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia
[email protected] • Tel. 0458006369
Mastropasqua Pasquale • Lazio, Campania, Abruzzo
[email protected] • Tel. 347 9003241
Properzi Dominique • Piemonte, Liguria, Valle D’Aosta
[email protected] • Tel. 347 2821493
Nadia Zappa • Ufficio Traffico
INNOVAZIONE
[email protected] • tel: 02 49976534
58 QUANTCAST
Abbonamenti
N. di conto corrente postale per sottoscrizione abbonamenti:
48199749- IBAN: IT 61 A 07601 01600 000048199749
NUOVE FRONTIERE PER IL DIGITAL
ADVERTISING
intestato a: Fiera Milano Media SpA, Piazzale Carlo Magno 1, 20149 Milano.
tel: 02 252007200 • fax: 02 49976572 • [email protected]
60 DELIVERY
Abbonamento annuale: N 30,00 IVA inclusa Abbonamento per l’estero: N 60,00
SE LA SPESA LA CONSEGNA IL ROBOT
Stampa
FAENZA GROUP – Faenza (Ra) • Stampa
Aderente a:
Fiera Milano Media è iscritta al Registro Operatori della Comunicazione n. 11125 del 25/07/2003.
Tutti i diritti di riproduzione degli articoli pubblicati sono riservati.
Bimestrale - Registrazione del Tribunale di Milano n. 235 del 24/6/2014.
Proprietario ed Editore
60
Fiera Milano Media
Gianna La Rana • Presidente
Antonio Greco • Amministratore Delegato
Sede legale • Piazzale Carlo Magno, 1 - 20149 - Milano
Sede operativa ed amministrativa
SS. del Sempione, 28 - 20017 Rho (MI)
Foto di copertina: Sainsbury's
tel. +39 02 4997.1 fax +39 02 49976573
ITINERARI
Quando
anche
il lavoro
diventa smart
di Fulvio Bersanetti,
REF Ricerche
AGILE E INTELLIGENTE: LE NUOVE CARATTERISTICHE CHE RENDONO PIÙ PRODUTTIVA,
AUTONOMA E AL PASSO CON I TEMPI L’ATTIVITÀ LAVORATIVA
N
egli ultimi numeri di questa rivista la rubrica
Itinerari ha voluto offrire una panoramica
di alcune delle tendenze (il fenomeno delle
imprese innovative: le start up) e delle problematiche
(l’impiego dei voucher) che qualificano l’attuale mercato del lavoro.
Un mercato del lavoro che nel 2016 ha proseguito e
consolidato il percorso di ripresa, come illustra l’ultima
rilevazione sul tasso di disoccupazione, che in questi
mesi ha toccato il minimo da oltre tre anni.
Proseguiamo dunque in questo excursus tematico dedicando alcune riflessioni ad una delle materie più
dibattute e controverse dei tempi recenti: il lavoro agile o lavoro intelligente, più comunemente noto come
“smart working”.
Nuove frontiere del lavoro
Secondo la definizione prevista dal disegno di
legge presentato dal Governo lo scorso febbraio,
esso va inteso come una modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato allo
scopo di incrementare la produttività e agevolare
la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, sia nelle imprese private che nella pubblica
amministrazione, e senza differenziazioni in termini
di trattamento economico.
4
GIUGNO/LUGLIO 2016
I benefici dello smart
working: quattro attori
VANTAGGI
• PER LE IMPRESE
• PER LE PERSONE
• PER L’AMBIENTE
• PER LA SOCIETÀ
Naturalmente, l’aspetto più innovativo del
fenomeno ha a che vedere con l’adozione
di una nuova filosofia di gestione dell’attività lavorativa che trova il suo equilibrio
nella restituzione alle persone di autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e
degli strumenti a fronte di una maggiore
responsabilizzazione rispetto agli obiettivi dell’organizzazione di appartenenza.
I vantaggi dello smart working possono
essere raggruppati in quattro aree:
1. per le imprese (migliori performance
economiche, contenimento dei costi
fissi, riduzione degli spazi fisici, attrazione di talenti)
2. per le persone (conciliazione famiglia-vita-lavoro, maggiore flessibilità
e benessere)
3. per l’ambiente (riduzione dell’inquinamento e delle emissioni di CO2)
4. per la società (effetti positivi sulla
mobilità e sostegno all’evoluzione
degli ambienti urbani in modalità
smart cities).
LO SMART WORKING NELLE GRANDI AZIENDE
PRESENTE
PREVISTO
ASSENTE
nazionale): solo il 5% del totale ha avviato un progetto
strutturato di smart working, mentre il 9% ha introdotto
informalmente logiche di flessibilità e autonomia. Più
di tutto, però, sorprende il fatto che oltre una piccola impresa su due non conosca questa impostazione
innovativa o si dichiari non interessata ad adottarla.
NON SO
Layout fisico
Flessibilità di luogo
Smart working: pro e contro
ocial collaboration
lessibilità di orario
Device
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Fonte: Osservatorio Smart Working Politecnico di Milano
Italia: una grande
impresa su due lo adotta
ma tra le pmi…
Che ormai non sia (o non lo sia più)
solo un fenomeno di nicchia o una moda d’oltreoceano lo suggeriscono i dati:
secondo l’Osservatorio del Politecnico di
Milano, nel 2015 una grande impresa su
due ha già adottato o sta sperimentando
in modo strutturato o informale questa
nuova impostazione del lavoro. Più nello
specifico, il 17% delle organizzazioni di
maggiori dimensioni attive nel nostro
Paese ha già avviato progetti organici di smart working, introducendo in
maniera stabile nuovi strumenti digitali,
policy organizzative e nuovi layout fisici
degli spazi (l’incidenza sul totale è più
che raddoppiata in confronto allo scorso
anno). A queste si aggiunge un ulteriore
14% di grandi imprese che dichiara di
essere in fase “esplorativa” e un altro
17% che ha implementato iniziative ad
hoc di flessibilità riservate a specifici
profili e ruoli aziendali.
In questo contesto il settore del largo
consumo non ha fatto eccezione: nell’ultimo biennio le esperienze pilota si sono
moltiplicate e, tra coloro che possono
essere considerati come i pionieri dello
“smart working” in Italia, Barilla ha
recentemente annunciato l’intenzione
di ampliare il ricorso al lavoro agile
da 4 a 8 giorni al mese.
Tra le PMI, tuttavia, la diffusione risulta
ancora decisamente circoscritta (e questo dato, in realtà, contribuisce a ridimensionare il fenomeno, considerate
le caratteristiche del tessuto produttivo
+10-15%
AUMENTO DELLA
PRODUTTIVITÀ
I primi studi disponibili hanno provato a quantificare i
benefici dello smart working sui diversi fronti: un giorno/settimana di lavoro in modalità flessibile garantirebbe per l’impresa un aumento della produttività
(almeno inizialmente) nell’ordine del 10-15% ed un
efficientamento dei costi di gestione dello spazio
fisico compreso tra il 15% ed il 20%. D’altro canto, per
il dipendente esso corrisponderebbe a circa 90 ore di
spostamenti casa-lavoro risparmiate ogni anno e circa
700 euro di minori costi di mobilità, con un evidente
miglioramento dell’equilibrio lavoro-vita privata.
Come ogni innovazione che si rispetti, tuttavia, non
mancano i rischi: se da un lato occorrono maturità,
fiducia, disciplina personale e coordinamento, dall’altra non è raro il pericolo che si manifesti ciò che i
sociologi chiamano “work intensification”, ovvero una
sovra esposizione del lavoratore rispetto alla gestione
a distanza dei carichi di lavoro. In ultimo la tecnologia:
in un Paese che è fanalino di coda in Europa per la
diffusione della banda larga (in alcune Regioni solo sette
cittadini su dieci possono accedere ad internet con una
connessione ad alta velocità), essa può diventare una
falsa “commodity” ed operare come handicap (e non
come facilitatore) dello smart working.
I comportamenti dei consumatori e dei lavoratori stanno rapidamente evolvendo: è prioritario attrezzarsi e
costruire le condizioni (ma anche le competenze) per
poter cogliere tutte le grandi occasioni che offre il
mondo smart di oggi. S
LO SMART WORKING NELLE PMI
PRESENTE
PREVISTO
ASSENTE
NON SO
Layout fisico
Flessibilità di luogo
ocial collaboration
lessibilità di orario
Device
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Fonte: Osservatorio Smart Working Politecnico di Milano
GIUGNO/LUGLIO 2016
5
ECONOMIA
Se la promo
ha perso il suo appeal
IL MERCATO SUBISCE UNA BATTUTA
D’ARRESTO, MA IL RICORSO
Έ
Ή
di Carmela Ignaccolo
B
anche in subbuglio, attentati
internazionali, battibecchi
europei ad ampio raggio
(dalla macro economia all’apertura
delle frontiere, tanto per intenderci):
una congerie di cause di natura variegata ha minato la già flebile fiducia
dei consumatori, depresso le vendite
e innescato uno stop tanto evidente
quanto inatteso.
Chiari in merito i risultati del primo
quadrimestre del 2016 che registrano
6
GIUGNO/LUGLIO 2016
un timidissimo +0,4% a volume a fronte
del robusto +2,2% del 2015.
“Ad ogni modo è proprio vero: non tutti
i mali vengono per nuocere – commenta Gianpaolo Costantino, consulente
IRI – questo scenario inatteso, infatti,
ci ha permesso di guardare alle promo
e al loro andamento al netto di condizionamenti esterni.
Mi spiego meglio: lo scorso anno tra la
ripresa dei consumi e l’attività promozionale non poteva essere stabilito un
nesso immediato di causa ed effetto.
Quest’anno, invece, alla luce del nuovo stallo dei mercati, è più semplice
fare il punto sulle promozioni, sulla
loro efficacia e sull’atteggiamento dei
consumatori.
Cosa emerge?
Il primo dato riguarda l’atteggiamento
essenzialmente tattico del Largo Consumo Confezionato che, di fronte a questo
stop del mercato, nel progressivo ad
aprile, ha rialzato di 0,3 punti la pressione promozionale rispetto all’analogo
periodo del 2015, attestandosi al 28,4%.
Si tratta di tentativi di risollevare le
vendite che non pare abbiano incontrato il favore dei consumatori: questi
infatti, nonostante la frenata dei consumi, non sembrano affatto lusingati
dalle offerte e dai tagli prezzo. Come
dimostra bene il -4,2% delle vendite
incrementali.
Cosa vuol dire, dunque?
Che ancora una volta il consumatore,
nonostante le discontinuità economiche continua a mettere valore nel carrello, preferendo non fare acquisti in
stock, ma compere più ponderate. In
pratica il trend emerso lo scorso anno,
in condizioni diverse, continua anche
oggi, nonostante i presupposti siano
ANDAMENTO DEI PREZZI
NEI REPARTI
dic-15
gen-16
feb-16
mar-16
apr-16
Bevande
0,0
0,2
0,2
-0,4
-0,4
Ortofrutta
3,6
2,4
1,2
-0,3
-0,7
Freddo
-0,4
0,0
-0,2
-0,2
-0,8
Drogheria Alimentare
0,8
0,2
0,1
-1,0
-0,8
LCC
-0,2
-0,3
-0,5
-1,1
-1,3
Pet Care
-2,0
-1,3
-2,3
-1,5
-1,8
Cura Casa
-1,2
-0,9
-1,1
-1,5
-1,9
Fresco
-1,9
-1,6
-1,6
-1,7
-2,2
Cura Persona
-1,6
-0,9
-1,4
-1,7
-2,2
Fonte: IRi – Inflazione Tendenziale del Carrello – Ipermercati, Supermercati, LSP, Drugstore
QUEST’ANNO,
ALLA LUCE DEL NUOVO
STALLO DEI MERCATI,
È PIÙ SEMPLICE
FARE IL PUNTO
SULLE PROMOZIONI
E SULLA LORO EFFICACIA
PRESSIONE PROMO %
A VALORE
30
28,4
27,9
28,4
20
10
0
2014
2015
Prog. 2016
Fonte: IRi – Ipermercati, Supermercati, Libero Servizio-Piccolo, Drugstore. Totale Italia.
Progressivo aggiornato ad Aprile 2016
cambiati. La domanda giusta da porsi,
dunque, sarebbe: “Al giorno d’oggi, la
promozione è in grado di influire sulla
domanda?”.
Lei che ne dice?
Ritengo che sia tuttora un fattore fondamentale, ma a patto che venga studiata
e non fatta impulsivamente, come scelta
tattica giustificata esclusivamente dalla
mera contingenza.
Parliamo quindi di personalizzazione
dell’offerta e ritengo risiedano proprio
qui le principali opportunità per chi offre
prodotti di marca ed evoluti.
Questa disamina riguarda indifferentemente tutte le categorie?
Senz’altro. Anzi per corroborare la tesi
secondo cui non vi è relazione alcuna tra
crescita della domanda e taglio prezzo,
le fornisco un’ulteriore informazione: le
categorie in cui aumenta la propensione
alla vendita sono proprio quelle con una
pressione promozionale inferiore alla media (23,8 vs 28,4%). Forse anche perché
in un clima di deflazione, un generico
taglio prezzo è sempre meno appealing.
La sua conclusione?
Assiomatica, direi: le promo non si stanno facendo sempre in maniera corretta,
ma spesso sono troppo tattiche e poco
funzionali. Emerge dunque la necessità di riesaminare l’allocazione degli
investimenti di marketing per rilanciare
concretamente la domanda. S
GIUGNO/LUGLIO 2016
7
CONSUMATORI
LA RIDUZIONE DI SPESA PRESSO
I SUPERMERCATI SEMBRA ESSERE STATA
ATTUATA SOPRATTUTTO DA:
• RESIDENTI NEL SUD ITALIA E NELLE ISOLE
• RESIDENTI IN CENTRI ABITATI CON OLTRE
100.000 ABITANTI
• INDIVIDUI IN ETÀ INFERIORE AI 55 ANNI
• FAMIGLIE CON 4 COMPONENTI ED OLTRE
• GRAZIE ALLE OFFERTE NEI PUNTI VENDITA
E AL CRESCENTE RUOLO DEL WEB CON
OFFERTE E COMPARATORI ONLINE
L’ANALISI IN DETTAGLIO
ESTRAPOLATA IN ESCLUSIVA PER INSTORE:
L’IDENTIKIT DEI CONSUMATORI CHE
HANNO RIDOTTO LE SPESE CAMBIANDO
SUPERMERCATO
(indagine condotta a febbraio 2016)
PROFILO PER SESSO
Quelli che…
risparmiano
51,9%
48,1%
DONNE
UOMINI
PROFILO PER ETÀ
NELL’ULTIMO ANNO
QUASI UN ITALIANO SU QUATTRO
HA CAMBIATO SUPERMERCATO
IN CERCA DI PREZZI PIÙ VANTAGGIOSI.
ECCO L’IDENTIKIT
DEL CONSUMATORE “INFEDELE”
di Manuela Falchero
11,4%
55 ANNI E OLTRE
10,8%
18-24 ANNI
25,9%
22,8%
45-54 ANNI
25-34 ANNI
29,1%
35-44 ANNI
LA METODOLOGIA
mUp Research ha condotto 1.402 interviste online a individui adulti di età superiore ai 18 anni. Il campione intervistato è rappresentativo della
popolazione italiana adulta per sesso, età, area geografica, ampiezza del Comune di residenza. Le interviste sono state condotte online tramite
somministrazione di un questionario strutturato via Cawi, corso del mese di febbraio 2016.
8
GIUGNO/LUGLIO 2016
L
a morsa della crisi ha imposto
di stringere i cordoni della borsa, tanto che nel 2015 ben 24
milioni di italiani dovuto ridurre le spese
rispetto al 2014. A dirlo è una recente
ricerca commissionata dal comparatore
online Facile.it a mUp research che fornisce anche la misura del fenomeno: lo
scorso anno, i nostri connazionali hanno
messo a segno un risparmio medio pari
PROFILO PER AREA GEOGRAFICA
PROFILO PROFESSIONALE
30,4%
NON OCCUPATO
69,6%
OCCUPATO
PROFILO FAMILIARE
41,8%
27,8%
40,5%
NON CONIUGATO
NORDOVEST
Il cliente è mobile
SUD E ISOLE
13,3%
NORDEST
58,2%
CONIUGATO
18,4%
CENTRO
PROFILO PER CENTRI ABITATI
15,8%
FINO A 10.000 AB.
46,2%
OLTRE 100.000 AB.
13,3%
DA 10.000
A 30.000 AB.
24,7%
DA 30.000 A 100.000 AB.
COMPOSIZIONE
DEL NUCLEO FAMILIARE
8,9%
1 COMPONENTE
44,3%
4 COMPONENTI
O PIÙ
20,3%
2 COMPONENTI
26,6%
3 COMPONENTI
lore si assestava al 29%. Un trend che
potrebbe fare pensare al rallentamento
dell’esigenza di fare rinunce. “In realtà –
spiega Stefano Carlin, managing partner
di mUp research – la flessione rilevata
può suggerire anche un’altra chiave di
lettura. Nel 2011 la situazione economica
delle famiglie era ormai piuttosto critica:
si era, insomma, già profilata la necessità
di apportare non pochi tagli alle spese.
Oggi, quindi, la possibilità di mettere
in campo ulteriori nuove riduzioni cambiando i punti di vendita utilizzati si è
naturalmente ridotta”. Come dire, insomma, che si è già eliminato tutto quello
che si poteva.
a 625 euro pro capite, ottenuto riducendo
tanto le voci obbligatorie quanto quelle
accessorie.
E proprio sul fronte di queste ultime
emerge un dato che riguarda molto da
vicino la distribuzione: il 24% di coloro
che hanno risparmiato nell’ultimo anno dichiara, infatti, di avere cambiato
supermercato in cerca di prezzi più
vantaggiosi. Quello della migrazione
da una insegna a un’altra rappresenta
dunque un fenomeno rilevante, dal momento che tocca quasi un consumatore su
quattro (fra coloro che hanno risparmiato
nell’ultimo anno). Al tempo stesso, però, il
dato consegna anche una fotografia in
miglioramento rispetto al più recente
passato: solo 5 anni fa, infatti, il va-
Ma chi sono questi consumatori “infedeli”, pronti a tradire il supermercato
di fiducia in nome di offerte allettanti
e prezzi più convenienti? Si tratta per
lo più di donne (51,9%), individui residenti al Sud e nelle Isole (40,5%),
e in centri urbani con oltre 100.000
abitanti (46,2%). Piuttosto trasversale è
invece l’identikit se si considera la variabile dell’età: il fenomeno tocca, infatti,
in misura piuttosto simile sia la fascia
più giovane (tra i 25-34 anni è coinvolto il 22,8% del campione) sia quella più
matura (tra i 25 e i 44 anni riguarda il
29,1%, mentre tra i 45 e i 54 anni il 25,9%).
Quanto invece al profilo socio-professionale, si distingue una netta prevalenza di
occupati (69,6%) e coniugati (58,2%), che
fanno spesso parte di famiglie numerose,
composte da 4 o più componenti (44,3%).
I single, per contro, sembrano poco o
per nulla coinvolti dal trend, tanto che
soltanto l’8% dichiara di avere modificato
le proprie abitudini di spesa. Insegne ed
aziende sono avvisate. S
MODALITÀ ATTRAVERSO LE QUALI SI È CAMBIATO
SUPERMERCATO PER RISPARMIARE
(risposte multiple)
25,3%
74,7%
55,7%
8,9%
GRAZIE AD AMICI
E FAMILIARI
GRAZIE A OFFERTE
E COMPARATORI
ONLINE
OFFERTE
NEI PUNTI VENDITA
E VOLANTINI
TELEMARKETING
E ALTRO
GIUGNO/LUGLIO 2016
9
WORLD WIDE MARKET
USA ed Emirati:
istruzioni per l’uso
DUE MERCATI DIVERSI E LONTANI, MA ENTRAMBI RICCHI
DI OPPORTUNITÀ PER GLI OPERATORI ITALIANI DEL SETTORE ALIMENTARE.
IN ATTESA CHE SI DEFINISCA MEGLIO LA QUESTIONE TTIP
N
di Elena Consonni
on è possibile prevedere, nel momento in
cui si scrive, se il famoso (o famigerato?)
TTIP andrà in porto e se UE e USA riusciranno far convergere i diversi punti di vista soprattutto
sugli aspetti connessi alla sicurezza alimentare e alla
protezione delle denominazione di origine. Ma, che
questo trattato si firmi o meno, non cambia l’importanza
degli USA come mercato di sbocco per le produzioni
europee e, rimanendo in ambito food and bev, italiane.
«L’export dall’UE agli USA – ha spiegato in occasione
di un incontro organizzato a Cibus Mauro Bandelli,
direttore esecutivo di Gen USA società di consulenza
e servizi che supporta le imprese nello stabilire e
sviluppare la loro presenza negli Stati Uniti – vale 426 miliardi di dollari, mentre quello in senso
contrario 272: insomma dal punto di vista europeo
gli USA sono più Paese importatore che esportatore.
Ecco perché, nonostante in Italia si parli soprattutto dei
timori degli europei, neppure i cittadini americani sono
così entusiasti di questo accordo e temono ne vengano
più danni che vantaggi per loro».
Chi conosce bene la situazione americana prevede tempi
ancora lunghi. «A mio avviso – ha sottolineato Ronald
Marx, international business developer della società
– la firma o meno del trattato dipende da chi diventerà
Presidente: in questo momento i democratici sono a favore, ma i repubblicani no e lo stesso Sanders, il rivale
democratico della Clinton, è contrario».
E mentre la politica cerca l’accordo, gli scambi continuano. Gli Stati Uniti restano un punto di riferimento
per l’export agroalimentare italiano: secondo Federalimentare sui 29 miliardi di euro esportati nel mondo, il
12% è realizzato in questo Paese, secondo importatore
di beni agroalimentari made in Italy, con una crescita
del 19,5% tra il 2014 e il 2015.
10
GIUGNO/LUGLIO 2016
Da sinistra:
Ronald Marx, Mauro Bandelli
e Vittorio Agnati, di Gen USA
Più bio ed e-commerce
D’altronde il mercato USA è davvero grande: conta 316
milioni di abitanti con PIL pro-capite intorno ai 56.000
dollari (+ 2,1% nell’ultimo trimestre e stime di continua
crescita fino al 2020). Quanto al food&bev, la spesa media
è di 189 miliardi di dollari, +10% da gennaio 2014. Le
importazioni provengono nell’ordine da Canada, Messico,
Cina ed Europa, in cui l’Italia la fa da padrona ed esistono ancora ampi spazi, attualmente occupati da prodotti
italian sounding. «Dal 1960 – ha sottolineato Bandelli – la
spesa totale è costantemente cresciuta mentre non sono
cambiate le abitudini di consumo, metà a casa, metà fuori
casa; la spesa media fuori casa è pari a 782 miliardi di
dollari (+20% in 5 anni)». Le nuove tendenze sono quella
del biologico – la vendita è di 26 miliardi di dollari, 10
volte più che in Italia – del naturale, del basso contenuto
di zucchero e del salutistico. L’e-commerce cresce a
ritmi vertiginosi (+17% all’anno) e si avvia a essere il
principale canale di distribuzione negli Stati Uniti.
Il segreto: trovare un buon broker
Per competere nel mercato americano, bisogna testarlo
con ricerche di mercato, per individuare il target più
corretto. «Tra i consumatori finali – ha precisato Bandelli
– i due gruppi più interessanti sono i foodies e gli
health conscius. I primi (circa 30 milioni) sono estimatori del buon cibo, mangiano solo prodotti autentici,
non contraffatti o italian sounding, sanno riconoscere la
qualità, sono alla ricerca di nuove esperienze alimentari
e sono disposti a spendere per mangiare 3-4 volte tanto
la media della popolazione. Gli Health Conscious sono
meno numerosi, mangiano solo cibi sanissimi, sono
attenti ai valori nutrizionali e alle etichette e preferiscono prodotti bio».
GIUGNO/LUGLIO 2016
11
WORLD WIDE MARKET
Per i canali
di vendita è opportuno rivolgersi
alla distribuzione specializzata, che garantisce un
buon volume di vendita, vende prodotti
di qualità, autentici anche con marchio privato e a
prezzi elevati; nel fuori casa sono interessanti gli
specialty restaurants – ne esistono anche di strutturati
in catene – che utilizzano prevalentemente prodotto
autentico.
«Prima ancora di approcciare il mercato con una fiera
– ha spiegato Bandelli – occorre essere in regola con
il contesto normativo. Poi è indispensabile assumere
un broker locale, che conosce direttamente i buyer.
Non basta avere un prodotto di qualità: va previsto un
un budget del 3-10% per le spese di marketing e non
bisogna trascurare post vendita e consumer service.
È meglio prevedere una presenza con una filiale diretta:
dà il miglior messaggio al mercato americano».
Gli Emirati: un ponte verso
il lontano e vicino Oriente
Per chi invece vuole esplorare mercati meno usuali, ma
molto promettenti, val la pena considerare gli Emirati
Arabi Uniti che hanno alte prospettive di crescita
(+4,5%) nonostante il calo del prezzo del petrolio.
«La politica economica – ha spiegato Mauro Bandelli
che segue anche questo mercato attraverso Gen
EMIRATES – ha comportato un aumento della
popolazione pari a 3 volte in 12 anni. Arriverà
a 11milioni. Il valore reale medio dei salari
è quadruplicato. Insomma c’è stato un reale
aumento della ricchezza». Questa crescita si
è tradotta in +12,7% del retail e +8,7% della
ristorazione, dovuta principalmente al turismo. Questi numeri sono destinati a crescere
da qui al 2020, anno di Expo negli EAU, in
cui si attendono 20 milioni di visitatori per la
gran parte internazionale.
Oggi ci sono 11.000 ristoranti e se ne attende l’apertura di 500 nuovi all’anno. Cresceranno anche
le pl: dal 3% al 10% nei prossimi anni. Il consumo
di alimenti e bevande è aumentato del 40% in
7 anni (ora vale circa 9 miliardi di dollari), in
12
GIUGNO/LUGLIO 2016
3-10%
BUDGET PREVISTO
PER LE SPESE
DI MARKETING
particolare quello dei soft drink è raddoppiato, +100% in 6 anni; nonostante i
divieti religiosi, cresce anche la vendita di
alcolici. «Le prospettive per l’Italia sono
buone – ha sottolineato – anche perché
pur essendoci disponibilità di spesa per
prodotti di qualità, il nostro Paese non
figura tra i primi 10 che esportano negli Emirati. I residenti sono abituati a
mangiare fuori (lo fanno mediamente
11 volte alla settimana), e dopo quella
locale, la cucina cinese e italiana sono
quelle più gradite. Nel take away, la pizza
è il prodotto più gettonato».
Ma anche in questo caso non ci si può
permettere di improvvisare. «Per entrare
con successo nel mercato emiratino – ha
sottolineato – non si può fare a meno
di un agente/distributore locale, è consigliabile eseguire un periodo test nei
negozi di specialità e nei ristoranti, partecipare a eventi come “taste of Dubai”,
“Gulfood” o organizzare un “Italianfood
festival” all’interno di altri eventi. Può
essere utile individuare degli ambasciatori per promuovere i prodotti».
E se si sta valutando se percorrere questa
rotta commerciale non va dimenticato
che gli Emirati sono un hub verso mercati
emergenti come India, Pakistan, Turchia
e Arabia Saudita. Gli scambi commerciali
con queste aree sono tutti in crescita. S
PROSPETTIVE
Vapiano:
dopo l’EAU
cercasi
partner
in Italia
P
TRA GLI OBBIETTIVI
DEL FRANCHISOR CON SEDE
IN GERMANIA, L’APERTURA
DI UNA RETE ITALIANA
E L’INCREMENTO DI PUNTI
DI RISTORAZIONE NEL MIDDLE EAST
IN VISTA DI DUBAI EXPO 2020
di Marco Oltrona Visconti
Mario Bauer, CEO
di Vapiano Franchising
14
GIUGNO/LUGLIO 2016
erché un format globale che
si identifica con un’offerta
e un’immagine tipicamente
italiane non è presente nel Bel Paese?
A questa domanda il CEO di Vapiano
Mario C. Bauer risponde lasciando
intendere concreti propositi di fattibilità per un futuro non molto lontano:
«In Italia il livello di competizione è
molto elevato. Da un lato il tessuto imprenditoriale mostra una prevalenza di
ristoratori privati che in ogni angolo
del territorio esprimono una buona
qualità. Dall’altro lato la ristorazione
a catena nel vostro Paese attecchisce
meno velocemente rispetto ad altri
stati europei, come Francia e Spagna, che al momento consideriamo
un target primario. Ecco perché per
investire in Italia stiamo cercando
partner professionali che siano in
grado di supportarci con la formula
della joint venture e con l’obbiettivo
di aprire almeno 20 punti di vendita
in franchising».
Un secondo obiettivo di sviluppo inerente la rete di affiliati riguarda il Medioriente e in particolare gli Emirati
Arabi Uniti (EAU) in vista di Expo 2020.
Attualmente il gruppo può vantare a
Dubai due location in altrettanti mall e
una su strada. A ogni buon conto, il pia-
me gli EAU, che, tra gli svariati obbiettivi inclusi nel
suo indirizzo politico, ambisce a diventare il punto di
riferimento turistico e commerciale nel segmento del
lusso in Medioriente.
Un’architettura tutta italiana
Attualmente Vapiano conta 170 ristoranti in 31 paesi
distribuiti su 4 continenti, un numero di aperture che
si è perfezionato in soli 14 anni. «Nessun franchisor
europeo del segmento fast-casual dining – dice Bauer –
può vantare una crescita così rapida». A testimonianza
di un modello di offerta e di un format collaudati che
si esprimono al meglio in location di 800-1000 mq,
non si dimentichi che a stabilire le linee guida del
layout di Vapiano, sin dall’epoca della fondazione,
avvenuta nel 2002 è stato chiamato l’architetto
Matteo Thun, tuttora consulente dell’insegna.
Mentre per l’ambiente e gli arredi è previsto l’impiego
di essenze materiche sempre vere e naturali come
il marmo legno grezzo, piastrelle di varia natura ed
alcune erbe di giardino sparse dappertutto, una seconda particolarità concernente le formule di servizio no di aperture dichiarato, in ossequio
alla road map dell’evento planetario
che, in questa tornata mediorientale,
sarà dedicato alla gestione delle risorse
energetiche e all’alta tecnologia (“Connect the mind, create the future” è il
claim), è quello di realizzare 8 location
intorno ai 400 mq di formato, all’interno
dei più importanti punti commerciali
e turistici della città: Mall of Emirates,
Marina Mall Abu Dhabi, Jumeirah Road,
Sheikh Zayed e Aeroporto nel quartiere
di Garhoud per citarne alcuni. Tra l’altro nei prossimi 12-18 mesi è prevista
un’apertura ad Abu Dhabi: «In Medioriente – dice Bauer – ci aspettiamo una
crescita turistica notevole. Le condizioni
di affiliazione sono le stesse che applichiamo in Europa, tuttavia mentre
nel vecchio continente le trattative sono gestite attraverso rapporti privati
diretti, in EAU è sempre necessario il
supporto di intermediari del settore immobiliare». Il riferimento è alle grandi
compagnie, come per esempio, Nakheel
(creatrice degli arcipelaghi artificiali di
Dubai meglio noti come Palm Island)
o Emaar (proprietaria del Burj Kalifah,
il grattacielo più alto del mondo) che
negli Emirati si stanno occupando della
progettazione e della realizzazione delle
grandi opere edilizie, in uno stato, co-
VAPIANO: LE VENDITE NETTE
(IN MILIONI DI EURO)
2014
2015
Dati globali
385,9
201,4
Germania
175,1
201,4
Resto dell’Europa
157,2
183,8
Resto del mondo
53,5
61,2
GIUGNO/LUGLIO 2016
15
che determinano il percorso del cliente, sono altresì
i punti di somministrazione in front cooking per
pasta, pizze e insalata, dove è possibile richiedere
una personalizzazione della ricetta stabilendo un
rapporto esclusivo con lo “chef va pianista” di turno: «In ogni parte del mondo – specifica Bauer – i best
seller della nostra clientela sono la pasta alla carbonara
e alla bolognese e la pizza al salame.
Ed altri piatti con buone performance, soprattutto
in Medioriente, sono la pizza Margherita e i piatti a
base di pollo».
Sempre nell’ambito delle cooking-station sono servite
le bevande analcoliche una volta pronti i piatti. Vino
birra e alcolici, in genere, sono somministrati al bar
all’ora di pranzo oppure su ordinazione, con servizio
al tavolo, la sera.
LE CONDIZIONI DI AFFILIAZIONE A VAPIANO
Fee d’ingresso: 50.000
Contrattazione: esclusivamente
con operatori locali
Royalty: 6-8% a seconda
della redditività al mq
L’identificazione con la cultura
gastronomica della nostra penisola oltre che dalle ricette è connotata anche dal menu, sempre rigorosamente
stampato italiano, con traduzioni nella lingua locale.
Stabilito che in merito all’assortimento in alcune regioni
Vapiano osserva le abitudini religiose del Paese ospitante –
per esempio nei Paesi arabi è previsto un menu
halal –, i franchisee di
tutto il mondo hanno
l’obbligo di inserire nel menu una
serie di piatti-core
che rappresentano
il 20% dell’offerta. S
GIUGNO/LUGLIO 2016
17
POLITICHE ASSORTIMENTALI
Less is more?
LA POLITICA DI RIDUZIONE
DEGLI ASSORTIMENTI DA PARTE
DEI RETAILER BRITANNICI NON STA
DANDO I RISULTATI SPERATI.
IN ITALIA, INVECE, LA REVISIONE DEGLI
SCAFFALI È ALL’INSEGNA
DI UNA MAGGIORE RAZIONALIZZAZIONE
E FLESSIBILITÀ
di Silvia Fornari
S
ugli scaffali della gdo britannica è in atto da tempo
una guerra all’“assortimento
eccessivo”. Si tratta per lo più di azioni
non dichiarate ufficialmente dai retailer,
che tuttavia stanno intervenendo sempre
più sui display per semplificare, o meglio
ridurre, l’offerta, avvicinandosi progressivamente alle politiche assortimentali
dei discount.
Non è un mistero che Aldi e Lidl, i due
maggiori discount del Regno Unito, non
abbiano risentito della crisi che invece ha
colpito i “big four” (Tesco, Sainsbury’s,
Morrisons e Asda). Il posizionamento
low price sicuramente gioca a loro favore
ma, come evidenziano numerosi osservatori in Gran Bretagna, anche la loro
scelta di proporre una ridotta selezione
di referenze per categoria e di semplificare la shopping experience è vincente.
Con assortimenti contenuti, migliorano
la gestione dell’intera filiera distributiva,
i rapporti con l’industria e la performance dei brand a scaffale; i clienti risparmiano soldi e tempo, perché riescono a
trovare facilmente i prodotti che cercano
e a confrontarli con gli altri in offerta, e
oltretutto lasciano il punto vendita con
la soddisfazione di aver fatto un buon
acquisto: se è l’unica scelta, è sicuramente quella giusta.
I big four giocano ancora la parte del
leone e Tesco da solo rappresenta un
quarto del mercato, ma devono re-
18
GIUGNO/LUGLIO 2016
NUMERO MEDIO
DI ITEM
30.000
cuperare le quote perdute. Tuttavia,
replicare il modello assortimentale
dei discount e diventare più “cheap”
non sembra essere la strada vincente.
Eliminare non sempre paga
7.500
Supermercati
Discount
Fonte: Kantar Worldpanel, Uk, febbraio 2016
LE PERFORMANCE
DI RIDUZIONI E INCREMENTI DI GAMMA
Percentuale
delle categorie
che mostrano
un calo
nelle vendite
39%
46%
61%
54%
Percentuale
delle categorie
che mostrano
un incremento
delle vendite
Ampliamento
Riduzione
Fonte: Kantar Worldpanel, Uk, febbraio 2016
«I supermercati tradizionali – illustra Phil
Dorsett di Kantar Worldpanel, nel suo
studio “Rationalising your range” dello
scorso febbraio – offrono molti più prodotti: circa 30.000, quattro volte quelli di
un discount. Tuttavia sono Aldi e Lidl
che hanno visto un’enorme crescita
negli ultimi due anni, tanto che la
loro quota cumulata cresce del 50%
e raggiunge quasi il 10% del mercato.
I maggiori retailer hanno risposto con
maggiori promesse di prezzo e un impegno alla razionalizzazione delle gamme
come il Project Reset di Tesco, che intende rimuovere fino al 30% delle sue
linee di prodotto. Ma un’offerta ridotta
non è la chiave unica del successo. Nel
periodo in cui la quota dei discount nel
mercato grocery è cresciuta di tre punti
percentuali, le loro linee si sono ampliate di quasi il 10%, per circa 750 linee,
mentre i big four ne hanno gradualmente
ridotto il numero dell’1 o 2%».
Inoltre, dall’analisi di quasi 500 interventi sull’incremento o la riduzione, di
almeno il 10%, delle gamme da parte dei
sette maggiori retailer, Kantar Worldpanel ha rilevato una crescita del 15% nelle
vendite in caso di incremento e del 7% in
LE PERFORMANCE
CATEGORIE VS OBIETTIVI
Crescita
delle vendite
Shopper
penetration
Frequenza
d’acquisto
Ampliamento
di gamma
Riduzione
di gamma
+4%
+2%
+4%
-0,4%
+1%
+3%
Fonte: Kantar Worldpanel, Uk, febbraio 2016
Francesco Cecere,
Direttore marketing
e comunicazione
di Coop Italia
e di diversi rapporti con la marca del distributore. In
secondo luogo, i discount inglesi possono effettivamente rappresentare una minaccia per il retail, mentre in
Italia hanno un posizionamento differente: propongono
anche un’offerta premium e si avvicinano in un certo
modo al modello dei supermercati. Infine, cambia
anche il peso di alcune categorie, soprattutto nel food: da noi il freschissimo, per esempio, è un mercato
molto importante. E, in generale, il nostro consumo
alimentare è molto più diversificato, perché possiamo
contare su un patrimonio alimentare molto più ricco».
Tuttavia, qualcosa si muove anche nella gdo italiana, ed
è soprattutto all’insegna della razionalizzazione.
La revisione dell’assortimento, nell’ottica di rendere più
razionale l’offerta e più efficiente la filiera, è nell’agenda
di Carrefour già da due anni. «Il nostro obiettivo – dichiara Lorenza Cortivo, direttore prodotti grande
consumo di Carrefour Italia – è privilegiare l’ampiezza assortimentale e presidiare le categorie con un
numero maggiore di unità di bisogno e una profondità
caso di riduzione. Considerando invece
le singole categorie, le vendite avanzano
del 4% in presenza di ampliamenti di
gamma e del 2% in caso di riduzione.
«La strada più salutare è rivalutare
regolarmente il mercato – suggerisce
Dorsett –, il che può portare ad ampliare o a tagliare. I retailer devono
stabilire quali benefici ogni singola
linea di prodotto apporta alla categoria e al punto vendita, e se il rischio
di allontanare i consumatori rimuovendo alcuni dei loro brand preferiti è
compensato dall’efficienza gestionale
che deriva da una gamma ridotta».
Lo scaffale italiano sceglie
la razionalizzazione
Dal momento che il retail britannico è
spesso precursore in fatto di tendenze
per quanto accadrà, nel medio-lungo
periodo, anche in Italia, c’è da aspettarsi simili tagli sugli scaffali della gdo
nazionale? Soprattutto, viste le diverse
caratteristiche socio-economiche, è una
strada percorribile?
«Esistono fondamentali differenze nei
modelli di retail italiano e britannico
– evidenzia Francesco Cecere, direttore marketing e comunicazione di
Coop Italia –. Innanzi tutto, la quota
del prodotto a marchio nel Regno Unito
si attesta a circa il 40%, tre volte quella
italiana, con la conseguenza di diversi
spazi a scaffale per la marca industriale
GIUGNO/LUGLIO 2016
19
POLITICHE ASSORTIMENTALI
PERCENTUALE DI LINEE
RIMOSSE PER LE PRINCIPALI CATEGORIE
Categoria
% di linee rimosse
1
Cibi refrigerati
-5,6%
2
OTC e salute
-3,6%
3
Cibi surgelati
-3,2%
4
Cibo in scatola
-3,0%
5
Prodotti per la casa
-2,9%
6
Cibo ambient
-2,3%
7
Birra, vino e alcolici
-2,0%
8
Latticini
-1,8%
9
Dolciario
-1,0%
Fonte: Iri, riduzione media mensile gen-lug 2015 vs gen-lug 2014
Anche se i tagli non sono stati massicci nel
periodo considerato, alcune categorie sono
state particolarmente colpite: la riduzione
del 2,3% nel cibo ambient, per esempio,
corrisponde all’eliminazione di 120 linee.
NUMERO DI LINEE
RIMOSSE PER LE PRINCIPALI CATEGORIE
il più razionale possibile. Non si tratta
di ridurre le referenze, ma di eliminare
gli “slow moving”, i prodotti che non
contribuiscono in modo positivo ai risultati prefissati. Se l’unità di bisogno è
una nicchia, offriamo solo un prodotto,
ma la manteniamo per differenziarci e
garantire al cliente la possibilità di scelta.
Inoltre, il prezzo non è più un paradigma
applicabile a tutti i prodotti: bisogna
valutare le categorie e il ruolo che si
vuole dare loro».
In Coop Italia si lavora per superare
tutte le duplicazioni che non danno prestazioni aggiunte. Sotto i riflettori sono
soprattutto i mercati maturi, oggetto di
una razionalizzazione che dia maggiore
spazio ad aree merceologiche in crescita, quali i prodotti naturali, vegetariani,
vegani e biologici. «I clienti non vogliono rinunciare all’assortimento – spiega
Cecere –, ma si aspettano una selezione
di qualità da parte del punto vendita:
se l’insegna riesce a garantirla, può aumentare la fidelizzazione. È per questo
che, per i prodotti a marchio privato,
puntiamo molto su filiera e origine delle
materie prime».
20
GIUGNO/LUGLIO 2016
Categoria
Lorenza Cortivo,
Direttore prodotti
grande consumo di
Carrefour Italia
Linee rimosse
1
Cibo ambient
-120
2
Cibi refrigerati
-81
3
Prodotti per la casa
-39
4
OTC e salute
-25
5
Birra, vino e alcolici
-23
6
Cibi surgelati
-21
7
Latticini
-19
8
Cibo in scatola
-17
9
Dolciario
-6
Fonte: Iri, riduzione media mensile gen-lug 2015 vs gen-lug 2014
Secondo la ricerca di Iri realizzata lo scorso
ottobre, i maggiori retailer del Regno Unito hanno
ridotto del 3% i prodotti a scaffale nel 2015.
Attenzione al cliente
e flessibilità
Fra le recenti azioni di Coop Italia, infatti, c’è la sostituzione dell’olio di palma con l’olio di oliva o oli monoseme
su tutti i prodotti a marca privata; una
scelta di tipo precauzionale a favore
dei consumatori, come già aveva fatto
con l’eliminazione degli ogm. È in programma anche il lancio di nuove linee
nella seconda metà dell’anno, con un
focus particolare sulle gamme Fiorfiore e Viviverde che mostrano crescite a
due cifre, senza trascurare un’attenzione
particolare all’area chimica, al petfood e
al mondo salute e benessere che ruota
intorno alla parafarmacia.
«Anche nel non food – aggiunge Cecere
–, per esempio nei reparti di igiene e
cosmetica, il nostro obiettivo è incontrare la domanda di prodotti a valore aggiunto. Le attività promozionali
vanno di pari passo e lavoriamo per
razionalizzarle e semplificarle: con “Scegli tu”, per esempio, diamo al cliente
la possibilità di decidere i prodotti da
acquistare».
Attenzione al cliente e f lessibilità sembrano il punto di partenza
nella gestione assortimentale della
distribuzione italiana, Coop Italia
e Carrefour inclusi. Che, partendo
ovviamente da politiche mainstream
valide per tutto il territorio nazionale, le declinano poi sui singoli punti
vendita.
«In base ai format – spiega Cortivo –
siamo intervenuti sul mondo gourmet,
coinvolgendo pasticceria, vino, cioccolato, confetture, te e infusi, ma anche
su profumeria e make up: qui volevamo
offrire un assortimento più premium e
connotato, quindi abbiamo eliminato
alcune referenze che non ci differenziavano a favore di nuove linee di prodotto
distintive».
Anche nella gestione del rapporto numerico fra brand e marca industriale la
politica è, ancora una volta, una declinazione della strategia d’insegna per
singola categoria. «Non abbiamo stabilito una proporzione precisa – conferma
Cecere –, i marchi devono convivere e
il nostro intento non è di occupare gli
spazi con prodotti Coop che, se sono
validi, riescono a imporsi da soli». S
EASYFOODSTORE, POCHI ARTICOLI E A 25 PENNY
na gamma limitata di prodotti a prezzi imbattibili: questa la
proposta del nuovo discount easyFoodstore, che ha aperto i
battenti lo scorso febbraio a Park Royal West, Londra. Il “super
budget” store rappresenta l’ultima avventura di Stelios Haji-Ioannou,
il fondatore di easyJet, che già ha ampliato il proprio marchio con una
dozzina di sub-brand, fra cui easyPizza e easyCoffee.
L’obiettivo è chiaro: approfittare del successo dei discount tedeschi
Aldi e Lidl posizionandosi in una nicchia di fascia ancora più bassa.
«Dopo la mia esperienza nella distribuzione di cibo gratuito in Grecia
e a Cipro – ha dichiarato l’imprenditore – questo è un esperimento più
commerciale per vendere cibo basic ai meno benestanti nell’area di
Park Royal». L’offerta iniziale comprende curry, pizza, pasta, biscotti
e riso, per un totale di 76 referenze; al costo di 25 penny, gli shopper
potrebbero acquistare tutti gli articoli per meno di 20 sterline.
U
GIUGNO/LUGLIO 2016
21
CASE HISTORY
LOGISTICA
SMART E
MASSIMA
AGILITÀ PER
UN BUSINESS
NUOVO CHE
PUNTA SU
AREE ANCORA
INESPLORATE
“P
La spesa?
Un algoritmo
la consegnerà
artendo con la mia avventura – confessa
Enrico Pandian, ideatore e patron di
Supermercato24 – ho forse inizialmente
sottovalutato la complessità del mondo GDO in tutte le
sue implicazioni. Ammetto di essere stato affascinato
dal fatturato potenziale di questa realtà distributiva
tanto da non dare immediatamente il giusto peso alla
numerica assortimentale”.
Un errore? Forse. Ma comunque veniale, visto che il
progetto ambizioso di questo giovane startupper non
ne è stato affatto penalizzato.
Oggi infatti Supermercato24, a meno di due anni dal
debutto, ha al suo attivo 300 mila euro di fatturato
mensili (con un una crescita del 10% mese su mese)
e 230 mila utenti registrati, di cui 38 mila clienti (in
crescita del 25% mese su mese).
“Il problema all’inizio – continua Enrico – era proprio
quello del capitale, ma per fortuna ho potuto avvalermi
di un team meraviglioso che, ben presto, è riuscito a
trovare numerosi investitori. Il resto è storia. E oggi
siamo quel che siamo.”
Ecco, appunto, cos’è oggi Supermercato24? A voler essere
concisi lo si potrebbe definire un “pratico salva tempo”,
oppure un “intelligente modo di delegare”.
L’ordine, infatti, si fa da remoto (tramite cellulare, tablet
22
GIUGNO/LUGLIO 2016
di Carmela Ignaccolo
o computer) mentre ad andare nel punto
vendita per l’acquisto e il ritiro della
merce ci penserà qualcun altro.
Non più e non solo, dunque, spesa a
domicilio, ma spesa a domicilio con personal shopper, una persona affidabile
cui delegare l’incombenza. Una bella
conquista.
Enrico Pandian
ideatore e patron
di Supermercato24
Ma come selezionate i personal
shopper?
Non è un’impresa da poco: non dimentichiamo che i personal shopper si recano
a casa dei clienti e che per i clienti dovranno scegliere il meglio. Per questo su
un totale di 25 mila candidature, abbiamo
ristretto le selezioni a 3.500 candidati,
per poi sceglierne circa 700.
Poi la selezione procede per step: nella
prima fase illustriamo agli aspiranti personal shopper come funziona il servizio,
successivamente li accompagniamo sul
punto vendita a fare la spesa, infine procediamo con un colloquio individuale
per comprenderne meglio le attitudini.
E qual è il loro margine di guadagno?
Partiamo dal presupposto che la rete di
“uomini sul territorio” è la nostra forza: se è soddisfatta lavorerà meglio, per
questo il nostro obiettivo è garantire
compensi equi.
Diciamo che su una spesa media di 100
euro, il personal shopper ha un guadagno netto di 10 euro.
Un attimo, allora. Forse è il caso
di fare un po’ di conti: al netto del
guadagno del fattorino e visto che
la consegna a domicilio ha un costo
non troppo dissimile dalla consegna
“tradizionale” (4 euro e 90) come fate
a marginalizzare?
Possiamo fare affidamento su varie tipologie di entrate: dalla Gdo otteniamo
una percentuale sulla spesa effettuata
tramite il nostro sito. Stiamo diventando
piuttosto autorevoli in questo senso, e
il retail è sempre più disposto a riconoscerci questo ruolo. Pensi che – e lo
dico con orgoglio – in certe aree Supermercato24 è in grado di spostare volumi
significativi su insegne e anche su singoli
punti vendita.
Con l’industria, invece, contrattiamo
sconti ad hoc per i nostri clienti. In
cambio offriamo dati sugli acquisti,
sull’andamento dei prodotti e sull’infedeltà dei consumatori: informazioni su
cui la Grande Distribuzione è piuttosto
reticente
E infine adottiamo anche tradizionali
operazioni di marketing. Come vede si
tratta di un mix piuttosto composito.
Uno dei plus è la consegna entro un’ora, cavallo di battaglia condiviso con
Amazon Prime: quanto pesa per voi
questo fortissimo competitor?
Forse le sembrerà strano, ma per noi
Amazon è una grande opportunità perché – dall’alto della sua “autorevolezza”
– ha settato un nuovo livello di servizio
(quello della consegna in tempo reale,
o quasi) aprendo anche per noi nuovi margini d’azione. In altri termini, è
stato per noi un “facilitatore” di nuovi
processi commerciali e ha innalzato il
livello di servizio in aree prima inesplorate. Certo, il colosso di Atlanta ha
una forza competitiva enorme, ma noi
siamo decisamente più snelli.
IDENTIKIT SUPERMERCATO24
Data di nascita: settembre 2014
Fatturato: 1,4 mio euro
80 mila euro investimento iniziale
Servizio attivo in 16 province
Team di 18 persone e 700 personal shopper
Target consumatori: donne dai 35 ai 45 anni, impiegate
e con un figlio
Mezzi di trasporto utilizzati: scooter con cassone da
120 litri, nelle grandi città; mezzi propri (è il caso, per
esempio di Venezia); mezzi pubblici.
Non abbiamo per esempio, magazzini e questo ci permette di estendere più rapidamente il nostro raggio
d’azione anche in altre regioni fino a coprire (questo
è il nostro intento) l’intera Italia.
L’agilità è il solo vostro plus competitivo?
Non l’unico. Dalla nostra parte gioca anche una logistica
leggera e smart, basata su una nuova tecnologia, un
algoritmo che incrocia svariate informazioni al fine di
ottimizzare il servizio di consegna.
Dalle condizioni meteo, ai feedback ottenuti nel tempo
dai nostri fattorini, dai dati orari di affluenza nello store,
alla tipologia di spesa effettuata: un’enorme mole di dati,
processata senza soluzione di continuità per fornire un
servizio impeccabile, ma sempre perfettibile. S
GIUGNO/LUGLIO 2016
23
FORMAT
Kentucky fried chicken,
la grande sfida
di Di Nicole Cavazzuti
CELEBRE IN TUTTO IL MONDO, DIFFUSA IN BEN 125 PAESI, KFC È LA PIÙ FAMOSA
CATENA DI RISTORAZIONE STATUNITENSE SPECIALIZZATA IN POLLO FRITTO.
E ORA SI APPRESTA A CONQUISTARE L’ITALIA
D’
di Nicole Cavazzuti
e le persone giuste. Milano è una città
interessante, ma le location non sono
così numerose e gli affitti nelle vie principali del centro sono così alti da non
garantire un profitto certo, che invece
è una delle condizioni imprescindibili che KFC tiene in conto
per la scelta del negozio.
Di certo nei prossimi
mesi ci concentreremo su Lombardia,
Lazio, Piemonte e
su Veneto ed Emilia Romagna, due
regioni dove per
ora siamo assenti.
accordo, è approdata solo di recente
nello Stivale, in compenso ci ha messo
pochissimo ad aprire i primi sei punti
vendita. L’ultimo (ovvero il sesto ristorante italiano,
il secondo in Lombardia e il primo in provincia di
Milano) è stato quello di Arese. “Il piano di sviluppo
prevede l’inaugurazione di 100 locali in cinque
anni su tutto il territorio nazionale attraverso una
decina di imprenditori affiliati. Un percorso che
affrontiamo forti del grande successo che fin da subito
la nostra proposta alimentare ha riscosso ovunque:
a Roma, Torino, Chieti, Genova, Brescia e ad Arese”,
commenta Corrado Cagnola, amministratore delegato di KFC Italia.
Come mai KFC è arrivato in Italia solo nel 2014?
Perché solo allora si sono create le condizioni ideali
per lo sviluppo del brand in Italia. Tenete presente
che KFC si diffonde nel mondo attraverso il franchising. Prima di espandersi in un Paese l’azienda valuta
quindi tre elementi: location, imprenditori e strategia
di sviluppo.
Pensate di approdare anche a Milano?
E dove saranno le prossime aperture?
Sì, senza fretta però. Aspettiamo di trovare l’occasione
24
GIUGNO/LUGLIO 2016
Corrado Cagnola,
amministratore delegato
di KFC Italia
E che tipo
di imprenditore
cercate?
Imprenditori con una
seria volontà e capacità
di investimento, interessati
ad aprire tra i 10 e i 30 ristoranti,
anche attraverso società costituite ad
hoc. L’affiliato ideale, inoltre, è un va-
attrezzature, come gestire un ristorante, come assumere
il personale, come gratificarlo, etc. Di conseguenza
non è essenziale un’esperienza pregressa nel settore.
Quanto dura il periodo di training?
Dipende, anche venti settimane.
E l’affiancamento?
È molto breve: facciamo aprire il ristorante solo a chi
è già in grado di gestirlo insieme al suo staff.
lido gestore sia a livello di dettaglio,
sia a livello generale. Dal punto di vista
operativo, tutti i ristoranti devono infatti
essere gestiti al meglio e allo stesso
modo. Ecco perché indentifichiamo un
interlocutore tecnico, il principal operator. Quando l’imprenditore ha un solo
punto vendita, questa figura coincide
con il direttore del ristorante; mentre
quando cresce il numero di ristoranti,
con il direttore operativo della società.
Parliamo di investimenti e di tempi
di break-even?
Aprire un KFC costa mediamente un
milione di euro, ma l’investimento varia
in base alle diverse tipologie: il drive è
più costoso, mentre un ristorante in una
food court di un centro commerciale – come quello aperto a
metà aprile ad Arese – richiede un investimento minore.
Il fatturato oscilla a seconda
dei punti vendita, tuttavia si
aggira sui due milioni all’anno. Quanto al ritorno, è legato
in buona parte all’affitto della
location.
In questo senso è impossibile
dare indicazioni, anche perché il business plan è gestito
dall’imprenditore.
UNA CATENA
DI FORNITURA UNICA
CONSENTE
DI CONTROLLARE
LA QUALITÀ
DELLE MATERIE PRIME
Uno sguardo ai fornitori
Abbiamo una catena di fornitura unica per tutti. Gli
ordini vengono effettuati su una piattaforma comune
e consegnati direttamente nei punti vendita. Questa
strategia alleggerisce il gestore dall’impegno di selezionare i fornitori e ci consente di controllare la
qualità delle materie prime. Compito di chi gestisce
il negozio è prevedere le vendite e quindi stabilire gli
ordini. Che non devono essere eccessivi per contenere
le spese, ma nemmeno troppo limitati per evitare di
non poter adempiere alle richieste dei clienti. Il sistema
informatizzato propone una soluzione per gli acquisti,
ma sta al gestore decidere se seguire le indicazioni o
apporre delle modifiche all’ordine.
In che modo sfruttate le opportunità offerte dalle
nuove tecnologie?
Il flusso è automatizzato a livello tecnologico: i movimenti delle casse sono subito registrati dalle cucine e
Offrite anche un servizio di
formazione?
Sì. Insegniamo tutto quello
che riguarda il business con
il training e con l’affiancamento: dove comprare cucina e
GIUGNO/LUGLIO 2016
25
FORMAT
PER DIFFONDERE
IL MARCHIO
PUNTIAMO SOPRATTUTTO
SUL MONDO
DIGITAL
E la televisione?
Per il momento non abbiamo intenzione
di pianificare una campagna televisiva.
La verità? Non sono sicuro valga la pena
investire in questa direzione nemmeno
in futuro.
La tv resta un mezzo efficace, ma è
caro e non in linea con lo stile di vita
e le abitudini del nostro target di riferimento, che è giovane e più interessato
ai canali digitali. S
dal magazzino, ovvero dal back office e
fanno partire gli ordini, le preparazioni
e i consumi.
Inoltre abbiamo menuboard totalmente
digitali, animati e con offerte diverse a seconda della fascia oraria della
giornata.
Quali sono le vostre strategie di
comunicazione?
In questa prima fase ci interessa comunicare innanzitutto brand, prodotto (che
cosa offriamo, come lo prepariamo e le
diverse occasioni di consumo) e ristoranti
(dove siamo e come siamo fatti).
Per diffondere il marchio puntiamo soprattutto sul mondo digital, ovvero sul
sito web e sulle piattaforme social come
Facebook e Instagram, senza trascurare
i mezzi tradizionali come affissioni, cinema e radio.
Inoltre, curiamo l’arredo e la decorazione
dei locali, per esempio con un’area dedicata al colonnello che inventò la ricetta
segreta per preparare il pollo e con una
zona deputata al bucket, i secchielli di
cartone di KFC che presuppongono la
condivisione del cibo.
Tenete conto, per esempio, che il Bucket
Tenders Maxi Menu è composto da 22
pezzi + 4 salse + 4 contorni + 4 bibite
e costa 33 €.
26
GIUGNO/LUGLIO 2016
KENTUCKY FRIED CHICKEN LANCIA GLI SMALTI COMMESTIBILI AL 100%
IN DUE DIFFERENTI SAPORI
Kentucky Fried Chicken ha appena lanciato uno smalto commestibile per unghie al sapore
di pollo disponibile in due versioni e colori differenti: una tonalità arancio, Hot and Spicy,
e l’altra color nude, ribattezzata Original. Una curiosità: nella realizzazione del prodotto è
stata coinvolta l’azienda che produce le spezie per KFC e pare che per gli smalti sia stato
usato un mix di 11 spezie ed erbe aromatiche naturali e rimaste per il momento segrete.
BERKELEY BOWL
UN’INSEGNA LOCALE
CHE HA FATTO DEL FRESCO
IL SUO CAVALLO DI BATTAGLIA,
ANDANDO BEN OLTRE
LA FRONTIERA TRACCIATA
DA WHOLE FOODS
Il profeta
del “biologismo” laico
N
el 1977, i coniugi Glenn Yasuda e Diane
Kataoka, entrambi americani discendenti da immigrati giapponesi, rilevarono un
locale che ospitava un bowling, al 2777 della Shattuck
Avenue a Berkeley(California). Lo trasformarono nel
loro primo punto di vendita in cui trasferire la loro
passione per la cultura alimentare. Dato che il luogo
era noto come “Berkeley Bowl (-ing)”, semplicemente,
decisero di mantenere quel nome, che sarebbe divenuto
ben presto localmente noto ai gourmet che vivevano
attorno alla Baia.
Certo, l’inflazione negli USA era, a quel tempo, al 16% e
l’amministrazione Carter non faceva molto per invertire
il clima economico depresso dalle crisi petrolifere e dalle
umiliazioni geopolitiche subite dagli USA. Insomma non
pareva proprio il periodo migliore per avviare un’azienda
commerciale. Ciò nonostante, Glenn decise di lasciare
il suo posto di insegnante in un college della zona, per
dedicarsi al commercio ispirandosi alla nascente propensione per i prodotti biologici. Approvigionandosi al
vicino mercato di Oakland iniziò così la sua relazione
con il pubblico di consumatori della cittadina che vive
attorno al campus dell’omonima prestigiosa Università
della California. Nei due decenni successivi i signori
Yasuda accumularono esperienza e consolidarono immagine e fedeltà da parte della loro clientela. Poi, nel
1999, visto il successo riscosso precedentemente, decisero di fare un salto e rilevarono un grande superstore
di Safeway in fase di dismissione.
Ad esso ne seguì un altro, più recente, più grande,
inaugurato nel 2009. È di questo punto di vendita situato in Heinz Avenue di cui parlerò. La sua dimensione
si aggira attorno ai 6.000 m2, pricipalmente dedicati
all’alimentare fresco e confezionato. Non va tuttavia
trascurato il suo reparto di HBA e quello degli inte-
28
GIUGNO/LUGLIO 2016
di Daniele Tirelli
DANIELE TIRELLI
Presidente Popai Italia, docente di Stili e Tendenze
di consumo all’Università Iulm di Milano,
è autore di Retail Experience in Usa.
gratori alimentari anch’essi improntati
alla concetto di naturalità (ove possibile).
Assistito da personale specializzato è in
grado di offrire ad un pubblico estremamente addentro alle fad & fashion salutistiche le diverse migliaia di soluzioni che
spaziano dai fiori di Bach ai preparati
erboristici più sofisticati. Nel complesso
in questo supermercato lavorano circa
300 dipendenti.
La passione del signor Yosuda era,
come si è detto, ed è tuttora quella per
i prodotti ortofrutticoli. D’altronde la
Food Valley non è lontana e neppure la
prestigiosa Università di agraria di Davis.
La passione è la ragione per cui egli,
per tutta la vita, ha coltivato – e ancora
oggi mantiene – l’abitudine di alzarsi
alle prime ore del mattino per recarsi al
mercato e restarvi 5-6 ore a sorvegliare
la qualità dei prodotti freschi destinati
ai suoi due supermercati.
LE TENTAZIONI A CUI IL GOURMET È ESPOSTO
FREQUENTANDO BERKELEY BOWL NON SI
LIMITANO CERTAMENTE ALL’ORTOFRUTTA
SOLTANTO. LA MACELLERIA HA UN BANCO
SERVITO CHE OGNI GIORNO PREPARA DECINE DI
ELABORATI E SALSICCE HOME-MADE
Si capisce, dunque, come sia possibile l’esistenza “impossibile” di una tra le realtà più sorprendenti del grocery
americano. L’FMI stima che la dimensione media del
reparto ortofrutta dei supermercati sia attorno ai
250 m2, con punte di 500. Quello di Berkeley Bowl
supera abbondantemente i 1.000 m 2 e rivaleggia
probabilmente con quello di Jungle Jim di Fairfield
(Ohio).
Non stupisce pertanto che questa mini-catena sia diventata un’istituzione locale e ciò per vari motivi. Il
primo è certamente l’eccezionale capacità di gestire
la cosiddetta “coda lunga”, cioè un assortimento che
dire profondo è poco. L’impostazione, come detto in
precedenza, è quella di un “biologismo” laico che ha
spinto il concetto di fresco oltre la frontiera tracciata dal
fuoriclasse Whole Foods, il suo principale competitor.
L’ortofrutta incide, infatti, per il 30% sul fatturato complessivo che comprende anche una vivace attività di
catering e di ristorazione.
Il perno di tutto, quindi, è l’area dei “freschissimi”, dilatata sino ad assumere le sembianze di un
mercatino locale tradizionale, sia come estetica, sia
come varietà offerta sui suoi banchi. Quante referenze
vi circolano in un anno? Il dato non è certo neppure
per i proprietari, che rispondono semplicemente: “A
lot!”. Tuttavia, cosa significhi “tante” può essere colto
solo con l’osservazione diretta e sbigottita (almeno per
un italiano) dei vari display di frutta e verdura. Ciò
facendo si avvertono immediatamente i sintomi della
“sindome di Stendhal”, ovvero dell’angoscia derivante
dallo scoprire tante cose nuove e dal non poter assaggiare tutto ciò che è reso disponibile. L’elencazione di
GIUGNO/LUGLIO 2016
29
BERKELEY BOWL
quel che si può trovare sotto il tetto di Berkeley Bowl,
sarebbe monotona e quindi citerò solo pochi reparti a
scopo esemplificativo. Ebbene, tenuto conto anche di
specialità quali: baby bok choy, mitzuna, komatsuna
e altri vegetali esotici a foglie, si può dire che le sole
insalate superano la ventina. La stessa sensazione di
abbondanza si coglie di fronte allo scaffale dei tuberi,
con decine di patate diverse, e poi taro, cassava, ube,
cherry belle, … ciascuna varietà destinata agli specifici
usi suggeriti dall’inarrestabile ibridazione delle tradizioni americane con quelle importate della cucina asiatica
e sudamericana.
Non meno stupefacente è il display di rape, ravanelli e
radici varie anch’esse destinate a soddisfare l’esplosione
delle più diverse ricettazioni vegetariane e non; uno
scaffale che sembra declinare il catalogo di un orto
botanico. E ulteriormente decine di mele e di pere sia
in stagione (va ricordato che negli USA se ne coltivano
centinaia di varietà diverse), sia in controstagione grazie
all’ importazione dall’altro emisfero. Di analoga profondità l’esposizione dei funghi freschi: Shiitaki, Enoki,
Abalone, Shimeji, Eryngii, Portabello assieme ad altre
varietà a noi più note … e quella dei pomodori (oltre
40!) con i suoi: Pink Zebra, Cherokee Purple, Lemon
Boy, Beefmaster, Miyashita Nursery, Momotaro, Early
Girls, Dr. Wych’s Yellow, il violaceo Black Prince, il
raro Pineapple Striped … tutte varietà che deliziano lo
PER OGNI
TIPOLOGIA
DI CIBO FRESCO
SUI BANCHI
DEL BERKELEY
BOWL È
POSSIBILE
TROVARE
UN’ECCELLENTE
VARIETÀ
DI SCELTA
30
GIUGNO/LUGLIO 2016
IL DISPLAY DI RAPE, RAVANELLI
E RADICI VARIE SEMBRA DECLINARE
IL CATALOGO DI UN ORTO BOTANICO
stanco palato dei “decadent consumer” che ne distinguono l’utilizzo a seconda delle occasioni di consumo.
Tuttavia le tentazioni a cui il gourmet è esposto
frequentando Berkeley Bowl non si limitano certamente all’ortofrutta soltanto. La macelleria ha un
banco servito che ogni giorno prepara decine di
elaborati e salsicce home-made, e che, oltre alle varie
carni certificate USDA, propone tra quelle bovine: Black
Angus, Kobe Akaushi e carni marchiate Estancia e
Sunfed Ranch (aziende che alimentano ad erba, in
ambienti animal-friendly). E questo la dice lunga
sullo stereotipo per cui gli Americani mangerebbero solo carni gonfiate di ormoni e antibiotici!
In aggiunta all’offerta descritta, i clienti possono
acquistare anche carni di: bisonte, cer vo, alce,
cammello e poi quaglie, pernici, fagiani e altra
selvaggina…”selvaggia”, a seconda della stagione.
La matrice organics dell’azienda si percepisce ulteriormente nell’incredibile reparto bulk, ancora più
esteso di quello celebre del rivale Sprouts. Centinaia
di prodotti sono allineati in un’area di almeno 150 m2
(té, frutta secca, caffé, pasta, semi, ecc.) e vengono venduti sfusi eliminando lo spreco ecologico del package.
Che dire poi della pasticceria-forneria che opera in sinergia con il servizio catering? Nessuna miglior dimostrazione di come i supermercati USA abbiano, da tempo,
inglobato il canale tradizionale della pasticceria e del
bakery, specializzansosi per offrire una gamma di
elaborati destinati al consumo quotidiano, ma anche
ad occasioni speciali ed eventi celebrativi. Insomma,
l’ipotesi che Berkeley Bowl gestisca in un anno almeno 80
mila referenze non sembra lontana dalla realtà e questa
è la premessa per resistere ad una concorrenza affollata
e spietata, come quella che si è sviluppata attorno alla
affollatissima Baia di San Francisco.
Un secondo motivo per la straordinaria popolarità di
quest’ insegna è la sua fama di essere un “supermarket
with a heart”. I signori Yasuda, infatti, hanno da
sempre adottato un’etica particolare nella relazione
con il proprio personale. Ad esempio, hanno scelto
la politica di reclutare il 30% dei loro dipendenti tra i
giovani che hanno avuto problemi con la giustizia e che
attraverso il lavoro tentano il reinserimento nella società
civile; ovviamente senza discriminarli. In altri casi, tra
il loro personale vi sono stati musicisti e artisti giunti a
San Francisco in cerca di fortuna. Ad essi i proprietari
di Berkeley Bowl hanno concesso la flessibilità imposta dai loro impegni artistici. In conclusione, questa
piccola insegna sconosciuta in Italia, rappresenta un
vero caso da manuale; un caso che concretizza tanti
concetti astratti del marketing-at-retail di cui parliamo,
quali: shopping experience, customer loyalty, consumer-centric, ecc. Sarà per questo che diversi loro clienti
mi hanno detto, spontaneamente, “Mr. and Mrs. Yasuda
are really nice guys, real good people, and we spend
all our money here”. S
GIUGNO/LUGLIO 2016
31
immobiliare del Retail
Re
Punti di vista
Tendenze
Mercati
Il nuovo che avanza
LA RIVOLUZIONE DEI
COMPORTAMENTI
DI ACQUISTO:
UN’OPPORTUNITA’
DI CRESCITA
Aiutiamo Industria e Distribuzione
a stare al passo col cambiamento
e a trarre vantaggio dall’evoluzione
dello scenario dei consumi.
IRI è l’unica azienda in grado di offrire informazioni,
modelli previsionali e tecnologia necessari a comprendere
i fenomeni di mercato e a prendere decisioni di successo.
Scopri come possiamo far crescere la tua azienda:
www.iriworldwide.com
L’OPINIONE
di Enrico Biasi
“Il punto vero in questa
fase è riuscire a parlare
un linguaggio di verità”
PER IL PRESIDENTE DI CONFCOMMERCIO CARLO SANGALLI SIAMO DI FRONTE A “UNA RIPRESA
SENZA SLANCIO, SENZA INTENSITÀ E SENZA MORDENTE”; E BISOGNA “INTERVENIRE SUI NODI
STRUTTURALI CHE BLOCCANO LA CRESCITA”; IL DESTINO DIPENDERÀ DA “RIFORME ED EQUITÀ”
I
ndulgendo alla sintesi: “La recessione iniziata nel
2008 ha significato per le famiglie un calo di oltre il
10% del reddito disponibile, di circa il 7% della spesa
in termini reali e del 36% del risparmio. Inevitabilmente, il
numero delle famiglie assolutamente povere è cresciuto del
78,5%, mentre i ‘poveri assoluti’ hanno superato nel 2014
i 4 milioni (+130% rispetto al 2007). Nel 2015, finalmente,
l’inversione del ciclo: reddito disponibile e spesa delle famiglie in termini reali sono cresciuti dell’1% circa, mentre
il risparmio è aumentato di circa mezzo punto percentuale.
Sono alcune delle cifre principali contenute nella ricerca
‘Dalla grande recessione alla ripresa? Segnali positivi ma
fragili’, realizzata dall’Ufficio Studi Confcommercio e divulgata in occasione dell’Assemblea 2016 della Confederazione.
Sono molte le cifre che ‘raccontano’ la gravità della crisi, la
seconda più grave nella storia nazionale dalla proclamazione
del Regno d’Italia: tra il 2008 e il 2014, ad esempio, il Pil è
sceso del 9% in volume, con un crollo degli investimenti di
oltre il 30%, tornando sugli stessi livelli del 1996.
‘È come se le famiglie italiane – dice l’Ufficio Studi – avessero
spostato indietro di un ventennio l’orologio del proprio tenore
di vita’. Negli anni della recessione, per continuare, sono
andati distrutti oltre un milione e 800mila posti di lavoro per
l’economia nel suo complesso, oltre un milione e 300mila dei
quali nell’industria, mentre il numero di imprese registrate
si è ridotto di oltre 86mila unità. Nel 2015 Pil e investimenti
in termini reali sono finalmente tornati in positivo con una
crescita di poco inferiore all’1% e anche l’occupazione è salita
di oltre 190mila unità per l’intera economia.
Il sistema delle imprese, invece, è sì tornato a crescere, ma
solo di circa 14mila unità. Passando ai consumi, nei sette
anni della crisi, la spesa alimentare si è contratta in quantità
di oltre il 12% e gli acquisti di beni durevoli del 25% circa.
Anche qui nel corso del 2015 le principali funzioni di consumo sono tornate a crescere in quantità, ma è comunque
un recupero assai modesto rispetto a quanto perso durante
la recessione. Per il 2016 l’Ufficio Studi Confcommercio evidenzia ‘segnali di rafforzamento della produzione industriale
e dei consumi delle famiglie, che soprattutto nelle variazioni
tendenziali, lasciano ritenere che complessivamente l’anno in
corso potrebbe evidenziare un incremento produttivo rispetto
al 2015 stimabile attorno ad un punto e mezzo percentuale’,
mentre vanno meglio sia il mercato del lavoro che l’accesso
al credito per le imprese.
Questa ripresa sostanzialmente modesta dipende dai pesanti ritardi strutturali del sistema-Paese, soprattutto il deficit
qualitativo del capitale umano, le carenze nelle reti dei trasporti e delle comunicazioni, l’eccesso di carico burocratico,
i divari di legalità tra le diverse aree territoriali e l’eccesso
di pressione fiscale su imprese e famiglie” (www.confcommercio.it, “Timidi segni di ripresa, ma la crisi ha fatto danni
enormi”, 8 giugno).
Hic Rhodus, hic salta
“Più coraggio e meno tasse, sono d’accordo, ma il punto
vero in questa fase è riuscire a parlare un linguaggio di
verità”, ha affermato Matteo Renzi nel contesto dell’Assemblea succitata, attingendo a piene mani ai tòpoi della
sua narrazione e difendendo, in particolare, la scelta degli
80 euro. “L’Italia riparte se restituiamo fiducia ai consumi,
basta lamentazioni. Accanto all’indignazione e alla rabbia
bisogna avere il coraggio e la forza di guardare avanti con
fiducia e positività”.
Il Premier ha qui assunto l’impegno di non toccare l’Iva
nel 2017, anche se “non la si alza dal 2013”, sterilizzando
le clausole di salvaguardia della Legge di Stabilità (www.
confcommercio.it, 9 giugno). Intanto, incombe il 23 giugno. Secondo il facondo ministro dell’Economia Pier Carlo
Padoan, “L’economia italiana rischia da una Brexit nello
stesso modo della maggior parte degli altri Paesi europei.
Non ci sono problemi specifici per l’Italia, non c’è un piano. I governi sono coscienti che questo referendum può
cambiare molto lo scenario”. Peraltro, “L’Europa è in un
momento di difficoltà, deve dimostrare di essere qualcosa
di utile per i cittadini europei.
I populismi rispecchiano un disagio diffuso tra i cittadini che
vogliono più crescita, più lavoro, più benessere. I cittadini
hanno ragione, sta alla classe politica europea dimostrare
che l’Europa è parte della soluzione” (18 giugno). Com’è
umano lei! E che tempismo… S
Il nuovo che avanza
GIUGNO/LUGLIO 2016
35
PUNTI DI VISTA
Carmen Chieregato, Amministratore Delegato Cogest Retail
In margine all’acquisizione
di Cogest Retail da parte
di Cushman & Wakefield
LA PRIMA OPERAZIONE CONCLUSA IN AREA EMEA DOPO
L’UNIONE CON DTZ TESTIMONIA L’APPEAL DI UN MERCATO
RICCO DI POTENZIALE, CHE LA COMPLEMENTARITÀ DELLE
DUE PIATTAFORME CONSENTIRÀ DI SFRUTTARE AL MEGLIO
I
l 31 maggio 2016, a 23 anni dalla
fondazione, Cogest Retail è stata
acquisita da Cushman & Wakefield. I dati essenziali dell’operazione
sono noti: Cushman ha raddoppiato
l’organico italiano, che oggi conta 280
professionisti, mentre il portafoglio congiunto è di circa 3,5 milioni di mq di
Gla gestita. Personalmente, continuerò
a ricoprire la carica di Amministratore
Delegato di Cogest, che, anche grazie
al potenziamento dell’organico e del
know-how, oltre all’accesso a operatori e mercati internazionali, potrà incrementare la qualità del servizio ai propri
clienti. Fin qui è cronaca, ma vorrei in
questa sede estrapolare alcune considerazioni sullo stato dell’arte dei centri
commerciali e del nostro mestiere.
In primo luogo, stiamo vivendo un passaggio generazionale. Alle Proprietà tradizionali (developer, investitori locali,
Gdo, condomini), che pure mantengono
una buona quota del patrimonio retail
italiano, subentrano sempre più spesso fondi o investitori globali. Globali,
quindi, devono essere gli strumenti di
valutazione, i processi e persino i linguaggi. L’ingresso in Cushman assicura
a Cogest l’accesso a risorse, competenze
e opportunità difficilmente raggiungibili
con i mezzi di un’azienda nazionale.
Di contro, a Cushman & Wakefield Italia
– già molto forte nel settore direzionale e della logistica – Cogest porta
in dote un’esperienza esclusiva e una
posizione di leadership nella gestione/
commercializzazione di centri e parchi
commerciali. Rapportata alle dimensio36
GIUGNO/LUGLIO 2016
ni di Cushman & Wakefield mondo, che
conta 43.000 dipendenti in 60 Paesi,
questa acquisizione potrebbe sembrare
di portata meramente locale. Eppure
l’annuncio ha suscitato interesse anche
sul mercato europeo. Il fatto che, dopo l’unione con DTZ di nemmeno un
anno fa, la prima operazione conclusa
da Cushman & Wakefield in area EMEA
riguardi una società italiana, ci permette
di trarre alcune conclusioni; in primo
luogo sul Paese e in second’ordine sul
potenziale strategico del settore. L’Italia continua a essere appetibile, per i
retailer come per le Proprietà.
Opportunità da cogliere
La particolare conformazione dell’offerta, tuttora polverizzata su una moltitudine di piccoli operatori indipendenti,
troppo spesso incapaci di rinnovarsi,
presenta ampi margini di miglioramento a disposizione di quegli operatori
che sapranno intercettare, con i giusti
format e i giusti brand, le esigenze di
un consumatore sempre più evoluto e
globalizzato. Oltre a questo, il settore
retail si conferma uno dei più vivaci e
promettenti, non solo nel nuovo portafoglio congiunto (Cushman più Cogest
totalizzano un fatturato vicino a 35 milioni di euro, di cui circa il 50% deriva
dal commerciale), ma anche nel real
estate nazionale, sul quale gli investitori
stranieri stanno tornando a proporsi,
prendendo in considerazione anche
centri medi e medio-piccoli, su tutto il
territorio, Sud incluso.
Nel tempo, Cogest Retail ha messo
Il nuovo che avanza
a punto uno stile di conduzione che
abbiamo sempre amato definire artigianale, riferendoci a una consulenza
di cui personalizzazione del servizio,
centralità del cliente e trasparenza sono
valori imprescindibili.
La maggiore complessità, derivante
dalla veloce mutazione degli scenari e
del consumatore, ci impone oggi di “industrializzare” il metodo senza perdere
in qualità. Questa è la sfida e questo è
l’obiettivo condiviso, come confermato
anche da Joachim Sandberg, Amministratore Delegato Italia e Responsabile
dell’Area del Sud Europa di Cushman
& Wakefield: “Grazie all’unione delle
nostre forze si apre una fase molto interessante e motivante, che ci porterà
a migliorare ulteriormente i livelli di
servizio offerto, incrementando la qualità, ampliando le opportunità e aprendo
nuove prospettive sia per i clienti che
per i nostri collaboratori”.
Il rigoroso processo di valutazione a
cui Cogest è stata sottoposta è indicativo della valenza strategica del mercato italiano per investitori del calibro
di Cushman. “Qualità, reputazione,
cultura aziendale sono i presupposti
che cerchiamo in ogni acquisizione,”
ha spiegato Sandberg nel corso della
conferenza stampa di annuncio.
“In questo caso, si sono aggiunti altri
importanti fattori: la complementarità
delle due piattaforme, il potenziale di
crescita commerciale e la maggiore stabilità generata dal fatturato della gestione, grazie al quale la percentuale di
ricavi ricorrenti passa dal 20 al 40%”. S
PUNTI DI VISTA
I Am the Secret Player
“EIRE cambia pelle
e risorge nuovamente”
nel format di RE Italy
“MOMENTO DI RITROVO PER TUTTA LA REAL ESTATE
COMMUNITY”, SULL’ONDA DI UN RINNOVATO OTTIMISMO
CIRCA LE PROSPETTIVE COMPLESSIVE DEL COMPARTO
C’
era una volta EIRE, “un
progetto imprenditoriale di aggregazione con
più ampie ambizioni: in parte frustrate, in definitiva, dal dispiegarsi di una
congiuntura sfavorevole, che ha posto
in rilevo alcuni vistosi limiti del sistema
domestico”, come rilevavamo su RE-Retail 113 (luglio-agosto 2014, pag. 62);
costringendo il suo fondatore a prendere atto della situazione: “faccio fatica
ad identificare una vera ‘community’
del settore, che voglia nei fatti – al di
là delle intenzioni o del pregevolissimo
personale tentativo di qualche manager
o imprenditore – giocare una partita
reale per la trasformazione del Paese,
generando credibilità e autorevolezza”.
“La missiva inviata da Antonio Intiglietta
lo scorso 29 settembre (Oggetto: annullamento manifestazione EIRE) non
è stata un fulmine a ciel sereno, visti i
precedenti segnali circa la sua riluttanza
a prolungare un’esperienza la cui spinta
propulsiva, invero vieppiù fievole, pareva essere ormai in procinto di esaurirsi.
Come riportato nella nostra intervista su
RE-Retail 113, ‘per poter fare un evento
efficace e significativo ci deve essere un
mercato. Oggi ho la sensazione che il
mercato non trovi un adeguato consenso
da parte dei suoi protagonisti, ovvero
il sistema finanziario, quello imprenditoriale e la pubblica amministrazione’.
Stendendo un velo pietoso sulla defezione di già zelanti soggetti dal montaliano
‘animo di caudatario e di postulante’,
rispetto alla ‘community’ ci sovviene
il concetto di felicità secondo la teoria
degli atti linguistici di John Langshaw
Austin: applicabile a enunciati espressi
in condizioni e circostanze appropriate,
cioè in contesti adatti; nella fattispecie,
l’obiettivo perlocutorio non si è realizzato (ossia l’effetto ottenuto non coincide
con l’intenzione di chi ha emesso l’atto
illocutorio). Né è sempre possibile scoprire l’America, partendo per ‘buscar el
levante por el poniente’. Dare ora spazio
ai ‘what if’ controfattuali non cambierebbe la situazione di una virgola. Alla
fine della fiera, il ‘luogo dell’incontro
del Real Estate italiano’ non c’è più. Et
pour cause: questo passa il convento...”
(RE-Retail 114, ottobre-novembre 2014,
pag. 64).
La resurrezione di EIRE
“Con grande piacere comunico che da
quest’anno, superato il periodo post-crisi, EIRE cambia pelle e risorge nuovamente in questo nuovo format di RE
Italy: un evento-convention che d’ora
in avanti sarà il momento di ritrovo per
tutta la Real Estate Community.
Il destino di RE Italy è dunque quello
di diventare – come lo fu EIRE per dieci
anni – l’evento fulcro del settore: non
vogliamo lasciare nelle mani di operatori che arrivano dall’estero il compito
di colmare quel vuoto”.
“È vero che i numeri del settore non
sono più quelli di una volta, ma possiamo affermare con certezza che dagli
anni del ‘no-hope’ siamo giunti ora a un
momento di speranza: la crisi è stata
lunga perché a quella immobiliare si
è affiancata anche quella finanziaria,
Il nuovo che avanza
tuttavia i segnali di primavera ci sono
tutti e a Milano sono particolarmente evidenti”. “Dobbiamo essere tutti
confidenti che il trend si è invertito
veramente. Solo così si può tornare a
investire come un tempo.
Continuare a essere scettici, invece, non
aiuta a far ripartire il settore così come auspicato per risollevare l’economia
dell’intero Paese”. “Tutti riconoscono
che oggi non siamo più davanti a qualche sporadico investitore opportunistico, ma che c’è una struttura solida di
investitori stranieri che guardano all’Italia come ad un Paese di interesse”.
“C’è – soprattutto – un interesse nuovo
verso l’immobiliare da parte del Governo e di tutte le Istituzioni in genere, che hanno recepito molte richieste
del settore e sono pronte a introdurre
nuove norme e riforme utili nella direzione della semplificazione burocratica/
amministrativa e della riduzione della
pressione fiscale se le condizioni economiche del Paese lo permetteranno”.
Queste le parole di Aldo Mazzocco, Presidente Assoimmobiliare, in apertura
dell’edizione 2016.
La manifestazione “promossa da Assoimmobiliare (con i suoi manager,
imprenditori, associazioni di categoria)
con la partnership scientifica di Federimmobiliare, organizzata da GiornalistiAssociati.com, realizzata grazie alle
sponsorizzazioni delle imprese del
settore”, svoltasi l’8 giugno a Milano
presso Palazzo Mezzanotte, ha visto la
partecipazione di oltre 800 top player.
E non può che crescere. S
GIUGNO/LUGLIO 2016
37
TENDENZE
Silvia Sovrani, Marketing Assistant Network Propaganda
Il marketing dei centri
commerciali valorizza
lidentità della marca
Έ
Ή
L
o Speciale inStoreRe “Stringiamci a coorte” del maggio
scorso dedica ampio spazio
al tema del marketing dei centri commerciali. In particolare, l’intervento di
Mauro Rossetti, Ceo di Network Propaganda, pone l’accento sulla necessità di “fare cultura vera, alta, ovvero
sensibilizzare verso il nuovo”, riprendendo l’invito del Presidente del CNCC
Massimo Moretti (si veda pag. 39). La
valenza strategica della leva competitiva
è ormai acclarata; ma le sue declinazioni
teoriche e operative non sono ancora
oggetto di un interesse “scientifico”
proporzionale alla rilevanza via via
assunta. Se “la volontà di contribuire
a una reale crescita della disciplina e
delle professionalità coinvolte si scontra
spesso con logiche esclusive”, anche la
percezione degli operatori esterni meriterebbe un’approfondita riflessione.
Segnaliamo qui, a titolo esemplificativo, il punto di vista di un “bocconiano
sfuggito alle società di consulenza, con
un’esperienza ventennale di management dei canali digitali”: “Da qualche
anno, da quando ho cominciato a fare
il consulente indipendente, mi capita di
incontrare agenzie e attori che gravitano
al centro del centro (commerciale). E
già da quattro anni i responsabili marketing dei centri commerciali cercano
di capire cosa fare per attrarre persone
(o almeno, mantenere quelle che già
ci vanno) con tutti i limiti di quello
che amministrativamente è un grande
condominio (in cui gli inquilini grossi
si fanno il marketing da soli, con il
38
GIUGNO/LUGLIO 2016
volantinaggio soprattutto – Esselunga,
Ipercoop, Carrefour, ecc. ecc. e vogliono
semplicemente non spendere soldi nel
marketing di condominio, e gli inquilini
piccoli non hanno soldi da spendere
nel marketing e non lo capiscono fino
in fondo). Per questo spesso quando
entro in un centro commerciale (non
tanto spesso, a dire il vero) capisco
il perché di quell’atmosfera marketing
così anni ’90, le attrazioni un po’ retro,
i cavallini a gettoni, i sorteggi a premi
con o senza scontrino, i carrelli con la
macchinina per accontentare il bimbo,
le ospitate di star televisive un po’ declinanti, derivanti appunto da due fattori
endogeni ‘facciamo le promozioni che
capiscono tutti i condomini + cose che si
sono sempre fatte’) e una esogena (l’età
e la cultura media di chi va al centro
commerciale oggi). E mentre il marketing dei centri commerciali è fermo agli
anni ’90, con l’aggiunta normalmente
di un sito che comunica in sostanza gli
orari di apertura – quando va bene – e
una pagina Facebook spesso triste, il
90% dei giovani e degli adulti in età da
internet semplicemente smanetta con il
cellulare in mano indipendentemente
da dove sono. In pratica, questi NON
sono più al centro commerciale. Non
con il 90% della loro attenzione. Eppure,
i numeri che fanno i centri commerciali, a livello di presenze e di persone,
fanno impressione. Altro che Twitter o
altre cose digitali. Parliamo di quasi due
miliardi di visite anno, in Italia. Di cui,
però, non sanno quasi nulla: questo è il
problema”. Davvero? E che fare?
Il nuovo che avanza
La pars construens
“La soluzione dell’enigma potrebbe
essere far lavorare offline e online
assieme, capendo bene come usare il
mobile prima, durante e dopo – momenti molto diversi.
Cercare di creare attrazione attraverso
le informazioni che le persone lasciano
online, se motivate a farlo. Aprire a
nuove forme di intrattenimento meno top-down, di nicchia: ospitare un
coworking, un coderdojo, uno swap
party, le idee non mancano” (Gianluca
Diegoli, “Il non-marketing dei centri
commerciali”, 8 gennaio 2015, http://
www.minimarketing.it/2015/01/ilnon-marketing-dei-centri-commerciali.
html).
Essendo impegnati professionalmente sul campo da lustri (Network Propaganda festeggia quest’anno il suo
venticinquennale), consiglieremmo un
allargamento della prospettiva; ribadendo che, nell’ambito del variegato
stock di prodotto tricolore, “ogni centro
commerciale è una realtà a se stante
e necessita di un approccio che sia in
linea con gli elementi costitutivi della
sua specifica identità di marca” (Mauro Rossetti, “L’identità deve ritornare
al centro di tutte le strategie di marketing”, giugno 2011: a proposito di
lustri). La costruzione di una brand
identity distintiva attraverso un approccio integrato è da tempo al cuore della
strategia dei player più consapevoli. E
la valorizzazione della brand equity costituisce l’obiettivo principe: gli esempi
abbondano, basta documentarsi. S
CNCC Retailer Day 2016:
il nuovo che avanza, in
un mercato in evoluzione
GENIUS LOCI
U
na (contro)rivoluzione copernicana è in atto. “Le ultime novità nel mondo del
retail, oltre ai principali trend e tendenze del settore sono state al centro del
consueto appuntamento organizzato da
CNCC ‘Retailer Day 2016’, che quest’anno ha avuto luogo presso IL CENTRO di
Arese, inaugurato solo lo scorso aprile
e già modello di business di successo.
La location rappresenta nel contempo
una scelta strategica e l’emblema di
un preciso messaggio di cui CNCC è
portavoce: premiare nuovi concept e
nuovi modelli di business, focalizzando
l’attenzione dei professionisti del settore
sull’evoluzione del mercato. Il Premio
CNCC Retailer Awards 2016, giunto alla
sua seconda edizione, è stato presentato
da Carmen Chieregato, Presidente Commissione Concept e Gestione CNCC e
AD Cogest Retail. Anche quest’anno
sono in gara le migliori insegne nei
vari settori merceologici, con il coinvolgimento di tutti gli attori della filiera e
delle insegne che hanno scelto il canale
di vendita dei centri commerciali. La
premiazione dei vincitori avverrà durante il Christmas Meeting CNCC, in
programma il 15 dicembre.
Nella prima parte della giornata si sono
avvicendati gli esperti del settore Luca
Pellegrini – TradeLab, Paolo Degl’Innocenti – IBM, Fabrizio Valente – Kiki
Lab, per offrire una panoramica sulle
innovazioni. Francesco Ioppi – Direttore Immobiliare Gruppo Finiper e
Marco Ruzza – Direttore Iper, hanno
presentato IL CENTRO, descrivendo i
nuovi formati e le nuove tendenze che
lo caratterizzano e sottolineando l’importanza dell’esperienza, con l’intervento di Francesco Cassioli, Responsabile
Marketing, Comunicazione e Stampa di
Vallelunga. Nella seconda parte della
giornata, hanno partecipato alla tavola
rotonda retailer internazionali del calibro
di KFC (Kentucky Fried Chicken), che ha
scelto IL CENTRO per il proprio ingresso in Italia e per confermare le attuali
tendenze del mercato che vede i centri
commerciali come luogo privilegiato per
raggiungere il proprio target. Anche i
retailer italiani Bianchi Biciclette, Cioccolati Italiani e Viridea hanno descritto le
proprie esperienze e le motivazioni che
li hanno spinti a intraprendere questa
scelta, nata dalle nuove esigenze del
consumatore stesso. Particolarmente rilevante anche la testimonianza di Humanitas, che ha aperto presso IL CENTRO
il nuovo Humanitas Medical Care, un
format inedito, che negli ultimi anni ha
visto l’attivazione su larga scala di servizi sanitari come laboratori dentistici,
poliambulatori e laboratori analisi, all’interno dei centri commerciali”. Questo il
testo del comunicato stampa diffuso il 16
giugno, a seguito dell’ormai tradizionale
Il nuovo che avanza
Massimo Moretti e Roberto Folgori
convegno annuale: che ha raccolto 330
partecipanti. Secondo Massimo Moretti,
Presidente CNCC e Head of Business
Unit Portfolio Retail – Beni Stabili S.p.A.,
“Le sfide del futuro, ovvero il rapporto
sempre più complesso e articolato con
il consumatore finale e l’interazione con
l’ecommerce, ci spingeranno ad avere un
dialogo sempre più intenso e di natura
commerciale fra proprietà immobiliari
e retailer, credo dobbiamo lasciarci alle
spalle relazioni basate principalmente su
necessità di natura meramente contrattuale (uno spazio, un affitto). Le risposte
sono ora più complesse e dobbiamo
abituarci a scambiarci opinioni e necessità”. Per Roberto Folgori, Presidente
Commissione Sviluppo Retail CNCC,
Consigliere CdA Dedem Automatica,
“L’obiettivo del CNCC Retailer Day è
quello di offrire degli spunti di riflessione per poter interpretare e prevedere
le ultime tendenze del mercato, anche
alla luce delle testimonianze e delle case
history presentate durante la giornata.
Il valore degli immobili retail dipenderà
sempre di più dall’abilità nel proporre
una combinazione di formule innovative, dalla qualità e dalla quantità di servizi
offerti e la loro capacità economica”.
Chiudiamo con Ioppi: “Nel pensare a
IL CENTRO abbiamo considerato come
nostre priorità il valore dell’offerta e il
visitatore. L’appuntamento del Retailer
Day organizzato dal CNCC significa
condividere con soci e colleghi il fatto
che per affrontare le sfide bisogna avere coraggio, passione, genialità, forza
e audacia”. S
GIUGNO/LUGLIO 2016
39
ECCELLENZE
Prodotti tipici in Gdo,
ora c’è un accordo
per difenderli e valorizzarli
È UN ATTO DOVUTO DARE ALLE REFERENZE DOP E IGP LA GIUSTA VISIBILITÀ A SCAFFALE
di Guido Montaldo
L’
Italia è il Paese leader incontrastato per la
produzione di eccellenze agroalimentari.
Su oltre 1200 prodotti con marchi Dop, Igp
e Stg, oltre il 20% sono “made in Italy”.
Il nostro Paese è, pertanto, al primo posto della graduatoria comunitaria dei prodotti tipici ed è per questo, che
i nostri prodotti sono spesso oggetto di sofisticazioni,
falsificazioni, contraffazione, imitazioni e ingannevole
utilizzo dell’origine geografica.
“L’attività di contraffazione dei prodotti alimentari –
spiega Stefano Berni, direttore del Consorzio Grana
Padano e Aceto Balsamico di Modena IGP – evidenzia
un giro d’affari stimato solo in Europa di oltre 20 miliardi
di euro, contro un export poco superiore ai 12 miliardi
e la crisi ha favorito il commercio di prodotti alimentari
low cost che aumentano i rischi a tavola perché questi cibi spesso nascondono ricette modificate, l’uso di
ingredienti di minore qualità o metodi di produzione
alternativi. A fronte di questi dati, appare evidente che
l’attività di controllo sia una priorità in un Paese come
l’Italia, che ha conquistato il primato nella sicurezza
alimentare a livello internazionale”.
Per questo il Consorzio Grana Padano è stato promotore dell’accordo MIPAAF-GDO (siglato ad Expo),
per la valorizzazione dei prodotti Dop e Igp sugli
scaffali dei punti vendita. “Una vittoria del Consorzio
Grana Padano – afferma Berni –. In uno studio realizzato con l’Università Piemonte Orientale, presentato due
anni fa a ‘Tuttofood’, siamo stati i primi a sollecitare il
Governo e la UE affinchè il consumatore potesse scegliere con chiarezza e trasparenza cosa acquistare. Da
sempre, Grana Padano il prodotto Dop più consumato
40
GIUGNO/LUGLIO 2016
Stefano Berni
Direttore Generale
Consorzio Grana Padano
e Aceto Balsamico
di Modena IGP
del mondo, con 4 mlni e 800 mila forme
all’anno, combatte una difficile battaglia
per fronteggiare il fenomeno dei ‘falsi’
e delle imitazioni ingannevoli”.
“L’agropirateria, che va appunto, dai
‘falsi’ all’utilizzo indebito di marchi e
nomi come il nostro – aggiunge Stefano
Berni – produce effetti gravissimi.
Solo per il Grana Padano, abbiamo
stimato un danno di circa 1 miliardi
di euro. E tutto ciò senza dimenticare
gli aspetti legati ai controlli e quindi alla
sicurezza alimentare dei consumatori”.
“Nei negozi e nei supermercati – prosegue Berni – è forte e in continua crescita
la presenza di prodotti che per aspetto,
presentazione e packaging sembrano
uguali a quelli Dop, ma che nulla hanno
a che vedere con il livello qualitativo
degli stessi. È un atto dovuto quindi,
nei confronti dei consumatori, ma anche
delle filiere che li sostegono, separare
i prodotti Dop e Igp sugli scaffali, con
un adeguata comunicazione affinchè
i consumatori siano ben informati e
quindi liberi di scegliere. Oggi il protocollo è stato condiviso dalle catene
maggiori di supermercati, sia italiane
che straniere (Lidl, Esselunga, Conad,
Coop), mancano ancora i discount, ma la
strada sarà breve per averli nel gruppo
di lavoro”. S
MERCATI/1
Cibo in scatola,
alla ricerca
della sostenibilità
CARNE E PESCE I SORVEGLIATI SPECIALI: ALLEVAMENTI INTENSIVI, PESTICIDI E CONSERVANTI
TRA I PERICOLI PIÙ TEMUTI
di Gian Marco Stefanini
Web Research
I
n termini di sostenibilità il comparto di carne
e tonno in scatola non se la passa benissimo.
Ecco uno dei dati più evidenti dalle nostre rilevazioni. Il comparto del cibo in scatola, infatti, era
ultimo come reputazione sostenibile nel primo triennio
analizzato (1° aprile 2011-31 marzo 2014) e lo è ancora,
addirittura dietro al comparto dell’acqua minerale.
Ultimamente si registra una risalita, ma siamo ancora
agli inizi e tutto ciò rischia di andare a discapito dei
produttori sostenibili.
I giudizi, inerenti al rispetto della sostenibilità, sono così ripartiti:
•
POSITIVI
•
NEGATIVI
•
1%
3%
22%
31%
CARNE
BOVINA /
ALTRE CARNI
IN SCATOLA
LE EVIDENZE
QUANDO I NAVIGANTI DOMESTICI SCRIVONO IN RETE
DI CIBO IN SCATOLA, RELATIVAMENTE AL RISPETTO
DELLA SOSTENIBILITÀ, MENZIONANO PRINCIPALMENTE
I SEGUENTI PRODOTTI (PARERI MULTIPLI):
82%
TONNO /
ALTRO PESCE
IN SCATOLA
77%
66%
16%
73%
NEUTRALI
49%
28%
VERDURE /
MINESTRE IN
SCATOLA
56%
ALTRO
39%
35%
6%
TONNO /
ALTRO PESCE
IN SCATOLA
42
CARNE
BOVINA /
ALTRE CARNI
IN SCATOLA
GIUGNO/LUGLIO 2016
VERDURE /
MINESTRE IN
SCATOLA
ALTRO
16%
L’indice di valutazione globale della reputazione sostenibile fa però segnare
un miglioramento rispetto al precedente
triennio, come già detto soprattutto per
quanto riguarda i produttori virtuosi.
LE CRITICHE PRINCIPALI
I GIUDIZI NEGATIVI (SPESSO DECLINATI
CON COMPETENZA E DETTAGLIO) RIGUARDANO
PRINCIPALMENTE (PARERI MULTIPLI):
• ALLEVAMENTO INTENSIVO
(81%)
• PESCA A STRASCICO
(78%)
• PESCA INTENSIVA
(77%)
• PROCESSI DI PRODUZIONE
(72%)
• CONSERVANTI
(54%)
• PESTICIDI
(52%)
• LOGICHE GLOBALI
(48%)
• PROCESSI DISTRIBUTIVI
(47%)
• COLTURA INTENSIVA
(46%)
• RILASCIO DA PARTE DEL PACKAGING (31%)
I PREGI
I GIUDIZI POSITIVI (E ANCHE IN QUESTO CASO
LA COMPETENZA NEI GIUDIZI NON MANCA)
RIGUARDANO PRINCIPALMENTE (PARERI MULTIPLI):
• TRACCIABILITÀ DEI PRODOTTI
(89%)
• LOCALISMO
(78%)
• KM ZERO
(76%)
• FILIERA CORTA
(74%)
Identikit dei netsurfer
Analizziamo ora il profilo socio demografico dei consumatori che scrivono spontaneamente nel web nazionale
alla reputazione sostenibile di referenze, linee, brand
alimentari presenti nella GDO.
Poco più donne: 52%, di età compresa tra i 18 e i 35
anni (48%), di cultura media-elevata (58%).
• PRODOTTI NATURALI / NIENTE
CONSERVANTI
(65%)
• CODICE ETICO
(42%)
GIUGNO/LUGLIO 2016
43
MERCATI/1
Maggiori i pareri digitati da Nord (42%), seguiti
da quelli provenienti dal Centro (31%), quindi quelli
digitati dal Sud e Isole (27%).
I netsurfer nazionali digitano giudizi e opinioni riguardanti la reputazione sostenibile di
quanto acquistato nella GDO connettendosi
da aree metropolitane nel 31% dei casi, da
zone urbane nel 30%, da aree suburbane
nel 28% e da piccoli insediamenti per l’11%
dei pareri rinvenuti.
L’ambiente web maggiormente utilizzato è rappresentato da Blog e Forum (77%), seguito dai Social
Media (23%).
Questo è tipico di un tema che scalda gli animi, che appassiona, che infiamma il dibattito;
ricordiamo che le opinioni lasciate in ambiti
dedicati sono maggiormente approfondite e
pertinenti di quelle provenienti da social.
Sono ascrivibili agli influencer il 46% dei pareri
rinvenuti. Ricordiamo inoltre che la media nazionale
di influencer nel web domestico nel 2015 è stata circa
il 25%; quella degli influencer che digitano riguardo
alla reputazione sostenibile di quanto venduto nella
GDO sono quasi il doppio !
DISTRIBUZIONE
DEI PARERI DEI NETSURFER
PER AREA GEOGRAFICA
42%
31%
27%
Una precisazione
Se quando si parla di referenze, linee,
brand e holding alimentari presenti
nella GDO, molti giudizi negativi si
concentrano nel rispetto della sostenibilità, è doveroso dire che numerosi
sono i giudizi positivi su tali prodotti e
produttori che non abbiamo considerato
trattandosi di un web research sulla
reputazione sostenibile.
Ricordiamo che abbiamo ritenuto eleggibili ai fini di una valutazione della
reputazione sostenibile 97.302.294
pareri su un totale di 602.118.578
giudizi, ovvero il 16,2 % dei pareri globali rinvenuti in rete.
Ma attenzione: nel periodo 1°
aprile 2011-31 marzo 2014, i pareri
riguardanti la reputazione sostenibile
erano stati 45.603.194 su 598.684.247,
pari al al 7,6%: i pareri riguardanti la
sostenibilità sono più che raddoppiati!
Conclusioni
La talkability riguardante la reputazione
sostenibile dei prodotti alimentari venduti nella GDO è più che raddoppiata
confrontando gli ultimi due trienni, anche se rappresenta ancora solo il 16 %
dei giudizi totali.
La maggioranza dei giudizi
negativi che riguardano referenze, linee,
brand, holding presenti nella GDO
si concentra nella reputazione
sostenibile,
mentre i giudizi positivi sono
uniformemente
distribuiti. S
WWW.WEB-RESEARCH.IT SRL
È un istituto di ricerche di mercato e consulenze di marketing che offre servizi rivolti ad aziende e multinazionali presenti nel mercato domestico.
Ha portato tra i primi in Italia una nuova metodologia di ricerche ed analisi di mercato: Web listening – Web research – Web monitoring.
www.web-research.it ascolta il Web per scoprire, analizzare, razionalizzare cosa i clienti reali e potenziali pensano e dicono oggi e indietro
nel tempo fino agli ultimi tre anni. È il partner ideale di aziende, marchi, prodotti o servizi con esposizione mediatica significativa.
www.web-research.it
44
GIUGNO/LUGLIO 2016
MERCATI/2
2015,
la lavatrice
riprende
a girare
QUELLO DEI DETERSIVI
PER BUCATO È UN SEGMENTO
MOLTO DINAMICO:
LE VERE NOVITÀ SI CONCRETIZZANO
PER LO PIÙ IN TERMINI DI
PROFUMAZIONE/FORMULAZIONE
di Raffaella Ercoli
Senior Manager
Client Solutions
I
l comparto del Cura Casa rappresenta l’8% del totale
Largo Consumo Confezionato in Italia e nei primi
mesi rimane ancora l’unico segmento in flessione
per quanto concerne l’andamento della spesa (-0.2%). In
generale il comparto del Cura Casa ha registrato andamenti
deboli in tutti i segmenti.
Questa difficoltà permane già da diversi anni, anche a
fronte di prezzi medi cedenti a causa dell’altissima pressione promozionale. L’unico segnale positivo arriva dal
fronte dei volumi che da dodici mesi sono rientrati in
terreno positivo, se consideriamo il canale della distribuzione moderna (ipermercati, supermercati, libero servizio
piccolo e drugstore).
Il Cura Casa è un comparto che vale 5.400 mio € in
Italia (considerando tutto il canale moderno ed il
discount), dove il settore della detergenza bucato si
colloca al secondo posto per giro d’affari, dopo quello
dei prodotti “usa e getta”.
Se analizziamo i canali distributivi, sono gli ipermercati
e il libero servizio ad evidenziare i trend più negativi;
al contrario i supermercati e gli specializzati drugstore
46
GIUGNO/LUGLIO 2016
5.400
MILIONI DI EURO
VALORE DEL COMPARTO
CURA CASA
evidenziano dei tassi di crescita interessanti. Solo gli Specializzati Casa Toilette, infatti, crescono anche a parità di
rete e continuano ad essere un’area di opportunità per
le aziende del settore.
Il comparto del Cura Casa, storicamente presidiato dalle
grandi multinazionali, è oggi oggetto di grande interesse
anche da parte di piccole aziende italiane che, grazie alla
loro dinamicità, hanno saputo incontrare i nuovi bisogni dei consumatori, puntando molto sull’innovazione di
prodotto, focalizzandosi sulla riduzione degli sprechi e la
promozione di eco-sostenibilità e praticità d’uso. L’impegno comune per tutti gli attori di questo comparto è di
educare i consumatori al “giusto dosaggio”, al risparmio
e al rispetto dell’ambiente durante la cura del bucato e
degli ambienti domestici.
Questo studio ha l’obiettivo di analizzare un importante segmento del mercato del Cura Casa, quello dei
Detersivi per Lavatrice, evidenziando problematiche ed
opportunità per i diversi operatori.
Il mercato dei «Detersivi Lavatrice»
nel canale moderno
Quello dei “Detersivi per Lavatrice” è il mercato che ha
subito la battuta di arresto più drastica tra le categorie del
Cura Casa negli ultimi 8 anni, ma finalmente emergono
moderati segnali di positività: il 2015 presenta infatti
una timida crescita dei ricavi (+0,6%). Crescono anche le
unità vendute e diminuiscono i litri/kg commercializzati
a causa delle strategie messe in atto dalle aziende produttrici che riducono progressivamente il formato medio
(-7% in 4 anni).
Nell’anno terminante ad aprile 2016, il mercato dei Detersivi Lavatrice all’interno del canale moderno ha
realizzato un fatturato di 748 milioni di Euro, con
una crescita pari allo 0,6% rispetto allo scorso anno.
Le unità vendute sono 169 milioni, (+6.5%), che restano
sostanzialmente stabili in termini di volumi (pari a 380
milioni di litri/kg), che ammontano a 6 miliardi di misurini/dosi (in crescita del 3.6%).
IL MERCATO DEI DETERSIVI LAVATRICE
NEL CANALE MODERNO
Fonte dei dati:
IRI Infoscan Census®
Totale Italia. Ipermercati,
Supermercati, LSP, Drugstore.
Vendite
in valore
AT aprile 2016
Var. vs
Anno
precedente
Vendite
in unità
AT aprile 2016
Var. vs
Anno
precedente
Vendite in
volume (lt/Kg)
AT aprile 2016
Var. vs
Anno
precedente
Detersivi Lavatrice
747.699.856
0,6
Liquidi
497.780.424
3,0
169.296.871
6,5
380.277.454
0,1
129.008.275
11,0
277.840.204
2,2
Polvere
186.542.959
Capsule
61.479.644
-4,2
28.596.916
-6,8
94.801.806
-4,5
-2,1
11.306.605
-2,2
7.216.325
-10,8
Sacchetti
14.271
5,0
4.084
1,2
1.822
-16,3
Foglietti
139.154
-28,6
51.221
-19,7
50.576
-18,4
1.743.404
-22,8
329.777
-22,3
366.722
-21,6
Tavolette solide
GIUGNO/LUGLIO 2016
47
MERCATI/2
Fra le aree geografiche evidenziamo ancora una flessione
nel Nord Est e nel Centro + Sardegna, rispettivamente di
-0,8% e -1,4% nell’anno terminante ad aprile 2016, mentre
è il Sud il vero motore della crescita (+3,7%).
Analizzando i canali distributivi si conferma la crisi dell’ipermercato (-6,7% a valore) e del libero servizio piccolo
(-1,4% a valore).
La flessione di questi due canali distributivi è evidente
anche nel breve periodo; per il Libero Servizio Piccolo
addirittura si registra un’accentuazione della negatività.
Al contrario i negozi Specializzati danno impulso alla
crescita di questo mercato (+9,6% a valore nell’anno terminante che arriva al +11,2% nel periodo gennaio – aprile
2016). Si registra una rinnovata positività anche per quanto concerne i Supermercati (+1,0% nel medio periodo),
che però pare già smorzarsi da gennaio 2016 (-0,6% nel
Progressivo ad aprile 2016).
Quello della Detergenza Lavatrice è un mercato dove
si assiste ad una progressiva riduzione del formato
medio (politica di downsizing) e ad un aumento della
concentrazione della formulazione di prodotto. Questo, come già accennato in precedenza, è il risultato di
una costante attenzione da parte dei produttori al fattore
“giusto dosaggio” e alle corrette “abitudini d’uso”.
L’ASSORTIMENTO
DEI SEGMENTI
Numero medio
di referenze
Aprile 2016
Var. vs
Anno
precedente
Detersivi Lavatrice
79,9
-3,0
Liquidi
50,1
0,6
Polvere
15,2
-0,8
Capsule
14,1
-2,7
Sacchetti
1,0
0,0
Foglietti
1,6
-0,1
Tavolette solide
1,0
-0,2
Fonte dei dati: IRI Infoscan Census®
Totale Italia. Ipermercati,
Supermercati, LSP, Drugstore.
L’ANDAMENTO NEI CANALI DISTRIBUTIVI
Detersivi Lavatrice
Vendite
in valore
AT aprile 2016
Var. vs
Anno
precedente
Vendite
in unità
AT aprile 2016
Var. vs
Anno
precedente
Vendite in
volume (lt/Kg)
AT aprile 2016
Var. vs
Anno
precedente
IS+Lsp+Drugstore
747.699.856
0,6
169.296.871
6,5
380.277.454
0,1
Hypermarkets
142.196.412
-6,7
24.899.877
-0,0
73.969.058
-8,7
Supermarkets
392.262.754
1,0
88.638.802
5,5
193.541.203
1,1
SSS
80.498.115
-1,4
20.588.763
6,4
38.302.406
-1,1
Casa Toilette
132.742.577
9,6
35.169.432
14,5
74.464.786
8,7
I diversi segmenti
Il mercato della Detergenza lavatrice è profondamente
segmentato, secondo i diversi stili di consumatori: liquidi
e capsule per i più giovani e polveri per i più tradizionali. Queste tre formulazioni rappresentano 99,7% del
fatturato. Il residuo è dato in pratica dalle tavolette solide
che oramai sembrano essere scomparse dagli scaffali e dai
foglietti e sachet che sono più diffusi nei mercati esteri.
Negli ultimi 10 anni si è decisamente invertito il rapporto
fra detersivi liquidi e polveri che insieme rappresentano il
91,5% del giro d’affari. 2/3 del mercato è rappresentato
oggi dai liquidi che negli ultimi 4 anni hanno subito
un processo di trasformazione: da liquidi normali a
liquidi concentrati (oggi il 95% del totale), da formati
medi di quasi 3 litri a flaconi di poco più di 2 litri.
Il segmento dei Detersivi Liquidi è il più importante e
rappresenta il 67% della spesa (con una crescita sostenuta
48
GIUGNO/LUGLIO 2016
pari al +3,0%) con un fatturato di 498
milioni di Euro.
All’interno dei Liquidi vi sono i Concentrati
che valgono 471 milioni di Euro (+4,6%).
Il segmento dei Detersivi in Polvere rappresenta invece 187 milioni di Euro e registra oramai da diversi anni una flessione
rilevante (-4,2%).
La gestione dell’assortimento
La Detergenza Lavatrice è un mercato
molto dinamico in termini assortimentali; l’obiettivo di riduzione degli sprechi
e dei fattori inquinanti ha portato a
una costante riduzione e a un generale
cambio dei formati di vendita, che sono
molto disomogenei fra i diversi competitors. In generale a scaffale sono
presenti 80 referenze (in flessione
rispetto al 2015): 50 di queste sono
liquidi e il restante sono polveri e
capsule. Ad eccezione dei liquidi che
registrano un lieve incremento, per
quanto concerne tutti gli altri segmenti
stiamo assistendo ad una razionalizzazione assortimentale, che coinvolge tutti
i canali distributivi.
Siamo di fronte a un mercato pressoché
privo di reale innovazione. Era il 2010
quando erano state lanciate le Capsule liquide che, all’obiettivo di praticità
d’uso, univano quello di riduzione dello
spreco e del fattore inquinamento. In
realtà dopo un primo successo, il segmento non è riuscito a decollare, anche
se oggi tutte le principali aziende produttrici completano la propria gamma di
offerta con questo prodotto. Attualmente
questo segmento rappresenta solo l’8.1%
del totale mercato, fattura 62 milioni di
Euro (in calo del 2,1%) e commercializza 11 milioni di unità di prodotto (in
flessione del 2,2%).
Un «abuso» delle attività
promozionali?
Il mercato dei Detersivi Lavatrice è uno
dei più grandi del Cura Casa ed è anche
uno dei più promozionati. I volumi di
prodotto in promozione raggiungono
infatti il 55% (nei canali di Iper+Super+Libero Servizio).
Oltre al taglio prezzo, con e senza display,
in questo mercato vengono offerti formati
grandi (Esempio: scorta famiglia, offerta
convenienza,…) o multipacchi, che normalmente sono anche posizionati nelle
aree promozionali dei punti vendita più
grandi e che vengono frequentemente
pubblicizzati sui volantini.
Se si considera quindi la totalità dei volumi coinvolti in attività d’incentivo diretto
alla vendita, la percentuale di volumi in
promozione sale al 73,4% nell’anno terminante ad aprile 2016 (con una flessione di
1,1 punti rispetto all’anno precedente). Il
45,8% di queste promozioni è veicolato da
grandi formati e multipacchi. Addirittura,
negli ipermercati la totalità delle attività
promozionali raggiunge l’85,1% (benché
in leggera flessione) e il 71,4% è dato da
formati grandi e multipacchi.
Anche gli Specializzati Drugstore sono punti vendita in
cui si pianificano numerose attività: il 67% dei volumi è
venduto in promozione e il 35% attraverso multipacchi
o grandi formati.
In pratica l’acquisto a prezzo pieno a scaffale non esiste
quasi più: le promozioni hanno
inondato il mercato, i consumatori acquistano quasi
esclusivamente in condizione di sconto o di vantaggio
di quantità con l’effetto di aumentare lo stock in casa e
la battuta di cassa media.
Fondamentale diventa quindi per le aziende produttrici
la corretta pianificazione del calendario promozionale
presso le catene distributive. Resta comunque altrettanto
importante la focalizzazione e la rivisitazione della leva
del prezzo per fuoriuscire dalla spirale promozionale
che sta caratterizzando questo mercato.
L’ULTIMA
GRANDE VERA
INNOVAZIONE
RISALE A 5 ANNI
FA CON IL PRIMO
DETERGENTE
LIQUIDO
CONCENTRATO
E PREDOSATO
IN CONFEZIONI
MONODOSE
Quale innovazione?
Nel mercato dei Detersivi Lavatrice le novità sono soprattutto in termini di profumazione/formulazione. Negli
ultimi anni, come già anticipato nei paragrafi precedenti,
le aziende produttrici hanno cercato di legare i loro prodotti al valore dell’eco-sostenibilità, concetto sicuramente
molto importante per il consumatore odierno, ma talvolta
difficile da trasmettere per le referenze comparto del
chimico casa.
In questo senso l’ultima grande vera innovazione risale ancora a cinque anni fa. Procter & Gamble aveva
lanciato Dash Ecodosi, il primo detergente liquido
concentrato e predosato in confezioni monodose che
aveva l’obiettivo di risparmiare prodotto ed energia a
vantaggio di ambiente, tempo e spazio. Insomma a vantaggio del consumatore. Erano seguiti Henkel, Reckitt
Benckiser, Manitoba, Realchimica, ma, probabilmente
anche a causa dell’alto prezzo e alla difficoltà di dosaggio,
si tratta di un segmento che non riesce a decollare, anzi
oggi si registra addirittura una flessione.
Henkel, che da sempre è impegnata a trovare nuove
soluzioni per uno sviluppo sostenibile, ha lanciato il
detergente liquido per bucato “General Basta Separare”
che, grazie alla specifica formula anti-trasferimento, inibisce il passaggio dei colori da un capo all’altro durante il
lavaggio e permette di lavare insieme tutti gli indumenti
senza il rischio di incidenti o alterazioni dei colori stessi.
Il vantaggio offerto dalla formula di questo detergente
liquido è quello di poter caricare una lavatrice senza
doversi preoccupare di separare i capi rappresenta un
risparmio di tempo, di energia elettrica.
Più indirizzati verso la cura della salute dei consumatori,
del rispetto dell’ambiente sono le nuove linee “Chante
Clair Vert”(Realchimica), “Winni’s” (Madel), “L’Albero
Verde” (Sodalco) e Deco Green Emotions (Deco Industrie). Utilizzano ingredienti di origine vegetale, sono
dermatologicamente testati, biodegradabili, adatti anche
ai più piccoli.
Insomma di spazio per l’innovazione ce n’è ancora! S
GIUGNO/LUGLIO 2016
49
L’innovativo prodotto
che ha conquistato
trade e consumatori
MIGLIORGATTO STERILIZED: LA PRIMA GAMMA
DI PRODOTTI SECCHI E UMIDI PER GATTI STERILIZZATI
CHE NON RINUNCIANO AL GUSTO
L
a scelta strategica di Morando, da un
anno a questa parte, è molto chiara: proporre al mercato prodotti innovativi che soddisfino le reali esigenze del consumatore finale.
Questa scelta si sta già rivelando vincente. A poco
più di un anno dal proprio lancio Migliorgatto
Sterilized, la prima gamma di prodotti secchi e
umidi, completa e bilanciata per gatti sterilizzati
che non rinunciano al gusto, ha già ottenuto largo
consenso da parte del trade e del pubblico.
Se nel 2015 dodicimila consumatori, attraverso una
ricerca di mercato, hanno eletto Migliorgatto Sterilized “Prodotto dell’anno” , nel 2016 è stato insignito dell’award “Prodotto Food 2016” con le seguenti
motivazioni: “premiata la strategia di segmentazione del mercato, raggiunta con un’offerta specifica
di gamma molto ampia come formati e gusti e per
l’intensa attività di comunicazione a sostegno”:
La gamma
Gusti raffinati, textures appetitose e ricette formulate secondo le specifiche esigenze nutrizionali
conseguenti la sterilizzazione. I gatti hanno a disposizione una gamma completa di prodotti: paté,
mousse, bocconi in salsa e gelatina, croccantini.
Euromonitor stima che il 70% della popolazione
felina in Italia sia sterilizzata. Il gatto sterilizzato
necessita di una dieta equilibrata e specifica per
prevenire il rischio di obesità e di problematiche
alle basse vie urinarie. La sua è una condizione
permanente e, non per questo, deve rinunciare
a godere pienamente di un cibo gustoso e vario.
Proprio per soddisfare questa esigenza è nato
Migliorgatto Sterilized: cinque vaschette monoporzione da 100 g, tre al gusto di carne e due al
pesce, formulate con il corretto apporto calorico
ed un PH bilanciato che riduce la probabilità di
formazione di calcoli.
I prodotti Migliorgatto Sterilized racchiudono in
sé tutti i valori di Morando: sono prodotti in Italia
con ingredienti selezionati, non contengono coloranti e conservanti, vengono studiati da veterinari e
non sono sperimentati su animali.
www.morando.it
MERCATI/3
L’importanza di
essere “pet”
di Carmela Ignaccolo
MERCATI INTERNAZIONALI E TREND GLOBALI PER UN SETTORE IN CONTINUA EVOLUZIONE
L’
animale domestico è sempre più spesso e
sempre più diffusamente considerato parte
integrante del nucleo familiare.
Cani e gatti in primis, ma anche uccellini, pesci e piccoli
roditori non sono da meno.
Sapevate per esempio che nel 27% dei casi un pet è stato
portato da un fotografo professionista perché venisse
immortalato?
O che in Giappone sono stati censiti ben 22 milioni di
animali domestici a fronte di 16,6 milioni di bambini
sotto i 15 anni?
Secondo un’indagine effettuata da GFK sugli internauti
di 22 nazioni, i paesi più “fanatici” in questo senso, sono
Argentina e Messico dove l’80% del campione dichiara
di avere un animale domestico, seguiti da Brasile (75%),
Russia (73%) e USA (70%).
Decisamente meno inclini, invece, i Paesi asiatici. Come
dimostra la Corea che si ferma a un risicato 31%.
Nonostante questa più modesta propensione verso gli
animali domestici – spiega Pushan Tagore, vice presidente Pet Care Research di GfK – i Paesi orientali
(grazie all’elevato numero di abitanti) detengono a livello
globale una quota significativa (e per di più in aumento)
del pet market. In questo senso, oltre all’America Latina,
i paesi più interessanti sono infatti India e Cina, in cui
52
GIUGNO/LUGLIO 2016
il crescente reddito pro capite contribuisce a un netto cambio di abitudini:
non più avanzi per cani, gatti & Co. ma,
sempre più spesso, cibi preparati ad hoc,
più bilanciati e più idonei alle esigenze
dietetiche dei piccoli amici a quattro (e
a due) zampe.
33%
SONO GLI ITALIANI
CHE DICHIARANO
DI NON AVERE
UN ANIMALE DOMESTICO
Questione di genere
Il sesso “debole” si rivela più incline alla
compagnia di cani e gatti: il 34% delle
donne ha un cagnolino e il 25% un
gattino, mentre tra gli uomini le percentuali scendono, rispettivamente, al
32 e al 22%. In senso diametralmente
opposto, invece, vanno le preferenze per
quanto riguarda i pesci, che pare piacciano molto di più ai maschi: 14% vs 11%.
Pet: una popolazione
numerosa
Nel mondo si registrano circa 600 milioni
tra cani e gatti, con una netta prevalenza dei primi. Sempre dall’indagine
effettuata su campioni online, è emerso
infatti che 1/3 della popolazione possiede un cane,
1/4 (circa il 23%, quindi) è proprietario di un gatto, il 12% di un pesce e solo il 6% di un uccellino.
Argentina, Messico e Brasile preferiscono nettamente
i cani, mentre Russia e Francia prediligono i felini (57
e 41%, rispettivamente).
In Cina, invece, troviamo un’elevata preferenza per gli
uccelli (17%), in Turchia per gli uccelli (20%).
Focus sull’Italia
Per quanto attiene al nostro Paese, l’indagine Gfk evidenzia che se il 33% degli internauti dichiara di non avere
un animale domestico, gli altri intervistati la pensano,
invece, in ben altro modo. Il 39%, infatti, dichiara di
avere un cane, il 34% un gatto, l’11% un pesce, l’8% un
uccellino o altro. E sono sempre le donne a dimostrare
un’inclinazione maggiore verso i piccoli amici (risposte
multiple).
Il mercato
Nel 2016, secondo uno studio di Maria Lange di GfK,
il mercato globale del pet food vale 70 miliardi di
dollari e cresce del 4% anno su anno.
L’Europa vale complessivamente 20 miliardi; sul
podio dei paesi top spendenti troviamo UK (4,4 mld
di dollari), Germania (4,2 miliardi) e Francia (4,1 miliardi). L’Italia, con 2,6 miliardi si colloca al quarto
posto, rivelando, quindi, un margine di crescita ancora
piuttosto ampio.
A livello internazionale la quota dei canali distributivi
è equilibrata: 50% è appannaggio degli specializzati,
50% della Grande Distribuzione.
È invece a livello dei singoli Paesi che le differenze si
fanno più spiccate: mentre nell’Europa occidentale il
65% del mercato è prerogativa della gdo, al contrario
PERCENTUALE DI PERSONE
CHE POSSIEDONO ANIMALI DA COMPAGNIA, IN 22 PAESI
LE DONNE
PREDILIGONO
LA COMPAGNIA
DI CANI E GATTI,
I PESCI INVECE
PIACCIONO
MOLTO DI PIÙ
AGLI UOMINI
Fonte: Ricerca Gfk su un campione di oltre 27.000 internauti in 22 paesi.
GIUGNO/LUGLIO 2016
53
MERCATI/3
Brasile e Cina danno decisamente più
spazio agli specializzati che nel paese
asiatico hanno una quota dell’80% e in
quello sudamericano del 70%.
Tipologie, specialità e formati
Nella perenne disfida tra “cibo per cani e
cibo per gatti” la vittoria a livello mondiale se l’aggiudica il dog food che
conquista il primato delle vendite con
una quota di circa il 50% in ogni paese. Un dato che balza immediatamente
agli occhi è che il gusto più popolare a
livello globale è il pollo.
Quanto alla tipologia di alimento, il secco
ha – e di gran lunga – la meglio: caso
emblematico la Grecia dove raggiunge
il 93% lasciando a wet food e a treats
(liofilizzati in polvere) il restante, risicato
7%. Ma anche in Gran Bretagna (dove wet
e treats vanno decisamente più forte con
una quota, rispettivamente, del 26 e del
18%) il dry continua a “spadroneggiare”
con un “vigoroso” 56%.
Il trend dei formati non è omogeneo a
livello globale, ma mostra delle peculiarità interessanti. La prima riguarda la
Cina, dove l’ampia diffusione di razze
canine piccole (per lo più non oltre i 5
kg) ha favorito lo sviluppo delle confezioni mini che oggi, nel paese asiatico,
sono le top sellers.
Altra evidenza interessante, perché passibile di diffusione anche in altri paesi,
è quella che riguarda gli Stati Uniti dove
le confezioni superiori ai 10 Kg sono
pressoché uscite dal mercato.
Per quanto attiene al cibo umido per
cani, le confezioni più richieste sono le
scatolette. Unica eccezione la Cina, dove
va invece per la maggiore la pouch, che
ha una quota del 49%.
Sul cibo per gatti, invece, a parte gli Usa,
fortemente focalizzati anche in questo
caso sulle lattine (che valgono il 94%
del mercato), gli altri Paesi tendono ad
orientarsi verso le bustine.
Negli anni si sta assistendo a una
costante evoluzione della proposta,
sempre più premium.
E l’indicatore più chiaro è l’andamento
dei prezzi in due Paesi autorevoli come
USA e Cina.
Nel primo caso, dal 2011 alla fine del
2015 abbiamo assistito ad un incremento
del 39%; nel secondo caso, in un lasso
54
GIUGNO/LUGLIO 2016
CIRCA
50%
QUOTA DELLE VENDITE DEL DOG FOOD
CHE CONQUISTA IL PRIMATO
DELLE VENDITE IN OGNI PAESE
di tempo più ridotto e compreso tra il
2013 e il settembre 2015, i prezzi hanno
avuto una crescita dell’8%.
Nuovi trend
La ricerca di alimenti naturali e biologici
non ha risparmiato neanche il comparto
del pet food. Emblematici in questo
senso sono gli Usa, dove il 69% delle
vendite del comparto è attribuibile al
“natural” (in crescita del 9%) e dove,
tra le referenze lanciate nel 2015, 4
su 5 sono bio.
Crescita imponente nel settore naturale è
stata registrata anche in Francia (+34%),
Cina (12%), Spagna (+22%) e Sud Africa
(+62%).
Altro driver di crescita da monitorare con attenzione è quello del gluten
free, che negli States vale già il 37%
delle vendite, in crescita del 24% anno
su anno. Ancora agli esordi in paesi come Francia, Spagna, Cina e Sud Africa,
risulta invece più “solido” in UK, dove
ha una quota del 15%, nella Repubblica
Ceca (12%) e in Grecia (11%).
Infine due parole sugli alimenti surgelati:
dopo un exploit nel 2011 (siamo agli
esordi della categoria), oggi accusano
una battuta d’arresto attribuibile al fatto
che in Usa la maggior parte dei richiami della FDA, è stata effettuata proprio
su cibi congelati. Tanto che il lancio di
nuove referenze è passato dal 5,3% del
2014 al2,8% del 2015.
Crescita significativa, invece su liofilizzati e disidratati che in USA crescono
del 65%. S
BABY BOOMERS E MILLENNIALS
GENERAZIONI A CONFRONTO
Come cambiano le attitudini di consumo dei proprietari di animali
domestici? Se lo sono chieste e, prontamente hanno avviato uno studio che
fornisse congrue risposte, la Brakke Consulting Inc., azienda specializzata
in consulenza e ricerca sulla salute animale, e la Trone Brand Energy,
leader in comunicazione e marketing nell’ambito del pet.
Il risultato è uno studio che indaga le generazioni presenti e future di
proprietari di animali domestici e le relative abitudini di acquisto.
Ecco, in breve le evidenze principali:
– Le attuali pratiche veterinarie sono state negli anni condizionate dalle
richieste dei Baby Boomers; il fatto che oggi stiano venendo alla ribalta i
Millennials, in qualità di proprietari di animali domestici, sta innescando un
importante processo di diversificazione per quanto attiene sia la sfera dei
bisogni sia quella valoriale.
– La categoria del pet è molto forte, ma le tradizionali pratiche veterinarie
sono destinate ad evolvere. Il valore complessivo rimarrà costante,
ma il mix di spesa sarà soggetto a profonde rivisitazioni, anche alla
luce dei nuovi modelli di pet care che si andranno diffondendo. “Le
nostre indagini – conferma Kimberly Ness Vice Presidente di Trone
Brand Energy – rivelano che i Millennials non spenderanno meno per i
loro animali, ma spenderanno in maniera diversa. La constatazione è che
il canale preferenziale non resterà quello delle cliniche veterinarie. Pars
magna assumeranno anche le farmacie tradizionali (quelle per umani) e
l’e-commerce (per questo chi non offre lo shopping on line è desinato a
uscire dal mercato). A guidare queste scelte saranno essenzialmente la
convenienza di prezzo e quella della location. Per il canale veterinario
la pressione competitiva di canali più forti, in grado di proporre un’offerta
maggiore a prezzi convenienti, diverrà – quindi – sempre più incalzante.
Per questo i player del mercato saranno costretti a riconsiderare come
e dove incontrare i bisogni dei nuovi padroni. Pet sitting, dog walking,
tolettatura e cura quotidiana saranno infatti i servizi sempre più
richiesti, da fornire con tempestività”.
– A differenza di quanto successo con i Baby Boomers, tra i Millennials le
differenze etniche si andranno progressivamente affievolendo. La vera
chiave di volta in grado di spiegare l’evoluzione della domanda risiederà
dunque nel cambio generazionale.
– “Ciò che caratterizza i Millennials – spiega infatti Kimberly Ness – è il
loro desiderio di informazione che si contrappone alla fiducia quasi
cieca riposta dai loro predecessori nei pareri (quasi assiomatici)
dei veterinari, ritenuti dei veri guru. I Millennials vogliono conoscere
per partecipare attivamente alla cura dei loro piccoli amici. Il successo
riscosso da Dr. Google, che dispensa consigli veterinari agli internauti
che lo richiedano, non fa altro che ribadire questo bisogno di sapere come
prendersi cura dei propri cuccioli, allevarli, sfamarli e curarli. Ed è proprio
questa estrema propensione alla conoscenza che deve essere
cavalcata per conquistare i nuovi responsabili d’acquisto del futuro”.
– Le scelte d’acquisto dei nuovi padroni di animali domestici saranno
sempre più orientate dalla multicanalità: le informazioni credibili, infatti,
non arriveranno esclusivamente dal canale veterinario, ma da una
congerie di fonti. Industria e distribuzione devono tener conto di tutto ciò.
GIUGNO/LUGLIO 2016
55
I PROTAGONISTI
Torna a casa, Rossana
NESTLÉ LASCIA, FIDA NE ACQUISISCE IL PACCHETTO E PORTA LA PRODUZIONE NEL SUO
STABILIMENTO DELL’ASTIGIANO
N
on l’abbiamo persa.
Dopo mesi di rumors a tinte
fosche che la davano già
fuori dal mercato, la Rossana, invece, ce
l’ha fatta, scardinando ogni previsione.
E così la “rossa”, che dalla sua nascita
nel 1926 ad oggi ha attraversato varie
vicissitudini, è tornata italiana.
E questo solo da pochi giorni, da quando
cioè Fida ha sottoscritto il contratto preliminare di acquisizione del ramo d’azienda
relativo alle caramelle a marchio Rossana,
appunto, Fondenti, Glacia, Fruttallegre, Lemoncella e Spicchi, già posseduto da Nestlé.
In questo modo l’azienda astigiana, operativa nel settore delle caramelle dal 1973,
va ad ampliare il suo portfolio che annovera marchi noti come Bonelle, Sanagola,
Charms, Gocce, Tenerezze, Gnammy e le
Irresistibili.
“Per noi – commenta Eugenio Pinci, Presidente e Amministratore Delegato di
Fida – è motivo di autentico orgoglio aver
avviato un’operazione di questo tipo: la
mission di Fida, infatti, è sempre stata
quella di proporre prodotti esclusivi. E la
Rossana, da 90 anni icona del gusto per migliaia di italiani, esclusiva lo è senz’altro.
56
GIUGNO/LUGLIO 2016
Oggi Fida detiene il 3,5%
del mercato delle caramelle familiari. Quanto inciderà la nuova acquisizione in termine di quote?
Porterà nuova linfa, senza
dubbio. Le stime ci fanno
propendere per un raddoppio della quota, che
dovrebbe arrivare al 7%.
immediatamente i volumi
produttivi dei nuovi brand
acquistati.
Cambierete strategie comunicative sui marchi
appena acquisiti?
Parlarne oggi è prematuro:
Eugenio Pinci, Presidente serve prima far assorbire
e Amministratore
i tempi tecnici dell’operaDelegato di Fida
zione. Diciamo, però, che
in futuro potremmo deciLe new entry rischiano di
dere di modulare l’approccio al consufagocitare il vostro portfolio prodotti?
matore tarandolo sui nuovi trend. Ma è
Assolutamente no: i nostri marchi pretutto ancora in divenire.
sidiano i display della Gdo a un livello
assolutamente paritetico rispetto a quelParliamo di caramelle “storiche”, non
lo della nuova acquisizione. In futuro,
proprio in linea con i nuovi trend saanzi, ci ripromettiamo di incrementare
lutistici dei consumatori: questo pola distribuzione, affinando le sinergie
trebbe essere un problema?
tra marchi, così da mettere a frutto e
Dubito: il nostro è un settore solo margiottimizzare le peculiarità di ciascuno.
nalmente toccato dalle mode salutistiche.
Le varianti bio, light e free from esistono,
Quando si avvierà la nuova produzione?
certo, ma crescono poco. Le trasgressioni
Il closing dell’operazione è previsto
vanno godute fino in fondo, non crede?
per fine giugno, contiamo di “avviare
E allora ben vengano le caramelle tradile macchine” subito dopo, già da luglio.
zionali: dolci e – magari – con un cuore
Il nostro sito produttivo di Castagnole
morbido e cremoso... S
delle Lanze è infatti in grado di assorbire
BIG DATA & CREATIVITY
Nuove risorse
per il digital
advertising
LA STRATEGIA DI QUANTCAST, UNO TRA I PRIMI PLAYER MONDIALI
PER CAPACITÀ DI GESTIONE DELLA SEMPRE MAGGIORE MOLE INFORMATIVA
“I
dati sono la nostra forza, l’elemento che più ci
identifica e ci appartiene” – è semplice ed efficace
la descrizione che Ilaria Zampori, General Manager Quantcast Italia fa della sua azienda. “Abbiamo iniziato a misurare le audience online a partire dal
2006 – prosegue – monitorando oggi oltre 100 milioni
di destinazioni web. Ben presto ci siamo accorti che
analizzando il comportamento del consumatore online
in tutto il mondo avevamo a disposizione un’enorme
quantità di dati, informazioni preziose e ricercate nel
campo del digital advertising per raggiungere il target di
riferimento del brand, evitando così un inutile spreco di
investimenti pubblicitari. Da qui quindi l’idea di orientarci
al real time advertising, focalizzandoci soprattutto sulla
rilevanza dell’adv online, un aspetto che consideriamo
fondamentale sia per il brand che per il destinatario del
messaggio pubblicitario”
Quali nuove prospettive offerte dai big data?
Sono indispensabili nella pubblicità online perché permettono di utilizzare creatività rilevanti che raggiungono
in tempo reale il giusto consumatore nel momento della
massima attenzione. Oltre alla rilevanza, le informazioni
acquisite garantiscono all’investitore anche una corretta
allocazione dei budget digitali, un’efficace azione di targeting one to one e, grazie al programmatic, una pianificazione di audience e non più di meri spazi pubblicitari.
Come vengono raccolti e processati i dati nel retail?
Tutto dipende dall’obiettivo dell’investitore ovvero dai
KPI che si vogliono raggiungere: awareness, consideration o perfomance. Creiamo un modello predittivo
basato su dati di partenza – differenti per ciascun KPI
– che possono essere dati socio-demografici, keyword
specifiche o attuali convertitori del sito. Il modello,
58
GIUGNO/LUGLIO 2016
aggiornandosi di continuo e in real time, consente di raggiungere la propria
audience di riferimento con messaggi
pubblicitari di forte impatto attraverso
banner, video e formati impattanti su
desktop, tablet e mobile.
Ilaria Zampori,
General Manager
Quantcast Italia
SUCCESSI
Zenni Optical, azienda
americana specializzata
nella vendita di occhiali
da sole e da vista, con il
supporto di Quantcast
ha aumentato del 99% la
base clienti e incrementato
le conversioni del 14%.
Bluewater, uno dei più
grandi centri commerciali
d’Europa, è riuscito invece
ad aumentare il traffico
al proprio sito web del
320% e le vendite dell’8%
in soli 3 mesi.
Con quali risultati?
Positivi sia in ambito di brand awareness
che di perfomance. La nostra soluzione
associa la potenza “dell’intention to buy”
espressa nella Search, alla display per
costruire un target incredibilmente personalizzato. Una soluzione branding che
agisce nel mid-funnel combinando search e dati per targetizzare perfettamente le
audience su larga scala (disponibile anche
per messaggi video). In termini invece
di perfomance il brand ha l’opportunità
di ampliare la base clienti con attività di
prospecting, acquisition e drive to store.
Quali i vantaggi per il consumatore?
Una pubblicità personalizzata, creativa
e assolutamente rilevante. Il messaggio
non è più invasivo e inopportuno, ma
rivolto direttamente all’utente e in linea
con le sue aspettative. In particolare sul
mobile, che viene utilizzato 5 volte al
giorno per fare ricerche sugli acquisti,
l’80% dei consumatori è influenzato da
mobile ads e inoltre quasi la metà (48%)
dei Millennials ammette che si lascerebbe
persuadere più facilmente da pubblicità
più creative(*).
CANNES LIONS FESTIVAL
Al Cannes Lions Festival, Quantcast ha invitato sul
palco Matthew Luhn, story supervisor di Pixar, per
far comprendere quanto i dati, se analizzati e impiegati
correttamente, possano dimostrarsi un ottimo alleato
all’interno di qualsiasi processo creativo, dalla semplice
pubblicità fino al grande film d’animazione. Ecco allora che se
da una parte Quantcast utilizza i big data per creare miliardi di
segmenti di una persona garantendo sempre più rilevanza al
consumatore, dall’altra Pixar si affida costantemente ad essi
per dare vita a personaggi capaci di riprodurre sul grande
schermo le emozioni umane e creare empatia con il pubblico.
E la privacy?
Tutti i dati sono assolutamente anonimi. Quantcast infatti non
raccoglie i cosiddetti dati identificativi, conosciuti anche come
PII (Personally Identifiable Information), non sa a chi è associato
uno specifico cookie. L’incredibile volume di dati che gestiamo,
in combinazione con algoritmi altamente sofisticati, ci permette
di realizzare modelli estremamente accurati dei dati demografici
di base a cui è legato un cookies, il tutto ovviamente su campioni comportamentali sempre e tassativamente anonimi. S
(*) “Mobile & Me – ridefinite le opportunità per i brand”: ricerca commissionata da
Quantcast a Censuswide condotta (dal 4/12/2015 al 6/01/ 2016) su 3.101 consumatori
tra UK, Francia e Germania con un’età superiore ai 16 anni possessori di un cellulare.
http://qc.st/20UAU2b
SCHEMA ESEMPLIFICATIVO
DEL SEARCH POWERED AUDIENCES,
SOLUZIONE BRANDING DI QUANTCAST
1. DEFINIRE
IL PROPRIO PUBBLICO
TRAMITE UNA SEARCH ACTIVITY
2. COMPRENDERNE
L’ATTEGGIAMENTO
IN FASE DI PRE SEARCH
3. IDENTIFICARE
CLUSTER DI CONSUMATORI
CARATTERIZZATI DAL
MEDESIMO COMPORTAMENTO
4. FORNIRE LORO
PROPOSTE PUBBLICITARIE
TRAMITE DISPLAY E VIDEO
GIUGNO/LUGLIO 2016
59
DELIVERY
Così i robot
ti porteranno
a casa la spesa
di Stefano Fossati
(e anche la pizza)
S
e vi doveste recare a Londra oppure a Brisbane, in Australia, e vi ritrovaste a passeggiare sul marciapiede accanto a uno strano
veicolo semovente poco più grande di un tagliaerba,
non vi allarmate: potreste esservi imbattuti nei primi
esperimenti di “delivery robotizzato”. Che nei prossimi
anni potrebbe rivoluzionare il settore delle consegne
porta a porta al servizio di negozi, GDO, aziende di
ecommerce e società di spedizioni espresse. L’idea è
“semplicemente” quella di sostituire – o quanto
meno affiancare – gli attuali servizi di consegna
tramite furgoni, auto e motorini con piccoli robot
elettrici a guida autonoma, in grado di offrire la
massima flessibilità e notevoli risparmi sui costi del
personale.
Robot veloce, scattante
ed economico
La startup britannica Starship Technologies, uffici
a Londra e a Tallin in Estonia, ha da poco iniziato a
sperimentare il servizio nel borgo reale di Greenwich, nella capitale britannica, con il beneplacito delle
autorità locali: i suoi piccoli mezzi a sei ruote, dotati
di uno scomparto interno refrigerato, consegnano alimentari, plichi e pacchi direttamente al domicilio del
destinatario, muovendosi in sicurezza per le strade
cittadine senza necessità di controllo da parte di un
60
GIUGNO/LUGLIO 2016
di Stefano Fossati
MENTRE AMAZON
E GOOGLE SPERIMENTANO
I DRONI PER EFFETTUARE
CONSEGNE A DOMICILIO,
UNA STARTUP INGLESE
E LA FILIALE AUSTRALIANA
DI DOMINO’S PIZZA
PUNTANO SU PICCOLI
MEZZI A GUIDA
AUTONOMA IN GRADO
DI MUOVERSI
IN MANIERA SICURA
PER LE STRADE CITTADINE
PER RECAPITARE GENERI
Έ
Ή"
E IN ATTESA
#
A FARE CONCORRENZA AI
CORRIERI È L’APP DI UBER
operatore umano. Anima del progetto
è Ahti Heinla, già fra i co-fondatori
di Skype e oggi CEO e CTO della
società fondata insieme con Janus
Friss con l’obiettivo di “realizzare
per le consegne a domicilio ciò che
Skype ha fatto nel mondo delle comunicazioni”.
I suoi robot a basso costo (meno di 2 mila
dollari l’uno) saranno in grado – assicura
– di effettuare consegne ai consumatori
nel giro di 30 minuti, muovendosi sui
marciapiedi a bassa velocità ed evitando
ostacoli e persone senza alcun rischio
per i pedoni: considerato il ciclo di vita
stimato, un robot verrebbe a costare
meno di un dollaro a consegna.
Gli articoli da consegnare vengono chiusi all’interno dello scomparto e possono
essere prelevati solo dai legittimi destinatari digitando un codice ricevuto
al momento dell’invio della spedizione.
“Forse nel giro di un paio di anni, guardando fuori dalla finestra, non vedremo
tante auto ma un sacco di piccoli robot
che porteranno alla gente ciò che vorrà
e trasporteranno ciò che le persone non
avranno più bisogno di andare a prendere”, sogna a occhi aperti il numero uno
di Starship, che nel frattempo intende
allargare la sperimentazione ad altre
zone del Regno Unito a agli Stati Unti.
Domino Pizza
e il suo prototipo
Il robot addetto alle consegne della startup
britannica Starship Technologies
Sempre sotto la corona britannica ma
a migliaia di chilometri di distanza, Il
colosso globale della pizza a domicilio Domino’s Pizza intende applicare lo stesso concetto nell’ambito del
proprio business. Il DRU (Domino’s
Robotic Unit) è un veicolo a quattro
ruote, anch’esso driverless, progettato dal DLAB, il laboratorio innovativo
di Domino Australia in collaborazione
con la startup Marathon Robotics: il CEO
della locale filiale del colosso globale
della pizza, Don Meij, ha spiegato che
il prototipo ha già condotto con successo una serie di test di consegna di
pizze ai clienti in un limitato numero
di strade di Brisbane grazie a una speciale autorizzazione del Dipartimento
dei Trasporti del Queensland, operati
in modalità semi-autonoma. Anche se
lo stesso manager non si attende di
poter affidare le normali consegne ai
DRU in tempi brevi, sebbene ulteriori prove potrebbero essere condotte a
breve in Nuova Zelanda grazie a un
accordo con il governo: “È una lunga
strada, monitoreremo costantemente
ogni possibile complicazione. Il DRU
dovrà essere sempre, prima di tutto,
sicuro”, ha chiarito.
Il prototipo del DRU di Domino’s Pizza
che effettua una consegna a domicilio
GIUGNO/LUGLIO 2016
61
DELIVERY
I colossi del web
oltre i droni
Il robot di Domino’s Pizza è dotato di due scomparti
interni, uno riscaldato per le pizze e uno refrigerato per
le bibite; quando arriva al domicilio del cliente, quest’ultimo può aprire il portello e accedere ai due scomparti
digitando anche in questo caso un codice fornito da
Domino’s al momento della conferma dell’ordine telefonico, via Internet o tramite app. Con un peso di 190
chili, raggiunge una velocità di 18-20 chilometri orari; il
sistema di guida autonoma consente al DRU di destreggiarsi fra marciapiedi, ponti e cassonetti della spazzatura
a bordo strada. L’autonomia di servizio, fra una carica
della batteria e l’altra, è di circa 20 chilometri, ma i futuri
sviluppi del progetto potrebbero sfruttare energia solare
o altri sistemi rinnovabili. Ogni DRU ha un costo di circa
30mila dollari australiani (quasi 20mila euro), dovuto
principalmente alla tecnologia sviluppata da Marathon
Robotics sulla base di quelle impiegate nei robot utilizzati
in ambito militare. Secondo Meij, i robot non potranno
comunque eliminare totalmente il fattore umano nel
delivery, soprattutto in situazioni complesse come
le consegne nel traffico dell’ora di punta.
Ai “delivery robot” pensano anche
Google e Amazon, che da tempo sperimentano la possibilità di impiegare
droni per le consegne a domicilio.
Nel caso dei due colossi Usa, i robot
consentirebbero di superare la principale problematica legata ai droni: se
questi presentano indubbi vantaggi in
termini di velocità e distanze copribili
(il progetto Amazon Prime Air prevede un raggio d’azione di 16 km), resta
da capire come far avere in sicurezza
i pacchi ai destinatari evitando interferenze con cavi elettrici, lampioni e
soggetti “a rischio” come bambini e
animali domestici.
Di qui l’idea, sviluppata da Google
a margine del programma “Project
Wing”, di affidare l’”ultimo miglio”
ai robot a terra, ai quali i droni “passerebbero” la merce in luoghi prestabiliti, in maniera completamente
automatizzata.
Un sistema complesso che garantirebbe
sì notevoli vantaggi economici ma che
difficilmente potrà trovare applicazione
in tempi brevi.
Un drone utilizzato
per le consegne da
Google Project Wing
UBEREATS
È UN SERVIZIO
GIÀ OPERATIVO
IN DIVERSE
CITTÀ DEL NORD
AMERICA, PER LA
CONSEGNA DI CIBO
A DOMICILIO
DAL PROPRIO
RISTORANTE
PREFERITO
62
GIUGNO/LUGLIO 2016
Uber: da taxi a corriere
Decisamente più vicino potrebbe essere
lo sbarco in Europa (a partire dal Regno Unito) del servizio di delivery di
Uber, che dopo essersi proposta come
alternativa ai taxi per il traporto di
persone ha lanciato in alcune città
degli Stati Uniti UberRush, che si pone
invece in concorrenza ai tradizionali
corrieri. L’apporto della tecnologia, in
questo caso, sta nell’app per smartphone
che consente all’utente di mettersi in
contatto con un autista per spedire o
farsi recapitare merci.
A questo potrebbe aggiungersi UberEats,
anch’esso operativo in diverse città del
Nord America, per la consegna di cibo a domicilio dal proprio ristorante
preferito.
Anche se al momento non c’è nulla di
definito, Carlo Tursi, dallo scorso anno
country manager di Uber per l’Italia,
ha già detto di voler introdurre i due
servizi nel nostro Paese.
In attesa di droni e robot, il futuro del
delivery passa da un’app. S