73 Dieci … - Libreria Piave
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73 Dieci … di Sofia de Caprariis Cuspide suonò con decisione il campanello della porta scrostata di un appartamento a Brooklyn, New York. Attese qualche attimo, strusciando i piedi sulle piastrelle luride del pianerottolo. Suonò un’altra volta, esasperata. – Forza, Antropo, aprimi! Questa volta si udì un lieve tramestio e la porta si spalancò. Due enormi occhi, freddi e grigi come la tempesta si fissarono nei suoi. – Non chiamarmi così, Cuspide. Sai che lo odio. Oh, ma tu ti chiami così! -, ribatté allegramente la ragazza, scansandola e insinuandosi nel suo appartamento. Si guardò attorno, arricciando il naso. Pile di abiti sporchi erano gettati per tutto il loft, il lavello dell’angolo cottura era ricolmo di piatti sporchi. A giudicare dalla quantità, non veniva fatta la lavastoviglie da settimane. – Sorella, tu ti dovresti limitare a vivere tra i mortali, non prenderne le pessime abitudini. E tu dovresti limitarti a vivere tra i volatili, non acquisirne i cervellini striminziti. -, la rimbeccò Antropo, passandosi una mano tra i dreadlocks bisunti, tirati indietro da una bandana i cui colori in un passato molto remoto erano stati sgargianti. Va bene, va bene. Non ti scaldare, Antropo. Ho detto di non chiamarmi così! E come vuoi che ti chiami? In questo secolo? Joanne. Cuspide inarcò un sopracciglio e non disse nulla. Invece schioccò le dita e svanì in un vortice di luce accecante. *** Un tanfo insopportabile assalì Cuspide, invadendo le sue narici prima ancora che il chiarore si dissipasse. Per la precisione si trattava di uno di quei profumi trendy dai nomi assurdi (tipo Poisonous Poison, Lovable Love o Beautiful Doggy), spruzzato in quantità industriali. Quando finalmente la ragazza smise di vedere il mondo a macchie bianche e luminose, si rese conto che la provenienza era una sua coetanea. I suoi capelli erano troppo lunghi, troppo lisci e troppo platino, le labbra troppo rosse, gli occhi troppo truccati, il vestito troppo corto, troppo stretto e troppo scollato. Stava spaparanzata su uno dei divani di pelle bianca che arredavano la stanza, in posa come se aspettasse l’arrivo dei paparazzi da un momento all’altro. Ciao Pulcra! Sei rimasta vittima di uno spruzzatore folle? Honey. È il mio nome, per adesso. Non guadagni abbastanza facendo la dea della bellezza, e quindi hai deciso di arrotondare facendo la cubista? Una risatina giunse da un angolo. In un istante otto teste si voltarono di scatto verso quella direzione. Era stato Thanatos a ridere. Thanatos, zazzera corvina, pallidissimo, vestiva sempre di nero, non parlava mai e si muoveva silenzioso come un’ombra. E in più girava con una falce a serramanico nella tasca dei jeans. Non esattamente il tipo che si vuole incontrare in una strada buia di notte. Né in una illuminata di giorno. Tu ridi? -, chiese qualcuno. Qualcuno con tre dita di trucco in faccia. Sì. E parlo anche. Non ve lo sareste mai aspettato, vero? -, Cuspide si sarebbe aspettata che la voce di Thanatos, essendo il dio della morte e tutto, fosse stata orribile, roca, come proveniente da una tomba. Non era nulla di tutto questo. Era abbastanza normale come voce. Non sapeva se essere più sollevata o delusa. Pulcra! Ma lo sai che quella roba che hai in faccia è stata testata sugli animali? -, Joanne aveva scelto proprio quel momento per arrivare. Per Pulcra fu evidentemente troppo. Sentire Thanatos parlare per la prima volta dopo millenni e l’accusa di Antropo ai suoi cosmetici, o forse il suo atto sacrilego nel chiamarli “roba”, la scioccarono al punto di farla svenire sul colpo. Cuspide lasciò gli altri ad occuparsi di Pulcra e si allontanò alla chetichella, ridendo sotto ai baffi. Alle sue spalle si lasciò un salone pieno di dei agitati e la voce di Derryl, dio dell’arte, che gridava, parlando come suo solito in pessime poesie: - Lasciate che alimenti con una dolce melodia, in questa giovine fanciulla l’allegria. Fu in gran parte per questo che Cuspide si rifugiò sulla terrazza, sperando che la “dolce melodia” di Derryl non la perseguitasse anche laggiù. Stava ammirando il tramonto tingere di rosa il cielo, suo amato dominio, quando Thanatos la raggiunse. – Senti nostalgia di casa? - Più di quanto tu non possa immaginare. - Perché? Certo, l’Oltretomba non è un luogo ameno, ma è casa mia e in fondo a me piace. -, Cuspide si voltò per la prima volta verso di lui, e si rese conto di averlo ferito. – Mi dispiace. - Devi venire, Joanne sta per iniziare il suo rapporto. - Tanto l’inizio lo so già: “Sono passati dieci volte dieci anni dall’ultima volta che ci siamo riuniti per deliberare il destino della specie umana. Nei prossimi dieci giorni prenderemo la nostra decisione, poi voteremo…”, come se non avessimo tutti già deciso. Votiamo ogni secolo, i risultati sono sempre gli stessi. - Forse. Ma sei una di noi e devi venire. -, cogliendola del tutto di sorpresa, Thanatos prese la mano della signora celeste e se la tirò dietro sino alla sala. E lei non si ribellò neanche. Le faceva piacere che Thanatos le tenesse per mano. Le faceva piacere che Thanatos la tenesse per mano? Era impazzita? Aveva un debole per il dio della morte? Oh d… Dimenticava. La parte peggiore di essere uno dei dieci dei? Non poteva neanche imprecare come si deve, senza rischiare di mettere la sua famiglia al corrente dei suoi problemi. Passarono i dieci giorni. E accadde una cosa mai avvenuta prima: Joanne, paladina dei diritti umani e della segreta eleganza dei dreadlocks, si astenne dalla votazione. Così ad alzarsi a favore della preservazione degli umani furono solo in quattro: Pulcra (come fare a meno degli umani? aveva bisogno di estetisti qualificati, lei.) Derryl, che si alzò tentando senza molta fortuna di esibirsi in un rap: “Yo fratello, io difendo tutto ciò che è bello.”, Sarisa, dea della guerra, avvolta in tutone mimetico, multi-tasche, strapieno di bombe a mano e letale paccottiglia varia. Si alzò ululando a i fratelli ancora seduti: “Perdenti, volete una vera sfida? Venite da me sul ring. Gli umani l’hanno capito che la guerra è sempre la soluzione migliore.” Ultima ad alzarsi fu Cuspide, senza che le importasse realmente degli umani. Il suo regno era di gran lunga più vasto di quanto loro non potessero immaginare. O, cosa più importante, danneggiare. Bene –, disse, guardando i cinque ancora seduti, - Allora è deciso. Distruggeremo gli umani. No, aspetta! Io e Thanatos, qui, noi ci siamo persi un pezzo. Io voto per salvarli, gli umani. -Cuspide capì chi aveva parlato prima ancora che questi si alzasse. Il dio della vita e fratello gemello di Thanatos. Eros. Poi a sorpresa anche qualcun altro si alzò. Qualcuno vestito interamente di nero. Thanatos. Il signore dei morti aveva votato a favore della vita. E lo aveva fatto guardando Cuspide con una tale intensità, che lei decise di fargli un discorsetto non appena fossero stati soli. Cosa che puntualmente fece, o almeno ci provò. – Thanatos, -, esordì, determinata a chiudere la faccenda una volta per tutte. – Io ho chiuso con le tresche dieci secoli fa, e… - Ed è ora che ricominci. –, fu così che Cuspide venne baciata dalla morte per la prima volta. Oh beh, tanto lei era immortale. E dopo dieci secoli, tanto valeva ricominciare con le tresche.