Quanto è chic il vin d`honneur,Non invitate sommelier a cena

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Quanto è chic il vin d`honneur,Non invitate sommelier a cena
Quanto
è
d’honneur
chic
il
vin
I francesismi nelle formule di cortesia sono ritenuti una
finezza, una sciccheria che nelle intenzioni di chi le adotta
dovrebbero indicare l’elevato tono dell’evento, come denota il
bel R.S.V.P. (répondez s’il vous plaît) in italiano garbato
corrispondente a “Si prega di dare conferma”, aggiunto in
calce all’invito formale, spesso ahimè ignorato da molti.
In verità, la formula gallica del vin d’honneur nasce per
essere applicata alle occasioni veramente importanti, dove ci
sia un ospite d’onore da salutare e omaggiare per la sua
presenza, per dargli uno speciale benvenuto insomma, in
particolare se si tratta di un convenuto di prestigio. Vale
anche se gli ospiti costituiscono un gruppo in visita, e
pertanto è un modo gentile di accoglienza.
È intuitivo che questi sono casi di alta ufficialità, non solo
in ambiente diplomatico ma anche in quello del business.
Invece, molto spesso leggiamo la formuletta anche sui
cartoncini di invito o sulle locandine con il programma di una
manifestazione culturale, che ora viaggiano preferibilmente
per e-mail, “Seguirà un vin d’honneur”.
Essendo io anche una organizzatrice di eventi, mi sono più
volte sentita dire: perché non concludiamo la manifestazione
offrendo una bicchierata (o un piccolo rinfresco)? Infatti,
sembra che evidenziare sul comunicato che viene offerto
qualcosa, da bere o da mangiucchiare, faccia affluire un
maggior numero di persone, decretando il successo della
manifestazione. Che poi questo qualcosa offerto si riduca ad
un calicetto di frizzantino e un paio di ciotole di patatine i
convenuti sono contenti lo stesso, pronti a ripresentarsi le
prossime volte che vedranno un simile invito.
Scontato è concludere una vernissage o festeggiare
l’inaugurazione di un nuovo esercizio commerciale con un
rinfresco, ma certo è improprio usare la dicitura “Seguirà un
vin d’honneur”, semplicemente perché il rinfresco non viene
“offerto” in onore di un ospite importante, ché anzi è
l’artista o l’esercente (o l’organizzatore dell’evento) ad
“offrire” per ringraziare i presenti di essersi ‘scomodati’
per intervenire.
Volendolo inquadrare nella corretta prospettiva, il “vin
d’honneur” calza bene invece ad un ricevimento di nozze,
rappresentando da quella sorta di aperitivo o cocktail
consumato dagli invitati prima del pranzo, per permettere a
costoro di felicitarsi in anteprima con i neo coniugi o di
scambiare quattro chiacchiere tra di loro e conoscersi prima
di mettersi a tavola, in attesa degli sposi dal tour
fotografico.
In pratica il “vin d’honneur” sostituisce o precede, a seconda
delle occasioni, il “brindisi” in onore delle persone più
importanti nel consesso.
Il Galateo italico consiglia di usare le espressioni conformi
alla nostra lingua e alle nostre tradizioni. Strabordare non è
mai bon ton né chic.
donna Maura
[email protected]
Non invitate sommelier a cena
Il sommelier è una figura professionale che esce da corsi
specializzati con tanto di diploma di primo e secondo livello,
possiede la conoscenza di tutto ciò attiene al mondo vino, è
l’esperto di come si conserva e si serve la bevanda e di come
la si abbina ai vari piatti, insomma ha profonda e ampia
preparazione.
Il sommelier ha diversi sbocchi lavorativi, a volte
continuativi presso ristoranti di livello a volte, più
frequentemente forse, saltuari ossia “a chiamata”, dove gli
organizzatori vogliono fare bella figura in fatto di stile.
Però ci sono dei frequentatori di corsi che non mirano a
costruirsi un futuro con quello che apprendono e si tratta di
una maggioranza di persone, amanti di ciò che il vino
rappresenta, i quali da normali cittadini aspirano a farsi una
cultura anche in questo settore.
Costoro sono i commensali più “fastidiosi”.
Passo direttamente alle regole del bon ton.
Se sei esperto di vino, non devi mettere in soggezione il
padrone di casa domandando appena arrivi «cosa c’è in tavola?
hai previsto il vino giusto?», qualora tu sia in confidenza
con lui. In tal caso lui, il padrone di casa, se non si fosse
sentito sicuro della propria scelta, ti avrebbe interpellato
prima.
E se sei invitato in ristorante, al momento della comanda non
metterti a illustrare gli abbinamenti con le pietanze mentre
nessuno te lo chiede, interferendo tra l’anfitrione e il
personale addetto alla carta vini e alle ordinazioni.
Che tu sia ospite in casa o in ristorante, non afferrare la
bottiglia per controllare l’etichetta e non dare il tuo parere
sulla casa vinicola o fare la sua storia a meno che questo non
possa far risaltare in positivo la scelta del padrone di casa
che allora ti sarà grato.
Per altrettanta cautela nei confronti di chi ti ha invitato
non devi cominciare a far roteare il liquido nel tuo bicchiere
con quella mossa che tanto affascina gli spettatori in altri
consessi e a fare tutti quei rumori e sbuffi con le guance che
a tanti commensali possono persino disgustare. Non sei ad un
concorso di assaggio né ad una degustazione.
E non sognarti di lamentarti che il vino sa ‘lievemente’ di
tappo e a tentare di farlo sostituire, agiresti da gran
“indelicato” nei confronti di chi paga.
Non permetterti nemmeno di dire che forse era il caso di
lasciarlo respirare almeno due ore prima di servirlo e che
magari sarebbe stato meglio utilizzare un decanter. Questa
osservazione può essere fatta da colui che ha organizzato la
cena in un locale di prestigio e si trova insoddisfatto del
servizio, l’ospite non può permettersi di dargli ragione,
esperto o no.
Ultima raccomandazione: l’invitato sommelier o esperto di vini
non si prenda la briga di servire lui i commensali alla
tavolata, mostrando come si gestisce la bottiglia e il
versamento nei bicchieri. Tocca al padrone di casa riempire i
bicchieri e se costui commette degli errori si faccia finta di
niente.
Caro amico “sommelier” sei invitato per trascorrere una
piacevole serata in compagnia di amici non per dar sfoggio
delle tue conoscenze!
Nota finale: i veri sommelier professionisti conoscono bene
queste regolette di comportamento. Un invito a casa loro è una
splendida esperienza!
donna Maura
[email protected]
Mancini a tavola
Il mancinismo, cioè la tendenza ad utilizzare in parte o del
tutto il lato sinistro del corpo per compiere movimenti e
gesti, propria del 10% della popolazione, non è più
considerato un handicap o un disturbo della personalità, e,
grazie alle neuroscienze e alla psicologia i bambini che fin
da piccoli manifestano la preferenza per la mano sinistra
nell’afferrare gli oggetti non vengono più, come un tempo
neanche troppo lontano, costretti anche con duri sistemi e
severe punizioni ad usare l’altra mano.
Tuttavia il mondo ruota attorno ai destrimani ed Etichetta,
Cerimoniali, Galateo contemplano solo la destra, ad esempio
come lato di riguardo nelle manifestazioni solenni e nei
banchetti, come mano da porgere nei saluti, e infine in tante
piccole banali operazioni quotidiane come svitare un tappo,
una lampadina, una vite, caricare una sveglia, usare le
forbici e non ultimo il coltello.
Oggi i bimbi vengano lasciati liberi di esprimersi adoperando
il lato preferenziale, e del resto dicono che nei mancini è
l’emisfero destro a essere predominante, quello del pensiero
intuitivo e della creatività (molti grandi personalità
storiche erano mancine), tuttavia è utile insegnare loro ad
adoperare a tavola le posate come gli “altri”, per un sacco di
ragioni.
Prima di tutto, perché la lama del coltello è fatta in modo
che la posata sia impugnata con la destra altrimenti proprio
non taglia (tranne che con equilibrismi che non è il caso di
fare al desco), in fondo anche i destrimani impugnano la
forchetta con la sinistra e portano tranquillamente il cibo
alla bocca con essa.
In secondo luogo perché, quando si è invitati in casa d’altri
o si è in ristorante non è cortese né elegante rivoluzionare
la mise en place, scombinando l’estetica dell’apparecchiatura
e pure rischiando di rumoreggiare con le posate per spostarle
dall’altro lato del piatto. Per non parlare della sistemazione
dei bicchieri …
Io ho visto più volte fare queste manovre, e pure sottolineate
dalla giustificazione del mancinismo. Ma che sforzo queste
persone avrebbero potuto fare nel prendere con una
qualsivoglia mano il cucchiaio posto correttamente alla destra
del piatto e poi incipiare ad adoperarlo con la loro mano
privilegiata al momento stesso che la pietanza è stata
servita? E idem riguardo a forchetta e coltello, se proprio
non si può fare a meno di invertire l’uso delle mani.
Ma di un’altra cosa forse più importante i mancini dovrebbero
aver cura, e mi spiace per loro perché capisco che potrebbe
essere causa di messaggi in conflitto nel loro sistema
limbico, ma io mi occupo di Galateo con l’impegno di
divulgarlo. Si tratta del “modo di servire”.
Mentre è chiaro che i camerieri mancini devono dimenticare di
esserlo, non tutti gli invitati possono essere informati che
la padrona o il padrone di casa lo sono. Quindi, esigendo il
Galateo che qualunque cosa si porge con la mano destra e che
specialmente le bevande vanno servite da destra e che con la
destra si effettua il brindisi, i mancini devono adeguarsi, a
rischio di riprovazione sociale.
Capisco
che
potrebbe
sembrare
una
violenza
alla
loro
personalità, ma anche i destrimani spesso si devono sforzare
per stare nei canoni dell’etichetta.
Mi piace precisare che sono ambidestra ed ex bambina mancina e
che la più ardua prova è stata pulire il pesce con coltello e
forchetta nelle mani “giuste”.
Maura Sacher
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Domande scomode a tavola
Ci si riunisce attorno alla tavola principalmente per
condividere la compagnia di altri avendo con loro un
affiatamento tale che ci sentiamo emotivamente appagati di
averli intorno a noi. Così normalmente è l’occasione del
desinare a famiglia riunita. Si invitano amici e buoni
conoscenti anche per questo stesso motivo, e inoltre per
trascorrere ore liete.
Tuttavia anche nelle migliori compagnie è sempre in agguato il
tranello delle domande scomode scaturite da ingenuità,
superficialità o cattiveria, o anche, perché no?, da
maleducazione.
Ad esempio, mentre si mangia non è delicato informarsi sullo
stato di salute di un ospite, primo per non metterlo in
imbarazzo obbligandolo a fornire risposte che potrebbero anche
dilungarsi in una dettagliata descrizione del suo male,
secondo per non appesantire l’atmosfera della tavolata che da
allegra e spensierata si ritrova a dover condividere il
malanno altrui, bloccando le giuste aspirazioni per una serata
rilassante.
Altrettanto non ci si informerà riguardo a casi spiacevoli
della vita privata o professionale: i guai sentimentali e di
lavoro devono essere lasciati fuori dell’uscio.
Gli invitati non chiederanno “Hai del pepe?” se questo non è
stato portato in tavola, come del resto il formaggio
grattugiato, e altrettanto non chiederanno un’aggiunta di
peperoncino o di sale o di olio, se non viene offerto. E
nemmeno si chiede l’aceto o un limone per l’insalata se non è
stato previsto dalla padrona di casa. Il fatto è che qualcuno
di questi ingredienti potrebbe anche non esserci in dispensa,
a casa mia, per dirvelo, l’aceto è bandito da decenni e il
balsamico ricevuto in regalo si è invecchiato stando fermo.
E se qualcuno, ancora dopo tante prediche, mi chiedesse uno
stuzzicadenti, rispondo che non ne ho proprio.
A fine pasto, la padrona di casa si asterrà dal chiedere
“Piaciuta la cena?”. Cosa si aspetta che le rispondano? Che
era immangiabile? Basta che guardi i piatti. Se, viceversa,
qualche ospite lascia troppa roba nel piatto e le venisse
spontaneo domandare “Non ti è piaciuto?”, è meglio si astenga,
pur addolorandosene dentro di sé, perché la replica, da
persona educata, sarebbe “Non avevo tanta fame”, evitando il
rito delle spiegazioni e giustificazioni.
L’ospite in dieta o con delle remore su certi cibi avrebbe
dovuto avvisare prima, quando si è al ballo, si balla,
altrimenti si resta a casa.
Nel caso la pietanza sia stata di gradimento ma i contenitori
di portata non siano rimasti sul tavolo, non è educato
chiedere una seconda porzione, si potrebbe ricevere la
deludente informazione che è finito tutto (anche se il resto è
stato salvato per l’indomani).
I commensali, infine, non chiederanno la ricetta delle
pietanze, specie se si capisce che sono elaborate. La signora
potrebbe aver usufruito del lavoro di qualcun altro al posto
delle proprie mani e sarebbe pura cattiveria prenderla in
castagna, o grande ingenuità. Con questa domanda, non si fa
sempre un favore o un complimento, dopotutto ogni grande cuoco
ha il suo segreto.
donna Maura
[email protected]
Quello che non sta in tavola
non si chiede
La perfetta padrona di casa quando allestisce la mensa in
attesa degli ospiti sa già cosa deve mettere in tavola e cosa
no. Quello che su una tavola elegante, in una cena importante,
non va messo ha una precisa ragione per non comparire,
pertanto l’ospite deve adeguarsi e non può permettersi di
reclamare. Il medesimo accorgimento andrebbe rigorosamente
osservato anche negli incontri conviviali tra parenti ed
amici.
Prima di tutto una «mise en place» di stile richiede il minimo
indispensabile: piatti, bicchieri, tovaglioli, eventualmente
un centro tavola floreale o di candele. Stanno lontane dalla
tavola “formale” le bottiglie di qualunque tipo. Zuppiere,
vassoi, terrine, salsiere non sono degne di un banchetto
raffinato. E idem altri oggettini che vado ad illustrare.
Infatti, il sale e il pepe, che secondo il galateo non hanno
dignità di mensa nei pranzi di gala, è consentito
apparecchiarli fin dall’inizio soltanto nei pasti “informali”,
benché ai commensali è vivamente sconsigliato utilizzarli.
Insaporendo la pietanza, si paleserebbe una carenza della
cuoca, a meno che la padrona di casa conosca a menadito i
gusti e le abitudini alimentari dei suoi amici e quindi offra
loro la possibilità di caricare il sapore. La presenza della
saliera mostrerebbe che ella non confida nella propria
capacità (o di chi ha cucinato) di dosare la salatura del
cibo, pertanto, per riguardo, non solo non si adopera ma
nemmeno si chiede.
Il guaio è che tale premura non viene osservata nei ristoranti
da parte di clienti, pronti a criticare, anche a vanvera.
I contenitori dell’olio e dell’aceto vengono portati al
momento in cui, casomai, viene servita la verdura cruda, e
immediatamente fatti sparire. Non si chiede dell’olio per
inondare carne o pesce o verdura grigliata, un minimo di cura
per la propria salute accettiamola come “sacrificio” in casa
d’altri.
Non si chiede neanche la formaggiera se non viene portata.
Non si chiede mai dell’altro pane se quello in tavola è
finito. Siccome, secondo le regole, spetta alla padrona di
casa assicurarsi che ci sia pane a sufficienza per tutti,
sembrerebbe sottolineare una mancanza e non sta bene mettere
in imbarazzo chi ci sta ospitando. In ristorante, la richiesta
deve essere fatta in modo molto discreto.
Non si chiede nemmeno del vino, quando il bicchiere è già
svuotato. Occuparsi della bevanda è un compito del padrone di
casa e se lui è distratto, magari dalla conversazione, non sta
bene richiamarlo ai suoi “doveri”. E se poi, come può
succedere, la riserva predisposta è esaurita, la situazione
sarebbe di non poco imbarazzo sia per la casa sia per l’ospite
che ha espresso il reclamo!
Il Galateo dice che solo l’acqua può essere domandata, e non
si insiste per averne di gassata, si accetta quella che viene
portata, anche fosse di rubinetto: l’acqua non può essere
negata a nessuno.
Per concludere, non si chiede mai e poi mai uno stuzzicadenti.
Se si ha una così estrema preoccupazione per la propria
dentatura, a fine pasto si fa una sosta in bagno e ci si lava
con lo spazzolino portato da casa.
donna Maura
[email protected]
Sale: l’oro bianco in cucina
Il sale, una concrezione di cloruro di sodio, ottenuto per
evaporazione di acqua di mare nelle saline o estratto da cave,
è noto all’uomo da sempre, giacché certi giacimenti risalgono
a milioni di anni, grazie ai sommovimenti della crosta
terrestre che hanno formato i deserti salati sparsi in tutti i
continenti a diverse altitudini e le gallerie di sale
sull’Himalaya, scrigni al riparo di ogni inquinamento
imprigionando nei cristalli un’enorme quantità di
oligominerali.
I nostri antenati attribuivano al sale della vita valore
simbolico e sacrale, parte essenziale di cerimonie religiose,
quale simbolo di purezza e sapienza, e dei rituali
dell’ospitalità, offrendo pane e sale come vincoli di
amicizia. I Romani facevano largo uso di sale sulle pietanze e
specialmente sulle verdure, che appunto si chiamano “salate”,
e ne attribuivano un tale valore che i soldati ricevevano una
razione di sale giornaliera, dando origine al termine di
salario e la Via Salaria era il percorso principale dei
commerci salini dal porto di Ostia. Nel corso dei secoli sul
sale vennero imposte tasse e gabelle e il controllo delle
saline ha scatenato guerre e insurrezioni, dobbiamo pensare
che il sale ha notevole proprietà di conservazione degli
alimenti, proteggendoli dalle alterazioni.
Gettare per terra il sale era segno di disprezzo e di cattivo
auspicio, infatti i Romani lo spargevano tutto intorno al
perimetro delle città conquistate e rase al suolo, affinché
non vi crescesse più nulla. A questo motivo è legata la
superstizione del sale incautamente versato, a cui si rimedia
gettando tre pizzichi dietro la schiena. Ancora oggi perdura
la credenza che sale ha la funzione di allontanare il demonio
e il malocchio, e sparso nei quattro angoli della casa
protegge come un talismano.
Il Galateo rispecchia questi atavici convincimenti: il sale
non si tocca con le dita ma si prende con la punta del
coltello, non si passa la saliera tra i commensali, ma ognuno
si serve da sé. Inoltre se si mette in tavola sia il sale sia
il pepe, il sale bianco e puro sta a destra e il pepe nero a
sinistra, il lato nefasto e impuro.
Se un tempo le saliere in tavola erano simbolo della ricchezza
della casa e gesto di fiducia ed amicizia verso gli ospiti,
presentarle oggi sulle mense eleganti è considerato out. Anche
richiedere il sale è visto come un gesto scortese, come a
criticare il cibo insipido e la inadeguatezza della cuoca.
Tuttavia i moderni chef hanno scoperto anche la funzione
decorativa del sale, utilizzando le svariate tipologie
esistenti al mondo, commercializzate a caro prezzo, non solo
per salare i cibi bensì per decorare le pietanze nel piatto:
così vanno di moda i sali colorati, rossi, rosa, arancione,
blu, grigi e neri, e quelli aromatizzati, all’aceto, al
limone, affumicati. In una gamma di scelte adatte a carni e
pesci alla griglia o arrosti, su verdure, ortaggi, patate,
antipasti, negli aperitivi, avendo ognuno capacità diverse di
insaporire i cibi, per il contenuto di minerali e la
consistenza, un differente sapore e uno speciale effetto
scenografico.
Il detto «essere dolce di sale», riferito ad una vivanda
insipida e rivolta in senso ironico verso una persona
insensata e sprovveduta, potrebbe non essere più usata
nell’accezione negativa, perché si è scoperto che è una vera
leccornia il coccolato salato.
donna Maura
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Tra cibo e moda gli Italiani
in crisi?
Con un pensiero doveroso verso chi versa in reale stato di
bisogno e non ha motivo di leggere i miei scritti, l’ultimo
trafiletto dell’anno lo vorrei dedicare non esclusivamente al
Galateo della Tavola ma un po’ in generale allo “stile”,
quello signorile, che dovrebbe contraddistinguere tutte le
nostre azioni, filtrando le pessimistiche notizie sulla
regressione promessa dai nostri governanti presenti e futuri.
Come viviamo la crisi attuale e l’assuefazione all’agiatezza?
Iniziamo con il valutare le lamentazioni riguardo alle cene
aziendali pre-natalizie sostituite da buffet preparati in casa
o fatti sul momento dai dipendenti, quindi non a spese
dell’amministrazione, e sui catering che si sentono
defraudati. Quando si è ben abituati, certo che il cambiamento
shocca. Ma come, si è tanto sparlato dello sperpero di denaro
per le cene offerte dei datori di lavoro, peraltro soggette
all’attenzione della Corte dei Conti e della Magistratura, e
non apprezziamo il risparmio? Chi vuol fare notizia, non si
ferma a riflettere.
C’è stato un boom delle agenzie di catering, utilissimi i loro
servizi, ma optional come nelle macchine di lusso, e se
qualcuno ne fa a meno, il fatto non deve diventare un caso
nazionale e far gridare alla recessione! Anni fa i cuochi e i
camerieri a domicilio erano prerogativa di pochi, poi sono
diventati una moda.
Non è cattiva cosa riscoprire le individuali abilità culinarie
e rallegrare la compagnia di pietanze preparate con amore e
fantasia. Ai fornelli ognuno, maschio o femmina, può dare la
propria impronta creativa e, secondo me, il cibo assume un
altro sapore e un maggior valore, date le premesse
altruistiche con cui viene preparato. Allora ben vengano i
Cenoni di Capodanno tra amici in cui ognuno porta qualcosa
fatto con le proprie mani.
Anche il mercato dell’abbigliamento si dichiara preda di
gravissima recessione, dicono che non tira più come negli anni
passati, si vendono meno abiti eleganti anzi “solo quelli di
‘necessità’, ad esempio per le cerimonie. Però nessuno ha il
coraggio di dire che la gente, in generale, da decenni ha
smesso di recepire il concetto dell’«abito per ogni
occasione»: lo vediamo scendendo negli alberghi a 4 stelle, in
crociera, nei luoghi di vacanza, ai matrimoni anche quelli di
lusso, lo notiamo tra i vip. Chi sa cosa sia l’abito da
mattina, da pomeriggio, da cocktail, da sera? Chi distingue
tra abito elegante, sportivo, casual, di gala? Solo chi ha
“classe” di suo o per nascita o per educazione.
Pensate che le consorti degli arricchiti e le career woman, al
di là degli ammennicoli di cui si addobbano o delle calzature
eccentriche a 500 e più euro al paio, sappiano vestirsi in
modo adeguato alle circostanze? Stile ed eleganza stridono con
i prezzi di certe mise, spesso affannosamente cercate per
concorrere in apparenza, non già per adeguarsi all’occasione.
Tanto che troviamo abitini neri per un rinfresco a mezzogiorno
e giacche vistose ma firmate per un dopocena.
Molti veri “signori” si sono dovuti adeguare per non
risultare, essi, “stonati” in determinate circostanze, insomma
si sono appiattiti verso il basso pure loro, anche per
mimetizzare il proprio status e non richiamare l’attenzione
sul loro reale stile di vita, quasi fosse cosa non naturale.
Non è questione di crisi economica: entra in gioco solo la
perdita del valore culturale dell’eleganza, quella vera!
Valori che si vedono anche a tavola, nella scelta della
materia prima da offrire agli invitati: “qualità” nei cibi e
nelle bevande non per far colpo ma per soddisfare il palato
dei commensali e corroborare l’atmosfera di tutto ciò che sia
di contorno: dalla preparazione della tavola all’abbigliamento
consono al piacevole evento.
Buon Veglione e Prospero Anno Nuovo da
donna Maura
Che fine fanno i tovaglioli?
Il tovagliolo è quel pezzo di stoffa rifinita, in parure con
la tovaglia, o salvietta di carta che, tra tutti gli oggetti
presenti sulla tavola imbandita, è il più strapazzato,
maltrattato, mortificato, o al contrario totalmente ignorato e
“rispettato” come fosse una decorazione o un accessorio
puramente estetico.
Esisteva fin nell’antichità, sotto forma di pezza di lino o di
cotone e serviva ai celebranti per asciugarsi le mani,
espletato il lavacro purificatore all’inizio di qualunque
rito, e ai commensali dei banchetti, prima, dopo e tra una
portata e l’altra. I servitori erano sempre pronti con
bacinelle d’acqua e pannicelli puliti.
Ce n’erano di diversi tipi a seconda dello scopo: tergere il
sudore della fronte, pulire la bocca dai sughi, o soffiare il
naso, anche per strofinare l’orlo della coppa prima di
passarla al vicino. È vero che ancora oggi qualcuno scambia il
tovagliolo come un panno multiuso, l’ho visto con i miei
occhi, e un certo ribrezzo mi ha fatto pure, però il
tovagliolo ha una unica precisa funzione, secondo il Galateo:
forbire le labbra prima di accostarvi il bicchiere. Tanto che,
se una pietanza dovesse richiedere l’uso delle dita, i
camerieri portano una bacinella d’acqua dove sciacquarsele e
una pezzuola apposita per asciugarvele.
Non è un accessorio, anche se nella «mise en place» perfetta
solo a lui è consentito mutare posizione. Qui casca l’asino.
Dove sta di regola?
Preferisce il lato sinistro, ma non gli dispiace la destra,
sicuro di non infrangere alcuna regola, e persino in caso di
poco spazio sopra il piatto. Non gli garba, invece, stare
sotto le posate ma piuttosto al di fuori di esse e ben
distanziato dal coperto vicino, non sia mai che un commensale
afferri come suo quello che non gli spetta. Men che meno vuole
essere infilato in un bicchiere!
Secondo il Galateo, va piegato nel modo più semplice, a
rettangolo o triangolo. Infatti le piegature elaborate,
mutuate dall’arte degli origami, a fiore, a diamante, a
farfalla, strizzate da un fiocchetto, diversamente da quanto
comunemente si pensa, non sono contemplate in una tavola
elegante, non solo perché il Galateo privilegia la semplicità
ma anche per motivi di igiene a causa della prolungata
manipolazione.
Tutto ciò che è pretenzioso non è elegante. Può, tuttavia,
essere riservato ai banchetti delle Feste dove si vuole
stupire all’interno di uno speciale arredo coreografico, come
nei pranzi di nozze.
Il tovagliolo va spiegato sulle ginocchia, senza gestualità
manifeste. Va adoperato nella parte interna, affinché non si
esibiscano le macchie di unto e di rossetto, e non ci si
strofina bocca avanti e indietro, il gesto più misurato è di
toccare gli angoli delle labbra.
Il massimo dello stile di un ristorante è cambiare i
tovaglioli prima del dessert, visto che comunque viene
riassetta la tavola. Occhio a questo particolare!
Se ci cade a terra, facciamo un cenno al cameriere il quale lo
sostituirà in un batter d’occhio, e se ciò dovesse succedere
in casa la padrona di casa farà altrettanto. Tuttavia,
raccogliendolo noi stessi non, sbattiamolo come fosse uno
strofinaccio intriso di polvere, sarebbe poco cortese.
Se eccezionalmente ci dovessimo alzare, appoggeremo
tovagliolo sullo schienale della sedia, altrimenti
il
il
cameriere porterà via il piatto come se avessimo concluso il
pasto. A fine cena, lo lasceremo “ordinatamente scomposto” a
sinistra del piatto.
donna Maura
L’arte di scroccare ai buffet
Benché sia un fenomeno assai più frequente nella stagione
fredda, nemmeno d’estate mancano le occasioni, ed in effetti a
questo mondo esistono dei professionisti dell’arte dello
scrocco che non conoscono confini di stati né barriere di
lingua e non guardano “che tempo fa” per agire.
Intrufolarsi a feste, inaugurazioni di locali commerciali,
esercizi pubblici, vernissage, persino a tagli di nastro e
manifestazioni dove di rigore bisognerebbe esibire l’invito,
nominativo, per molte persone è una occasione colta al volo,
di passaggio, per alcuni una sfida, per altri una
provocazione, per tanti una vera arte. Tanto che sembra
costoro abbiano un calendario personalizzato con gli
appuntamenti da seguire, ove in corrispondenza delle date è
sottolineato “Seguirà un drink di benvenuto” oppure “Al
termine un vin d’honneur”, ciò dimostrando che sono anche
padroni delle lingue straniere.
Nel comunicato stampa potrebbe anche non essere scritto
niente, ma il professionista, diventato tale per propria dura
esperienza personale sul campo, conosce bene gli usi, sa che
non si inaugura niente senza offrire ai partecipanti almeno
qualche pizzetta e un bicchiere di Prosecchino.
Noi che prepariamo eventi sappiamo bene che senza un minimo di
buffet avremmo meno partecipanti, bisogna pure ringraziare
coloro che si sono scomodati per far contento il protagonista
della serata, e sempre si tiene conto di coloro che vengono
solo perché alla fine viene “offerto” uno stuzzichino. Sembra
una legge che pochi hanno il coraggio di violare.
Purtroppo la seccatura maggiore avviene alle feste private,
dove c’è da aspettarsi che arrivi un gruppetto di amici
dell’amico invitato, e per strana combinazione sono i più
scalmanati bevitori, a rischio delle maggiori incresciose
conseguenze. Almeno qui un certo potere può essere esercitato
da parte del “padrone di casa” che con le belle o le brutte ha
l’autorità di sbattere fuori gli intrusi.
Quando invece l’evento è aperto alla cittadinanza, non è il
bere il problema, bensì il mangiare! Un buffet offerto scatena
i più primordiali istinti sia tra i seriamente interessati
all’evento sia tra gli occasionali ospiti.
Nell’entrare nella location una buona parte di loro ispeziona
prima di tutto il posto e si piazza con ostentata
indifferenza, ma ad arte, nei pressi della zona di comfort, da
lì loro non si muovono irrigidendosi sulle gambe anche se
pressati dai nuovi venuti. Aspettano con ansia la conclusione
di tutti i discorsi, convinti che dopo l’ultimo applauso si
stappino le bottiglie, sono percorsi da visibili fremiti se
gli addetti al banchetto tengono ancora le braccia incrociate,
e non hanno riguardo a brontolare “che diamine aspettano a
servire?”.
In un battibaleno i finger food sono spazzolati dalle prime
due file che hanno fatto cordone impenetrabile attorno al
tavolo.
I professionisti dello scrocco sono degli “individualisti”,
vengono da soli e non scambiano parola con alcuno, il
conversare distrae dalla prelazione sul cibo gratuito.
Molte persone, dopo un’inaugurazione non cenano a casa loro,
sono satolli.
Possiamo essere indulgenti solo con gli studenti universitari
fuori sede, i quali si riconoscono perché a piccoli gruppetti
si intrufolano nei rinfreschi offerti da negozianti per le
nuove aperture dei loro esercizi, e si divertono pure.
Ormai lo sappiamo, nei buffet il bon ton non è mai di casa.
Maura Sacher
Mangiare in spiaggia
Sono passati i tempi in cui le famiglie si recavano al mare o
sui laghi, anche in comitive di parenti, per trascorrervi la
giornata e rincasare la sera, portandosi dietro il pranzo e le
merende. C’era di tutto, dalla pastasciutta al ragù al pollo
impanato, dai formaggi e salumi da affettare sul posto alle
insalate di pomodori con il condimento in bottiglietta da
versare al momento, incluse le bibite e la frutta.
A mezzogiorno da poco suonato, le madri stendevano una
tovaglia sulla sabbia o sull’erba, se qualcuno del gruppo non
aveva provveduto a portare il tavolino pieghevole, e sotto
l’ombrellone o i teli delle capanne, veniva allestito il
desinare. Scontato il sonnellino post-prandiale e di rigore
tre ore prima di fare il bagno. Insomma, era una festa, e
nessun gestore di stabilimento aveva ancora imposto
regolamenti ad ostacolare il rituale.
Oggi quasi tutte le spiagge, libere o a pagamento, sono dotate
di attrezzature di ristoro, dai semplici baracchini a impianti
di ristorazione pressoché completa, con ampia scelta di
pietanze calde, anche elaborate. L’affollamento di clienti è a
ciclo continuo, e nel costo da mettere in conto per il
borsellino dei frequentatori giornalieri entra sempre anche il
rifocillamento.
Cosicché, salta subito all’occhio chi in spiaggia si mangia un
panino portato da casa.
In molti casi non disturba ad alcuno, ma in altri costui
rischia di incorrere in sanzioni.
Negli stabilimenti balneari di un certo tono vigono dei
regolamenti molto precisi anche con norme che interdicono la
consumazione di cibi e bevande sotto l’ombrellone. Ed è
inutile lamentarsi, non facciamo come quella signora che si
rivolse ad un giudice chiedendo di essere risarcita per danno
morale e all’immagine perché il titolare di uno stabilimento,
a fronte del costo di 140,00 euro d’ingresso, le aveva
impedito di consumare panino, frutta e bibite che si era
portata da casa. I prezzi alti servono a selezionare la
clientela, chi si può permettere stabilimenti esclusivi (ce ne
sono di ancora più cari), si deve adeguare in tutto, la classe
non è acqua.
Nell’attuale situazione economica del Paese, ed europea, che
ha diminuito drasticamente le presenze turistiche in luoghi di
villeggiatura “popolari”, forse non vediamo ancora
ripristinata l’usanza di mangiare sotto l’ombrellone, perché
non è facile rinunciare alle “comodità” conquistate, tuttavia
al Galateo importa solo la decenza e la discrezione da
osservare nella consumazione dei pasti, sia sotto l’ombrellone
sia nei bar ristoranti annessi alle spiagge.
Assicuriamoci dell’esistenza di regole, in tutti i complessi
balneari che intendiamo frequentare e trascorreremo una bella
spensierata vacanza.
Maura Sacher