in tarda stagione - Edizioni Helicon

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in tarda stagione - Edizioni Helicon
Tullio Mariani
IN TARDA STAGIONE
Quarantacinque sonetti e un canto di viaggio
Prefazione di
Rodolfo Vettorello
Edizioni Helicon
A CESARE DIEGOLI
Scorrevamo i tracciati della vita
come fieri gitani delle idee
dai lidi di Provenza alle maree
di vento e spighe di Castiglia antica.
Con stocchi acuti d’ironia impudica
castigavamo le prosopopee
e azzannavamo duro alle trachee
lupi, iene e ogni belva travestita.
Dove sei ora? Ti starai annoiando.
Tutto perfetto, tutto senza falla,
tutto leziose arpe e eterei veli.
Tienimi posto amico, sto arrivando,
con la santa ironia e la giusta balla
rivolteremo pure i sette cieli.
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A GABRIO AVANZATI
A GUIDO MARTINI
Dimmi, eravamo amici? Io non lo so.
Tu spocchiosetto ed io presuntuosetto
ci giostravamo burle atroci e affetto
mascherato da sadico sfottò.
Vecchio amico dei tempi di allegria
delle risate grasse un tanto al soldo
e dello sbeffeggiare manigoldo
contro gli stronzi e la malinconia
Non ho più in mente come si avviò
quello strano rapporto di dispetto
frammisto a stima, fatto d’intelletto
e di comune fede che franò.
dello sfregiare a schiaffi d’ironia
quel nostro intorno falso, bolso e stolto
serioso ma non serio, sempre avvolto
da fumi e fole senza fantasia.
Ora non ci sei più. Mi manca molto
quel nostro arguto e colto baccagliare
tu duro come capra, io come mulo.
Passano gli anni, siamo entrambi bianchi
e hai scelto di tornare al tuo paese
a godere la luce della sera.
Ci rivedremo a tempo mio risolto,
tu, come io per te, disposto a dare
la pelle intera per salvarmi il culo.
Che sia per te una nuova primavera
di vita e libertà e di allegre imprese.
Amico non partire, già mi manchi!
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A CLAUDIA PETRONGOLO
A LORENZO DEGL’INNOCENTI
nel giorno del pensionamento
Attore e regista del CENACOLO DEI GIOVANI di Firenze
Quasi una dea, serena ed elegante
discesa a regolare un mondo vile
barbaro, trasandato, cupo, ostile.
Certo rimpiangeremo ad ogni istante
Lorenzo, quell’aspetto da impunito
è certo una risorsa non da poco
nello star faccia al pubblico, nel gioco
di autentiche finzioni, nell’ordito
quella bellezza dolce e signorile
quel fare tuo, discreto e tollerante
(forse pure un po’ troppo!) e la costante
prontezza a perdonare l’incivile
tra il falso ed il sincero. Il vecchio rito
profano e sacro come l’acqua e il fuoco,
tonante declamare o pianto fioco,
ombra di vita e seme d’infinito
urgenza di noi poveri mortali
sempre di fretta, tesi ed affannati,
mai calmi, mai tranquilli, mai puntuali,
ha in te un grave maestro, né contrasta
l’acuta verve da giullare antico
né l’umore pungente ed assassino.
e, diciamolo pure, un po’ frustrati.
Chi saprà rimediare ai nostri mali
se tu ci lasci soli e disperati?
Altro direi, ma un sonetto non basta:
mi onorerebbe averti per amico,
maledetto geniaccio fiorentino!
30 marzo 2011
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FRIDA
NULLA DI NUOVO
Potrei chiamarti Irene, oppure Pace,
ma in Frida brilla un nordico splendore
e un suono dall’esotico sapore,
quasi un frullare d’ali, od un audace
Vieni, facciamo un gioco. È il vecchio gioco
di frasi usate e di parole spente
un gioco di passato e di presente
il gioco di ogni volta, mesto e fioco
soffiar di fresca brezza nella brace
dura d’agosto, o un tono di colore
e luminoso e terso nel grigiore
di un giorno incerto, timido e fugace.
come un fumo di nebbia, come un roco
lamento di gabbiano, come lente
gocce di pioggia grigia sul pendente
di rugginose gronde, come un fuoco
Ma io vi trovo l’eco vigorosa
di antichi skald e delle immense saghe
che m’intrigano, vecchio ancor bambino,
stentato e fiacco, inabile a sviare
il gelo dalle mani e dalla vita.
Giochiamo alle ragioni che non trovo.
e ascolto la risata fragorosa
dell’alto Thor e il cozzare di spade
che danno luce alla casa di Odino.
Vieni, giochiamo almeno ad evitare
gli sterili perché, la gara trita
del cercar colpe alla gallina o all’uovo.
Giochiamo che è finita
giochiamo a non doveva cominciare.
Nemmeno questo, sai, è un gioco nuovo.
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