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11 instoremag.it Giugno Luglio 2016 € 5.00 N° Bimestrale dall’esperienza di CURA CASA VAPIANO DELIVERY PET FOOD Detersivi per lavatrice: un settore dinamico. L’analisi di Iri I piani di espansione del franchisor tedesco nel nostro Paese Non solo droni: saranno i robot a portare la spesa Mercati globali e trend internazionali Assortimenti Emulare il display dei discount? Forse non è la via giusta EDITORIALE L ayout, promozioni, dieta vegana, chilometro zero, servizi tarati ad hoc, infedeltà al punto vendita, ricerca di nuovi formati, lusinghe dell’e-commerce e seduzioni tecnologiche sempre più spinte. Il mix è composito e variegato e l’elemento catalizzante è sempre lo stesso: il consumatore. Che cambia a seconda dell’orario, della latitudine, del prodotto che vuole acquistare, della caratterizzazione anagrafica, di quella sociale e pure di quella culturale. È proprio a causa di questa complessità di variabili che, per fare un esempio, l’ormai annoso dubbio amletico relativo agli assortimenti e alla loro razionalizzazione non ha ancora trovato una risposta univoca (e molto probabilmente mai la troverà). Non c’è “una scelta giusta e una scelta sbagliata”. Si può solo optare per una strategia, riservandosi il beneficio del dubbio e la possibilità di rimettersi in discussione, nel tentativo di avvicinarsi quanto più è possibile ai desiderata dei clienti. Ben lo rileva, ad esempio, il Kantar Wordpanel da cui emerge come le politiche dei discount anglosassoni, non sortiscano i medesimi effetti, se adottati da altri formati distributivi (persino da quelli dei Big Four!). Evidentemente, allora, la chiave del successo non è univoca: tutto dipende dalla serratura che si vuole aprire (pag 18). Il consumatore, quindi, come misura di tutte le cose. Comprese le promozioni, la cui efficacia (ormai è ampiamente dimostrato) sottostà al severo giudizio di chi acquista (pag.6). Non a caso si fa spesso ricorso alla definizione di prosumer, quasi a sottolineare il protagonismo del cliente 3.0 e – ahimè – la sua infedeltà, inevitabile conseguenza di questa sempre più spiccata autonomia negli atti di acquisto (da pag. 8). E se questo ininterrotto confronto con le aspirazioni cosumeristiche si rivela complesso in Italia, la cosa non si fa affatto più semplice fuori dai confini nazionali, là dove portano le nuove aspirazioni verso un business “targato Usa o Emirati” (da pag 11). Questa rapida evoluzione di una domanda mai uguale a se stessa, complica l’operatività, certo. Ma apre anche scenari inconcepibili fino a poco tempo prima, fornendo terreno fertile a nuovi business. È successo con la catena KFC, assente fino a pochissimo tempo fa dal nostro paese, e oggi in pieno boom di crescita, grazie agli imponderabili mutamenti intervenuti (da pag 24). E nella stessa direzione va pure la strategia del player tedesco Vapiano, oggi consapevole del fatto che l’Italia è ormai pronta ad accoglierlo (da pag. 14). Per restare, infine, in territorio nazionale, con il repentino successo del personal shopper di Supermercato 24: solo un cambio rapido nelle abitudini dei consumatori (oggi finalmente inclini e propensi a una lista della spesa on line) avrebbe potuto supportare un exploit di questo tipo. Evidentemente questa inversione di rotta c’è stata. (da pag 22). Per concludere, uno sguardo ai mercati, anch’essi sintomatici “della direzione del vento dei consumi”. Dirimente è quasi sempre l’età dei consumatori: gli acquisti più classici sono appannaggio dei clienti più maturi, quelli più evoluti delle nuove generazioni (da pag 46). Emerge infatti chiaramente come in certi settori la caratterizzazione anagrafica sarà via via più importante: i Millennials sono sempre più spesso i nuovi responsabili d’acquisto e la temperie culturale che li ha formati, sarà progressivamente destinata a condizionare tanto la loro domanda, quanto l’offerta delle aziende (da pag. 52). Carmela Ignaccolo sommario POLITICHE E ANALISI DISTRIBUZIONE IMMOBILIARE 04 ITINERARI 10 EXPORT 33 AGILE E INTELLIGENTE: ARRIVA LO SMART WORKING 06 ECONOMIA USA ED EMIRATI: ISTRUZIONI PER L’USO 14 PROSPETTIVE VAPIANO CERCA PARTNER IN ITALIA Re IL VOLTO REAL ESTATE DEL RETAIL IL NUOVO CHE AVANZA LA PROMO PERDE FASCINO ED EFFICACIA 08 CONSUMATORI MERCATI INFEDELTÀ: ALLA RICERCA DELLA CONVENIENZA 40 ECCELLENZE 14 18 ASSORTIMENTI LA REVISIONE DEGLI SCAFFALI, POLITICHE A CONFRONTO 22 SUPERMERCATO 24 LA SPESA: UN ALGORITMO LA CONSEGNERÀ 25 FORMAT 08 AL POPOLO DEL WEB PIACCIONO SOSTENIBILI 46 DETERSIVI BUCATO 2015: LA LAVATRICE RIPRENDE A GIRARE 52 PET FOOD MERCATI INTERNAZIONALI E TREND GLOBALI 28 BERKELEY BOWL 56 I PROTAGONISTI IL PROFETA DEL “BIOLOGISMO” LAICO RICATI DEL TRATTAMENTO DEI DATI PER LE FINALITÀ SUDDETTE SONO GLI ADDETTI ALLA GESTIONE AMMINISTRATIVA DEGLI ABBONAMENTI ED ALLE TRANSAZIONI E PAGAMENTI CONNESSI, ALLA CONFEZIONE E SPEDIZIONE DEL MATERIALE EDITORIALE, AL SERVIZIO DI CALL CENTER, AI SENSI DELL’ART. 7, D. LGS 196/2003 SI POSSONO ESERCITARE I RELATIVI DIRITTI, FRA CUI CONSULTARE, MODIFICARE, CANCELLARE I DATI OD OPPORSI AL LORO UTILIZZO PER FINI DI COMUNICAZIONE COMMERCIALE INTERATTIVA RIVOLGENDOSI A FIERA MILANO MEDIA SPA – SERVIZIO ABBONAMENTI – ALL’INDIRIZZO SOPRA INDICATO. PRESSO IL TITOLARE È DISPONIBILE ELENCO COMPLETO ED AGGIORNATO DEI RESPONSABILI. 42 CIBI IN SCATOLA KFC, LA GRANDE SFIDA INFORMATIVA AI SENSI DEL CODICE IN MATERIA DI PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI INFORMATIVA ART. 13, D. LGS 196/2003 I DATI DEGLI ABBONATI SONO TRATTATI, MANUALMENTE ED ELETTRONICAMENTE, DA FIERA MILANO MEDIA SPA – TITOLARE DEL TRATTAMENTO –STRADA STATALE DEL SEMPIONE 33, N. 28 - 20017 RHO (MILANO), - PER L’INVIO DELLA RIVISTA RICHIESTA IN ABBONAMENTO, ATTIVITÀ AMMINISTRATIVE ED ALTRE OPERAZIONI A CIÒ STRUMENTALI, E PER OTTEMPERARE A NORME DI LEGGE O REGOLAMENTO. INOLTRE, SOLO SE È STATO ESPRESSO IL PROPRIO CONSENSO ALL’ATTO DELLA SOTTOSCRIZIONE DELL’ABBONAMENTO, FIERA MILANO MEDIA SPA POTRÀ UTILIZZARE I DATI PER FINALITÀ DI MARKETING, ATTIVITÀ PROMOZIONALI, OFFERTE COMMERCIALI, ANALISI STATISTICHE E RICERCHE DI MERCATO. ALLE MEDESIME CONDIZIONI, I DATI POTRANNO, ALTRESÌ, ESSERE COMUNICATI AD AZIENDE TERZE (ELENCO DISPONIBILE A RICHIESTA A FIERA MILANO MEDIA SPA) PER LORO AUTONOMI UTILIZZI AVENTI LE MEDESIME FINALITÀ. LE CATEGORIE DI SOGGETTI INCA- AI SERVIZI INFORMATIVI. PRODOTTI TIPICI IN GDO FIDA RIPORTA IN ITALIA LA ROSSANA INFORMATIVA RESA AI SENSI DELLART. 2, CODICE DEONTOLOGICO GIORNALISTI AI SENSI DELL’ART. 13, D. LGS 196/2003 E DELL’ART. 2 DEL CODICE DEONTOLOGICO DEI GIORNALISTI, FIERA MILANO MEDIA SPA – TITOLARE DEL TRATTAMENTO - RENDE NOTO CHE PRESSO LA REDAZIONE DI MILANO, STRADA STATALE DEL SEMPIONE 33, N. 28 - 20017 RHO (MILANO), VENGONO CONSERVATI GLI ARCHIVI DI DATI PERSONALI E DI IMMAGINI FOTOGRAFICHE CUI I GIORNALISTI, PRATICANTI E PUBBLICISTI CHE COLLABORANO CON LE TESTATE EDITE DAL PREDETTO TITOLARE ATTINGONO NELLO SVOLGIMENTO DELLA PROPRIA ATTIVITÀ GIORNALISTICA PER LE FINALITÀ DI INFORMAZIONE CONNESSE ALLO SVOLGIMENTO DELLA STESSA. I SOGGETTI CHE POSSONO CONOSCERE I PREDETTI DATI SONO ESCLUSIVAMENTE I PREDETTI PROFESSIONISTI, NONCHÉ GLI ADDETTI PREPOSTI ALLA STAMPA ED ALLA REALIZZAZIONE EDITORIALE DELLE TESTATE. I DATI PERSONALI PRESENTI NEGLI ARTICOLI EDITORIALI E TRATTI DAI PREDETTI ARCHIVI SONO DIFFUSI AL PUBBLICO. AI SENSI DELL’ART. 7, D. LGS 196/2003 SI POSSONO ESERCITARE I RELATIVI DIRITTI, FRA CUI CONSULTARE, MODIFICARE, CANCELLARE I DATI OD OPPORSI AL LORO UTILIZZO, RIVOLGENDOSI AL TITOLARE AL PREDETTO INDIRIZZO. SI RICORDA CHE, AI SENSI DELL’ART. 138, D. LGS 196/2003, NON È ESERCITABILE IL DIRITTO DI CONOSCERE L’ORIGINE DEI DATI PERSONALI AI SENSI DELL’ART. 7, COMMA 2, LETTERA A), D. LGS 196/2003, IN VIRTÙ DELLE NORME SUL SEGRETO PROFESSIONALE, LIMITATAMENTE ALLA FONTE DELLA NOTIZIA. PRESSO IL TITOLARE È DISPONIBILE L’ELENCO COMPLETO ED AGGIORNATO DEI RESPONSABILI. 46 n. 11 Giugno/Luglio 2016 www.instoremag.it Redazione Antonio Greco • Direttore Responsabile Carmela Ignaccolo • Redattore - Coordinamento InStore [email protected] • tel: 02 4997 6555 David Migliori • Vicecaporedattore [email protected] • tel: 02 4997 6556 Elena Cotos • Segreteria e abbonamenti [email protected] • tel: 02 4997 6553 Collaboratori Fulvio Bersanetti, Enrico Biasi, Nicole Cavazzuti, Elena Consonni, Manuela Falchero, Silvia Fornari, Stefano Fossati, Iri, M. Oltrona Visconti, Guido Montaldo, Gian Marco Stefanini, Daniele Tirelli 52 Pubblicità Giorgio Lomuoio • Sales Manager [email protected] tel: 02.4997.7383 Deborah Tessari • Segreteria commerciale [email protected] tel: 02.4997.6514 Chiara Donini [email protected] tel: 02 4997 6547 Piera Pisati • Lombardia [email protected] tel: 02 4997 6548 Mondo Media Srl • Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia [email protected] • Tel. 0458006369 Mastropasqua Pasquale • Lazio, Campania, Abruzzo [email protected] • Tel. 347 9003241 Properzi Dominique • Piemonte, Liguria, Valle D’Aosta [email protected] • Tel. 347 2821493 Nadia Zappa • Ufficio Traffico INNOVAZIONE [email protected] • tel: 02 49976534 58 QUANTCAST Abbonamenti N. di conto corrente postale per sottoscrizione abbonamenti: 48199749- IBAN: IT 61 A 07601 01600 000048199749 NUOVE FRONTIERE PER IL DIGITAL ADVERTISING intestato a: Fiera Milano Media SpA, Piazzale Carlo Magno 1, 20149 Milano. tel: 02 252007200 • fax: 02 49976572 • [email protected] 60 DELIVERY Abbonamento annuale: N 30,00 IVA inclusa Abbonamento per l’estero: N 60,00 SE LA SPESA LA CONSEGNA IL ROBOT Stampa FAENZA GROUP – Faenza (Ra) • Stampa Aderente a: Fiera Milano Media è iscritta al Registro Operatori della Comunicazione n. 11125 del 25/07/2003. Tutti i diritti di riproduzione degli articoli pubblicati sono riservati. Bimestrale - Registrazione del Tribunale di Milano n. 235 del 24/6/2014. Proprietario ed Editore 60 Fiera Milano Media Gianna La Rana • Presidente Antonio Greco • Amministratore Delegato Sede legale • Piazzale Carlo Magno, 1 - 20149 - Milano Sede operativa ed amministrativa SS. del Sempione, 28 - 20017 Rho (MI) Foto di copertina: Sainsbury's tel. +39 02 4997.1 fax +39 02 49976573 ITINERARI Quando anche il lavoro diventa smart di Fulvio Bersanetti, REF Ricerche AGILE E INTELLIGENTE: LE NUOVE CARATTERISTICHE CHE RENDONO PIÙ PRODUTTIVA, AUTONOMA E AL PASSO CON I TEMPI L’ATTIVITÀ LAVORATIVA N egli ultimi numeri di questa rivista la rubrica Itinerari ha voluto offrire una panoramica di alcune delle tendenze (il fenomeno delle imprese innovative: le start up) e delle problematiche (l’impiego dei voucher) che qualificano l’attuale mercato del lavoro. Un mercato del lavoro che nel 2016 ha proseguito e consolidato il percorso di ripresa, come illustra l’ultima rilevazione sul tasso di disoccupazione, che in questi mesi ha toccato il minimo da oltre tre anni. Proseguiamo dunque in questo excursus tematico dedicando alcune riflessioni ad una delle materie più dibattute e controverse dei tempi recenti: il lavoro agile o lavoro intelligente, più comunemente noto come “smart working”. Nuove frontiere del lavoro Secondo la definizione prevista dal disegno di legge presentato dal Governo lo scorso febbraio, esso va inteso come una modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato allo scopo di incrementare la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti, sia nelle imprese private che nella pubblica amministrazione, e senza differenziazioni in termini di trattamento economico. 4 GIUGNO/LUGLIO 2016 I benefici dello smart working: quattro attori VANTAGGI • PER LE IMPRESE • PER LE PERSONE • PER L’AMBIENTE • PER LA SOCIETÀ Naturalmente, l’aspetto più innovativo del fenomeno ha a che vedere con l’adozione di una nuova filosofia di gestione dell’attività lavorativa che trova il suo equilibrio nella restituzione alle persone di autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti a fronte di una maggiore responsabilizzazione rispetto agli obiettivi dell’organizzazione di appartenenza. I vantaggi dello smart working possono essere raggruppati in quattro aree: 1. per le imprese (migliori performance economiche, contenimento dei costi fissi, riduzione degli spazi fisici, attrazione di talenti) 2. per le persone (conciliazione famiglia-vita-lavoro, maggiore flessibilità e benessere) 3. per l’ambiente (riduzione dell’inquinamento e delle emissioni di CO2) 4. per la società (effetti positivi sulla mobilità e sostegno all’evoluzione degli ambienti urbani in modalità smart cities). LO SMART WORKING NELLE GRANDI AZIENDE PRESENTE PREVISTO ASSENTE nazionale): solo il 5% del totale ha avviato un progetto strutturato di smart working, mentre il 9% ha introdotto informalmente logiche di flessibilità e autonomia. Più di tutto, però, sorprende il fatto che oltre una piccola impresa su due non conosca questa impostazione innovativa o si dichiari non interessata ad adottarla. NON SO Layout fisico Flessibilità di luogo Smart working: pro e contro ocial collaboration lessibilità di orario Device 0% 20% 40% 60% 80% 100% Fonte: Osservatorio Smart Working Politecnico di Milano Italia: una grande impresa su due lo adotta ma tra le pmi… Che ormai non sia (o non lo sia più) solo un fenomeno di nicchia o una moda d’oltreoceano lo suggeriscono i dati: secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano, nel 2015 una grande impresa su due ha già adottato o sta sperimentando in modo strutturato o informale questa nuova impostazione del lavoro. Più nello specifico, il 17% delle organizzazioni di maggiori dimensioni attive nel nostro Paese ha già avviato progetti organici di smart working, introducendo in maniera stabile nuovi strumenti digitali, policy organizzative e nuovi layout fisici degli spazi (l’incidenza sul totale è più che raddoppiata in confronto allo scorso anno). A queste si aggiunge un ulteriore 14% di grandi imprese che dichiara di essere in fase “esplorativa” e un altro 17% che ha implementato iniziative ad hoc di flessibilità riservate a specifici profili e ruoli aziendali. In questo contesto il settore del largo consumo non ha fatto eccezione: nell’ultimo biennio le esperienze pilota si sono moltiplicate e, tra coloro che possono essere considerati come i pionieri dello “smart working” in Italia, Barilla ha recentemente annunciato l’intenzione di ampliare il ricorso al lavoro agile da 4 a 8 giorni al mese. Tra le PMI, tuttavia, la diffusione risulta ancora decisamente circoscritta (e questo dato, in realtà, contribuisce a ridimensionare il fenomeno, considerate le caratteristiche del tessuto produttivo +10-15% AUMENTO DELLA PRODUTTIVITÀ I primi studi disponibili hanno provato a quantificare i benefici dello smart working sui diversi fronti: un giorno/settimana di lavoro in modalità flessibile garantirebbe per l’impresa un aumento della produttività (almeno inizialmente) nell’ordine del 10-15% ed un efficientamento dei costi di gestione dello spazio fisico compreso tra il 15% ed il 20%. D’altro canto, per il dipendente esso corrisponderebbe a circa 90 ore di spostamenti casa-lavoro risparmiate ogni anno e circa 700 euro di minori costi di mobilità, con un evidente miglioramento dell’equilibrio lavoro-vita privata. Come ogni innovazione che si rispetti, tuttavia, non mancano i rischi: se da un lato occorrono maturità, fiducia, disciplina personale e coordinamento, dall’altra non è raro il pericolo che si manifesti ciò che i sociologi chiamano “work intensification”, ovvero una sovra esposizione del lavoratore rispetto alla gestione a distanza dei carichi di lavoro. In ultimo la tecnologia: in un Paese che è fanalino di coda in Europa per la diffusione della banda larga (in alcune Regioni solo sette cittadini su dieci possono accedere ad internet con una connessione ad alta velocità), essa può diventare una falsa “commodity” ed operare come handicap (e non come facilitatore) dello smart working. I comportamenti dei consumatori e dei lavoratori stanno rapidamente evolvendo: è prioritario attrezzarsi e costruire le condizioni (ma anche le competenze) per poter cogliere tutte le grandi occasioni che offre il mondo smart di oggi. S LO SMART WORKING NELLE PMI PRESENTE PREVISTO ASSENTE NON SO Layout fisico Flessibilità di luogo ocial collaboration lessibilità di orario Device 0% 20% 40% 60% 80% 100% Fonte: Osservatorio Smart Working Politecnico di Milano GIUGNO/LUGLIO 2016 5 ECONOMIA Se la promo ha perso il suo appeal IL MERCATO SUBISCE UNA BATTUTA D’ARRESTO, MA IL RICORSO Έ Ή di Carmela Ignaccolo B anche in subbuglio, attentati internazionali, battibecchi europei ad ampio raggio (dalla macro economia all’apertura delle frontiere, tanto per intenderci): una congerie di cause di natura variegata ha minato la già flebile fiducia dei consumatori, depresso le vendite e innescato uno stop tanto evidente quanto inatteso. Chiari in merito i risultati del primo quadrimestre del 2016 che registrano 6 GIUGNO/LUGLIO 2016 un timidissimo +0,4% a volume a fronte del robusto +2,2% del 2015. “Ad ogni modo è proprio vero: non tutti i mali vengono per nuocere – commenta Gianpaolo Costantino, consulente IRI – questo scenario inatteso, infatti, ci ha permesso di guardare alle promo e al loro andamento al netto di condizionamenti esterni. Mi spiego meglio: lo scorso anno tra la ripresa dei consumi e l’attività promozionale non poteva essere stabilito un nesso immediato di causa ed effetto. Quest’anno, invece, alla luce del nuovo stallo dei mercati, è più semplice fare il punto sulle promozioni, sulla loro efficacia e sull’atteggiamento dei consumatori. Cosa emerge? Il primo dato riguarda l’atteggiamento essenzialmente tattico del Largo Consumo Confezionato che, di fronte a questo stop del mercato, nel progressivo ad aprile, ha rialzato di 0,3 punti la pressione promozionale rispetto all’analogo periodo del 2015, attestandosi al 28,4%. Si tratta di tentativi di risollevare le vendite che non pare abbiano incontrato il favore dei consumatori: questi infatti, nonostante la frenata dei consumi, non sembrano affatto lusingati dalle offerte e dai tagli prezzo. Come dimostra bene il -4,2% delle vendite incrementali. Cosa vuol dire, dunque? Che ancora una volta il consumatore, nonostante le discontinuità economiche continua a mettere valore nel carrello, preferendo non fare acquisti in stock, ma compere più ponderate. In pratica il trend emerso lo scorso anno, in condizioni diverse, continua anche oggi, nonostante i presupposti siano ANDAMENTO DEI PREZZI NEI REPARTI dic-15 gen-16 feb-16 mar-16 apr-16 Bevande 0,0 0,2 0,2 -0,4 -0,4 Ortofrutta 3,6 2,4 1,2 -0,3 -0,7 Freddo -0,4 0,0 -0,2 -0,2 -0,8 Drogheria Alimentare 0,8 0,2 0,1 -1,0 -0,8 LCC -0,2 -0,3 -0,5 -1,1 -1,3 Pet Care -2,0 -1,3 -2,3 -1,5 -1,8 Cura Casa -1,2 -0,9 -1,1 -1,5 -1,9 Fresco -1,9 -1,6 -1,6 -1,7 -2,2 Cura Persona -1,6 -0,9 -1,4 -1,7 -2,2 Fonte: IRi – Inflazione Tendenziale del Carrello – Ipermercati, Supermercati, LSP, Drugstore QUEST’ANNO, ALLA LUCE DEL NUOVO STALLO DEI MERCATI, È PIÙ SEMPLICE FARE IL PUNTO SULLE PROMOZIONI E SULLA LORO EFFICACIA PRESSIONE PROMO % A VALORE 30 28,4 27,9 28,4 20 10 0 2014 2015 Prog. 2016 Fonte: IRi – Ipermercati, Supermercati, Libero Servizio-Piccolo, Drugstore. Totale Italia. Progressivo aggiornato ad Aprile 2016 cambiati. La domanda giusta da porsi, dunque, sarebbe: “Al giorno d’oggi, la promozione è in grado di influire sulla domanda?”. Lei che ne dice? Ritengo che sia tuttora un fattore fondamentale, ma a patto che venga studiata e non fatta impulsivamente, come scelta tattica giustificata esclusivamente dalla mera contingenza. Parliamo quindi di personalizzazione dell’offerta e ritengo risiedano proprio qui le principali opportunità per chi offre prodotti di marca ed evoluti. Questa disamina riguarda indifferentemente tutte le categorie? Senz’altro. Anzi per corroborare la tesi secondo cui non vi è relazione alcuna tra crescita della domanda e taglio prezzo, le fornisco un’ulteriore informazione: le categorie in cui aumenta la propensione alla vendita sono proprio quelle con una pressione promozionale inferiore alla media (23,8 vs 28,4%). Forse anche perché in un clima di deflazione, un generico taglio prezzo è sempre meno appealing. La sua conclusione? Assiomatica, direi: le promo non si stanno facendo sempre in maniera corretta, ma spesso sono troppo tattiche e poco funzionali. Emerge dunque la necessità di riesaminare l’allocazione degli investimenti di marketing per rilanciare concretamente la domanda. S GIUGNO/LUGLIO 2016 7 CONSUMATORI LA RIDUZIONE DI SPESA PRESSO I SUPERMERCATI SEMBRA ESSERE STATA ATTUATA SOPRATTUTTO DA: • RESIDENTI NEL SUD ITALIA E NELLE ISOLE • RESIDENTI IN CENTRI ABITATI CON OLTRE 100.000 ABITANTI • INDIVIDUI IN ETÀ INFERIORE AI 55 ANNI • FAMIGLIE CON 4 COMPONENTI ED OLTRE • GRAZIE ALLE OFFERTE NEI PUNTI VENDITA E AL CRESCENTE RUOLO DEL WEB CON OFFERTE E COMPARATORI ONLINE L’ANALISI IN DETTAGLIO ESTRAPOLATA IN ESCLUSIVA PER INSTORE: L’IDENTIKIT DEI CONSUMATORI CHE HANNO RIDOTTO LE SPESE CAMBIANDO SUPERMERCATO (indagine condotta a febbraio 2016) PROFILO PER SESSO Quelli che… risparmiano 51,9% 48,1% DONNE UOMINI PROFILO PER ETÀ NELL’ULTIMO ANNO QUASI UN ITALIANO SU QUATTRO HA CAMBIATO SUPERMERCATO IN CERCA DI PREZZI PIÙ VANTAGGIOSI. ECCO L’IDENTIKIT DEL CONSUMATORE “INFEDELE” di Manuela Falchero 11,4% 55 ANNI E OLTRE 10,8% 18-24 ANNI 25,9% 22,8% 45-54 ANNI 25-34 ANNI 29,1% 35-44 ANNI LA METODOLOGIA mUp Research ha condotto 1.402 interviste online a individui adulti di età superiore ai 18 anni. Il campione intervistato è rappresentativo della popolazione italiana adulta per sesso, età, area geografica, ampiezza del Comune di residenza. Le interviste sono state condotte online tramite somministrazione di un questionario strutturato via Cawi, corso del mese di febbraio 2016. 8 GIUGNO/LUGLIO 2016 L a morsa della crisi ha imposto di stringere i cordoni della borsa, tanto che nel 2015 ben 24 milioni di italiani dovuto ridurre le spese rispetto al 2014. A dirlo è una recente ricerca commissionata dal comparatore online Facile.it a mUp research che fornisce anche la misura del fenomeno: lo scorso anno, i nostri connazionali hanno messo a segno un risparmio medio pari PROFILO PER AREA GEOGRAFICA PROFILO PROFESSIONALE 30,4% NON OCCUPATO 69,6% OCCUPATO PROFILO FAMILIARE 41,8% 27,8% 40,5% NON CONIUGATO NORDOVEST Il cliente è mobile SUD E ISOLE 13,3% NORDEST 58,2% CONIUGATO 18,4% CENTRO PROFILO PER CENTRI ABITATI 15,8% FINO A 10.000 AB. 46,2% OLTRE 100.000 AB. 13,3% DA 10.000 A 30.000 AB. 24,7% DA 30.000 A 100.000 AB. COMPOSIZIONE DEL NUCLEO FAMILIARE 8,9% 1 COMPONENTE 44,3% 4 COMPONENTI O PIÙ 20,3% 2 COMPONENTI 26,6% 3 COMPONENTI lore si assestava al 29%. Un trend che potrebbe fare pensare al rallentamento dell’esigenza di fare rinunce. “In realtà – spiega Stefano Carlin, managing partner di mUp research – la flessione rilevata può suggerire anche un’altra chiave di lettura. Nel 2011 la situazione economica delle famiglie era ormai piuttosto critica: si era, insomma, già profilata la necessità di apportare non pochi tagli alle spese. Oggi, quindi, la possibilità di mettere in campo ulteriori nuove riduzioni cambiando i punti di vendita utilizzati si è naturalmente ridotta”. Come dire, insomma, che si è già eliminato tutto quello che si poteva. a 625 euro pro capite, ottenuto riducendo tanto le voci obbligatorie quanto quelle accessorie. E proprio sul fronte di queste ultime emerge un dato che riguarda molto da vicino la distribuzione: il 24% di coloro che hanno risparmiato nell’ultimo anno dichiara, infatti, di avere cambiato supermercato in cerca di prezzi più vantaggiosi. Quello della migrazione da una insegna a un’altra rappresenta dunque un fenomeno rilevante, dal momento che tocca quasi un consumatore su quattro (fra coloro che hanno risparmiato nell’ultimo anno). Al tempo stesso, però, il dato consegna anche una fotografia in miglioramento rispetto al più recente passato: solo 5 anni fa, infatti, il va- Ma chi sono questi consumatori “infedeli”, pronti a tradire il supermercato di fiducia in nome di offerte allettanti e prezzi più convenienti? Si tratta per lo più di donne (51,9%), individui residenti al Sud e nelle Isole (40,5%), e in centri urbani con oltre 100.000 abitanti (46,2%). Piuttosto trasversale è invece l’identikit se si considera la variabile dell’età: il fenomeno tocca, infatti, in misura piuttosto simile sia la fascia più giovane (tra i 25-34 anni è coinvolto il 22,8% del campione) sia quella più matura (tra i 25 e i 44 anni riguarda il 29,1%, mentre tra i 45 e i 54 anni il 25,9%). Quanto invece al profilo socio-professionale, si distingue una netta prevalenza di occupati (69,6%) e coniugati (58,2%), che fanno spesso parte di famiglie numerose, composte da 4 o più componenti (44,3%). I single, per contro, sembrano poco o per nulla coinvolti dal trend, tanto che soltanto l’8% dichiara di avere modificato le proprie abitudini di spesa. Insegne ed aziende sono avvisate. S MODALITÀ ATTRAVERSO LE QUALI SI È CAMBIATO SUPERMERCATO PER RISPARMIARE (risposte multiple) 25,3% 74,7% 55,7% 8,9% GRAZIE AD AMICI E FAMILIARI GRAZIE A OFFERTE E COMPARATORI ONLINE OFFERTE NEI PUNTI VENDITA E VOLANTINI TELEMARKETING E ALTRO GIUGNO/LUGLIO 2016 9 WORLD WIDE MARKET USA ed Emirati: istruzioni per l’uso DUE MERCATI DIVERSI E LONTANI, MA ENTRAMBI RICCHI DI OPPORTUNITÀ PER GLI OPERATORI ITALIANI DEL SETTORE ALIMENTARE. IN ATTESA CHE SI DEFINISCA MEGLIO LA QUESTIONE TTIP N di Elena Consonni on è possibile prevedere, nel momento in cui si scrive, se il famoso (o famigerato?) TTIP andrà in porto e se UE e USA riusciranno far convergere i diversi punti di vista soprattutto sugli aspetti connessi alla sicurezza alimentare e alla protezione delle denominazione di origine. Ma, che questo trattato si firmi o meno, non cambia l’importanza degli USA come mercato di sbocco per le produzioni europee e, rimanendo in ambito food and bev, italiane. «L’export dall’UE agli USA – ha spiegato in occasione di un incontro organizzato a Cibus Mauro Bandelli, direttore esecutivo di Gen USA società di consulenza e servizi che supporta le imprese nello stabilire e sviluppare la loro presenza negli Stati Uniti – vale 426 miliardi di dollari, mentre quello in senso contrario 272: insomma dal punto di vista europeo gli USA sono più Paese importatore che esportatore. Ecco perché, nonostante in Italia si parli soprattutto dei timori degli europei, neppure i cittadini americani sono così entusiasti di questo accordo e temono ne vengano più danni che vantaggi per loro». Chi conosce bene la situazione americana prevede tempi ancora lunghi. «A mio avviso – ha sottolineato Ronald Marx, international business developer della società – la firma o meno del trattato dipende da chi diventerà Presidente: in questo momento i democratici sono a favore, ma i repubblicani no e lo stesso Sanders, il rivale democratico della Clinton, è contrario». E mentre la politica cerca l’accordo, gli scambi continuano. Gli Stati Uniti restano un punto di riferimento per l’export agroalimentare italiano: secondo Federalimentare sui 29 miliardi di euro esportati nel mondo, il 12% è realizzato in questo Paese, secondo importatore di beni agroalimentari made in Italy, con una crescita del 19,5% tra il 2014 e il 2015. 10 GIUGNO/LUGLIO 2016 Da sinistra: Ronald Marx, Mauro Bandelli e Vittorio Agnati, di Gen USA Più bio ed e-commerce D’altronde il mercato USA è davvero grande: conta 316 milioni di abitanti con PIL pro-capite intorno ai 56.000 dollari (+ 2,1% nell’ultimo trimestre e stime di continua crescita fino al 2020). Quanto al food&bev, la spesa media è di 189 miliardi di dollari, +10% da gennaio 2014. Le importazioni provengono nell’ordine da Canada, Messico, Cina ed Europa, in cui l’Italia la fa da padrona ed esistono ancora ampi spazi, attualmente occupati da prodotti italian sounding. «Dal 1960 – ha sottolineato Bandelli – la spesa totale è costantemente cresciuta mentre non sono cambiate le abitudini di consumo, metà a casa, metà fuori casa; la spesa media fuori casa è pari a 782 miliardi di dollari (+20% in 5 anni)». Le nuove tendenze sono quella del biologico – la vendita è di 26 miliardi di dollari, 10 volte più che in Italia – del naturale, del basso contenuto di zucchero e del salutistico. L’e-commerce cresce a ritmi vertiginosi (+17% all’anno) e si avvia a essere il principale canale di distribuzione negli Stati Uniti. Il segreto: trovare un buon broker Per competere nel mercato americano, bisogna testarlo con ricerche di mercato, per individuare il target più corretto. «Tra i consumatori finali – ha precisato Bandelli – i due gruppi più interessanti sono i foodies e gli health conscius. I primi (circa 30 milioni) sono estimatori del buon cibo, mangiano solo prodotti autentici, non contraffatti o italian sounding, sanno riconoscere la qualità, sono alla ricerca di nuove esperienze alimentari e sono disposti a spendere per mangiare 3-4 volte tanto la media della popolazione. Gli Health Conscious sono meno numerosi, mangiano solo cibi sanissimi, sono attenti ai valori nutrizionali e alle etichette e preferiscono prodotti bio». GIUGNO/LUGLIO 2016 11 WORLD WIDE MARKET Per i canali di vendita è opportuno rivolgersi alla distribuzione specializzata, che garantisce un buon volume di vendita, vende prodotti di qualità, autentici anche con marchio privato e a prezzi elevati; nel fuori casa sono interessanti gli specialty restaurants – ne esistono anche di strutturati in catene – che utilizzano prevalentemente prodotto autentico. «Prima ancora di approcciare il mercato con una fiera – ha spiegato Bandelli – occorre essere in regola con il contesto normativo. Poi è indispensabile assumere un broker locale, che conosce direttamente i buyer. Non basta avere un prodotto di qualità: va previsto un un budget del 3-10% per le spese di marketing e non bisogna trascurare post vendita e consumer service. È meglio prevedere una presenza con una filiale diretta: dà il miglior messaggio al mercato americano». Gli Emirati: un ponte verso il lontano e vicino Oriente Per chi invece vuole esplorare mercati meno usuali, ma molto promettenti, val la pena considerare gli Emirati Arabi Uniti che hanno alte prospettive di crescita (+4,5%) nonostante il calo del prezzo del petrolio. «La politica economica – ha spiegato Mauro Bandelli che segue anche questo mercato attraverso Gen EMIRATES – ha comportato un aumento della popolazione pari a 3 volte in 12 anni. Arriverà a 11milioni. Il valore reale medio dei salari è quadruplicato. Insomma c’è stato un reale aumento della ricchezza». Questa crescita si è tradotta in +12,7% del retail e +8,7% della ristorazione, dovuta principalmente al turismo. Questi numeri sono destinati a crescere da qui al 2020, anno di Expo negli EAU, in cui si attendono 20 milioni di visitatori per la gran parte internazionale. Oggi ci sono 11.000 ristoranti e se ne attende l’apertura di 500 nuovi all’anno. Cresceranno anche le pl: dal 3% al 10% nei prossimi anni. Il consumo di alimenti e bevande è aumentato del 40% in 7 anni (ora vale circa 9 miliardi di dollari), in 12 GIUGNO/LUGLIO 2016 3-10% BUDGET PREVISTO PER LE SPESE DI MARKETING particolare quello dei soft drink è raddoppiato, +100% in 6 anni; nonostante i divieti religiosi, cresce anche la vendita di alcolici. «Le prospettive per l’Italia sono buone – ha sottolineato – anche perché pur essendoci disponibilità di spesa per prodotti di qualità, il nostro Paese non figura tra i primi 10 che esportano negli Emirati. I residenti sono abituati a mangiare fuori (lo fanno mediamente 11 volte alla settimana), e dopo quella locale, la cucina cinese e italiana sono quelle più gradite. Nel take away, la pizza è il prodotto più gettonato». Ma anche in questo caso non ci si può permettere di improvvisare. «Per entrare con successo nel mercato emiratino – ha sottolineato – non si può fare a meno di un agente/distributore locale, è consigliabile eseguire un periodo test nei negozi di specialità e nei ristoranti, partecipare a eventi come “taste of Dubai”, “Gulfood” o organizzare un “Italianfood festival” all’interno di altri eventi. Può essere utile individuare degli ambasciatori per promuovere i prodotti». E se si sta valutando se percorrere questa rotta commerciale non va dimenticato che gli Emirati sono un hub verso mercati emergenti come India, Pakistan, Turchia e Arabia Saudita. Gli scambi commerciali con queste aree sono tutti in crescita. S PROSPETTIVE Vapiano: dopo l’EAU cercasi partner in Italia P TRA GLI OBBIETTIVI DEL FRANCHISOR CON SEDE IN GERMANIA, L’APERTURA DI UNA RETE ITALIANA E L’INCREMENTO DI PUNTI DI RISTORAZIONE NEL MIDDLE EAST IN VISTA DI DUBAI EXPO 2020 di Marco Oltrona Visconti Mario Bauer, CEO di Vapiano Franchising 14 GIUGNO/LUGLIO 2016 erché un format globale che si identifica con un’offerta e un’immagine tipicamente italiane non è presente nel Bel Paese? A questa domanda il CEO di Vapiano Mario C. Bauer risponde lasciando intendere concreti propositi di fattibilità per un futuro non molto lontano: «In Italia il livello di competizione è molto elevato. Da un lato il tessuto imprenditoriale mostra una prevalenza di ristoratori privati che in ogni angolo del territorio esprimono una buona qualità. Dall’altro lato la ristorazione a catena nel vostro Paese attecchisce meno velocemente rispetto ad altri stati europei, come Francia e Spagna, che al momento consideriamo un target primario. Ecco perché per investire in Italia stiamo cercando partner professionali che siano in grado di supportarci con la formula della joint venture e con l’obbiettivo di aprire almeno 20 punti di vendita in franchising». Un secondo obiettivo di sviluppo inerente la rete di affiliati riguarda il Medioriente e in particolare gli Emirati Arabi Uniti (EAU) in vista di Expo 2020. Attualmente il gruppo può vantare a Dubai due location in altrettanti mall e una su strada. A ogni buon conto, il pia- me gli EAU, che, tra gli svariati obbiettivi inclusi nel suo indirizzo politico, ambisce a diventare il punto di riferimento turistico e commerciale nel segmento del lusso in Medioriente. Un’architettura tutta italiana Attualmente Vapiano conta 170 ristoranti in 31 paesi distribuiti su 4 continenti, un numero di aperture che si è perfezionato in soli 14 anni. «Nessun franchisor europeo del segmento fast-casual dining – dice Bauer – può vantare una crescita così rapida». A testimonianza di un modello di offerta e di un format collaudati che si esprimono al meglio in location di 800-1000 mq, non si dimentichi che a stabilire le linee guida del layout di Vapiano, sin dall’epoca della fondazione, avvenuta nel 2002 è stato chiamato l’architetto Matteo Thun, tuttora consulente dell’insegna. Mentre per l’ambiente e gli arredi è previsto l’impiego di essenze materiche sempre vere e naturali come il marmo legno grezzo, piastrelle di varia natura ed alcune erbe di giardino sparse dappertutto, una seconda particolarità concernente le formule di servizio no di aperture dichiarato, in ossequio alla road map dell’evento planetario che, in questa tornata mediorientale, sarà dedicato alla gestione delle risorse energetiche e all’alta tecnologia (“Connect the mind, create the future” è il claim), è quello di realizzare 8 location intorno ai 400 mq di formato, all’interno dei più importanti punti commerciali e turistici della città: Mall of Emirates, Marina Mall Abu Dhabi, Jumeirah Road, Sheikh Zayed e Aeroporto nel quartiere di Garhoud per citarne alcuni. Tra l’altro nei prossimi 12-18 mesi è prevista un’apertura ad Abu Dhabi: «In Medioriente – dice Bauer – ci aspettiamo una crescita turistica notevole. Le condizioni di affiliazione sono le stesse che applichiamo in Europa, tuttavia mentre nel vecchio continente le trattative sono gestite attraverso rapporti privati diretti, in EAU è sempre necessario il supporto di intermediari del settore immobiliare». Il riferimento è alle grandi compagnie, come per esempio, Nakheel (creatrice degli arcipelaghi artificiali di Dubai meglio noti come Palm Island) o Emaar (proprietaria del Burj Kalifah, il grattacielo più alto del mondo) che negli Emirati si stanno occupando della progettazione e della realizzazione delle grandi opere edilizie, in uno stato, co- VAPIANO: LE VENDITE NETTE (IN MILIONI DI EURO) 2014 2015 Dati globali 385,9 201,4 Germania 175,1 201,4 Resto dell’Europa 157,2 183,8 Resto del mondo 53,5 61,2 GIUGNO/LUGLIO 2016 15 che determinano il percorso del cliente, sono altresì i punti di somministrazione in front cooking per pasta, pizze e insalata, dove è possibile richiedere una personalizzazione della ricetta stabilendo un rapporto esclusivo con lo “chef va pianista” di turno: «In ogni parte del mondo – specifica Bauer – i best seller della nostra clientela sono la pasta alla carbonara e alla bolognese e la pizza al salame. Ed altri piatti con buone performance, soprattutto in Medioriente, sono la pizza Margherita e i piatti a base di pollo». Sempre nell’ambito delle cooking-station sono servite le bevande analcoliche una volta pronti i piatti. Vino birra e alcolici, in genere, sono somministrati al bar all’ora di pranzo oppure su ordinazione, con servizio al tavolo, la sera. LE CONDIZIONI DI AFFILIAZIONE A VAPIANO Fee d’ingresso: 50.000 Contrattazione: esclusivamente con operatori locali Royalty: 6-8% a seconda della redditività al mq L’identificazione con la cultura gastronomica della nostra penisola oltre che dalle ricette è connotata anche dal menu, sempre rigorosamente stampato italiano, con traduzioni nella lingua locale. Stabilito che in merito all’assortimento in alcune regioni Vapiano osserva le abitudini religiose del Paese ospitante – per esempio nei Paesi arabi è previsto un menu halal –, i franchisee di tutto il mondo hanno l’obbligo di inserire nel menu una serie di piatti-core che rappresentano il 20% dell’offerta. S GIUGNO/LUGLIO 2016 17 POLITICHE ASSORTIMENTALI Less is more? LA POLITICA DI RIDUZIONE DEGLI ASSORTIMENTI DA PARTE DEI RETAILER BRITANNICI NON STA DANDO I RISULTATI SPERATI. IN ITALIA, INVECE, LA REVISIONE DEGLI SCAFFALI È ALL’INSEGNA DI UNA MAGGIORE RAZIONALIZZAZIONE E FLESSIBILITÀ di Silvia Fornari S ugli scaffali della gdo britannica è in atto da tempo una guerra all’“assortimento eccessivo”. Si tratta per lo più di azioni non dichiarate ufficialmente dai retailer, che tuttavia stanno intervenendo sempre più sui display per semplificare, o meglio ridurre, l’offerta, avvicinandosi progressivamente alle politiche assortimentali dei discount. Non è un mistero che Aldi e Lidl, i due maggiori discount del Regno Unito, non abbiano risentito della crisi che invece ha colpito i “big four” (Tesco, Sainsbury’s, Morrisons e Asda). Il posizionamento low price sicuramente gioca a loro favore ma, come evidenziano numerosi osservatori in Gran Bretagna, anche la loro scelta di proporre una ridotta selezione di referenze per categoria e di semplificare la shopping experience è vincente. Con assortimenti contenuti, migliorano la gestione dell’intera filiera distributiva, i rapporti con l’industria e la performance dei brand a scaffale; i clienti risparmiano soldi e tempo, perché riescono a trovare facilmente i prodotti che cercano e a confrontarli con gli altri in offerta, e oltretutto lasciano il punto vendita con la soddisfazione di aver fatto un buon acquisto: se è l’unica scelta, è sicuramente quella giusta. I big four giocano ancora la parte del leone e Tesco da solo rappresenta un quarto del mercato, ma devono re- 18 GIUGNO/LUGLIO 2016 NUMERO MEDIO DI ITEM 30.000 cuperare le quote perdute. Tuttavia, replicare il modello assortimentale dei discount e diventare più “cheap” non sembra essere la strada vincente. Eliminare non sempre paga 7.500 Supermercati Discount Fonte: Kantar Worldpanel, Uk, febbraio 2016 LE PERFORMANCE DI RIDUZIONI E INCREMENTI DI GAMMA Percentuale delle categorie che mostrano un calo nelle vendite 39% 46% 61% 54% Percentuale delle categorie che mostrano un incremento delle vendite Ampliamento Riduzione Fonte: Kantar Worldpanel, Uk, febbraio 2016 «I supermercati tradizionali – illustra Phil Dorsett di Kantar Worldpanel, nel suo studio “Rationalising your range” dello scorso febbraio – offrono molti più prodotti: circa 30.000, quattro volte quelli di un discount. Tuttavia sono Aldi e Lidl che hanno visto un’enorme crescita negli ultimi due anni, tanto che la loro quota cumulata cresce del 50% e raggiunge quasi il 10% del mercato. I maggiori retailer hanno risposto con maggiori promesse di prezzo e un impegno alla razionalizzazione delle gamme come il Project Reset di Tesco, che intende rimuovere fino al 30% delle sue linee di prodotto. Ma un’offerta ridotta non è la chiave unica del successo. Nel periodo in cui la quota dei discount nel mercato grocery è cresciuta di tre punti percentuali, le loro linee si sono ampliate di quasi il 10%, per circa 750 linee, mentre i big four ne hanno gradualmente ridotto il numero dell’1 o 2%». Inoltre, dall’analisi di quasi 500 interventi sull’incremento o la riduzione, di almeno il 10%, delle gamme da parte dei sette maggiori retailer, Kantar Worldpanel ha rilevato una crescita del 15% nelle vendite in caso di incremento e del 7% in LE PERFORMANCE CATEGORIE VS OBIETTIVI Crescita delle vendite Shopper penetration Frequenza d’acquisto Ampliamento di gamma Riduzione di gamma +4% +2% +4% -0,4% +1% +3% Fonte: Kantar Worldpanel, Uk, febbraio 2016 Francesco Cecere, Direttore marketing e comunicazione di Coop Italia e di diversi rapporti con la marca del distributore. In secondo luogo, i discount inglesi possono effettivamente rappresentare una minaccia per il retail, mentre in Italia hanno un posizionamento differente: propongono anche un’offerta premium e si avvicinano in un certo modo al modello dei supermercati. Infine, cambia anche il peso di alcune categorie, soprattutto nel food: da noi il freschissimo, per esempio, è un mercato molto importante. E, in generale, il nostro consumo alimentare è molto più diversificato, perché possiamo contare su un patrimonio alimentare molto più ricco». Tuttavia, qualcosa si muove anche nella gdo italiana, ed è soprattutto all’insegna della razionalizzazione. La revisione dell’assortimento, nell’ottica di rendere più razionale l’offerta e più efficiente la filiera, è nell’agenda di Carrefour già da due anni. «Il nostro obiettivo – dichiara Lorenza Cortivo, direttore prodotti grande consumo di Carrefour Italia – è privilegiare l’ampiezza assortimentale e presidiare le categorie con un numero maggiore di unità di bisogno e una profondità caso di riduzione. Considerando invece le singole categorie, le vendite avanzano del 4% in presenza di ampliamenti di gamma e del 2% in caso di riduzione. «La strada più salutare è rivalutare regolarmente il mercato – suggerisce Dorsett –, il che può portare ad ampliare o a tagliare. I retailer devono stabilire quali benefici ogni singola linea di prodotto apporta alla categoria e al punto vendita, e se il rischio di allontanare i consumatori rimuovendo alcuni dei loro brand preferiti è compensato dall’efficienza gestionale che deriva da una gamma ridotta». Lo scaffale italiano sceglie la razionalizzazione Dal momento che il retail britannico è spesso precursore in fatto di tendenze per quanto accadrà, nel medio-lungo periodo, anche in Italia, c’è da aspettarsi simili tagli sugli scaffali della gdo nazionale? Soprattutto, viste le diverse caratteristiche socio-economiche, è una strada percorribile? «Esistono fondamentali differenze nei modelli di retail italiano e britannico – evidenzia Francesco Cecere, direttore marketing e comunicazione di Coop Italia –. Innanzi tutto, la quota del prodotto a marchio nel Regno Unito si attesta a circa il 40%, tre volte quella italiana, con la conseguenza di diversi spazi a scaffale per la marca industriale GIUGNO/LUGLIO 2016 19 POLITICHE ASSORTIMENTALI PERCENTUALE DI LINEE RIMOSSE PER LE PRINCIPALI CATEGORIE Categoria % di linee rimosse 1 Cibi refrigerati -5,6% 2 OTC e salute -3,6% 3 Cibi surgelati -3,2% 4 Cibo in scatola -3,0% 5 Prodotti per la casa -2,9% 6 Cibo ambient -2,3% 7 Birra, vino e alcolici -2,0% 8 Latticini -1,8% 9 Dolciario -1,0% Fonte: Iri, riduzione media mensile gen-lug 2015 vs gen-lug 2014 Anche se i tagli non sono stati massicci nel periodo considerato, alcune categorie sono state particolarmente colpite: la riduzione del 2,3% nel cibo ambient, per esempio, corrisponde all’eliminazione di 120 linee. NUMERO DI LINEE RIMOSSE PER LE PRINCIPALI CATEGORIE il più razionale possibile. Non si tratta di ridurre le referenze, ma di eliminare gli “slow moving”, i prodotti che non contribuiscono in modo positivo ai risultati prefissati. Se l’unità di bisogno è una nicchia, offriamo solo un prodotto, ma la manteniamo per differenziarci e garantire al cliente la possibilità di scelta. Inoltre, il prezzo non è più un paradigma applicabile a tutti i prodotti: bisogna valutare le categorie e il ruolo che si vuole dare loro». In Coop Italia si lavora per superare tutte le duplicazioni che non danno prestazioni aggiunte. Sotto i riflettori sono soprattutto i mercati maturi, oggetto di una razionalizzazione che dia maggiore spazio ad aree merceologiche in crescita, quali i prodotti naturali, vegetariani, vegani e biologici. «I clienti non vogliono rinunciare all’assortimento – spiega Cecere –, ma si aspettano una selezione di qualità da parte del punto vendita: se l’insegna riesce a garantirla, può aumentare la fidelizzazione. È per questo che, per i prodotti a marchio privato, puntiamo molto su filiera e origine delle materie prime». 20 GIUGNO/LUGLIO 2016 Categoria Lorenza Cortivo, Direttore prodotti grande consumo di Carrefour Italia Linee rimosse 1 Cibo ambient -120 2 Cibi refrigerati -81 3 Prodotti per la casa -39 4 OTC e salute -25 5 Birra, vino e alcolici -23 6 Cibi surgelati -21 7 Latticini -19 8 Cibo in scatola -17 9 Dolciario -6 Fonte: Iri, riduzione media mensile gen-lug 2015 vs gen-lug 2014 Secondo la ricerca di Iri realizzata lo scorso ottobre, i maggiori retailer del Regno Unito hanno ridotto del 3% i prodotti a scaffale nel 2015. Attenzione al cliente e flessibilità Fra le recenti azioni di Coop Italia, infatti, c’è la sostituzione dell’olio di palma con l’olio di oliva o oli monoseme su tutti i prodotti a marca privata; una scelta di tipo precauzionale a favore dei consumatori, come già aveva fatto con l’eliminazione degli ogm. È in programma anche il lancio di nuove linee nella seconda metà dell’anno, con un focus particolare sulle gamme Fiorfiore e Viviverde che mostrano crescite a due cifre, senza trascurare un’attenzione particolare all’area chimica, al petfood e al mondo salute e benessere che ruota intorno alla parafarmacia. «Anche nel non food – aggiunge Cecere –, per esempio nei reparti di igiene e cosmetica, il nostro obiettivo è incontrare la domanda di prodotti a valore aggiunto. Le attività promozionali vanno di pari passo e lavoriamo per razionalizzarle e semplificarle: con “Scegli tu”, per esempio, diamo al cliente la possibilità di decidere i prodotti da acquistare». Attenzione al cliente e f lessibilità sembrano il punto di partenza nella gestione assortimentale della distribuzione italiana, Coop Italia e Carrefour inclusi. Che, partendo ovviamente da politiche mainstream valide per tutto il territorio nazionale, le declinano poi sui singoli punti vendita. «In base ai format – spiega Cortivo – siamo intervenuti sul mondo gourmet, coinvolgendo pasticceria, vino, cioccolato, confetture, te e infusi, ma anche su profumeria e make up: qui volevamo offrire un assortimento più premium e connotato, quindi abbiamo eliminato alcune referenze che non ci differenziavano a favore di nuove linee di prodotto distintive». Anche nella gestione del rapporto numerico fra brand e marca industriale la politica è, ancora una volta, una declinazione della strategia d’insegna per singola categoria. «Non abbiamo stabilito una proporzione precisa – conferma Cecere –, i marchi devono convivere e il nostro intento non è di occupare gli spazi con prodotti Coop che, se sono validi, riescono a imporsi da soli». S EASYFOODSTORE, POCHI ARTICOLI E A 25 PENNY na gamma limitata di prodotti a prezzi imbattibili: questa la proposta del nuovo discount easyFoodstore, che ha aperto i battenti lo scorso febbraio a Park Royal West, Londra. Il “super budget” store rappresenta l’ultima avventura di Stelios Haji-Ioannou, il fondatore di easyJet, che già ha ampliato il proprio marchio con una dozzina di sub-brand, fra cui easyPizza e easyCoffee. L’obiettivo è chiaro: approfittare del successo dei discount tedeschi Aldi e Lidl posizionandosi in una nicchia di fascia ancora più bassa. «Dopo la mia esperienza nella distribuzione di cibo gratuito in Grecia e a Cipro – ha dichiarato l’imprenditore – questo è un esperimento più commerciale per vendere cibo basic ai meno benestanti nell’area di Park Royal». L’offerta iniziale comprende curry, pizza, pasta, biscotti e riso, per un totale di 76 referenze; al costo di 25 penny, gli shopper potrebbero acquistare tutti gli articoli per meno di 20 sterline. U GIUGNO/LUGLIO 2016 21 CASE HISTORY LOGISTICA SMART E MASSIMA AGILITÀ PER UN BUSINESS NUOVO CHE PUNTA SU AREE ANCORA INESPLORATE “P La spesa? Un algoritmo la consegnerà artendo con la mia avventura – confessa Enrico Pandian, ideatore e patron di Supermercato24 – ho forse inizialmente sottovalutato la complessità del mondo GDO in tutte le sue implicazioni. Ammetto di essere stato affascinato dal fatturato potenziale di questa realtà distributiva tanto da non dare immediatamente il giusto peso alla numerica assortimentale”. Un errore? Forse. Ma comunque veniale, visto che il progetto ambizioso di questo giovane startupper non ne è stato affatto penalizzato. Oggi infatti Supermercato24, a meno di due anni dal debutto, ha al suo attivo 300 mila euro di fatturato mensili (con un una crescita del 10% mese su mese) e 230 mila utenti registrati, di cui 38 mila clienti (in crescita del 25% mese su mese). “Il problema all’inizio – continua Enrico – era proprio quello del capitale, ma per fortuna ho potuto avvalermi di un team meraviglioso che, ben presto, è riuscito a trovare numerosi investitori. Il resto è storia. E oggi siamo quel che siamo.” Ecco, appunto, cos’è oggi Supermercato24? A voler essere concisi lo si potrebbe definire un “pratico salva tempo”, oppure un “intelligente modo di delegare”. L’ordine, infatti, si fa da remoto (tramite cellulare, tablet 22 GIUGNO/LUGLIO 2016 di Carmela Ignaccolo o computer) mentre ad andare nel punto vendita per l’acquisto e il ritiro della merce ci penserà qualcun altro. Non più e non solo, dunque, spesa a domicilio, ma spesa a domicilio con personal shopper, una persona affidabile cui delegare l’incombenza. Una bella conquista. Enrico Pandian ideatore e patron di Supermercato24 Ma come selezionate i personal shopper? Non è un’impresa da poco: non dimentichiamo che i personal shopper si recano a casa dei clienti e che per i clienti dovranno scegliere il meglio. Per questo su un totale di 25 mila candidature, abbiamo ristretto le selezioni a 3.500 candidati, per poi sceglierne circa 700. Poi la selezione procede per step: nella prima fase illustriamo agli aspiranti personal shopper come funziona il servizio, successivamente li accompagniamo sul punto vendita a fare la spesa, infine procediamo con un colloquio individuale per comprenderne meglio le attitudini. E qual è il loro margine di guadagno? Partiamo dal presupposto che la rete di “uomini sul territorio” è la nostra forza: se è soddisfatta lavorerà meglio, per questo il nostro obiettivo è garantire compensi equi. Diciamo che su una spesa media di 100 euro, il personal shopper ha un guadagno netto di 10 euro. Un attimo, allora. Forse è il caso di fare un po’ di conti: al netto del guadagno del fattorino e visto che la consegna a domicilio ha un costo non troppo dissimile dalla consegna “tradizionale” (4 euro e 90) come fate a marginalizzare? Possiamo fare affidamento su varie tipologie di entrate: dalla Gdo otteniamo una percentuale sulla spesa effettuata tramite il nostro sito. Stiamo diventando piuttosto autorevoli in questo senso, e il retail è sempre più disposto a riconoscerci questo ruolo. Pensi che – e lo dico con orgoglio – in certe aree Supermercato24 è in grado di spostare volumi significativi su insegne e anche su singoli punti vendita. Con l’industria, invece, contrattiamo sconti ad hoc per i nostri clienti. In cambio offriamo dati sugli acquisti, sull’andamento dei prodotti e sull’infedeltà dei consumatori: informazioni su cui la Grande Distribuzione è piuttosto reticente E infine adottiamo anche tradizionali operazioni di marketing. Come vede si tratta di un mix piuttosto composito. Uno dei plus è la consegna entro un’ora, cavallo di battaglia condiviso con Amazon Prime: quanto pesa per voi questo fortissimo competitor? Forse le sembrerà strano, ma per noi Amazon è una grande opportunità perché – dall’alto della sua “autorevolezza” – ha settato un nuovo livello di servizio (quello della consegna in tempo reale, o quasi) aprendo anche per noi nuovi margini d’azione. In altri termini, è stato per noi un “facilitatore” di nuovi processi commerciali e ha innalzato il livello di servizio in aree prima inesplorate. Certo, il colosso di Atlanta ha una forza competitiva enorme, ma noi siamo decisamente più snelli. IDENTIKIT SUPERMERCATO24 Data di nascita: settembre 2014 Fatturato: 1,4 mio euro 80 mila euro investimento iniziale Servizio attivo in 16 province Team di 18 persone e 700 personal shopper Target consumatori: donne dai 35 ai 45 anni, impiegate e con un figlio Mezzi di trasporto utilizzati: scooter con cassone da 120 litri, nelle grandi città; mezzi propri (è il caso, per esempio di Venezia); mezzi pubblici. Non abbiamo per esempio, magazzini e questo ci permette di estendere più rapidamente il nostro raggio d’azione anche in altre regioni fino a coprire (questo è il nostro intento) l’intera Italia. L’agilità è il solo vostro plus competitivo? Non l’unico. Dalla nostra parte gioca anche una logistica leggera e smart, basata su una nuova tecnologia, un algoritmo che incrocia svariate informazioni al fine di ottimizzare il servizio di consegna. Dalle condizioni meteo, ai feedback ottenuti nel tempo dai nostri fattorini, dai dati orari di affluenza nello store, alla tipologia di spesa effettuata: un’enorme mole di dati, processata senza soluzione di continuità per fornire un servizio impeccabile, ma sempre perfettibile. S GIUGNO/LUGLIO 2016 23 FORMAT Kentucky fried chicken, la grande sfida di Di Nicole Cavazzuti CELEBRE IN TUTTO IL MONDO, DIFFUSA IN BEN 125 PAESI, KFC È LA PIÙ FAMOSA CATENA DI RISTORAZIONE STATUNITENSE SPECIALIZZATA IN POLLO FRITTO. E ORA SI APPRESTA A CONQUISTARE L’ITALIA D’ di Nicole Cavazzuti e le persone giuste. Milano è una città interessante, ma le location non sono così numerose e gli affitti nelle vie principali del centro sono così alti da non garantire un profitto certo, che invece è una delle condizioni imprescindibili che KFC tiene in conto per la scelta del negozio. Di certo nei prossimi mesi ci concentreremo su Lombardia, Lazio, Piemonte e su Veneto ed Emilia Romagna, due regioni dove per ora siamo assenti. accordo, è approdata solo di recente nello Stivale, in compenso ci ha messo pochissimo ad aprire i primi sei punti vendita. L’ultimo (ovvero il sesto ristorante italiano, il secondo in Lombardia e il primo in provincia di Milano) è stato quello di Arese. “Il piano di sviluppo prevede l’inaugurazione di 100 locali in cinque anni su tutto il territorio nazionale attraverso una decina di imprenditori affiliati. Un percorso che affrontiamo forti del grande successo che fin da subito la nostra proposta alimentare ha riscosso ovunque: a Roma, Torino, Chieti, Genova, Brescia e ad Arese”, commenta Corrado Cagnola, amministratore delegato di KFC Italia. Come mai KFC è arrivato in Italia solo nel 2014? Perché solo allora si sono create le condizioni ideali per lo sviluppo del brand in Italia. Tenete presente che KFC si diffonde nel mondo attraverso il franchising. Prima di espandersi in un Paese l’azienda valuta quindi tre elementi: location, imprenditori e strategia di sviluppo. Pensate di approdare anche a Milano? E dove saranno le prossime aperture? Sì, senza fretta però. Aspettiamo di trovare l’occasione 24 GIUGNO/LUGLIO 2016 Corrado Cagnola, amministratore delegato di KFC Italia E che tipo di imprenditore cercate? Imprenditori con una seria volontà e capacità di investimento, interessati ad aprire tra i 10 e i 30 ristoranti, anche attraverso società costituite ad hoc. L’affiliato ideale, inoltre, è un va- attrezzature, come gestire un ristorante, come assumere il personale, come gratificarlo, etc. Di conseguenza non è essenziale un’esperienza pregressa nel settore. Quanto dura il periodo di training? Dipende, anche venti settimane. E l’affiancamento? È molto breve: facciamo aprire il ristorante solo a chi è già in grado di gestirlo insieme al suo staff. lido gestore sia a livello di dettaglio, sia a livello generale. Dal punto di vista operativo, tutti i ristoranti devono infatti essere gestiti al meglio e allo stesso modo. Ecco perché indentifichiamo un interlocutore tecnico, il principal operator. Quando l’imprenditore ha un solo punto vendita, questa figura coincide con il direttore del ristorante; mentre quando cresce il numero di ristoranti, con il direttore operativo della società. Parliamo di investimenti e di tempi di break-even? Aprire un KFC costa mediamente un milione di euro, ma l’investimento varia in base alle diverse tipologie: il drive è più costoso, mentre un ristorante in una food court di un centro commerciale – come quello aperto a metà aprile ad Arese – richiede un investimento minore. Il fatturato oscilla a seconda dei punti vendita, tuttavia si aggira sui due milioni all’anno. Quanto al ritorno, è legato in buona parte all’affitto della location. In questo senso è impossibile dare indicazioni, anche perché il business plan è gestito dall’imprenditore. UNA CATENA DI FORNITURA UNICA CONSENTE DI CONTROLLARE LA QUALITÀ DELLE MATERIE PRIME Uno sguardo ai fornitori Abbiamo una catena di fornitura unica per tutti. Gli ordini vengono effettuati su una piattaforma comune e consegnati direttamente nei punti vendita. Questa strategia alleggerisce il gestore dall’impegno di selezionare i fornitori e ci consente di controllare la qualità delle materie prime. Compito di chi gestisce il negozio è prevedere le vendite e quindi stabilire gli ordini. Che non devono essere eccessivi per contenere le spese, ma nemmeno troppo limitati per evitare di non poter adempiere alle richieste dei clienti. Il sistema informatizzato propone una soluzione per gli acquisti, ma sta al gestore decidere se seguire le indicazioni o apporre delle modifiche all’ordine. In che modo sfruttate le opportunità offerte dalle nuove tecnologie? Il flusso è automatizzato a livello tecnologico: i movimenti delle casse sono subito registrati dalle cucine e Offrite anche un servizio di formazione? Sì. Insegniamo tutto quello che riguarda il business con il training e con l’affiancamento: dove comprare cucina e GIUGNO/LUGLIO 2016 25 FORMAT PER DIFFONDERE IL MARCHIO PUNTIAMO SOPRATTUTTO SUL MONDO DIGITAL E la televisione? Per il momento non abbiamo intenzione di pianificare una campagna televisiva. La verità? Non sono sicuro valga la pena investire in questa direzione nemmeno in futuro. La tv resta un mezzo efficace, ma è caro e non in linea con lo stile di vita e le abitudini del nostro target di riferimento, che è giovane e più interessato ai canali digitali. S dal magazzino, ovvero dal back office e fanno partire gli ordini, le preparazioni e i consumi. Inoltre abbiamo menuboard totalmente digitali, animati e con offerte diverse a seconda della fascia oraria della giornata. Quali sono le vostre strategie di comunicazione? In questa prima fase ci interessa comunicare innanzitutto brand, prodotto (che cosa offriamo, come lo prepariamo e le diverse occasioni di consumo) e ristoranti (dove siamo e come siamo fatti). Per diffondere il marchio puntiamo soprattutto sul mondo digital, ovvero sul sito web e sulle piattaforme social come Facebook e Instagram, senza trascurare i mezzi tradizionali come affissioni, cinema e radio. Inoltre, curiamo l’arredo e la decorazione dei locali, per esempio con un’area dedicata al colonnello che inventò la ricetta segreta per preparare il pollo e con una zona deputata al bucket, i secchielli di cartone di KFC che presuppongono la condivisione del cibo. Tenete conto, per esempio, che il Bucket Tenders Maxi Menu è composto da 22 pezzi + 4 salse + 4 contorni + 4 bibite e costa 33 €. 26 GIUGNO/LUGLIO 2016 KENTUCKY FRIED CHICKEN LANCIA GLI SMALTI COMMESTIBILI AL 100% IN DUE DIFFERENTI SAPORI Kentucky Fried Chicken ha appena lanciato uno smalto commestibile per unghie al sapore di pollo disponibile in due versioni e colori differenti: una tonalità arancio, Hot and Spicy, e l’altra color nude, ribattezzata Original. Una curiosità: nella realizzazione del prodotto è stata coinvolta l’azienda che produce le spezie per KFC e pare che per gli smalti sia stato usato un mix di 11 spezie ed erbe aromatiche naturali e rimaste per il momento segrete. BERKELEY BOWL UN’INSEGNA LOCALE CHE HA FATTO DEL FRESCO IL SUO CAVALLO DI BATTAGLIA, ANDANDO BEN OLTRE LA FRONTIERA TRACCIATA DA WHOLE FOODS Il profeta del “biologismo” laico N el 1977, i coniugi Glenn Yasuda e Diane Kataoka, entrambi americani discendenti da immigrati giapponesi, rilevarono un locale che ospitava un bowling, al 2777 della Shattuck Avenue a Berkeley(California). Lo trasformarono nel loro primo punto di vendita in cui trasferire la loro passione per la cultura alimentare. Dato che il luogo era noto come “Berkeley Bowl (-ing)”, semplicemente, decisero di mantenere quel nome, che sarebbe divenuto ben presto localmente noto ai gourmet che vivevano attorno alla Baia. Certo, l’inflazione negli USA era, a quel tempo, al 16% e l’amministrazione Carter non faceva molto per invertire il clima economico depresso dalle crisi petrolifere e dalle umiliazioni geopolitiche subite dagli USA. Insomma non pareva proprio il periodo migliore per avviare un’azienda commerciale. Ciò nonostante, Glenn decise di lasciare il suo posto di insegnante in un college della zona, per dedicarsi al commercio ispirandosi alla nascente propensione per i prodotti biologici. Approvigionandosi al vicino mercato di Oakland iniziò così la sua relazione con il pubblico di consumatori della cittadina che vive attorno al campus dell’omonima prestigiosa Università della California. Nei due decenni successivi i signori Yasuda accumularono esperienza e consolidarono immagine e fedeltà da parte della loro clientela. Poi, nel 1999, visto il successo riscosso precedentemente, decisero di fare un salto e rilevarono un grande superstore di Safeway in fase di dismissione. Ad esso ne seguì un altro, più recente, più grande, inaugurato nel 2009. È di questo punto di vendita situato in Heinz Avenue di cui parlerò. La sua dimensione si aggira attorno ai 6.000 m2, pricipalmente dedicati all’alimentare fresco e confezionato. Non va tuttavia trascurato il suo reparto di HBA e quello degli inte- 28 GIUGNO/LUGLIO 2016 di Daniele Tirelli DANIELE TIRELLI Presidente Popai Italia, docente di Stili e Tendenze di consumo all’Università Iulm di Milano, è autore di Retail Experience in Usa. gratori alimentari anch’essi improntati alla concetto di naturalità (ove possibile). Assistito da personale specializzato è in grado di offrire ad un pubblico estremamente addentro alle fad & fashion salutistiche le diverse migliaia di soluzioni che spaziano dai fiori di Bach ai preparati erboristici più sofisticati. Nel complesso in questo supermercato lavorano circa 300 dipendenti. La passione del signor Yosuda era, come si è detto, ed è tuttora quella per i prodotti ortofrutticoli. D’altronde la Food Valley non è lontana e neppure la prestigiosa Università di agraria di Davis. La passione è la ragione per cui egli, per tutta la vita, ha coltivato – e ancora oggi mantiene – l’abitudine di alzarsi alle prime ore del mattino per recarsi al mercato e restarvi 5-6 ore a sorvegliare la qualità dei prodotti freschi destinati ai suoi due supermercati. LE TENTAZIONI A CUI IL GOURMET È ESPOSTO FREQUENTANDO BERKELEY BOWL NON SI LIMITANO CERTAMENTE ALL’ORTOFRUTTA SOLTANTO. LA MACELLERIA HA UN BANCO SERVITO CHE OGNI GIORNO PREPARA DECINE DI ELABORATI E SALSICCE HOME-MADE Si capisce, dunque, come sia possibile l’esistenza “impossibile” di una tra le realtà più sorprendenti del grocery americano. L’FMI stima che la dimensione media del reparto ortofrutta dei supermercati sia attorno ai 250 m2, con punte di 500. Quello di Berkeley Bowl supera abbondantemente i 1.000 m 2 e rivaleggia probabilmente con quello di Jungle Jim di Fairfield (Ohio). Non stupisce pertanto che questa mini-catena sia diventata un’istituzione locale e ciò per vari motivi. Il primo è certamente l’eccezionale capacità di gestire la cosiddetta “coda lunga”, cioè un assortimento che dire profondo è poco. L’impostazione, come detto in precedenza, è quella di un “biologismo” laico che ha spinto il concetto di fresco oltre la frontiera tracciata dal fuoriclasse Whole Foods, il suo principale competitor. L’ortofrutta incide, infatti, per il 30% sul fatturato complessivo che comprende anche una vivace attività di catering e di ristorazione. Il perno di tutto, quindi, è l’area dei “freschissimi”, dilatata sino ad assumere le sembianze di un mercatino locale tradizionale, sia come estetica, sia come varietà offerta sui suoi banchi. Quante referenze vi circolano in un anno? Il dato non è certo neppure per i proprietari, che rispondono semplicemente: “A lot!”. Tuttavia, cosa significhi “tante” può essere colto solo con l’osservazione diretta e sbigottita (almeno per un italiano) dei vari display di frutta e verdura. Ciò facendo si avvertono immediatamente i sintomi della “sindome di Stendhal”, ovvero dell’angoscia derivante dallo scoprire tante cose nuove e dal non poter assaggiare tutto ciò che è reso disponibile. L’elencazione di GIUGNO/LUGLIO 2016 29 BERKELEY BOWL quel che si può trovare sotto il tetto di Berkeley Bowl, sarebbe monotona e quindi citerò solo pochi reparti a scopo esemplificativo. Ebbene, tenuto conto anche di specialità quali: baby bok choy, mitzuna, komatsuna e altri vegetali esotici a foglie, si può dire che le sole insalate superano la ventina. La stessa sensazione di abbondanza si coglie di fronte allo scaffale dei tuberi, con decine di patate diverse, e poi taro, cassava, ube, cherry belle, … ciascuna varietà destinata agli specifici usi suggeriti dall’inarrestabile ibridazione delle tradizioni americane con quelle importate della cucina asiatica e sudamericana. Non meno stupefacente è il display di rape, ravanelli e radici varie anch’esse destinate a soddisfare l’esplosione delle più diverse ricettazioni vegetariane e non; uno scaffale che sembra declinare il catalogo di un orto botanico. E ulteriormente decine di mele e di pere sia in stagione (va ricordato che negli USA se ne coltivano centinaia di varietà diverse), sia in controstagione grazie all’ importazione dall’altro emisfero. Di analoga profondità l’esposizione dei funghi freschi: Shiitaki, Enoki, Abalone, Shimeji, Eryngii, Portabello assieme ad altre varietà a noi più note … e quella dei pomodori (oltre 40!) con i suoi: Pink Zebra, Cherokee Purple, Lemon Boy, Beefmaster, Miyashita Nursery, Momotaro, Early Girls, Dr. Wych’s Yellow, il violaceo Black Prince, il raro Pineapple Striped … tutte varietà che deliziano lo PER OGNI TIPOLOGIA DI CIBO FRESCO SUI BANCHI DEL BERKELEY BOWL È POSSIBILE TROVARE UN’ECCELLENTE VARIETÀ DI SCELTA 30 GIUGNO/LUGLIO 2016 IL DISPLAY DI RAPE, RAVANELLI E RADICI VARIE SEMBRA DECLINARE IL CATALOGO DI UN ORTO BOTANICO stanco palato dei “decadent consumer” che ne distinguono l’utilizzo a seconda delle occasioni di consumo. Tuttavia le tentazioni a cui il gourmet è esposto frequentando Berkeley Bowl non si limitano certamente all’ortofrutta soltanto. La macelleria ha un banco servito che ogni giorno prepara decine di elaborati e salsicce home-made, e che, oltre alle varie carni certificate USDA, propone tra quelle bovine: Black Angus, Kobe Akaushi e carni marchiate Estancia e Sunfed Ranch (aziende che alimentano ad erba, in ambienti animal-friendly). E questo la dice lunga sullo stereotipo per cui gli Americani mangerebbero solo carni gonfiate di ormoni e antibiotici! In aggiunta all’offerta descritta, i clienti possono acquistare anche carni di: bisonte, cer vo, alce, cammello e poi quaglie, pernici, fagiani e altra selvaggina…”selvaggia”, a seconda della stagione. La matrice organics dell’azienda si percepisce ulteriormente nell’incredibile reparto bulk, ancora più esteso di quello celebre del rivale Sprouts. Centinaia di prodotti sono allineati in un’area di almeno 150 m2 (té, frutta secca, caffé, pasta, semi, ecc.) e vengono venduti sfusi eliminando lo spreco ecologico del package. Che dire poi della pasticceria-forneria che opera in sinergia con il servizio catering? Nessuna miglior dimostrazione di come i supermercati USA abbiano, da tempo, inglobato il canale tradizionale della pasticceria e del bakery, specializzansosi per offrire una gamma di elaborati destinati al consumo quotidiano, ma anche ad occasioni speciali ed eventi celebrativi. Insomma, l’ipotesi che Berkeley Bowl gestisca in un anno almeno 80 mila referenze non sembra lontana dalla realtà e questa è la premessa per resistere ad una concorrenza affollata e spietata, come quella che si è sviluppata attorno alla affollatissima Baia di San Francisco. Un secondo motivo per la straordinaria popolarità di quest’ insegna è la sua fama di essere un “supermarket with a heart”. I signori Yasuda, infatti, hanno da sempre adottato un’etica particolare nella relazione con il proprio personale. Ad esempio, hanno scelto la politica di reclutare il 30% dei loro dipendenti tra i giovani che hanno avuto problemi con la giustizia e che attraverso il lavoro tentano il reinserimento nella società civile; ovviamente senza discriminarli. In altri casi, tra il loro personale vi sono stati musicisti e artisti giunti a San Francisco in cerca di fortuna. Ad essi i proprietari di Berkeley Bowl hanno concesso la flessibilità imposta dai loro impegni artistici. In conclusione, questa piccola insegna sconosciuta in Italia, rappresenta un vero caso da manuale; un caso che concretizza tanti concetti astratti del marketing-at-retail di cui parliamo, quali: shopping experience, customer loyalty, consumer-centric, ecc. Sarà per questo che diversi loro clienti mi hanno detto, spontaneamente, “Mr. and Mrs. Yasuda are really nice guys, real good people, and we spend all our money here”. S GIUGNO/LUGLIO 2016 31 immobiliare del Retail Re Punti di vista Tendenze Mercati Il nuovo che avanza LA RIVOLUZIONE DEI COMPORTAMENTI DI ACQUISTO: UN’OPPORTUNITA’ DI CRESCITA Aiutiamo Industria e Distribuzione a stare al passo col cambiamento e a trarre vantaggio dall’evoluzione dello scenario dei consumi. IRI è l’unica azienda in grado di offrire informazioni, modelli previsionali e tecnologia necessari a comprendere i fenomeni di mercato e a prendere decisioni di successo. Scopri come possiamo far crescere la tua azienda: www.iriworldwide.com L’OPINIONE di Enrico Biasi “Il punto vero in questa fase è riuscire a parlare un linguaggio di verità” PER IL PRESIDENTE DI CONFCOMMERCIO CARLO SANGALLI SIAMO DI FRONTE A “UNA RIPRESA SENZA SLANCIO, SENZA INTENSITÀ E SENZA MORDENTE”; E BISOGNA “INTERVENIRE SUI NODI STRUTTURALI CHE BLOCCANO LA CRESCITA”; IL DESTINO DIPENDERÀ DA “RIFORME ED EQUITÀ” I ndulgendo alla sintesi: “La recessione iniziata nel 2008 ha significato per le famiglie un calo di oltre il 10% del reddito disponibile, di circa il 7% della spesa in termini reali e del 36% del risparmio. Inevitabilmente, il numero delle famiglie assolutamente povere è cresciuto del 78,5%, mentre i ‘poveri assoluti’ hanno superato nel 2014 i 4 milioni (+130% rispetto al 2007). Nel 2015, finalmente, l’inversione del ciclo: reddito disponibile e spesa delle famiglie in termini reali sono cresciuti dell’1% circa, mentre il risparmio è aumentato di circa mezzo punto percentuale. Sono alcune delle cifre principali contenute nella ricerca ‘Dalla grande recessione alla ripresa? Segnali positivi ma fragili’, realizzata dall’Ufficio Studi Confcommercio e divulgata in occasione dell’Assemblea 2016 della Confederazione. Sono molte le cifre che ‘raccontano’ la gravità della crisi, la seconda più grave nella storia nazionale dalla proclamazione del Regno d’Italia: tra il 2008 e il 2014, ad esempio, il Pil è sceso del 9% in volume, con un crollo degli investimenti di oltre il 30%, tornando sugli stessi livelli del 1996. ‘È come se le famiglie italiane – dice l’Ufficio Studi – avessero spostato indietro di un ventennio l’orologio del proprio tenore di vita’. Negli anni della recessione, per continuare, sono andati distrutti oltre un milione e 800mila posti di lavoro per l’economia nel suo complesso, oltre un milione e 300mila dei quali nell’industria, mentre il numero di imprese registrate si è ridotto di oltre 86mila unità. Nel 2015 Pil e investimenti in termini reali sono finalmente tornati in positivo con una crescita di poco inferiore all’1% e anche l’occupazione è salita di oltre 190mila unità per l’intera economia. Il sistema delle imprese, invece, è sì tornato a crescere, ma solo di circa 14mila unità. Passando ai consumi, nei sette anni della crisi, la spesa alimentare si è contratta in quantità di oltre il 12% e gli acquisti di beni durevoli del 25% circa. Anche qui nel corso del 2015 le principali funzioni di consumo sono tornate a crescere in quantità, ma è comunque un recupero assai modesto rispetto a quanto perso durante la recessione. Per il 2016 l’Ufficio Studi Confcommercio evidenzia ‘segnali di rafforzamento della produzione industriale e dei consumi delle famiglie, che soprattutto nelle variazioni tendenziali, lasciano ritenere che complessivamente l’anno in corso potrebbe evidenziare un incremento produttivo rispetto al 2015 stimabile attorno ad un punto e mezzo percentuale’, mentre vanno meglio sia il mercato del lavoro che l’accesso al credito per le imprese. Questa ripresa sostanzialmente modesta dipende dai pesanti ritardi strutturali del sistema-Paese, soprattutto il deficit qualitativo del capitale umano, le carenze nelle reti dei trasporti e delle comunicazioni, l’eccesso di carico burocratico, i divari di legalità tra le diverse aree territoriali e l’eccesso di pressione fiscale su imprese e famiglie” (www.confcommercio.it, “Timidi segni di ripresa, ma la crisi ha fatto danni enormi”, 8 giugno). Hic Rhodus, hic salta “Più coraggio e meno tasse, sono d’accordo, ma il punto vero in questa fase è riuscire a parlare un linguaggio di verità”, ha affermato Matteo Renzi nel contesto dell’Assemblea succitata, attingendo a piene mani ai tòpoi della sua narrazione e difendendo, in particolare, la scelta degli 80 euro. “L’Italia riparte se restituiamo fiducia ai consumi, basta lamentazioni. Accanto all’indignazione e alla rabbia bisogna avere il coraggio e la forza di guardare avanti con fiducia e positività”. Il Premier ha qui assunto l’impegno di non toccare l’Iva nel 2017, anche se “non la si alza dal 2013”, sterilizzando le clausole di salvaguardia della Legge di Stabilità (www. confcommercio.it, 9 giugno). Intanto, incombe il 23 giugno. Secondo il facondo ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, “L’economia italiana rischia da una Brexit nello stesso modo della maggior parte degli altri Paesi europei. Non ci sono problemi specifici per l’Italia, non c’è un piano. I governi sono coscienti che questo referendum può cambiare molto lo scenario”. Peraltro, “L’Europa è in un momento di difficoltà, deve dimostrare di essere qualcosa di utile per i cittadini europei. I populismi rispecchiano un disagio diffuso tra i cittadini che vogliono più crescita, più lavoro, più benessere. I cittadini hanno ragione, sta alla classe politica europea dimostrare che l’Europa è parte della soluzione” (18 giugno). Com’è umano lei! E che tempismo… S Il nuovo che avanza GIUGNO/LUGLIO 2016 35 PUNTI DI VISTA Carmen Chieregato, Amministratore Delegato Cogest Retail In margine all’acquisizione di Cogest Retail da parte di Cushman & Wakefield LA PRIMA OPERAZIONE CONCLUSA IN AREA EMEA DOPO L’UNIONE CON DTZ TESTIMONIA L’APPEAL DI UN MERCATO RICCO DI POTENZIALE, CHE LA COMPLEMENTARITÀ DELLE DUE PIATTAFORME CONSENTIRÀ DI SFRUTTARE AL MEGLIO I l 31 maggio 2016, a 23 anni dalla fondazione, Cogest Retail è stata acquisita da Cushman & Wakefield. I dati essenziali dell’operazione sono noti: Cushman ha raddoppiato l’organico italiano, che oggi conta 280 professionisti, mentre il portafoglio congiunto è di circa 3,5 milioni di mq di Gla gestita. Personalmente, continuerò a ricoprire la carica di Amministratore Delegato di Cogest, che, anche grazie al potenziamento dell’organico e del know-how, oltre all’accesso a operatori e mercati internazionali, potrà incrementare la qualità del servizio ai propri clienti. Fin qui è cronaca, ma vorrei in questa sede estrapolare alcune considerazioni sullo stato dell’arte dei centri commerciali e del nostro mestiere. In primo luogo, stiamo vivendo un passaggio generazionale. Alle Proprietà tradizionali (developer, investitori locali, Gdo, condomini), che pure mantengono una buona quota del patrimonio retail italiano, subentrano sempre più spesso fondi o investitori globali. Globali, quindi, devono essere gli strumenti di valutazione, i processi e persino i linguaggi. L’ingresso in Cushman assicura a Cogest l’accesso a risorse, competenze e opportunità difficilmente raggiungibili con i mezzi di un’azienda nazionale. Di contro, a Cushman & Wakefield Italia – già molto forte nel settore direzionale e della logistica – Cogest porta in dote un’esperienza esclusiva e una posizione di leadership nella gestione/ commercializzazione di centri e parchi commerciali. Rapportata alle dimensio36 GIUGNO/LUGLIO 2016 ni di Cushman & Wakefield mondo, che conta 43.000 dipendenti in 60 Paesi, questa acquisizione potrebbe sembrare di portata meramente locale. Eppure l’annuncio ha suscitato interesse anche sul mercato europeo. Il fatto che, dopo l’unione con DTZ di nemmeno un anno fa, la prima operazione conclusa da Cushman & Wakefield in area EMEA riguardi una società italiana, ci permette di trarre alcune conclusioni; in primo luogo sul Paese e in second’ordine sul potenziale strategico del settore. L’Italia continua a essere appetibile, per i retailer come per le Proprietà. Opportunità da cogliere La particolare conformazione dell’offerta, tuttora polverizzata su una moltitudine di piccoli operatori indipendenti, troppo spesso incapaci di rinnovarsi, presenta ampi margini di miglioramento a disposizione di quegli operatori che sapranno intercettare, con i giusti format e i giusti brand, le esigenze di un consumatore sempre più evoluto e globalizzato. Oltre a questo, il settore retail si conferma uno dei più vivaci e promettenti, non solo nel nuovo portafoglio congiunto (Cushman più Cogest totalizzano un fatturato vicino a 35 milioni di euro, di cui circa il 50% deriva dal commerciale), ma anche nel real estate nazionale, sul quale gli investitori stranieri stanno tornando a proporsi, prendendo in considerazione anche centri medi e medio-piccoli, su tutto il territorio, Sud incluso. Nel tempo, Cogest Retail ha messo Il nuovo che avanza a punto uno stile di conduzione che abbiamo sempre amato definire artigianale, riferendoci a una consulenza di cui personalizzazione del servizio, centralità del cliente e trasparenza sono valori imprescindibili. La maggiore complessità, derivante dalla veloce mutazione degli scenari e del consumatore, ci impone oggi di “industrializzare” il metodo senza perdere in qualità. Questa è la sfida e questo è l’obiettivo condiviso, come confermato anche da Joachim Sandberg, Amministratore Delegato Italia e Responsabile dell’Area del Sud Europa di Cushman & Wakefield: “Grazie all’unione delle nostre forze si apre una fase molto interessante e motivante, che ci porterà a migliorare ulteriormente i livelli di servizio offerto, incrementando la qualità, ampliando le opportunità e aprendo nuove prospettive sia per i clienti che per i nostri collaboratori”. Il rigoroso processo di valutazione a cui Cogest è stata sottoposta è indicativo della valenza strategica del mercato italiano per investitori del calibro di Cushman. “Qualità, reputazione, cultura aziendale sono i presupposti che cerchiamo in ogni acquisizione,” ha spiegato Sandberg nel corso della conferenza stampa di annuncio. “In questo caso, si sono aggiunti altri importanti fattori: la complementarità delle due piattaforme, il potenziale di crescita commerciale e la maggiore stabilità generata dal fatturato della gestione, grazie al quale la percentuale di ricavi ricorrenti passa dal 20 al 40%”. S PUNTI DI VISTA I Am the Secret Player “EIRE cambia pelle e risorge nuovamente” nel format di RE Italy “MOMENTO DI RITROVO PER TUTTA LA REAL ESTATE COMMUNITY”, SULL’ONDA DI UN RINNOVATO OTTIMISMO CIRCA LE PROSPETTIVE COMPLESSIVE DEL COMPARTO C’ era una volta EIRE, “un progetto imprenditoriale di aggregazione con più ampie ambizioni: in parte frustrate, in definitiva, dal dispiegarsi di una congiuntura sfavorevole, che ha posto in rilevo alcuni vistosi limiti del sistema domestico”, come rilevavamo su RE-Retail 113 (luglio-agosto 2014, pag. 62); costringendo il suo fondatore a prendere atto della situazione: “faccio fatica ad identificare una vera ‘community’ del settore, che voglia nei fatti – al di là delle intenzioni o del pregevolissimo personale tentativo di qualche manager o imprenditore – giocare una partita reale per la trasformazione del Paese, generando credibilità e autorevolezza”. “La missiva inviata da Antonio Intiglietta lo scorso 29 settembre (Oggetto: annullamento manifestazione EIRE) non è stata un fulmine a ciel sereno, visti i precedenti segnali circa la sua riluttanza a prolungare un’esperienza la cui spinta propulsiva, invero vieppiù fievole, pareva essere ormai in procinto di esaurirsi. Come riportato nella nostra intervista su RE-Retail 113, ‘per poter fare un evento efficace e significativo ci deve essere un mercato. Oggi ho la sensazione che il mercato non trovi un adeguato consenso da parte dei suoi protagonisti, ovvero il sistema finanziario, quello imprenditoriale e la pubblica amministrazione’. Stendendo un velo pietoso sulla defezione di già zelanti soggetti dal montaliano ‘animo di caudatario e di postulante’, rispetto alla ‘community’ ci sovviene il concetto di felicità secondo la teoria degli atti linguistici di John Langshaw Austin: applicabile a enunciati espressi in condizioni e circostanze appropriate, cioè in contesti adatti; nella fattispecie, l’obiettivo perlocutorio non si è realizzato (ossia l’effetto ottenuto non coincide con l’intenzione di chi ha emesso l’atto illocutorio). Né è sempre possibile scoprire l’America, partendo per ‘buscar el levante por el poniente’. Dare ora spazio ai ‘what if’ controfattuali non cambierebbe la situazione di una virgola. Alla fine della fiera, il ‘luogo dell’incontro del Real Estate italiano’ non c’è più. Et pour cause: questo passa il convento...” (RE-Retail 114, ottobre-novembre 2014, pag. 64). La resurrezione di EIRE “Con grande piacere comunico che da quest’anno, superato il periodo post-crisi, EIRE cambia pelle e risorge nuovamente in questo nuovo format di RE Italy: un evento-convention che d’ora in avanti sarà il momento di ritrovo per tutta la Real Estate Community. Il destino di RE Italy è dunque quello di diventare – come lo fu EIRE per dieci anni – l’evento fulcro del settore: non vogliamo lasciare nelle mani di operatori che arrivano dall’estero il compito di colmare quel vuoto”. “È vero che i numeri del settore non sono più quelli di una volta, ma possiamo affermare con certezza che dagli anni del ‘no-hope’ siamo giunti ora a un momento di speranza: la crisi è stata lunga perché a quella immobiliare si è affiancata anche quella finanziaria, Il nuovo che avanza tuttavia i segnali di primavera ci sono tutti e a Milano sono particolarmente evidenti”. “Dobbiamo essere tutti confidenti che il trend si è invertito veramente. Solo così si può tornare a investire come un tempo. Continuare a essere scettici, invece, non aiuta a far ripartire il settore così come auspicato per risollevare l’economia dell’intero Paese”. “Tutti riconoscono che oggi non siamo più davanti a qualche sporadico investitore opportunistico, ma che c’è una struttura solida di investitori stranieri che guardano all’Italia come ad un Paese di interesse”. “C’è – soprattutto – un interesse nuovo verso l’immobiliare da parte del Governo e di tutte le Istituzioni in genere, che hanno recepito molte richieste del settore e sono pronte a introdurre nuove norme e riforme utili nella direzione della semplificazione burocratica/ amministrativa e della riduzione della pressione fiscale se le condizioni economiche del Paese lo permetteranno”. Queste le parole di Aldo Mazzocco, Presidente Assoimmobiliare, in apertura dell’edizione 2016. La manifestazione “promossa da Assoimmobiliare (con i suoi manager, imprenditori, associazioni di categoria) con la partnership scientifica di Federimmobiliare, organizzata da GiornalistiAssociati.com, realizzata grazie alle sponsorizzazioni delle imprese del settore”, svoltasi l’8 giugno a Milano presso Palazzo Mezzanotte, ha visto la partecipazione di oltre 800 top player. E non può che crescere. S GIUGNO/LUGLIO 2016 37 TENDENZE Silvia Sovrani, Marketing Assistant Network Propaganda Il marketing dei centri commerciali valorizza lidentità della marca Έ Ή L o Speciale inStoreRe “Stringiamci a coorte” del maggio scorso dedica ampio spazio al tema del marketing dei centri commerciali. In particolare, l’intervento di Mauro Rossetti, Ceo di Network Propaganda, pone l’accento sulla necessità di “fare cultura vera, alta, ovvero sensibilizzare verso il nuovo”, riprendendo l’invito del Presidente del CNCC Massimo Moretti (si veda pag. 39). La valenza strategica della leva competitiva è ormai acclarata; ma le sue declinazioni teoriche e operative non sono ancora oggetto di un interesse “scientifico” proporzionale alla rilevanza via via assunta. Se “la volontà di contribuire a una reale crescita della disciplina e delle professionalità coinvolte si scontra spesso con logiche esclusive”, anche la percezione degli operatori esterni meriterebbe un’approfondita riflessione. Segnaliamo qui, a titolo esemplificativo, il punto di vista di un “bocconiano sfuggito alle società di consulenza, con un’esperienza ventennale di management dei canali digitali”: “Da qualche anno, da quando ho cominciato a fare il consulente indipendente, mi capita di incontrare agenzie e attori che gravitano al centro del centro (commerciale). E già da quattro anni i responsabili marketing dei centri commerciali cercano di capire cosa fare per attrarre persone (o almeno, mantenere quelle che già ci vanno) con tutti i limiti di quello che amministrativamente è un grande condominio (in cui gli inquilini grossi si fanno il marketing da soli, con il 38 GIUGNO/LUGLIO 2016 volantinaggio soprattutto – Esselunga, Ipercoop, Carrefour, ecc. ecc. e vogliono semplicemente non spendere soldi nel marketing di condominio, e gli inquilini piccoli non hanno soldi da spendere nel marketing e non lo capiscono fino in fondo). Per questo spesso quando entro in un centro commerciale (non tanto spesso, a dire il vero) capisco il perché di quell’atmosfera marketing così anni ’90, le attrazioni un po’ retro, i cavallini a gettoni, i sorteggi a premi con o senza scontrino, i carrelli con la macchinina per accontentare il bimbo, le ospitate di star televisive un po’ declinanti, derivanti appunto da due fattori endogeni ‘facciamo le promozioni che capiscono tutti i condomini + cose che si sono sempre fatte’) e una esogena (l’età e la cultura media di chi va al centro commerciale oggi). E mentre il marketing dei centri commerciali è fermo agli anni ’90, con l’aggiunta normalmente di un sito che comunica in sostanza gli orari di apertura – quando va bene – e una pagina Facebook spesso triste, il 90% dei giovani e degli adulti in età da internet semplicemente smanetta con il cellulare in mano indipendentemente da dove sono. In pratica, questi NON sono più al centro commerciale. Non con il 90% della loro attenzione. Eppure, i numeri che fanno i centri commerciali, a livello di presenze e di persone, fanno impressione. Altro che Twitter o altre cose digitali. Parliamo di quasi due miliardi di visite anno, in Italia. Di cui, però, non sanno quasi nulla: questo è il problema”. Davvero? E che fare? Il nuovo che avanza La pars construens “La soluzione dell’enigma potrebbe essere far lavorare offline e online assieme, capendo bene come usare il mobile prima, durante e dopo – momenti molto diversi. Cercare di creare attrazione attraverso le informazioni che le persone lasciano online, se motivate a farlo. Aprire a nuove forme di intrattenimento meno top-down, di nicchia: ospitare un coworking, un coderdojo, uno swap party, le idee non mancano” (Gianluca Diegoli, “Il non-marketing dei centri commerciali”, 8 gennaio 2015, http:// www.minimarketing.it/2015/01/ilnon-marketing-dei-centri-commerciali. html). Essendo impegnati professionalmente sul campo da lustri (Network Propaganda festeggia quest’anno il suo venticinquennale), consiglieremmo un allargamento della prospettiva; ribadendo che, nell’ambito del variegato stock di prodotto tricolore, “ogni centro commerciale è una realtà a se stante e necessita di un approccio che sia in linea con gli elementi costitutivi della sua specifica identità di marca” (Mauro Rossetti, “L’identità deve ritornare al centro di tutte le strategie di marketing”, giugno 2011: a proposito di lustri). La costruzione di una brand identity distintiva attraverso un approccio integrato è da tempo al cuore della strategia dei player più consapevoli. E la valorizzazione della brand equity costituisce l’obiettivo principe: gli esempi abbondano, basta documentarsi. S CNCC Retailer Day 2016: il nuovo che avanza, in un mercato in evoluzione GENIUS LOCI U na (contro)rivoluzione copernicana è in atto. “Le ultime novità nel mondo del retail, oltre ai principali trend e tendenze del settore sono state al centro del consueto appuntamento organizzato da CNCC ‘Retailer Day 2016’, che quest’anno ha avuto luogo presso IL CENTRO di Arese, inaugurato solo lo scorso aprile e già modello di business di successo. La location rappresenta nel contempo una scelta strategica e l’emblema di un preciso messaggio di cui CNCC è portavoce: premiare nuovi concept e nuovi modelli di business, focalizzando l’attenzione dei professionisti del settore sull’evoluzione del mercato. Il Premio CNCC Retailer Awards 2016, giunto alla sua seconda edizione, è stato presentato da Carmen Chieregato, Presidente Commissione Concept e Gestione CNCC e AD Cogest Retail. Anche quest’anno sono in gara le migliori insegne nei vari settori merceologici, con il coinvolgimento di tutti gli attori della filiera e delle insegne che hanno scelto il canale di vendita dei centri commerciali. La premiazione dei vincitori avverrà durante il Christmas Meeting CNCC, in programma il 15 dicembre. Nella prima parte della giornata si sono avvicendati gli esperti del settore Luca Pellegrini – TradeLab, Paolo Degl’Innocenti – IBM, Fabrizio Valente – Kiki Lab, per offrire una panoramica sulle innovazioni. Francesco Ioppi – Direttore Immobiliare Gruppo Finiper e Marco Ruzza – Direttore Iper, hanno presentato IL CENTRO, descrivendo i nuovi formati e le nuove tendenze che lo caratterizzano e sottolineando l’importanza dell’esperienza, con l’intervento di Francesco Cassioli, Responsabile Marketing, Comunicazione e Stampa di Vallelunga. Nella seconda parte della giornata, hanno partecipato alla tavola rotonda retailer internazionali del calibro di KFC (Kentucky Fried Chicken), che ha scelto IL CENTRO per il proprio ingresso in Italia e per confermare le attuali tendenze del mercato che vede i centri commerciali come luogo privilegiato per raggiungere il proprio target. Anche i retailer italiani Bianchi Biciclette, Cioccolati Italiani e Viridea hanno descritto le proprie esperienze e le motivazioni che li hanno spinti a intraprendere questa scelta, nata dalle nuove esigenze del consumatore stesso. Particolarmente rilevante anche la testimonianza di Humanitas, che ha aperto presso IL CENTRO il nuovo Humanitas Medical Care, un format inedito, che negli ultimi anni ha visto l’attivazione su larga scala di servizi sanitari come laboratori dentistici, poliambulatori e laboratori analisi, all’interno dei centri commerciali”. Questo il testo del comunicato stampa diffuso il 16 giugno, a seguito dell’ormai tradizionale Il nuovo che avanza Massimo Moretti e Roberto Folgori convegno annuale: che ha raccolto 330 partecipanti. Secondo Massimo Moretti, Presidente CNCC e Head of Business Unit Portfolio Retail – Beni Stabili S.p.A., “Le sfide del futuro, ovvero il rapporto sempre più complesso e articolato con il consumatore finale e l’interazione con l’ecommerce, ci spingeranno ad avere un dialogo sempre più intenso e di natura commerciale fra proprietà immobiliari e retailer, credo dobbiamo lasciarci alle spalle relazioni basate principalmente su necessità di natura meramente contrattuale (uno spazio, un affitto). Le risposte sono ora più complesse e dobbiamo abituarci a scambiarci opinioni e necessità”. Per Roberto Folgori, Presidente Commissione Sviluppo Retail CNCC, Consigliere CdA Dedem Automatica, “L’obiettivo del CNCC Retailer Day è quello di offrire degli spunti di riflessione per poter interpretare e prevedere le ultime tendenze del mercato, anche alla luce delle testimonianze e delle case history presentate durante la giornata. Il valore degli immobili retail dipenderà sempre di più dall’abilità nel proporre una combinazione di formule innovative, dalla qualità e dalla quantità di servizi offerti e la loro capacità economica”. Chiudiamo con Ioppi: “Nel pensare a IL CENTRO abbiamo considerato come nostre priorità il valore dell’offerta e il visitatore. L’appuntamento del Retailer Day organizzato dal CNCC significa condividere con soci e colleghi il fatto che per affrontare le sfide bisogna avere coraggio, passione, genialità, forza e audacia”. S GIUGNO/LUGLIO 2016 39 ECCELLENZE Prodotti tipici in Gdo, ora c’è un accordo per difenderli e valorizzarli È UN ATTO DOVUTO DARE ALLE REFERENZE DOP E IGP LA GIUSTA VISIBILITÀ A SCAFFALE di Guido Montaldo L’ Italia è il Paese leader incontrastato per la produzione di eccellenze agroalimentari. Su oltre 1200 prodotti con marchi Dop, Igp e Stg, oltre il 20% sono “made in Italy”. Il nostro Paese è, pertanto, al primo posto della graduatoria comunitaria dei prodotti tipici ed è per questo, che i nostri prodotti sono spesso oggetto di sofisticazioni, falsificazioni, contraffazione, imitazioni e ingannevole utilizzo dell’origine geografica. “L’attività di contraffazione dei prodotti alimentari – spiega Stefano Berni, direttore del Consorzio Grana Padano e Aceto Balsamico di Modena IGP – evidenzia un giro d’affari stimato solo in Europa di oltre 20 miliardi di euro, contro un export poco superiore ai 12 miliardi e la crisi ha favorito il commercio di prodotti alimentari low cost che aumentano i rischi a tavola perché questi cibi spesso nascondono ricette modificate, l’uso di ingredienti di minore qualità o metodi di produzione alternativi. A fronte di questi dati, appare evidente che l’attività di controllo sia una priorità in un Paese come l’Italia, che ha conquistato il primato nella sicurezza alimentare a livello internazionale”. Per questo il Consorzio Grana Padano è stato promotore dell’accordo MIPAAF-GDO (siglato ad Expo), per la valorizzazione dei prodotti Dop e Igp sugli scaffali dei punti vendita. “Una vittoria del Consorzio Grana Padano – afferma Berni –. In uno studio realizzato con l’Università Piemonte Orientale, presentato due anni fa a ‘Tuttofood’, siamo stati i primi a sollecitare il Governo e la UE affinchè il consumatore potesse scegliere con chiarezza e trasparenza cosa acquistare. Da sempre, Grana Padano il prodotto Dop più consumato 40 GIUGNO/LUGLIO 2016 Stefano Berni Direttore Generale Consorzio Grana Padano e Aceto Balsamico di Modena IGP del mondo, con 4 mlni e 800 mila forme all’anno, combatte una difficile battaglia per fronteggiare il fenomeno dei ‘falsi’ e delle imitazioni ingannevoli”. “L’agropirateria, che va appunto, dai ‘falsi’ all’utilizzo indebito di marchi e nomi come il nostro – aggiunge Stefano Berni – produce effetti gravissimi. Solo per il Grana Padano, abbiamo stimato un danno di circa 1 miliardi di euro. E tutto ciò senza dimenticare gli aspetti legati ai controlli e quindi alla sicurezza alimentare dei consumatori”. “Nei negozi e nei supermercati – prosegue Berni – è forte e in continua crescita la presenza di prodotti che per aspetto, presentazione e packaging sembrano uguali a quelli Dop, ma che nulla hanno a che vedere con il livello qualitativo degli stessi. È un atto dovuto quindi, nei confronti dei consumatori, ma anche delle filiere che li sostegono, separare i prodotti Dop e Igp sugli scaffali, con un adeguata comunicazione affinchè i consumatori siano ben informati e quindi liberi di scegliere. Oggi il protocollo è stato condiviso dalle catene maggiori di supermercati, sia italiane che straniere (Lidl, Esselunga, Conad, Coop), mancano ancora i discount, ma la strada sarà breve per averli nel gruppo di lavoro”. S MERCATI/1 Cibo in scatola, alla ricerca della sostenibilità CARNE E PESCE I SORVEGLIATI SPECIALI: ALLEVAMENTI INTENSIVI, PESTICIDI E CONSERVANTI TRA I PERICOLI PIÙ TEMUTI di Gian Marco Stefanini Web Research I n termini di sostenibilità il comparto di carne e tonno in scatola non se la passa benissimo. Ecco uno dei dati più evidenti dalle nostre rilevazioni. Il comparto del cibo in scatola, infatti, era ultimo come reputazione sostenibile nel primo triennio analizzato (1° aprile 2011-31 marzo 2014) e lo è ancora, addirittura dietro al comparto dell’acqua minerale. Ultimamente si registra una risalita, ma siamo ancora agli inizi e tutto ciò rischia di andare a discapito dei produttori sostenibili. I giudizi, inerenti al rispetto della sostenibilità, sono così ripartiti: • POSITIVI • NEGATIVI • 1% 3% 22% 31% CARNE BOVINA / ALTRE CARNI IN SCATOLA LE EVIDENZE QUANDO I NAVIGANTI DOMESTICI SCRIVONO IN RETE DI CIBO IN SCATOLA, RELATIVAMENTE AL RISPETTO DELLA SOSTENIBILITÀ, MENZIONANO PRINCIPALMENTE I SEGUENTI PRODOTTI (PARERI MULTIPLI): 82% TONNO / ALTRO PESCE IN SCATOLA 77% 66% 16% 73% NEUTRALI 49% 28% VERDURE / MINESTRE IN SCATOLA 56% ALTRO 39% 35% 6% TONNO / ALTRO PESCE IN SCATOLA 42 CARNE BOVINA / ALTRE CARNI IN SCATOLA GIUGNO/LUGLIO 2016 VERDURE / MINESTRE IN SCATOLA ALTRO 16% L’indice di valutazione globale della reputazione sostenibile fa però segnare un miglioramento rispetto al precedente triennio, come già detto soprattutto per quanto riguarda i produttori virtuosi. LE CRITICHE PRINCIPALI I GIUDIZI NEGATIVI (SPESSO DECLINATI CON COMPETENZA E DETTAGLIO) RIGUARDANO PRINCIPALMENTE (PARERI MULTIPLI): • ALLEVAMENTO INTENSIVO (81%) • PESCA A STRASCICO (78%) • PESCA INTENSIVA (77%) • PROCESSI DI PRODUZIONE (72%) • CONSERVANTI (54%) • PESTICIDI (52%) • LOGICHE GLOBALI (48%) • PROCESSI DISTRIBUTIVI (47%) • COLTURA INTENSIVA (46%) • RILASCIO DA PARTE DEL PACKAGING (31%) I PREGI I GIUDIZI POSITIVI (E ANCHE IN QUESTO CASO LA COMPETENZA NEI GIUDIZI NON MANCA) RIGUARDANO PRINCIPALMENTE (PARERI MULTIPLI): • TRACCIABILITÀ DEI PRODOTTI (89%) • LOCALISMO (78%) • KM ZERO (76%) • FILIERA CORTA (74%) Identikit dei netsurfer Analizziamo ora il profilo socio demografico dei consumatori che scrivono spontaneamente nel web nazionale alla reputazione sostenibile di referenze, linee, brand alimentari presenti nella GDO. Poco più donne: 52%, di età compresa tra i 18 e i 35 anni (48%), di cultura media-elevata (58%). • PRODOTTI NATURALI / NIENTE CONSERVANTI (65%) • CODICE ETICO (42%) GIUGNO/LUGLIO 2016 43 MERCATI/1 Maggiori i pareri digitati da Nord (42%), seguiti da quelli provenienti dal Centro (31%), quindi quelli digitati dal Sud e Isole (27%). I netsurfer nazionali digitano giudizi e opinioni riguardanti la reputazione sostenibile di quanto acquistato nella GDO connettendosi da aree metropolitane nel 31% dei casi, da zone urbane nel 30%, da aree suburbane nel 28% e da piccoli insediamenti per l’11% dei pareri rinvenuti. L’ambiente web maggiormente utilizzato è rappresentato da Blog e Forum (77%), seguito dai Social Media (23%). Questo è tipico di un tema che scalda gli animi, che appassiona, che infiamma il dibattito; ricordiamo che le opinioni lasciate in ambiti dedicati sono maggiormente approfondite e pertinenti di quelle provenienti da social. Sono ascrivibili agli influencer il 46% dei pareri rinvenuti. Ricordiamo inoltre che la media nazionale di influencer nel web domestico nel 2015 è stata circa il 25%; quella degli influencer che digitano riguardo alla reputazione sostenibile di quanto venduto nella GDO sono quasi il doppio ! DISTRIBUZIONE DEI PARERI DEI NETSURFER PER AREA GEOGRAFICA 42% 31% 27% Una precisazione Se quando si parla di referenze, linee, brand e holding alimentari presenti nella GDO, molti giudizi negativi si concentrano nel rispetto della sostenibilità, è doveroso dire che numerosi sono i giudizi positivi su tali prodotti e produttori che non abbiamo considerato trattandosi di un web research sulla reputazione sostenibile. Ricordiamo che abbiamo ritenuto eleggibili ai fini di una valutazione della reputazione sostenibile 97.302.294 pareri su un totale di 602.118.578 giudizi, ovvero il 16,2 % dei pareri globali rinvenuti in rete. Ma attenzione: nel periodo 1° aprile 2011-31 marzo 2014, i pareri riguardanti la reputazione sostenibile erano stati 45.603.194 su 598.684.247, pari al al 7,6%: i pareri riguardanti la sostenibilità sono più che raddoppiati! Conclusioni La talkability riguardante la reputazione sostenibile dei prodotti alimentari venduti nella GDO è più che raddoppiata confrontando gli ultimi due trienni, anche se rappresenta ancora solo il 16 % dei giudizi totali. La maggioranza dei giudizi negativi che riguardano referenze, linee, brand, holding presenti nella GDO si concentra nella reputazione sostenibile, mentre i giudizi positivi sono uniformemente distribuiti. S WWW.WEB-RESEARCH.IT SRL È un istituto di ricerche di mercato e consulenze di marketing che offre servizi rivolti ad aziende e multinazionali presenti nel mercato domestico. Ha portato tra i primi in Italia una nuova metodologia di ricerche ed analisi di mercato: Web listening – Web research – Web monitoring. www.web-research.it ascolta il Web per scoprire, analizzare, razionalizzare cosa i clienti reali e potenziali pensano e dicono oggi e indietro nel tempo fino agli ultimi tre anni. È il partner ideale di aziende, marchi, prodotti o servizi con esposizione mediatica significativa. www.web-research.it 44 GIUGNO/LUGLIO 2016 MERCATI/2 2015, la lavatrice riprende a girare QUELLO DEI DETERSIVI PER BUCATO È UN SEGMENTO MOLTO DINAMICO: LE VERE NOVITÀ SI CONCRETIZZANO PER LO PIÙ IN TERMINI DI PROFUMAZIONE/FORMULAZIONE di Raffaella Ercoli Senior Manager Client Solutions I l comparto del Cura Casa rappresenta l’8% del totale Largo Consumo Confezionato in Italia e nei primi mesi rimane ancora l’unico segmento in flessione per quanto concerne l’andamento della spesa (-0.2%). In generale il comparto del Cura Casa ha registrato andamenti deboli in tutti i segmenti. Questa difficoltà permane già da diversi anni, anche a fronte di prezzi medi cedenti a causa dell’altissima pressione promozionale. L’unico segnale positivo arriva dal fronte dei volumi che da dodici mesi sono rientrati in terreno positivo, se consideriamo il canale della distribuzione moderna (ipermercati, supermercati, libero servizio piccolo e drugstore). Il Cura Casa è un comparto che vale 5.400 mio € in Italia (considerando tutto il canale moderno ed il discount), dove il settore della detergenza bucato si colloca al secondo posto per giro d’affari, dopo quello dei prodotti “usa e getta”. Se analizziamo i canali distributivi, sono gli ipermercati e il libero servizio ad evidenziare i trend più negativi; al contrario i supermercati e gli specializzati drugstore 46 GIUGNO/LUGLIO 2016 5.400 MILIONI DI EURO VALORE DEL COMPARTO CURA CASA evidenziano dei tassi di crescita interessanti. Solo gli Specializzati Casa Toilette, infatti, crescono anche a parità di rete e continuano ad essere un’area di opportunità per le aziende del settore. Il comparto del Cura Casa, storicamente presidiato dalle grandi multinazionali, è oggi oggetto di grande interesse anche da parte di piccole aziende italiane che, grazie alla loro dinamicità, hanno saputo incontrare i nuovi bisogni dei consumatori, puntando molto sull’innovazione di prodotto, focalizzandosi sulla riduzione degli sprechi e la promozione di eco-sostenibilità e praticità d’uso. L’impegno comune per tutti gli attori di questo comparto è di educare i consumatori al “giusto dosaggio”, al risparmio e al rispetto dell’ambiente durante la cura del bucato e degli ambienti domestici. Questo studio ha l’obiettivo di analizzare un importante segmento del mercato del Cura Casa, quello dei Detersivi per Lavatrice, evidenziando problematiche ed opportunità per i diversi operatori. Il mercato dei «Detersivi Lavatrice» nel canale moderno Quello dei “Detersivi per Lavatrice” è il mercato che ha subito la battuta di arresto più drastica tra le categorie del Cura Casa negli ultimi 8 anni, ma finalmente emergono moderati segnali di positività: il 2015 presenta infatti una timida crescita dei ricavi (+0,6%). Crescono anche le unità vendute e diminuiscono i litri/kg commercializzati a causa delle strategie messe in atto dalle aziende produttrici che riducono progressivamente il formato medio (-7% in 4 anni). Nell’anno terminante ad aprile 2016, il mercato dei Detersivi Lavatrice all’interno del canale moderno ha realizzato un fatturato di 748 milioni di Euro, con una crescita pari allo 0,6% rispetto allo scorso anno. Le unità vendute sono 169 milioni, (+6.5%), che restano sostanzialmente stabili in termini di volumi (pari a 380 milioni di litri/kg), che ammontano a 6 miliardi di misurini/dosi (in crescita del 3.6%). IL MERCATO DEI DETERSIVI LAVATRICE NEL CANALE MODERNO Fonte dei dati: IRI Infoscan Census® Totale Italia. Ipermercati, Supermercati, LSP, Drugstore. Vendite in valore AT aprile 2016 Var. vs Anno precedente Vendite in unità AT aprile 2016 Var. vs Anno precedente Vendite in volume (lt/Kg) AT aprile 2016 Var. vs Anno precedente Detersivi Lavatrice 747.699.856 0,6 Liquidi 497.780.424 3,0 169.296.871 6,5 380.277.454 0,1 129.008.275 11,0 277.840.204 2,2 Polvere 186.542.959 Capsule 61.479.644 -4,2 28.596.916 -6,8 94.801.806 -4,5 -2,1 11.306.605 -2,2 7.216.325 -10,8 Sacchetti 14.271 5,0 4.084 1,2 1.822 -16,3 Foglietti 139.154 -28,6 51.221 -19,7 50.576 -18,4 1.743.404 -22,8 329.777 -22,3 366.722 -21,6 Tavolette solide GIUGNO/LUGLIO 2016 47 MERCATI/2 Fra le aree geografiche evidenziamo ancora una flessione nel Nord Est e nel Centro + Sardegna, rispettivamente di -0,8% e -1,4% nell’anno terminante ad aprile 2016, mentre è il Sud il vero motore della crescita (+3,7%). Analizzando i canali distributivi si conferma la crisi dell’ipermercato (-6,7% a valore) e del libero servizio piccolo (-1,4% a valore). La flessione di questi due canali distributivi è evidente anche nel breve periodo; per il Libero Servizio Piccolo addirittura si registra un’accentuazione della negatività. Al contrario i negozi Specializzati danno impulso alla crescita di questo mercato (+9,6% a valore nell’anno terminante che arriva al +11,2% nel periodo gennaio – aprile 2016). Si registra una rinnovata positività anche per quanto concerne i Supermercati (+1,0% nel medio periodo), che però pare già smorzarsi da gennaio 2016 (-0,6% nel Progressivo ad aprile 2016). Quello della Detergenza Lavatrice è un mercato dove si assiste ad una progressiva riduzione del formato medio (politica di downsizing) e ad un aumento della concentrazione della formulazione di prodotto. Questo, come già accennato in precedenza, è il risultato di una costante attenzione da parte dei produttori al fattore “giusto dosaggio” e alle corrette “abitudini d’uso”. L’ASSORTIMENTO DEI SEGMENTI Numero medio di referenze Aprile 2016 Var. vs Anno precedente Detersivi Lavatrice 79,9 -3,0 Liquidi 50,1 0,6 Polvere 15,2 -0,8 Capsule 14,1 -2,7 Sacchetti 1,0 0,0 Foglietti 1,6 -0,1 Tavolette solide 1,0 -0,2 Fonte dei dati: IRI Infoscan Census® Totale Italia. Ipermercati, Supermercati, LSP, Drugstore. L’ANDAMENTO NEI CANALI DISTRIBUTIVI Detersivi Lavatrice Vendite in valore AT aprile 2016 Var. vs Anno precedente Vendite in unità AT aprile 2016 Var. vs Anno precedente Vendite in volume (lt/Kg) AT aprile 2016 Var. vs Anno precedente IS+Lsp+Drugstore 747.699.856 0,6 169.296.871 6,5 380.277.454 0,1 Hypermarkets 142.196.412 -6,7 24.899.877 -0,0 73.969.058 -8,7 Supermarkets 392.262.754 1,0 88.638.802 5,5 193.541.203 1,1 SSS 80.498.115 -1,4 20.588.763 6,4 38.302.406 -1,1 Casa Toilette 132.742.577 9,6 35.169.432 14,5 74.464.786 8,7 I diversi segmenti Il mercato della Detergenza lavatrice è profondamente segmentato, secondo i diversi stili di consumatori: liquidi e capsule per i più giovani e polveri per i più tradizionali. Queste tre formulazioni rappresentano 99,7% del fatturato. Il residuo è dato in pratica dalle tavolette solide che oramai sembrano essere scomparse dagli scaffali e dai foglietti e sachet che sono più diffusi nei mercati esteri. Negli ultimi 10 anni si è decisamente invertito il rapporto fra detersivi liquidi e polveri che insieme rappresentano il 91,5% del giro d’affari. 2/3 del mercato è rappresentato oggi dai liquidi che negli ultimi 4 anni hanno subito un processo di trasformazione: da liquidi normali a liquidi concentrati (oggi il 95% del totale), da formati medi di quasi 3 litri a flaconi di poco più di 2 litri. Il segmento dei Detersivi Liquidi è il più importante e rappresenta il 67% della spesa (con una crescita sostenuta 48 GIUGNO/LUGLIO 2016 pari al +3,0%) con un fatturato di 498 milioni di Euro. All’interno dei Liquidi vi sono i Concentrati che valgono 471 milioni di Euro (+4,6%). Il segmento dei Detersivi in Polvere rappresenta invece 187 milioni di Euro e registra oramai da diversi anni una flessione rilevante (-4,2%). La gestione dell’assortimento La Detergenza Lavatrice è un mercato molto dinamico in termini assortimentali; l’obiettivo di riduzione degli sprechi e dei fattori inquinanti ha portato a una costante riduzione e a un generale cambio dei formati di vendita, che sono molto disomogenei fra i diversi competitors. In generale a scaffale sono presenti 80 referenze (in flessione rispetto al 2015): 50 di queste sono liquidi e il restante sono polveri e capsule. Ad eccezione dei liquidi che registrano un lieve incremento, per quanto concerne tutti gli altri segmenti stiamo assistendo ad una razionalizzazione assortimentale, che coinvolge tutti i canali distributivi. Siamo di fronte a un mercato pressoché privo di reale innovazione. Era il 2010 quando erano state lanciate le Capsule liquide che, all’obiettivo di praticità d’uso, univano quello di riduzione dello spreco e del fattore inquinamento. In realtà dopo un primo successo, il segmento non è riuscito a decollare, anche se oggi tutte le principali aziende produttrici completano la propria gamma di offerta con questo prodotto. Attualmente questo segmento rappresenta solo l’8.1% del totale mercato, fattura 62 milioni di Euro (in calo del 2,1%) e commercializza 11 milioni di unità di prodotto (in flessione del 2,2%). Un «abuso» delle attività promozionali? Il mercato dei Detersivi Lavatrice è uno dei più grandi del Cura Casa ed è anche uno dei più promozionati. I volumi di prodotto in promozione raggiungono infatti il 55% (nei canali di Iper+Super+Libero Servizio). Oltre al taglio prezzo, con e senza display, in questo mercato vengono offerti formati grandi (Esempio: scorta famiglia, offerta convenienza,…) o multipacchi, che normalmente sono anche posizionati nelle aree promozionali dei punti vendita più grandi e che vengono frequentemente pubblicizzati sui volantini. Se si considera quindi la totalità dei volumi coinvolti in attività d’incentivo diretto alla vendita, la percentuale di volumi in promozione sale al 73,4% nell’anno terminante ad aprile 2016 (con una flessione di 1,1 punti rispetto all’anno precedente). Il 45,8% di queste promozioni è veicolato da grandi formati e multipacchi. Addirittura, negli ipermercati la totalità delle attività promozionali raggiunge l’85,1% (benché in leggera flessione) e il 71,4% è dato da formati grandi e multipacchi. Anche gli Specializzati Drugstore sono punti vendita in cui si pianificano numerose attività: il 67% dei volumi è venduto in promozione e il 35% attraverso multipacchi o grandi formati. In pratica l’acquisto a prezzo pieno a scaffale non esiste quasi più: le promozioni hanno inondato il mercato, i consumatori acquistano quasi esclusivamente in condizione di sconto o di vantaggio di quantità con l’effetto di aumentare lo stock in casa e la battuta di cassa media. Fondamentale diventa quindi per le aziende produttrici la corretta pianificazione del calendario promozionale presso le catene distributive. Resta comunque altrettanto importante la focalizzazione e la rivisitazione della leva del prezzo per fuoriuscire dalla spirale promozionale che sta caratterizzando questo mercato. L’ULTIMA GRANDE VERA INNOVAZIONE RISALE A 5 ANNI FA CON IL PRIMO DETERGENTE LIQUIDO CONCENTRATO E PREDOSATO IN CONFEZIONI MONODOSE Quale innovazione? Nel mercato dei Detersivi Lavatrice le novità sono soprattutto in termini di profumazione/formulazione. Negli ultimi anni, come già anticipato nei paragrafi precedenti, le aziende produttrici hanno cercato di legare i loro prodotti al valore dell’eco-sostenibilità, concetto sicuramente molto importante per il consumatore odierno, ma talvolta difficile da trasmettere per le referenze comparto del chimico casa. In questo senso l’ultima grande vera innovazione risale ancora a cinque anni fa. Procter & Gamble aveva lanciato Dash Ecodosi, il primo detergente liquido concentrato e predosato in confezioni monodose che aveva l’obiettivo di risparmiare prodotto ed energia a vantaggio di ambiente, tempo e spazio. Insomma a vantaggio del consumatore. Erano seguiti Henkel, Reckitt Benckiser, Manitoba, Realchimica, ma, probabilmente anche a causa dell’alto prezzo e alla difficoltà di dosaggio, si tratta di un segmento che non riesce a decollare, anzi oggi si registra addirittura una flessione. Henkel, che da sempre è impegnata a trovare nuove soluzioni per uno sviluppo sostenibile, ha lanciato il detergente liquido per bucato “General Basta Separare” che, grazie alla specifica formula anti-trasferimento, inibisce il passaggio dei colori da un capo all’altro durante il lavaggio e permette di lavare insieme tutti gli indumenti senza il rischio di incidenti o alterazioni dei colori stessi. Il vantaggio offerto dalla formula di questo detergente liquido è quello di poter caricare una lavatrice senza doversi preoccupare di separare i capi rappresenta un risparmio di tempo, di energia elettrica. Più indirizzati verso la cura della salute dei consumatori, del rispetto dell’ambiente sono le nuove linee “Chante Clair Vert”(Realchimica), “Winni’s” (Madel), “L’Albero Verde” (Sodalco) e Deco Green Emotions (Deco Industrie). Utilizzano ingredienti di origine vegetale, sono dermatologicamente testati, biodegradabili, adatti anche ai più piccoli. Insomma di spazio per l’innovazione ce n’è ancora! S GIUGNO/LUGLIO 2016 49 L’innovativo prodotto che ha conquistato trade e consumatori MIGLIORGATTO STERILIZED: LA PRIMA GAMMA DI PRODOTTI SECCHI E UMIDI PER GATTI STERILIZZATI CHE NON RINUNCIANO AL GUSTO L a scelta strategica di Morando, da un anno a questa parte, è molto chiara: proporre al mercato prodotti innovativi che soddisfino le reali esigenze del consumatore finale. Questa scelta si sta già rivelando vincente. A poco più di un anno dal proprio lancio Migliorgatto Sterilized, la prima gamma di prodotti secchi e umidi, completa e bilanciata per gatti sterilizzati che non rinunciano al gusto, ha già ottenuto largo consenso da parte del trade e del pubblico. Se nel 2015 dodicimila consumatori, attraverso una ricerca di mercato, hanno eletto Migliorgatto Sterilized “Prodotto dell’anno” , nel 2016 è stato insignito dell’award “Prodotto Food 2016” con le seguenti motivazioni: “premiata la strategia di segmentazione del mercato, raggiunta con un’offerta specifica di gamma molto ampia come formati e gusti e per l’intensa attività di comunicazione a sostegno”: La gamma Gusti raffinati, textures appetitose e ricette formulate secondo le specifiche esigenze nutrizionali conseguenti la sterilizzazione. I gatti hanno a disposizione una gamma completa di prodotti: paté, mousse, bocconi in salsa e gelatina, croccantini. Euromonitor stima che il 70% della popolazione felina in Italia sia sterilizzata. Il gatto sterilizzato necessita di una dieta equilibrata e specifica per prevenire il rischio di obesità e di problematiche alle basse vie urinarie. La sua è una condizione permanente e, non per questo, deve rinunciare a godere pienamente di un cibo gustoso e vario. Proprio per soddisfare questa esigenza è nato Migliorgatto Sterilized: cinque vaschette monoporzione da 100 g, tre al gusto di carne e due al pesce, formulate con il corretto apporto calorico ed un PH bilanciato che riduce la probabilità di formazione di calcoli. I prodotti Migliorgatto Sterilized racchiudono in sé tutti i valori di Morando: sono prodotti in Italia con ingredienti selezionati, non contengono coloranti e conservanti, vengono studiati da veterinari e non sono sperimentati su animali. www.morando.it MERCATI/3 L’importanza di essere “pet” di Carmela Ignaccolo MERCATI INTERNAZIONALI E TREND GLOBALI PER UN SETTORE IN CONTINUA EVOLUZIONE L’ animale domestico è sempre più spesso e sempre più diffusamente considerato parte integrante del nucleo familiare. Cani e gatti in primis, ma anche uccellini, pesci e piccoli roditori non sono da meno. Sapevate per esempio che nel 27% dei casi un pet è stato portato da un fotografo professionista perché venisse immortalato? O che in Giappone sono stati censiti ben 22 milioni di animali domestici a fronte di 16,6 milioni di bambini sotto i 15 anni? Secondo un’indagine effettuata da GFK sugli internauti di 22 nazioni, i paesi più “fanatici” in questo senso, sono Argentina e Messico dove l’80% del campione dichiara di avere un animale domestico, seguiti da Brasile (75%), Russia (73%) e USA (70%). Decisamente meno inclini, invece, i Paesi asiatici. Come dimostra la Corea che si ferma a un risicato 31%. Nonostante questa più modesta propensione verso gli animali domestici – spiega Pushan Tagore, vice presidente Pet Care Research di GfK – i Paesi orientali (grazie all’elevato numero di abitanti) detengono a livello globale una quota significativa (e per di più in aumento) del pet market. In questo senso, oltre all’America Latina, i paesi più interessanti sono infatti India e Cina, in cui 52 GIUGNO/LUGLIO 2016 il crescente reddito pro capite contribuisce a un netto cambio di abitudini: non più avanzi per cani, gatti & Co. ma, sempre più spesso, cibi preparati ad hoc, più bilanciati e più idonei alle esigenze dietetiche dei piccoli amici a quattro (e a due) zampe. 33% SONO GLI ITALIANI CHE DICHIARANO DI NON AVERE UN ANIMALE DOMESTICO Questione di genere Il sesso “debole” si rivela più incline alla compagnia di cani e gatti: il 34% delle donne ha un cagnolino e il 25% un gattino, mentre tra gli uomini le percentuali scendono, rispettivamente, al 32 e al 22%. In senso diametralmente opposto, invece, vanno le preferenze per quanto riguarda i pesci, che pare piacciano molto di più ai maschi: 14% vs 11%. Pet: una popolazione numerosa Nel mondo si registrano circa 600 milioni tra cani e gatti, con una netta prevalenza dei primi. Sempre dall’indagine effettuata su campioni online, è emerso infatti che 1/3 della popolazione possiede un cane, 1/4 (circa il 23%, quindi) è proprietario di un gatto, il 12% di un pesce e solo il 6% di un uccellino. Argentina, Messico e Brasile preferiscono nettamente i cani, mentre Russia e Francia prediligono i felini (57 e 41%, rispettivamente). In Cina, invece, troviamo un’elevata preferenza per gli uccelli (17%), in Turchia per gli uccelli (20%). Focus sull’Italia Per quanto attiene al nostro Paese, l’indagine Gfk evidenzia che se il 33% degli internauti dichiara di non avere un animale domestico, gli altri intervistati la pensano, invece, in ben altro modo. Il 39%, infatti, dichiara di avere un cane, il 34% un gatto, l’11% un pesce, l’8% un uccellino o altro. E sono sempre le donne a dimostrare un’inclinazione maggiore verso i piccoli amici (risposte multiple). Il mercato Nel 2016, secondo uno studio di Maria Lange di GfK, il mercato globale del pet food vale 70 miliardi di dollari e cresce del 4% anno su anno. L’Europa vale complessivamente 20 miliardi; sul podio dei paesi top spendenti troviamo UK (4,4 mld di dollari), Germania (4,2 miliardi) e Francia (4,1 miliardi). L’Italia, con 2,6 miliardi si colloca al quarto posto, rivelando, quindi, un margine di crescita ancora piuttosto ampio. A livello internazionale la quota dei canali distributivi è equilibrata: 50% è appannaggio degli specializzati, 50% della Grande Distribuzione. È invece a livello dei singoli Paesi che le differenze si fanno più spiccate: mentre nell’Europa occidentale il 65% del mercato è prerogativa della gdo, al contrario PERCENTUALE DI PERSONE CHE POSSIEDONO ANIMALI DA COMPAGNIA, IN 22 PAESI LE DONNE PREDILIGONO LA COMPAGNIA DI CANI E GATTI, I PESCI INVECE PIACCIONO MOLTO DI PIÙ AGLI UOMINI Fonte: Ricerca Gfk su un campione di oltre 27.000 internauti in 22 paesi. GIUGNO/LUGLIO 2016 53 MERCATI/3 Brasile e Cina danno decisamente più spazio agli specializzati che nel paese asiatico hanno una quota dell’80% e in quello sudamericano del 70%. Tipologie, specialità e formati Nella perenne disfida tra “cibo per cani e cibo per gatti” la vittoria a livello mondiale se l’aggiudica il dog food che conquista il primato delle vendite con una quota di circa il 50% in ogni paese. Un dato che balza immediatamente agli occhi è che il gusto più popolare a livello globale è il pollo. Quanto alla tipologia di alimento, il secco ha – e di gran lunga – la meglio: caso emblematico la Grecia dove raggiunge il 93% lasciando a wet food e a treats (liofilizzati in polvere) il restante, risicato 7%. Ma anche in Gran Bretagna (dove wet e treats vanno decisamente più forte con una quota, rispettivamente, del 26 e del 18%) il dry continua a “spadroneggiare” con un “vigoroso” 56%. Il trend dei formati non è omogeneo a livello globale, ma mostra delle peculiarità interessanti. La prima riguarda la Cina, dove l’ampia diffusione di razze canine piccole (per lo più non oltre i 5 kg) ha favorito lo sviluppo delle confezioni mini che oggi, nel paese asiatico, sono le top sellers. Altra evidenza interessante, perché passibile di diffusione anche in altri paesi, è quella che riguarda gli Stati Uniti dove le confezioni superiori ai 10 Kg sono pressoché uscite dal mercato. Per quanto attiene al cibo umido per cani, le confezioni più richieste sono le scatolette. Unica eccezione la Cina, dove va invece per la maggiore la pouch, che ha una quota del 49%. Sul cibo per gatti, invece, a parte gli Usa, fortemente focalizzati anche in questo caso sulle lattine (che valgono il 94% del mercato), gli altri Paesi tendono ad orientarsi verso le bustine. Negli anni si sta assistendo a una costante evoluzione della proposta, sempre più premium. E l’indicatore più chiaro è l’andamento dei prezzi in due Paesi autorevoli come USA e Cina. Nel primo caso, dal 2011 alla fine del 2015 abbiamo assistito ad un incremento del 39%; nel secondo caso, in un lasso 54 GIUGNO/LUGLIO 2016 CIRCA 50% QUOTA DELLE VENDITE DEL DOG FOOD CHE CONQUISTA IL PRIMATO DELLE VENDITE IN OGNI PAESE di tempo più ridotto e compreso tra il 2013 e il settembre 2015, i prezzi hanno avuto una crescita dell’8%. Nuovi trend La ricerca di alimenti naturali e biologici non ha risparmiato neanche il comparto del pet food. Emblematici in questo senso sono gli Usa, dove il 69% delle vendite del comparto è attribuibile al “natural” (in crescita del 9%) e dove, tra le referenze lanciate nel 2015, 4 su 5 sono bio. Crescita imponente nel settore naturale è stata registrata anche in Francia (+34%), Cina (12%), Spagna (+22%) e Sud Africa (+62%). Altro driver di crescita da monitorare con attenzione è quello del gluten free, che negli States vale già il 37% delle vendite, in crescita del 24% anno su anno. Ancora agli esordi in paesi come Francia, Spagna, Cina e Sud Africa, risulta invece più “solido” in UK, dove ha una quota del 15%, nella Repubblica Ceca (12%) e in Grecia (11%). Infine due parole sugli alimenti surgelati: dopo un exploit nel 2011 (siamo agli esordi della categoria), oggi accusano una battuta d’arresto attribuibile al fatto che in Usa la maggior parte dei richiami della FDA, è stata effettuata proprio su cibi congelati. Tanto che il lancio di nuove referenze è passato dal 5,3% del 2014 al2,8% del 2015. Crescita significativa, invece su liofilizzati e disidratati che in USA crescono del 65%. S BABY BOOMERS E MILLENNIALS GENERAZIONI A CONFRONTO Come cambiano le attitudini di consumo dei proprietari di animali domestici? Se lo sono chieste e, prontamente hanno avviato uno studio che fornisse congrue risposte, la Brakke Consulting Inc., azienda specializzata in consulenza e ricerca sulla salute animale, e la Trone Brand Energy, leader in comunicazione e marketing nell’ambito del pet. Il risultato è uno studio che indaga le generazioni presenti e future di proprietari di animali domestici e le relative abitudini di acquisto. Ecco, in breve le evidenze principali: – Le attuali pratiche veterinarie sono state negli anni condizionate dalle richieste dei Baby Boomers; il fatto che oggi stiano venendo alla ribalta i Millennials, in qualità di proprietari di animali domestici, sta innescando un importante processo di diversificazione per quanto attiene sia la sfera dei bisogni sia quella valoriale. – La categoria del pet è molto forte, ma le tradizionali pratiche veterinarie sono destinate ad evolvere. Il valore complessivo rimarrà costante, ma il mix di spesa sarà soggetto a profonde rivisitazioni, anche alla luce dei nuovi modelli di pet care che si andranno diffondendo. “Le nostre indagini – conferma Kimberly Ness Vice Presidente di Trone Brand Energy – rivelano che i Millennials non spenderanno meno per i loro animali, ma spenderanno in maniera diversa. La constatazione è che il canale preferenziale non resterà quello delle cliniche veterinarie. Pars magna assumeranno anche le farmacie tradizionali (quelle per umani) e l’e-commerce (per questo chi non offre lo shopping on line è desinato a uscire dal mercato). A guidare queste scelte saranno essenzialmente la convenienza di prezzo e quella della location. Per il canale veterinario la pressione competitiva di canali più forti, in grado di proporre un’offerta maggiore a prezzi convenienti, diverrà – quindi – sempre più incalzante. Per questo i player del mercato saranno costretti a riconsiderare come e dove incontrare i bisogni dei nuovi padroni. Pet sitting, dog walking, tolettatura e cura quotidiana saranno infatti i servizi sempre più richiesti, da fornire con tempestività”. – A differenza di quanto successo con i Baby Boomers, tra i Millennials le differenze etniche si andranno progressivamente affievolendo. La vera chiave di volta in grado di spiegare l’evoluzione della domanda risiederà dunque nel cambio generazionale. – “Ciò che caratterizza i Millennials – spiega infatti Kimberly Ness – è il loro desiderio di informazione che si contrappone alla fiducia quasi cieca riposta dai loro predecessori nei pareri (quasi assiomatici) dei veterinari, ritenuti dei veri guru. I Millennials vogliono conoscere per partecipare attivamente alla cura dei loro piccoli amici. Il successo riscosso da Dr. Google, che dispensa consigli veterinari agli internauti che lo richiedano, non fa altro che ribadire questo bisogno di sapere come prendersi cura dei propri cuccioli, allevarli, sfamarli e curarli. Ed è proprio questa estrema propensione alla conoscenza che deve essere cavalcata per conquistare i nuovi responsabili d’acquisto del futuro”. – Le scelte d’acquisto dei nuovi padroni di animali domestici saranno sempre più orientate dalla multicanalità: le informazioni credibili, infatti, non arriveranno esclusivamente dal canale veterinario, ma da una congerie di fonti. Industria e distribuzione devono tener conto di tutto ciò. GIUGNO/LUGLIO 2016 55 I PROTAGONISTI Torna a casa, Rossana NESTLÉ LASCIA, FIDA NE ACQUISISCE IL PACCHETTO E PORTA LA PRODUZIONE NEL SUO STABILIMENTO DELL’ASTIGIANO N on l’abbiamo persa. Dopo mesi di rumors a tinte fosche che la davano già fuori dal mercato, la Rossana, invece, ce l’ha fatta, scardinando ogni previsione. E così la “rossa”, che dalla sua nascita nel 1926 ad oggi ha attraversato varie vicissitudini, è tornata italiana. E questo solo da pochi giorni, da quando cioè Fida ha sottoscritto il contratto preliminare di acquisizione del ramo d’azienda relativo alle caramelle a marchio Rossana, appunto, Fondenti, Glacia, Fruttallegre, Lemoncella e Spicchi, già posseduto da Nestlé. In questo modo l’azienda astigiana, operativa nel settore delle caramelle dal 1973, va ad ampliare il suo portfolio che annovera marchi noti come Bonelle, Sanagola, Charms, Gocce, Tenerezze, Gnammy e le Irresistibili. “Per noi – commenta Eugenio Pinci, Presidente e Amministratore Delegato di Fida – è motivo di autentico orgoglio aver avviato un’operazione di questo tipo: la mission di Fida, infatti, è sempre stata quella di proporre prodotti esclusivi. E la Rossana, da 90 anni icona del gusto per migliaia di italiani, esclusiva lo è senz’altro. 56 GIUGNO/LUGLIO 2016 Oggi Fida detiene il 3,5% del mercato delle caramelle familiari. Quanto inciderà la nuova acquisizione in termine di quote? Porterà nuova linfa, senza dubbio. Le stime ci fanno propendere per un raddoppio della quota, che dovrebbe arrivare al 7%. immediatamente i volumi produttivi dei nuovi brand acquistati. Cambierete strategie comunicative sui marchi appena acquisiti? Parlarne oggi è prematuro: Eugenio Pinci, Presidente serve prima far assorbire e Amministratore i tempi tecnici dell’operaDelegato di Fida zione. Diciamo, però, che in futuro potremmo deciLe new entry rischiano di dere di modulare l’approccio al consufagocitare il vostro portfolio prodotti? matore tarandolo sui nuovi trend. Ma è Assolutamente no: i nostri marchi pretutto ancora in divenire. sidiano i display della Gdo a un livello assolutamente paritetico rispetto a quelParliamo di caramelle “storiche”, non lo della nuova acquisizione. In futuro, proprio in linea con i nuovi trend saanzi, ci ripromettiamo di incrementare lutistici dei consumatori: questo pola distribuzione, affinando le sinergie trebbe essere un problema? tra marchi, così da mettere a frutto e Dubito: il nostro è un settore solo margiottimizzare le peculiarità di ciascuno. nalmente toccato dalle mode salutistiche. Le varianti bio, light e free from esistono, Quando si avvierà la nuova produzione? certo, ma crescono poco. Le trasgressioni Il closing dell’operazione è previsto vanno godute fino in fondo, non crede? per fine giugno, contiamo di “avviare E allora ben vengano le caramelle tradile macchine” subito dopo, già da luglio. zionali: dolci e – magari – con un cuore Il nostro sito produttivo di Castagnole morbido e cremoso... S delle Lanze è infatti in grado di assorbire BIG DATA & CREATIVITY Nuove risorse per il digital advertising LA STRATEGIA DI QUANTCAST, UNO TRA I PRIMI PLAYER MONDIALI PER CAPACITÀ DI GESTIONE DELLA SEMPRE MAGGIORE MOLE INFORMATIVA “I dati sono la nostra forza, l’elemento che più ci identifica e ci appartiene” – è semplice ed efficace la descrizione che Ilaria Zampori, General Manager Quantcast Italia fa della sua azienda. “Abbiamo iniziato a misurare le audience online a partire dal 2006 – prosegue – monitorando oggi oltre 100 milioni di destinazioni web. Ben presto ci siamo accorti che analizzando il comportamento del consumatore online in tutto il mondo avevamo a disposizione un’enorme quantità di dati, informazioni preziose e ricercate nel campo del digital advertising per raggiungere il target di riferimento del brand, evitando così un inutile spreco di investimenti pubblicitari. Da qui quindi l’idea di orientarci al real time advertising, focalizzandoci soprattutto sulla rilevanza dell’adv online, un aspetto che consideriamo fondamentale sia per il brand che per il destinatario del messaggio pubblicitario” Quali nuove prospettive offerte dai big data? Sono indispensabili nella pubblicità online perché permettono di utilizzare creatività rilevanti che raggiungono in tempo reale il giusto consumatore nel momento della massima attenzione. Oltre alla rilevanza, le informazioni acquisite garantiscono all’investitore anche una corretta allocazione dei budget digitali, un’efficace azione di targeting one to one e, grazie al programmatic, una pianificazione di audience e non più di meri spazi pubblicitari. Come vengono raccolti e processati i dati nel retail? Tutto dipende dall’obiettivo dell’investitore ovvero dai KPI che si vogliono raggiungere: awareness, consideration o perfomance. Creiamo un modello predittivo basato su dati di partenza – differenti per ciascun KPI – che possono essere dati socio-demografici, keyword specifiche o attuali convertitori del sito. Il modello, 58 GIUGNO/LUGLIO 2016 aggiornandosi di continuo e in real time, consente di raggiungere la propria audience di riferimento con messaggi pubblicitari di forte impatto attraverso banner, video e formati impattanti su desktop, tablet e mobile. Ilaria Zampori, General Manager Quantcast Italia SUCCESSI Zenni Optical, azienda americana specializzata nella vendita di occhiali da sole e da vista, con il supporto di Quantcast ha aumentato del 99% la base clienti e incrementato le conversioni del 14%. Bluewater, uno dei più grandi centri commerciali d’Europa, è riuscito invece ad aumentare il traffico al proprio sito web del 320% e le vendite dell’8% in soli 3 mesi. Con quali risultati? Positivi sia in ambito di brand awareness che di perfomance. La nostra soluzione associa la potenza “dell’intention to buy” espressa nella Search, alla display per costruire un target incredibilmente personalizzato. Una soluzione branding che agisce nel mid-funnel combinando search e dati per targetizzare perfettamente le audience su larga scala (disponibile anche per messaggi video). In termini invece di perfomance il brand ha l’opportunità di ampliare la base clienti con attività di prospecting, acquisition e drive to store. Quali i vantaggi per il consumatore? Una pubblicità personalizzata, creativa e assolutamente rilevante. Il messaggio non è più invasivo e inopportuno, ma rivolto direttamente all’utente e in linea con le sue aspettative. In particolare sul mobile, che viene utilizzato 5 volte al giorno per fare ricerche sugli acquisti, l’80% dei consumatori è influenzato da mobile ads e inoltre quasi la metà (48%) dei Millennials ammette che si lascerebbe persuadere più facilmente da pubblicità più creative(*). CANNES LIONS FESTIVAL Al Cannes Lions Festival, Quantcast ha invitato sul palco Matthew Luhn, story supervisor di Pixar, per far comprendere quanto i dati, se analizzati e impiegati correttamente, possano dimostrarsi un ottimo alleato all’interno di qualsiasi processo creativo, dalla semplice pubblicità fino al grande film d’animazione. Ecco allora che se da una parte Quantcast utilizza i big data per creare miliardi di segmenti di una persona garantendo sempre più rilevanza al consumatore, dall’altra Pixar si affida costantemente ad essi per dare vita a personaggi capaci di riprodurre sul grande schermo le emozioni umane e creare empatia con il pubblico. E la privacy? Tutti i dati sono assolutamente anonimi. Quantcast infatti non raccoglie i cosiddetti dati identificativi, conosciuti anche come PII (Personally Identifiable Information), non sa a chi è associato uno specifico cookie. L’incredibile volume di dati che gestiamo, in combinazione con algoritmi altamente sofisticati, ci permette di realizzare modelli estremamente accurati dei dati demografici di base a cui è legato un cookies, il tutto ovviamente su campioni comportamentali sempre e tassativamente anonimi. S (*) “Mobile & Me – ridefinite le opportunità per i brand”: ricerca commissionata da Quantcast a Censuswide condotta (dal 4/12/2015 al 6/01/ 2016) su 3.101 consumatori tra UK, Francia e Germania con un’età superiore ai 16 anni possessori di un cellulare. http://qc.st/20UAU2b SCHEMA ESEMPLIFICATIVO DEL SEARCH POWERED AUDIENCES, SOLUZIONE BRANDING DI QUANTCAST 1. DEFINIRE IL PROPRIO PUBBLICO TRAMITE UNA SEARCH ACTIVITY 2. COMPRENDERNE L’ATTEGGIAMENTO IN FASE DI PRE SEARCH 3. IDENTIFICARE CLUSTER DI CONSUMATORI CARATTERIZZATI DAL MEDESIMO COMPORTAMENTO 4. FORNIRE LORO PROPOSTE PUBBLICITARIE TRAMITE DISPLAY E VIDEO GIUGNO/LUGLIO 2016 59 DELIVERY Così i robot ti porteranno a casa la spesa di Stefano Fossati (e anche la pizza) S e vi doveste recare a Londra oppure a Brisbane, in Australia, e vi ritrovaste a passeggiare sul marciapiede accanto a uno strano veicolo semovente poco più grande di un tagliaerba, non vi allarmate: potreste esservi imbattuti nei primi esperimenti di “delivery robotizzato”. Che nei prossimi anni potrebbe rivoluzionare il settore delle consegne porta a porta al servizio di negozi, GDO, aziende di ecommerce e società di spedizioni espresse. L’idea è “semplicemente” quella di sostituire – o quanto meno affiancare – gli attuali servizi di consegna tramite furgoni, auto e motorini con piccoli robot elettrici a guida autonoma, in grado di offrire la massima flessibilità e notevoli risparmi sui costi del personale. Robot veloce, scattante ed economico La startup britannica Starship Technologies, uffici a Londra e a Tallin in Estonia, ha da poco iniziato a sperimentare il servizio nel borgo reale di Greenwich, nella capitale britannica, con il beneplacito delle autorità locali: i suoi piccoli mezzi a sei ruote, dotati di uno scomparto interno refrigerato, consegnano alimentari, plichi e pacchi direttamente al domicilio del destinatario, muovendosi in sicurezza per le strade cittadine senza necessità di controllo da parte di un 60 GIUGNO/LUGLIO 2016 di Stefano Fossati MENTRE AMAZON E GOOGLE SPERIMENTANO I DRONI PER EFFETTUARE CONSEGNE A DOMICILIO, UNA STARTUP INGLESE E LA FILIALE AUSTRALIANA DI DOMINO’S PIZZA PUNTANO SU PICCOLI MEZZI A GUIDA AUTONOMA IN GRADO DI MUOVERSI IN MANIERA SICURA PER LE STRADE CITTADINE PER RECAPITARE GENERI Έ Ή" E IN ATTESA # A FARE CONCORRENZA AI CORRIERI È L’APP DI UBER operatore umano. Anima del progetto è Ahti Heinla, già fra i co-fondatori di Skype e oggi CEO e CTO della società fondata insieme con Janus Friss con l’obiettivo di “realizzare per le consegne a domicilio ciò che Skype ha fatto nel mondo delle comunicazioni”. I suoi robot a basso costo (meno di 2 mila dollari l’uno) saranno in grado – assicura – di effettuare consegne ai consumatori nel giro di 30 minuti, muovendosi sui marciapiedi a bassa velocità ed evitando ostacoli e persone senza alcun rischio per i pedoni: considerato il ciclo di vita stimato, un robot verrebbe a costare meno di un dollaro a consegna. Gli articoli da consegnare vengono chiusi all’interno dello scomparto e possono essere prelevati solo dai legittimi destinatari digitando un codice ricevuto al momento dell’invio della spedizione. “Forse nel giro di un paio di anni, guardando fuori dalla finestra, non vedremo tante auto ma un sacco di piccoli robot che porteranno alla gente ciò che vorrà e trasporteranno ciò che le persone non avranno più bisogno di andare a prendere”, sogna a occhi aperti il numero uno di Starship, che nel frattempo intende allargare la sperimentazione ad altre zone del Regno Unito a agli Stati Unti. Domino Pizza e il suo prototipo Il robot addetto alle consegne della startup britannica Starship Technologies Sempre sotto la corona britannica ma a migliaia di chilometri di distanza, Il colosso globale della pizza a domicilio Domino’s Pizza intende applicare lo stesso concetto nell’ambito del proprio business. Il DRU (Domino’s Robotic Unit) è un veicolo a quattro ruote, anch’esso driverless, progettato dal DLAB, il laboratorio innovativo di Domino Australia in collaborazione con la startup Marathon Robotics: il CEO della locale filiale del colosso globale della pizza, Don Meij, ha spiegato che il prototipo ha già condotto con successo una serie di test di consegna di pizze ai clienti in un limitato numero di strade di Brisbane grazie a una speciale autorizzazione del Dipartimento dei Trasporti del Queensland, operati in modalità semi-autonoma. Anche se lo stesso manager non si attende di poter affidare le normali consegne ai DRU in tempi brevi, sebbene ulteriori prove potrebbero essere condotte a breve in Nuova Zelanda grazie a un accordo con il governo: “È una lunga strada, monitoreremo costantemente ogni possibile complicazione. Il DRU dovrà essere sempre, prima di tutto, sicuro”, ha chiarito. Il prototipo del DRU di Domino’s Pizza che effettua una consegna a domicilio GIUGNO/LUGLIO 2016 61 DELIVERY I colossi del web oltre i droni Il robot di Domino’s Pizza è dotato di due scomparti interni, uno riscaldato per le pizze e uno refrigerato per le bibite; quando arriva al domicilio del cliente, quest’ultimo può aprire il portello e accedere ai due scomparti digitando anche in questo caso un codice fornito da Domino’s al momento della conferma dell’ordine telefonico, via Internet o tramite app. Con un peso di 190 chili, raggiunge una velocità di 18-20 chilometri orari; il sistema di guida autonoma consente al DRU di destreggiarsi fra marciapiedi, ponti e cassonetti della spazzatura a bordo strada. L’autonomia di servizio, fra una carica della batteria e l’altra, è di circa 20 chilometri, ma i futuri sviluppi del progetto potrebbero sfruttare energia solare o altri sistemi rinnovabili. Ogni DRU ha un costo di circa 30mila dollari australiani (quasi 20mila euro), dovuto principalmente alla tecnologia sviluppata da Marathon Robotics sulla base di quelle impiegate nei robot utilizzati in ambito militare. Secondo Meij, i robot non potranno comunque eliminare totalmente il fattore umano nel delivery, soprattutto in situazioni complesse come le consegne nel traffico dell’ora di punta. Ai “delivery robot” pensano anche Google e Amazon, che da tempo sperimentano la possibilità di impiegare droni per le consegne a domicilio. Nel caso dei due colossi Usa, i robot consentirebbero di superare la principale problematica legata ai droni: se questi presentano indubbi vantaggi in termini di velocità e distanze copribili (il progetto Amazon Prime Air prevede un raggio d’azione di 16 km), resta da capire come far avere in sicurezza i pacchi ai destinatari evitando interferenze con cavi elettrici, lampioni e soggetti “a rischio” come bambini e animali domestici. Di qui l’idea, sviluppata da Google a margine del programma “Project Wing”, di affidare l’”ultimo miglio” ai robot a terra, ai quali i droni “passerebbero” la merce in luoghi prestabiliti, in maniera completamente automatizzata. Un sistema complesso che garantirebbe sì notevoli vantaggi economici ma che difficilmente potrà trovare applicazione in tempi brevi. Un drone utilizzato per le consegne da Google Project Wing UBEREATS È UN SERVIZIO GIÀ OPERATIVO IN DIVERSE CITTÀ DEL NORD AMERICA, PER LA CONSEGNA DI CIBO A DOMICILIO DAL PROPRIO RISTORANTE PREFERITO 62 GIUGNO/LUGLIO 2016 Uber: da taxi a corriere Decisamente più vicino potrebbe essere lo sbarco in Europa (a partire dal Regno Unito) del servizio di delivery di Uber, che dopo essersi proposta come alternativa ai taxi per il traporto di persone ha lanciato in alcune città degli Stati Uniti UberRush, che si pone invece in concorrenza ai tradizionali corrieri. L’apporto della tecnologia, in questo caso, sta nell’app per smartphone che consente all’utente di mettersi in contatto con un autista per spedire o farsi recapitare merci. A questo potrebbe aggiungersi UberEats, anch’esso operativo in diverse città del Nord America, per la consegna di cibo a domicilio dal proprio ristorante preferito. Anche se al momento non c’è nulla di definito, Carlo Tursi, dallo scorso anno country manager di Uber per l’Italia, ha già detto di voler introdurre i due servizi nel nostro Paese. In attesa di droni e robot, il futuro del delivery passa da un’app. S