I fiori non sono sempre un dono gradito,Fiori a centro tavola sì o no
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I fiori non sono sempre un dono gradito,Fiori a centro tavola sì o no
I fiori non sono sempre un dono gradito Restiamo in tema di fiori, per definizione, l’omaggio più delicato si possa fare ad una persona, rallegrano l’ambiente e talvolta profumano la stanza, di solito molto graditi in tutte le occasioni, senza differenze d’età e di genere, purché si indovini il tipo “preferito” da chi li riceve. Fuori di dubbio che per un invito in casa l’ospite non si presenta a mani vuote, porta un dono e classicamente la scelta cade su un pensiero floreale, piantina o mazzo. È suggerito dal galateo, specialmente quando si entra per la prima volta in una casa e in tutte le “prime”, per ogni tipo di inaugurazione. È considerato di buon auspicio, purché non ci siano spine su cui pungersi. Non occorre esagerare, una piccola pianta fiorita o un mazzolino anche di campo, sono l’ideale. Avendo confidenza con il destinatario dell’omaggio si può optare per fiori più impegnativi, purché si conosca il loro significato, giacché anch’essi hanno un loro “linguaggio”. Se l’invito è per una cena formale, è meglio far recapitare la pianta o il mazzo di fiori nella giornata stessa, con un bel bigliettino, giacché bisogna dare il tempo a chi li riceve di acconciarli adeguatamente nei vasi e di sistemarli nella posizione più consona. In questo caso, il ricevente dovrà ricordare di ringraziare l’ospite appena varcherà la soglia e di mostrargli dove è stato sistemato il suo presente. Così l’invitato viene rassicurato che il fioraio ha eseguito bene il mandato, non si sa mai. Se all’ospite è venuta la malaugurata idea di far confezionare un mazzo ingombrante sia pure spettacoloso e lo porta a mano, la padrona di casa potrebbe odiarlo! Non tutti possiedono di vasi di varie grandezze, c’è rischio di creare disagio alla signora la quale deve mettersi a rovistare nelle credenze magari senza trovare nulla di adeguato. Ma soprattutto le si fa fare una figura non proprio da manuale di buone maniere costringendola a trascurare gli invitati per questa incombenza. Ad ogni modo una saggia padrona di casa, conoscendo le regole dell’ospitalità e le abitudini dei suoi invitati, si premurerà di dotarsi di alcuni contenitori di varie dimensioni per non essere mai colta impreparata. La foggia migliore per un omaggio floreale è quella del bouquet con roselline o gerbere, anche in stile Biedermeier. A meno di concordare prima, è molto sconsigliato portare un qualcosa che “faccia da centrotavola”, la padrona di casa ci avrà già pensato di suo e, sia pure non avesse già provveduto, comunque il gesto sarebbe visto come alquanto sconveniente, come se l’invitato volesse imporre il proprio gusto. Se succede, la composizione va accettata con un sorriso e posata su un piano bene in vista in sala da pranzo o sul tavolino del salotto dove può tranquillamente fare la sua bella figura. Capita ancora che un corteggiatore, invitando la sua amata alla prima cenetta intima in ristorante, giunga all’appuntamento con un fiore o un mazzolino. Niente rimproveri: si chiede al cameriere di procurare un vaso e si cena godendosi lo spettacolo floreale sulla tavola. Ancora in merito a cenette di coppia, anche cinquantesima, e passasse un venditore di rose signori uomini facciano i cavalieri, cinque euro sorridere estasiata la propria compagna penso siano spesi. donna Maura fosse la rosse, i per veder soldi ben Fiori a centro tavola sì o no? È stato sempre detto che un centrotavola è indice di raffinatezza e di attenzione per i particolari, sensibilità per l’estetica, ed un abbellimento di effetto, purché poco ingombrante e in consonanza allo stile del banchetto. Sulla mensa delle grandi occasioni il centro tavola riempie uno spazio che di solito resta vuoto, specie se la tavola è grande e ospita molti commensali, ma è un extra anche nella semplicità di un’apparecchiatura per due. Gli oggetti da porre ad ornamento della mise en place variano da situazione a situazione, a seconda dell’ambiente, della stagione, e anche dell’evento che ha radunato gli ospiti. Per inviti natalizi o molto intimi stanno bene le candele, purché i candelabri non siano troppo alti da ostacolare la visuale con il dirimpettaio, o composizioni con tocco in tema, e pure ortaggi freschi lavorati con gusto artistico fanno la loro bella figura su tavolate informali e specie d’estate. Per centro tavola, tuttavia, si intende principalmente una composizione floreale con fiori freschi. È piacevole godere di un po’ di natura viva, in tutte le stagioni, l’importante per il Galateo è non si tratti di un vaso troneggiante, che non solo è ingombrante ma anche pericoloso, non sia mai venga urtato! Evitando una ciotola trasparente in cui si vedrebbe ben presto intorbidire l’acqua, il fioraio esperto sa preparare la soluzione più adatta e fornirebbe anche il supporto, che basta deporre su un bel centrino o piatto d’argento. Con fantasia possiamo creare noi stessi le composizioni. Il web è pieno di blog con consigli. I fiori scelti non devono emanare un forte profumo come iris o gladioli, che oltre a dare fastidio a qualcuno copre gli aromi delle pietanze. I colori dei fiori devono staccarsi dalla tinta della tovaglia quel tanto che basta, escludendo il tono su tono, ma piuttosto richiamando il servizio. Va da sé che su una tavola apparecchiata con stoviglie dalle linee più moderne, anche il centro tavola sarà in sintonia, preferendo ornamenti floreali dalla linea stilizzata. Deve apparire chiaro che, se sulla tavola viene collocato un centro di qualunque tipo, le bottiglie non hanno diritto di starci, devono scomparire dalla vista, come si conviene in tutte le occasioni formali. Tuttavia, oggi, un po’ perché i tavoli sono di ridotta ampiezza e già l’apparato dei singoli coperti deve rispettare i canonici 70 cm di spazio personale, un po’ perché i giovani padroni di casa, piuttosto che spendere in fiori acquistano una bottiglia di vino o spumante di livello, i centri tavola stanno scomparendo, senza che alcuno li rimpianga. Resistono sicuramente le candele, investite del loro fascino in tutte le speciali atmosfere che ognuno di noi può creare. donna Maura Una bella tavola resiste ai tempi «Mise en place», con pronuncia “mis an plas”, è un’espressione francese che indica la “messa sul posto” di tutto l’apparato necessario ad arredare la tavola e che concorra alla consumazione del cibo, in vista del più semplice pasto fino al più sontuoso banchetto. Nulla deve essere lasciato al caso. Essere immersi in un’atmosfera perfetta è un piacere che rinforza tutti i nostri sensi, e non c’è età o generazione che non l’apprezzi. Alcune persone ritengono che basta nutrirsi, mentre trascurano l’aspetto del godimento estetico dell’apparato che accompagna il cibo il quale, a parere di altri, è forse più importante ai fini di una buona digestione. Anche consumare il pasto quotidiano sul tavolo della cucina correttamente (benché al minimo dell’arredo) apparecchiato predispone al meglio il nostro spirito all’approccio di quello che stiamo per mangiare. La riuscita di un ricevimento va sicuramente dalla scelta delle pietanze e dei vini all’amalgama tra i vari ospiti e alla conversazione che si instaura, ma l’allestimento della sala in generale e delle tavola in particolare non è trascurata ad alcuna latitudine né da alcuna civiltà. La padrona di casa deve dedicarsi con calma a predisporre un ambiente accogliente, perché l’operazione, che comprende tutta una serie di azioni fatte con ordine e precisione, richiede il suo tempo, una serenità d’animo, e amore per gli invitati. Io, che vado in tensione ogni volta faccio un invito a cena, predispongo la mise en place fin dal primo pomeriggio, se non dal mattino, e, se anche mi faccio aiutare, il mio occhio vigila sempre e non c’è volta che la mia mano non aggiusti qualcosa. Per esempio, la posizione del sottopiatto rispetto al bordo del tavolo (due centimetri) e della sedia (centrata sul coperto), l’allineamento dei bicchieri (in diagonale), delle posate (a scalare e non infilate sotto il piatto), dei tovaglioli (tutti alla giusta distanza e piegati in modo uniforme), il centro-tavola che sia al centro, e così via senza trascurare di lasciare gli idonei spazi che andranno occupati dal pane, dalle brocche d’acqua, dalle bottiglie di vino, e dai vassoi di portata. Tra gli ospiti c’é sempre qualcuno che noterà l’armonia e potrà apprezzare. Non è questione di sopprimere la fantasia o di non poter manifestare la propria personalità arredando la tavola, è solo che bisogna rispettare certe regole, visto che ci sono. Sono solo “linee guida” del comportamento, sedimentate e affinatesi nei secoli. Vorrà ben dire! Un consiglio, au passant: qualunque sia la sua foggia, non utilizzate una tovaglia che presenti tracce di pasti precedenti (osservatela in controluce) né visibili pieghe della stiratura/piegatura (ripassate il ferro da stiro prima di posare i piatti). donna Maura Gli “intervalli” durante il pranzo Stabilito che la successione delle pietanze dall’antipasto alla frutta (*) ha una sua ragione radicata nel sapere antico di Ippocrate (V-VI a.C.), ripreso da Galeno (I-II d.C.), in merito alla capacità dello stomaco di digerire gli alimenti secondo il “peso” delle loro sostanze, come non adeguarsi a tale saggezza anche praticando ponderati intervalli tra i flussi delle portate? Biasimando comunque il ritardo non giustificato con cui il cameriere si accosta al tavolo per prendere la comanda e una lunga snervante attesa dell’arrivo del primo piatto ordinato, è altresì apprezzabile che ai clienti venga offerto un frizzantino se non anche un assaggino di qualcosa, sì da tenerli impegnati. Basta poco e il cliente si sente trattato con considerazione. Le regole standardizzate delle millenarie Buone Maniere indicano come disdicevole il comportamento di un commensale che nel bel mezzo di un pranzo si alza e se ne va per i fatti suoi (chi a riverire personaggi individuati ad un altro tavolo, chi a fumare, chi a telefonare). Per essere, con sforzo, benevoli, in una nuova ottica potremmo pensare che la “fughetta” semplicemente è il modo di fare, o riempire, un “intervallo”, in un pranzo eccessivamente lungo A seconda di quanto abbondante sia un banchetto, effettivamente alcune pause sono necessarie per prepararsi a degustare meglio quanto ancora è previsto ci sarà servito. Del resto, come recita un antico saggio proverbio, adottato dai buoni intenditori, “a tavola non si invecchia”, pertanto, una pausa un po’ più lunga tra portate sostanziose non può che essere accolta in modo positivo. Chi mi legge da tempo ormai sa che il ritrovarsi attorno ad un desco deve essere più che altro un’occasione per saldare amicizie, fare conversazione, rilassarsi e staccarsi dai pensieri lavorativi, non solo un momento per nutrirsi o satollarsi. L’ordine delle portate in feste importanti rispetta da secoli un menù organizzato intorno ad un piatto forte, quale è considerato l’arrosto, che funge da perno a uno o due “servizi”, e seguito da altrettanti, al minimo in tutto 5 piatti ma anche 7 ed eccezionalmente 9. È scontato che non si può stare a tavola compostamente seduti per tante ore. Per questo, dopo un antipasto importante, a base di carni, come stacco in attesa di un primo asciutto, può essere servito un consommé, e tra il piatto di pesce e quello di carne o, semplicemente, prima del dessert può essere proposto un sorbetto fresco. Nei Simposi Greci, nei Convivi Romani, nei sontuosi banchetti rinascimentali e fino al XVIII sec, dopo gli arrosti l’anfitrione offriva ai convitati una sorta di pausa di svago, che era un intermezzo musicale o di danza, di esibizioni acrobatiche o altro tipo di intrattenimento. Ciò dava tempo ai servitori di sgomberare le tavole e ai commensali di spostarsi a piacimento, in attesa della parte finale del pranzo, quello che chiamiamo dessert. Come biasimare che nei grandi pranzi e cene odierni questo “intervallo” occasionato dallo ‘sbarazzo’ dei residui del pasto, venga colto dai commensali come una sorta di “libera uscita”, purché con buon senso limitata a pochi minuti, non essendo cortese abbandonare i propri vicini di sedia. donna Maura (*) http://www.egnews.it/rubriche/il-galateo-in-tavola/item/918-pe rche-la-successione-delle-portate-e-un-cliche-da-cui-non-sisgarra.html La puntualità non optional, eppure … è un Il concetto del “tempo” non è una categoria assoluta, ogni cultura gli dà un significato differente, ogni Paese ha le proprie consuetudini, tanto che parlare di “orari” spesso è nominare qualcosa di astratto e variabile, sia a seconda delle stagioni sia in relazione agli stili di vita, alle appartenenze etniche, ai gusti, ai caratteri personali. Cosicché, soprattutto nei paesi, regioni, nazioni a clima caldo, tropicale, non viene quasi dato valore al “ritardo”. In un libro che ho recentemente letto, mi ha colpito la maniacale pignoleria della popolazione elvetica, non per niente Svizzera è considerata la patria degli orologi, pignoleria che non riguarda solo l’ordine e la pulizia, ma regola tutte le azioni dei cittadini e a cui i numerosi stranieri presenti sul suo suolo devono adeguarsi, per omologarsi. Però come si può convivere con la consuetudine di stabilire in anticipo l’orario di fine di un ricevimento, di una cena in casa? Consuetudine elvetica che già meraviglia, ma è sconcertante sia pure olandese e chissà di quali altri popoli nordici, è da indagare. Potremmo mai abituarci noi, popoli latini, a scrivere su un invito che la festa di compleanno, la cena di pensionamento, il ricevimento di nozze inizia alle ore X e termina alle ore Y? Perderemmo di colpo tutte le amicizie, direbbero che siamo “maleducati”, al minimo. Quello che il nostro Galateo ci insegna sulla questione degli orari è principalmente che si deve rispettare l’ora fissata per l’appuntamento, con qualsiasi clima, a qualunque latitudine e altitudine, possibilità o meno di parcheggio nei pressi, traffico o non traffico. Al massimo si avvisa del ritardo, il che è già scocciante per chi aspetta, magari a cena con le pietanze pronte ad essere gustate nell’orario concordato. E guai ad aver preparato un risotto o aver calcolato il tempo perfetto per il soufflè! Il Galateo ci dice anche qualcosa in merito alla durata dell’incontro: un appuntamento per un caffè, un tè, un aperitivo, un pranzo di lavoro, un dopo cena, deve durare al massimo un’ora e mezza, in casa o fuori casa. Lo inculca nelle menti e nel buon senso, non c’è bisogno di precisarlo nell’invito. Dice anche che, quando ospitati in casa per un pasto, entro un’ora dalla sua fine ci si deve accomiatare. Certo, il lasso di tempo in cui ci troviamo con i nostri ospiti, più tardi ha inizio sulle previsioni, più tardi termina, con un ingarbugliamento delle attività posteriori. Per questo, la maggior parte delle persone ritiene che la puntualità sia un principio da rispettare, nonostante la massima «Non è tardi se non guardi che ora è». donna Maura “Carnem levare” e bon ton Siamo a Carnevale, periodo nel calendario liturgico cristiano compreso tra l’Epifania e il mercoledì delle Ceneri, giorno da cui inizia la Quaresima. Il termine ha a che fare con l’espressione latina «carnem levare», la raccomandazione di non toccare la carne da quel momento fino alla Pasqua. Il Carnevale, inteso come grande festa collettiva, ha radici nella tradizione greca dei culti a Dioniso e in quella latina dei Saturnalia, rappresenta la temporanea liberazione dalle convenzioni sociali con il sovvertimento di ogni costrizione e la tolleranza di ogni licenza morale, anche attraverso travestimenti e buffe mascherate improntate all’irrisione. La festa sfrenata ha il suo culmine nei giorni “grassi” dove è lecita ogni abbuffata, in vista dei giorni “di magro”, periodo di penitenza e raccoglimento spirituale. Il piacere della tavola è indubbiamente un piacere terreno e la carne effettivamente era un privilegio dei ceti abbienti, non faceva parte della dieta del popolino, il quale si nutriva piuttosto di legumi: la moralizzazione dei costumi mirava anche a porre un limite al profondo abisso tra le classi sociali. La società medievale, nei suoi rigori ascetici, recuperò la tradizione antica dei digiuni e delle astinenze, con finalità di penitenza e contrizione, giacché la perfezione spirituale passa anche attraverso la mortificazione del corpo, e ancor più il dominio delle pulsioni. La carne fu individuata quale elemento principale di peccato, come prescritto da San Tommaso d’Aquino (XIII sec). Nella “astensione dalla carne” era compreso il sottrarsi ai rapporti sessuali. Premettendo che il Galateo nasce dalla codificazione di condotte ritenute corrette e frutto sia del buon senso sia del rispetto, valori indispensabili al vivere in società, sarebbe di ‘bon ton’, nonostante la radicale laicizzazione della morale sociale, evitare di organizzare cene, rinfreschi, festeggiamenti vari in Quaresima, soprattutto nel giorno delle Ceneri, e nei giorni del Triduo Pasquale, per non mettere in imbarazzo le persone credenti e praticanti le quali si vedrebbero costrette a declinare l’invito o a partecipare malvolentieri. I periodi di feste “proibite” elencati nel calendario liturgico sono tassativi per chi segue i precetti della Chiesa Cattolica, fino a pochi decenni fa ancora rispettati dalla maggioranza delle persone ma ora sempre più disattesi, mentre nessuno si stupisce che analoghe pratiche di digiuno e astinenza da certe pietanze e bevande siano onorate con rigore da altre religioni del pianeta. Nello stesso tempo ricordo che l’astinenza dalla carne vige per ogni venerdì quaresimale, giornata scelta in considerazione del giorno della Passione, e vale per la fascia di credenti dai 14 ai 60 anni. Pertanto il buon gusto, di cui si nutre il galateo, consiglia a chi proprio non potesse fare a meno di organizzare una conviviale in questa data, ad esempio per una ricorrenza, un compleanno, di optare per un menù di pesce. donna Maura A San Valentino cenetta romantica Per molte coppie è inevitabile festeggiare la giornata degli innamorati con una cenetta intima, sia perché lo “impone” la tradizione sia perché dame e damine la considerano una bella occasione per mettere alla prova la sensibilità romantica del partner. Abbiamo un bel concordare che è una festa consumistica e che ogni altra giornata è buona per andare a cena in un bel localino, però se non lui se ne ricorda prima o poi gliela facciamo pagare, anche se non saprà mai che la radice risale ad un 14 febbraio ignorato. Così l’uomo che ci ama, da intelligente, ci “concede” la festa, e noi siamo tutte contente. Molti sono i ristoranti che per quest’occasione si apprestano a trasformare la consueta fisionomia in una sorta di mini alcove: luci abbassate al minimo, candele, musica soft o qualche orchestrale in sottofondo. Persino, se richiesto, manciate di petali di rose rosse sulla tovaglia. E tanti rilanciano menù speciali da gustare con vini e spumanti d’eccellenza. Che vi siate conosciuti da poco o da tanto, che siate sposati o fidanzati, o amanti, che abbiate venti o sessant’anni, le regolette del bon ton sono uguali per tutti. Prima di tutto è meglio evitare i locali con ampia sala perché mancherebbe l’intimità, nonché i locali di grido a meno che non vogliate stordire la dama e ogni altro tipo di location che straripi dalle vostre possibilità (che farete l’anno prossimo?). E naturalmente niente pizzerie: chi porterebbe la propria amata a mangiar la pizza in questa ricorrenza? Nemmeno l’innamorato alle prime armi oserebbe. Lui deve prenotare il tavolo per tempo, facendosi assegnare possibilmente un angolino accogliente, lontano dalla porta dei servizi. Per l’abbigliamento niente maglioni o jeans. Abbiate cura di scegliere l’abito da indossare in sintonia con il locale e la circostanza, e avvisate lei. Siate discreti, non sottolineate che avete ordinato un menù afrodisiaco, specialmente se la conoscete da poco, e non esagerate a indurla a bere, pregustando un dopocena. Potrebbe essere allergica ai crostacei o, nel secondo caso, ubriacarsi, e allora patatrac su tutta la linea! Non discuterete sul conto, anzi, questo – come ho già scritto altrove – non dovrà nemmeno arrivare in tavola, andrà saldato alla cassa, in un momento che sceglierete. Consiglio a lei di andare al bagno dopo il dessert e prima del caffè, momento che lui coglierà per alzarsi e andare a pagare. Ovviamente, lei non chiederà alcuna informazione al riguardo, né discuterà le scelte del menù o la sua bontà, né durante la cena né dopo. Buon San Valentino a tutti gli innamorati. donna Maura Volete un caffè? È la domanda che non in tutte le case e non ad ogni latitudine viene posta agli ospiti alla fine di un pasto e pare scontata a mezzogiorno, meno frequente alla sera. Tanti commensali, invece, si aspettano che ogni buon banchetto si concluda oltre con il dolce pure con un buon caffè. La regola del Galateo vuole che vi accomodiate in salotto, così state più comodi ma soprattutto vi togliete dagli occhi quel disastro in cui si è ridotto il desco. Effettivamente non è vero che in salotto si sta più comodi dopo aver mangiato, insaccati nelle poltrone che sembriamo tutti al sesto mese di gravidanza compresi gli uomini, però almeno, intanto che vi spostate, i padroni di casa predispongono l’occorrente. Non volete spostarvi? Fa lo stesso, il caffè è un optional, ma è anche un rito. Del rito devono sentirsi partecipi anche gli altri, ma purtroppo non è sempre così e a tavola non del tutto sparecchiata, a volte, è come trovarsi al mercato nell’ora di punta, dove ognuno si fa i fatti propri. L’etichetta vuole che si porti tutto il necessario alla presenza degli ospiti, non si preparano le dosi in cucina. Tra amici non vergogniamoci di esibire la Moka, ma se vogliamo essere moderni procuriamoci una caffettiera di vetro. Fa molto vintage presentare il bricco da caffè in stile con il servizio, assolutamente opportuno nei pranzi molto formali, anche se nel travaso si perde molto dell’aroma, del calore e anche del gusto. Ricordiamoci dei bricchi di latte, e di soia per chi è allergico al lattosio, nonché della zuccheriera col suo cucchiaino. Bene sarebbe offrire la possibilità di scelta tra lo zucchero bianco raffinato e quello grezzo di canna, per i salutisti. Da evitare le bustine stile bar! Sono ammesse le zollette, purché fornite con l’apposita pinzetta. Regola di servizio: la padrona di casa, reggendo il piattino con tazzina (manico a sinistra) e cucchiaino (a destra), per ognuno versa il caffè nella quantità desiderata, indi lo porge con la mano destra, lasciando sia lo stesso ospite a servirsi di zucchero e latte. Ogni persona ha il suo intimo rapporto con il caffè e io, che lo amo moltissimo, non sopporto quando mi viene offerta una tazzina colma fino all’orlo, come fosse un formato standard, per questo ai miei ospiti, arrivata a metà, chiedo sempre «Va bene così? posso mettere ancora?». Altra regola: l’uso del cucchiaino. Esso non va roteato dentro la tazza per sciogliere lo zucchero, semplicemente si fanno un paio di movimenti in verticale, da nord a sud. E non si deve assolutamente portarlo alla bocca, neanche se ci fosse la panna (questa farà le veci del latte e lasceremo che si sciolga, ma è difficile resistere, vero?). È considerato alquanto ineducato raschiare il residuo di zucchero non sciolto con la goccia rimasta sul fondo e addirittura molto cafonesco aggiungere del latte per “sciacquare” la tazzina. Almeno non palesatelo ad alta voce. Ovviamente non si aspira facendo strani suoni. Dopo l’appropriato uso, il cucchiaino va deposto sul piattino, guai a lasciarlo infilato dentro! Come il vino, il caffè si centellina, non lo si manda giù d’un sorso solo perché è un fluido! donna Maura Le feste non finiscono mai Le Grandi Festività Religiose sono trascorse con l’Epifania che se le porta via tutte, tuttavia, per il calendario liturgico cristiano ora entriamo nel Carnevale, periodo che si conclude con l’inizio della Quaresima, tempo di divertimenti e sfrenatezze che si ricollega alla tradizione medievale ma ha le radici originarie nei “Saturnali” degli antichi romani. Pertanto, anche chi ha vissuto sotto tono un Natale e un Capodanno senza il ritmo frenetico degli anni memorabili, può ritrovare lo spirito e la gioia di godere la piacevole compagnia degli amici, evitando di sopraffarli con menù strepitosi, bensì con qualcosa di alternativo. L’ideale è organizzare un pomeriggio o un dopocena, occasioni per stare assieme in modo informale, senza obbligo per la padrona di casa di allestire la tavola né di cucinare. Ciò non vuol dire che sia escluso il mangiare e si debba solo bere. E sicuramente non si tratta di risparmiare tempo e fatica. Sia per un invito pomeridiano sia serale, si dovrà predisporre quanto necessita, ancor meglio il doppio se non il triplo, di piattini, posate, tovaglioli, bicchieri, in quantità da assicurare ad ogni ospite più di un cambio. Gli ospiti troveranno vassoi con i più vari e stuzzicanti finger food, preparati con fantasia o ispirandosi ai libri di alta gastronomia e pure agli innumerevoli siti e blog della rete. Non mancheranno dolci vari meglio se “particolari” e se fatti in casa (trovo un po’ banale l’abitudine di riqualificare panettoni e pandori farcendone le fette con creme calde allo zabaglione), infine frutta fresca e secca in quantità. Da non dimenticare salatini e formaggi a cubetti e qualunque altro prodotto di salumeria tipica locale. E soprattutto ciotole, da disseminare ovunque, dove gli ospiti depositeranno i loro scarti. Se per una “pomeridiana” il vino bianco e le bollicine sono sempre graditi, accanto a qualche bottiglia di rosso, anche mosso, il vero protagonista del dopocena è soprattutto l’alcol: tutti i vini, rossi e bianchi, mossi e fermi, frizzanti o invecchiati, e una varietà di alcolici ad alta gradazione, tutto quello che volete per coccolare i vostri ospiti, ricordando che le grappe tornano di moda battendo il whisky. Consiglio di tenere in frigo anche qualche birra, essendo sempre più diffusi gli estimatori della spumeggiante bevanda. Sempre presenti acqua e analcolici, per chi gradisse. In questi casi l’invitato porta qualcosa? Ebbene sì, arrivare a mani vuote è piuttosto da maleducati. Ma niente fiori e niente regali personali e nessun tipo di regalo che dia sentore di un dono natalizio giunto fuori tempo o riciclato. La cosa migliore è portare una o anche due bottiglie di vino, spumante/champagne, magari un Magnum, un liquore, della piccola pasticceria, insomma cose da condividere con il gruppo e che il padrone di casa metterà subito a disposizione di tutti. Buone serate! donna Maura L’atmosfera del Natale anche a tavola In questo periodo dell’anno, tanto atteso da adulti e bambini, e anche dai commercianti che addobbano vetrine e negozi con luci sfavillanti per creare un’atmosfera invogliante agli acquisti, siamo tutti (o quasi tutti) di buon umore e ci prepariamo a celebrare il Grande Evento pregustando i più squisiti manicaretti tra le luminarie che decorano le nostre case. Nella frenesia consumistica forse trascuriamo qualcosa: il significato della Festa. Significato che fin dalla Antichità in tutti i culti aveva valenza religiosa, come data di nascita degli dei, per esempio si festeggiava la nascita del dio Sole babilonese Shamash, del dio Horus in Egitto, in Persia del dio guerriero Mithra, anch’esso partorito da una vergine e soprannominato “il Salvatore”. Nulla di strano che la Chiesa Cristiana nello stesso giorno rievochi la nascita di Gesù, il Salvatore. È il periodo dell’anno che rappresenta il culmine del ciclo di “morte-nascita”, a cui affidare la speranza di un nuovo anno migliore, da millenni e millenni festeggiato partendo dai giorni del Solstizio d’Inverno, che cadeva tra il 22 e il 24 dicembre (oggi, tra il 21 e il 22, a causa della “precessione degli equinozi”), quale chiusura di un ciclo stagionale e apertura di uno nuovo, con riti legati al mondo rurale. Questo passaggio si celebrava con lauti banchetti pubblici in una notte di veglia, alla luce delle candele e dei fuochi, in attesa della nascita del Sole, accolto con un brindisi finale collettivo e con uno scambio di doni simbolici. Ecco spiegato perché ci sentiamo tanto infervorati in questo giorno così importante, osservanti o no. È bene viverla appieno questa atmosfera delle Festività Natalizie. Certamente presepe, albero, decorazioni, contribuiscono a creare un clima magico attorno alla tavola, la protagonista di due momenti essenziali, secondo le usanze locali, la cena della Vigilia e/o il pranzo del 25. La tradizione vuole menù diversi, ma non deve essere diversa la cura nella preparazione delle pietanze e nell’allestimento di una mise en place adeguata alla eccezionalità della ricorrenza. Qualche personaggio ha dichiarato, rabbrividendo, debba bandirsi il colore rosso sia per le mise femminili che per l’arredo e il tovagliato natalizio giammai sia “natalizio”. In effetti il bianco è sempre raffinatissimo, e i colori oro e argento con effetto brillantinato sono di tendenza, però non deve mancare il rosso né il verde. E nemmeno un centro tavola con candele. Certo è il momento di rispolverare il servizio di stoviglie migliore, lucidare l’argenteria per chi ce l’ha, controllare se si possiedono sufficienti piatti e posate da portata, evitando di far arrivare in tavola cose da cucina, nemmeno i mestoli. Nel sistemare i bicchieri, verificare non ci siano macchioline di calcare o sbeccature. Ideale sarebbe infilarsi un paio di guanti di cotone nell’allestire la tavola, per non lasciare impronte, queste sì sono da brivido! Assolutamente importante è rifornirsi di adeguata quantità di bottiglie di vini e spumanti, in armonia con le pietanze, e avere cura della loro temperatura al momento in cui verranno serviti. Questo è anche il momento giusto per i segnaposto decorativi, e farebbero colpo i cartoncini con la descrizione del menù, magari piccole pergamene individuali legate da un fiocchetto semplice o con intrecciata una decorazione natalizia che la fantasia e il buon gusto possono suggerire. Ricordarsi, infine, che il momento dello scambio dei regali è prima del dolce seguito dal brindisi con le bollicine. Felice Natale a tutti! donna Maura