i meli ei fagioli nel bellunes - Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi
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i meli ei fagioli nel bellunes - Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi
Nadia Breda e Barbara De Luca Antropologhe Letture antropologiche della biodiversità coltivata: i meli e i fagioli nel bellunese NOTA I due saggi che vengono qui presentati costituiscono un approfondimento antropologico basato sul materiale etnografico raccolto per la realizzazione del progetto “Antropizzazione di un territorio: la biodiversità coltivata” promosso dal Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi e dal Museo Etnografico della Provincia di Belluno, negli anni 1999-2000. Si rimanda quindi al materiale consegnato al Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi per i riferimenti all’impostazione di questa ricerca, alle interviste svolte, al materiale sonoro, figurativo e agli oggetti inerenti la coltivazione di melo e fagiolo raccolti, alla bibliografia. Abstracts nadia breda, Il fagiolo gialìn nel bellunese: saperi sulla semente locale, strategie e rappresentazioni culturali In questo articolo vengono analizzati tre aspetti di interesse antropologico riguardanti la coltivazione della varietà locale di fagiolo, il fagiolo gialìn: le modalità pratiche e le strategie di manipolazione e conservazione della semente locale messe in atto da contadini e contadine del bellunese; le rappresentazioni culturali che sottendono tali strategie; alcune pratiche ecologiche locali che caratterizzano la coltivazione di questa biovarietà. Oltre ai dati etnografici che qui vengono presentati, sono emersi dalla ricerca alcuni risultati importanti: 1) Un particolare meccanismo culturale locale che intreccia la lettura della natura attraverso i colori con la scrittura vista come risultato e manifestazione della domesticazione della biovarietà; 2) la cosiddetta biodiversità dal punto di vista locale risulta essere piuttosto una uniformità, una esigenza di omologazione e di uguaglianza piuttosto che di diversità. La biodiversità si profila dunque come un concetto “dall’alto”, che interpreta in chiave scientifica ciò che “dal basso”, dal punto di vista antropologico e della storia delle popolazioni costituisce un processo di omologazione. 3) La biodiversità oggi percepibile è il risultato di un procedimento “a salti” della manipolazione locale del germoplasma. DE LUCA BARBARA, I meli e il melo ferro cesio nel bellunese. Denominazioni e descrizioni, pratiche e saperi. Il saggio che qui presento è costruito su descrizione e analisi di parte dei dati etnografici raccolti attraverso la ricerca sul campo e relativi in particolare alla coltura del melo nei comuni di Cesiomaggiore, Sospirolo e Feltre. Si compone di tre parti. La prima è dedicata allo studio e all'analisi dei criteri che informano le descrizioni e le denominazioni popolari delle varietà di mele. Nella seconda viene trattato il tema dell'innestare letto come pratica specializzata che acquisisce anche una forte valenza ideologica, come saper fare che permette di addomesticare le piante e di trasformarle da selvatiche in domestiche, mantenendo le caratteristiche positive della pianta spontanea e guidandone però la produzione. Nella terza, infine, vengono rielaborati alcuni dati relativi alle differenza colturali attribuibili alle diverse condizioni socioeconomiche che distinguono piccola e grande proprietà, viene inoltre proposta una lettura gerarchica del rapporto tra stalla, frutteto, campi e orto. Indici Nadia Breda Il fagiolo gialin nel bellunese: saperi sulla semente locale, strategie e rappresentazioni culturali 1. 1.1 - strategie, pratiche, tecniche scegliere e conservare la semente il meglio del meglio non mescolare, non avvicinare, porre attenzione alzare le piante cambiare la terra, scambiare i fagioli 1.2 rendere “locale” la semente contro la diversità: isolamento locale, quantità ed omogeneizzazione della semente 1.3 perdere la semente saltare un anno il debito di fagioli il campo stanco, la terra nuova 1.4 cambiare la semente - le innovazioni di coltivazione come salti culturali - 2. rappresentazioni culturali 2.1 leggere e scrivere la natura con i colori colori per le fasi vegetative colori per i frutti colori per i difetti 2.2 colori e scrittura: i fagioli “scritti” 2.3 la razza 2.4 la domesticazione come scrittura, la scrittura come domesticazione - l’intreccio di colori-domesticazione-scrittura 3. pratiche ecologiche locali. il misurare locale misurare la quantità da seminare (il numero dispari) misurare lo spazio per la semina (èl pas) misurare il tempo della semina (la luna) misurare il comportamento della pianta (fagioli da mezza frasca e fagioli che caricano forte) misurare l’essiccazione (il fagiolo che salta) misurare il prodotto ottenuto (la garnèla) valutare la qualità (tenersi o andare fuori) De LUCA Barbara, I meli e il melo ferro cesio nel bellunese. Denominazioni e descrizioni, pratiche e saperi. Prima parte: Identificare e classificare 1. 1 Denominazioni e descrizioni 1.1.1. Criteri percettivi, 1.1.2 Criteri estetici, 1.1.3 Criteri utilitaristici-funzionali, 1.1.4 Criteri simbolici 1.1.5 Criteri storico-geografici. 1.1.6 Le immagini in una descrizione popolare Seconda parte: Modificare e adattare 2.1 La passione per l'innesto 2.2 La necessità dell'innesto: dal selvatico al mèstego 2.2.1 La forza della pianta selvatica 2.2.2 I frutti tristi: la debolezza della pianta selvatica 2.2.3 Il melo "buono" 2.3 La pratica dell'innesto: un saper fare che addomestica 2.3.1 Scelta dell’innesto e indicazioni sul periodo ideale per prelevarlo: 2.3.2 Preparazione del portainnesto 2.3.3 Innestare 2.3.4 Innestare a spacco a corona o a occhiello 2.4 Il calore che fonde Terza parte: Gerarchie di spazio e di tempo 3.1 La stalla i campi e il frutteto: note sulle differenze socio-economiche 3.1.1 Risparmiare lo spazio, risparmiare il lavoro 3.1.2 Uso attento e parsimonioso delle risorse Nadia Breda Antropologa Il fagiolo Gialin nel bellunese: saperi sulla semente locale, strategie e rappresentazioni culturali indice 1. strategie, pratiche, tecniche 1.2 - scegliere e conservare la semente il meglio del meglio non mescolare, non avvicinare, porre attenzione alzare le piante cambiare la terra, scambiare i fagioli 1.3 rendere “locale” la semente contro la diversità: isolamento locale, quantità ed omogeneizzazione della semente 1.4 perdere la semente saltare un anno il debito di fagioli il campo stanco, la terra nuova 1.5 cambiare la semente - le innovazioni di coltivazione come salti culturali - 2. rappresentazioni culturali - 2.1 leggere e scrivere la natura con i colori colori per le fasi vegetative colori per i frutti colori per i difetti 2.2 colori e scrittura: i fagioli “scritti” 2.3 la razza 2.4 la domesticazione come scrittura, la scrittura come domesticazione l’intreccio di colori-domesticazione-scrittura 3. pratiche ecologiche locali. il misurare locale - misurare la quantità da seminare (il numero dispari) misurare lo spazio per la semina (èl pas) misurare il tempo della semina (la luna) misurare il comportamento della pianta (fagioli da mezza frasca e fagioli che caricano forte) misurare l’essiccazione (il fagiolo che salta) misurare il prodotto ottenuto (la garnèla) valutare la qualità (tenersi o andare fuori) BILIOGRAFIA IL FAGIOLO GIALìN NEL BELLUNESE: SAPERI SULLA SEMENTE LOCALE, STRATEGIE E RAPPRESENTAZIONI CULTURALI Ne ho messa una fila lì, per farmi la semente (Vigne Silvana, 27-9-2000) Processo consueto alle culture contadine, la conservazione delle sementi locali è stata fino a solo qualche decennio fa una complessa, articolata “produzione di natura” da parte dei contadini, a pieno titolo oggi definiti “produttori di biodiversità”, artisti creatori perché produttori di biodiversità. La conservazione delle sementi locali, direi proprio delle “sementi famigliari”, delle “sementi della famiglia”, era al centro della produzione e della conservazione della biodiversità, e tale è stata fino alla introduzione nel mercato degli ibridi e alla perdita della biovarietà locale. La mia semente ce l’aveva ancora mia mamma, gliel’aveva data una signora, qui, dove adesso sono morti tutti … una volta non è che si andasse a prenderli di qua o di là, una volta c’era solo quello che si produceva in casa e basta (Vigne Silvana, 27-9-2000) Il fagiolo gialìn, rappresentando un caso di conservazione della varietà locale, ci ha permesso di studiare e di raccogliere informazioni sulle modalità concrete, praticate localmente, di scelta, conservazione e riproduzione della varietà locale. La ricerca ha profilato la possibilità di venire a contatto non solo con il germoplasma della biovarietà, di interesse agronomico e scientifico, ma anche con i saperi tradizionali sulla diversità locale, saperi popolari locali sulla manipolazione del germoplasma. Saperi che hanno sempre accompagnato la biodiversità e che qui abbiamo potuto rinvenire nelle parole e nelle azioni dei contadini e delle contadine del bellunese. L’interesse di questi saperi sta nella conservazione di processi secolari di manipolazione del germoplasma. E’ stato perciò importante rilevare e documentare con la ricerca etnografica le modalità di selezione, conservazione e manipolazione del germoplasma e le idee e rappresentazioni culturali ad esse associate, anche se la ricerca meriterebbe in questo punto, non smettiamo di ricordarlo, ulteriori approfondimenti. Analizziamo, a proposito di questo argomento, due livelli di discorso: le strategie, le pratiche e le tecniche di conservazione della varietà locale e le rappresentazioni culturali ad esse legate. 1. STRATEGIE, PRATICHE, TECNICHE 1.1 scegliere e conservare la semente - Con i fagioli si cambia razza Come si fa a cambiare razza? Quando lei li prende su, sceglierli (Vigne Silvana 30-10-2000) il meglio del meglio I coltivatori praticano una accurata scelta della semente da utilizzare per la riproduzione. Spesso i nostri interlocutori per spiegarci con che criterio selezionavano le sementi di fagiolo hanno fatto il paragone con il seme del mais: delle pannocchie migliori i contadini per la semina successiva trattengono la parte ancora migliore, scartando la punta e la base. Il meglio del meglio, insomma, veniva tenuto. Qualcosa di simile avviene con la selezione dei fagioli da seme. I fagioli si ha la tendenza di prendere sempre quelli meglio, (Rossa Giuseppe, 12-10-2000) Si ha cura di tirare fuori sempre il meglio (Vigne Silvana 30-10-2000) Tenendo sempre la stessa razza e sempre il meglio, i migliori fagioli, quelli più forti, allora quelli più forti hanno vigore, forza, invece quelli più deboli viene su una piantina (Vigne Silvana 30-10-2000) Vengono tenuti come seme i fagioli meglio cresciuti, del tutto sani, ben essiccati. L’attenzione per la selezione della semente viene attivata dai coltivatori prima della raccolta, privilegiando le piante meglio esposte al sole, più arieggiate, più spaziate e lasciando seccare il fagiolo sulla pianta più a lungo. Spesso erano selezionati per la semente i primi fagioli che maturavano; In genere si lasciavano indietro dei primi che venivano, si lasciava indietro un pezzettino apposta per farsi proprio la semente (Maoret Luciano 7-3-2000) Altre informazioni spiegano che andavano scelti quelli delle righe più esterne, probabilmente perché più soleggiate; Si prendevano i primi dei primi che si raccoglievano, si tirava fuori la semenza e poi li si curava bene anche quelli (Corona Maoret 7-3-2000) Sono considerati da seme i fagioli più grossi e quelli che hanno mantenuto integro il colore originario, un colore uniforme, senza striature, per il fagiolo gialìn. Si tenevano per seme fagioli della stessa dimensione. Una volta sgranati i fagioli, si scartavano quelli piccoli e “ragiadi”, macchiati o non simmetrici. Tra i fagioli più belli venivano comunque ancora eliminati quelli meno belli e tenuti quelli ritenuti veramente migliori. Così si è espressa una nostra interlocutrice: Io scelgo le tegoline più belle, prendo le più belle (Vigne Silvana, 27-9-2000) Non si poteva tenerli se c’era dentro quello piccolo o quello malformato (ragià), che è possibile, allora bisognava passarli, sceglierli (Corona Maoret 7-3-2000) Il fagiolo da semente deve seccarsi bene sulla pianta Bisogna che maturino sulla pianta, che secchino sulla pianta, poi gli si dà un ritocco, che secchino un pochino al sole, che finiscano di, anche per andare bene a sgranarli, senò restano tutti appiccicati insieme (Vigne Silvana, 11.4.2000) non mescolare, non avvicinare, porre attenzione L’imperativo di base per conservare integra la varietà locale è quello di “non mescolare”, ponendo attenzione a una serie di criteri minimi che garantissero l’isolamento della varietà. Così si esprimono i nostri interlocutori: Bisogna stare attenti a non mescolare, senò vengono fuori gli ibridi, si imbastardiscono (Ettore de Bastian, 18-5-2000) Ci vuole tenere sempre quella qualità là (Vigne Silvana 30-10-2000) Bisognava dunque non mescolare i fagioli tra di loro, con la vicinanza nel campo o nell’orto. Bisogna anche vedere dove li seminano, come li seminano, se li seminano troppo da vicino (Vigne Silvana, 27-9-2000) Imbastardati perché si vede che attorno a dove li hanno messi hanno messo anche altre qualità, ed è facile che si imbastardiscano Perché è facile? Il perché non so dirglielo, invece di venire di un’unica qualità vengono mescolati E voi stavate attenti una volta a non farli imbastardire Bisogna metterli lontani, se si mettono su prati vicini è allora è una cosa che… Ma anche se ne metteva solo due tre o devono essere tanti perché si imbastardiscano? No, no, basterebbero anche due piante di fagioli, una di un tipo e una di un altro, loro si mescolano, è facile che si mescolino (Corona Maoret, 18-9-2000) Noi di solito li curavamo e li tenevamo da parte, si lascia una pianta di fagioli o due o tre, secondo la qualità che si intende seminare, si lascia indietro, non si prende su niente, si aspetta che vengano tutti secchi e allora ci si fa la semente di quelli, si cerca che siano lontani dagli altri (Corona Maoret, 18-9-2000) Non mescolare significa dunque anche non avvicinare. La disponibilità di uno spazio sufficiente si rivela dunque necessaria alla conservazione della purezza della varietà locale. Si mettevano nei campi ma lontano dagli altri, perché si imbastardivano, c’era proprio quel giallino lì che era pessimo per impestare, era più soggetto degli altri, allora si sapeva, se da una parte si metteva una qualità dall’altra si mettevano i giallini, in modo che fossero lontani, per non mescolarsi (Maoret Luciano 7-3-2000) Non mescolare significa anche non mettere nel campo troppe quantità di semi. Dice infatti l’interlocutore che no se podhéa ténderghe a tante qualità, “non si poteva stare attenti a tante qualità”, non si poteva stare attenti sufficientemente se c’erano troppe qualità di fagioli sul campo. Questo rinvia direttamente a quel concetto di omogeneizzzione della varietà locale di cui parlo in un paragrafo successivo. Nella testimonianza seguente è interessante notare anche che la preservazione della semente era considerata con vigile e cosciente attenzione: Noi qui li chiamiamo bonèi, ne ho ancora, solo che mi tocca stare attento che non si incrocino con gli altri (Ettore de Bastian 19-9-2000) Non si poteva stare attenti a tante qualità perché il campo era quello che era, non si poteva perché per esempio quello giallo era tremendo per bastardare (Corona Maoret 7-3-2000) alzare le piante Anche le tecniche di “innalzamento” della pianta, attraverso il posizionamento di tutoraggi (frasche o “castelli” Per cui si veda la scheda BDE (Beni Demoetnoantropologici Etnobotanici) sul fagiolo gialìn, del progetto “Antropizzazione di un territorio: la biodiversità coltivata” a cura del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi e del Museo Etnografico della Provincia di Belluno, 1999-2000. Come dice la nota introduttiva, tale materiale, che costituisce la ricerca in oggetto, è consultabile presso il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, Feltre (BL)), è indicato come misura di preservazione della purezza della semente. Il fagiolo non curato, lasciato a terra senza tutori, si ibrida più facilmente di un fagiolo ben aerato e tutorato. Se vanno per terra che non hanno bastoni allora si imbastardiscono, però se hanno i bastoni io non ho mai visto (Vigne Silvana, 11.4.2000) cambiare la terra, scambiare i fagioli Tra contadini che ci si conosce, allora ce n’erano di quelli dalle parti di Meano, di quelli da Lamon, noi gli portavamo dei nostri e loro un paio di chili di fagioli, contraccambiarli… per cambiare semenza insomma… (Vigne Silvana 30-10-2000) Un’altra modalità di mantenimento del seme era quella di scambiarsi i fagioli più belli, quelli da seme, tra contadini. Ma ogni famiglia metteva via la sua semente? Sì sempre, non si distingueva da una famiglia all’altra no, erano sempre più o meno uguali, poi ce n’erano tanti che facevano anche questo sistema, io per esempio tiravo fuori i fagioli più belli per la semente e poi glieli passavo ad un altro, e quello passava i fagioli a me, in modo che si cambiasse, perché dicevano che cambiando terra venivano meglio ma ogni anno? ogni due tre anni, o a periodi, per esempio c’era quel anno che non erano tanto belli, c’era quello che li aveva fatti più belli, allora si scambiavano, così tra contadini, non si parlava di andare a comprare la semente (Rossa Giuseppe, 12-10-2000) La testimonianza precedente contiene riferimenti non solo ad un semplice scambio di semi, che pure avveniva, ma anche ad altri concetti e pratiche, quali quelli del “far cambiare terra” alla semente, e a una certa concezione della “stanchezza” della semente, di un suo logorio o deterioramento. Rimando a questo proposito al paragrafo “Il campo stanco e la terra nuova” (vedi oltre). 1.2 rendere “locale” la semente contro la diversita’: isolamento locale, quantità ed omogeneizzazione della semente . Una essenziale strategia per la conservazione della varietà locale di fagiolo è quella che può essere definita come isolamento della varietà. I fagioli di diverse varietà non vanno mescolati tra loro, perché non si ibridino, come è sapere comune di ogni coltivatore e di ogni coltivatrice, non solo per gli ortaggi ma anche per i fiori ed altre piante, e come abbiamo visto più sopra. Isolare la semente significa allora, anche, piantare i fagioli di una certa varietà insieme, vicini e in buona quantità, per evitare incroci. In particolare non vanno piantati vicini fagioli dal colore uniforme e fagioli striati, come vedremo meglio ancora in seguito. Un esteso campo piantato con una sola varietà di fagioli è dunque una buona garanzia di conservazione della varietà. L’isolamento si realizza attraverso una buona quantificazione della semente. Per imbastardirli bisogna che ce ne siano almeno tre o quattro file, perché si imbastardiscano (Vigne Silvana, 27-9-2000) E’ in questo senso che a mio avviso vanno lette altre testimonianze degli interlocutori incontrati. Un interlocutore spiega che localmente i fagioli si ibridavano poco perché tutto sommato le varie famiglie del paese coltivavano le stesse varietà di fagioli, quelle maggiormente adattate e richieste dal mercato. Si aveva cioè una specie di diffusione locale, paesana, della varietà di fagiolo, e questo garantiva sia l’uniformità del prodotto da immettere sul mercato, sia la possibilità di mantenere una varietà pura. L’omogeneizzazione della varietà almeno all’interno dello stesso paese garantisce o aumenta le possibilità di conservazione della purezza della specie. Una volta non è che si andasse a prenderli di qua o di là, una volta c’era solo quello che si produceva in casa e basta (Vigne Silvana, 27-9-2000) Pare dunque applicata una forma di diffusione (però localizzata) della stessa varietà e una omogeneizzazione (sempre localizzata) della stessa. Alcune informatrici donne raccontano di aver cominciato a piantare i gialìn proprio perché sono stati loro donati localmente e per essere state incentivate a seminare la varietà locale. Una forma di appaesamento che passava anche attraverso la coltivazione della biovarietà locale. Pare insomma che la strategia fosse quella di uniformare la varietà locale e di diffonderla omogeneamente localmente. Non sembrano apprezzate le eccezioni, le stravaganze, le diversità. La biovarietà locale si accompagnerebbe dunque alla non-diversità, alla non biodiversità locale. Lo scopo pare essere quello di riuscire a fare (e restare sul) mercato con quella data varietà, di non uscire dalla concorrenza utilizzando una varietà marginale (che non troverebbe commercio) e nella stesso tempo di non avere localmente concorrenti troppo forti, con varietà nuove o particolari che potessero soppiantare la varietà locale. Non potevano neanche imbastardirsi perché quelli che c’erano erano sui campi grandi e più o meno erano della stessa quantità, perché non era che una famiglia ne avesse di una qualità e l’altra ne avesse di un’altra, avevano tutti gli stessi, perché quando andavano sul mercato erano tutti uguali, il mercato era fatto così (Rossa Giuseppe, 12-10-2000) Qui cercavano di mettere tutti la stessa qualità perché un domani quelli che erano da vendere non ci fossero stati mescolamenti (Rossa Giuseppe, 12-10-2000) Per essere diversi, bisognava essere internamente uguali. Per produrre biodiversità bisognava produrre uniformità locale. Ciò che con una visione “dall’alto”, dal globale, è considerato essere la biodiversità del pianeta terra, visto localmente è il suo opposto: è l’uniformità di una particolare varietà, l’omologazione dei coltivatori verso la riproduzione di una specificità locale, per tutti i locali uguale. E’ di fondamentale importanza questo risultato etnografico, poiché mostra quanto diversi siano i punti di vista locale da quello globale, le strategie locali di produzione e manipolazione della biodiversità dalle politiche nazionali ed europee di concezione della biodiversità. L’antropologo Giulio Angioni ha mostrato in un recente importante articolo come la diversità della concezione locale ( basata su strategie a corto respiro, spesso dominate da prospettive utilitaristiche, destinate a mercati locali) da quella globale (basata su una visione planetaria di lunghissima durata, proiettata verso il futuro) necessiti di una mediazione, di una interpretazione e di una traduzione dei due diversi opposti sensi, se si vogliono mettere in atto politiche di conservazione e utilizzazione della biodiversità locale che siano percepite come valide anche agli occhi delle comunità locali. 1.3 Perdere la semente saltare un anno I fagioli scelti per seme secondo alcuni interlocutori vanno piantati l’anno successivo alla loro raccolta: una coltivatrice narra infatti che la sua famiglia ha perso la semente per aver aspettato un anno a riseminare i fagioli, così che il secondo anno non sono più spuntati. Siamo stati che non sapevamo dove metterli, un anno, il secondo anno non sono più nati (madre di Corona Maoret 7-3-2000) Un’altra interlocutrice racconta di aver prestato fagioli da semina ad una famiglia vicina, e che quando a sua volta chiese di quella semente, essendone essa rimasta priva, la famiglia debitrice restituì fagioli assai scadenti, ibridati e di scarsa qualità. Il giudizio della nostra interlocutrice sulla scarsa cura che la famiglia ebbe della semente prestata è stato assai negativo. Non so come sia stata, li abbiamo dati ad una sposa qua, “ve li ritorno in seguito”, ci ha detto, ce li ha dati tutti bastardati, così siamo andati fuori razza ( Corona Maoret, 18-9-2000) La semente si poteva perdere anche per danni causati alla coltivazione dal maltempo, dalle malattie o dagli insetti. Poi è venuto un momento che il fagiolo di Lamon si è tutto imbastardito, è venuto tutto malato, ha fatto in un anno tutti i pidocchi, allora ci è toccato eliminare la semenza di quello… poi sono andata a riprenderla, io, l’ho comprata nei consorzi, ma non erano più uguali, non erano più quelli, facevano anche fatica a cucinarsi …sembravano uguali, ma sta a vedere da dove venivano, perchè quando si compera al consorzio non si sa da dove vengano(Vigne Silvana, 27-9-2000) Il debito di fagioli Si è visto che la semente di poteva perdere anche per danni causati alla coltivazione dal maltempo, dalle malattie o dagli insetti. In quel caso la riproduzione del proprio seme non avveniva più e i coltivatori si rifornivano di seme da altri contadini, praticando uno scambio, o di fagioli con fagioli o di fagioli con altri prodotti, o contraendo un debito, a volte nel senso di dovere (o impegno) a restituire la semente l'anno successivo. Io non ricordo che mia mamma sia mai andata a comperare fagioli da seminare… se li facevano prestare o si facevano dare un pugno da uno un pugno da un altro, perché allora erano tutti che li avevano (Vigne Silvana, 27-9-2000) Si veda su questo argomento anche il paragrafo “Cambiare la terra, scambiarsi i fagioli” e il successivo. Il campo stanco, la terra nuova Alcuni interlocutori hanno interpretato la perdita della semente, la scarsità del raccolto e la bassa qualità del prodotto come effetto di un campo “stanco”: In questi ultimi anni non abbiamo piantato più quelli gialli piccoli, perché non rendevano più, o che il campo era stanco (Corona Maoret 7-3-2000) Questa testimonianza può essere accostata a quanto ci disse un altro interlocutore, e cioè che si usava “cambiare terra” ai fagioli, cioè essenzialmente scambiarsi la semente (vedi sopra): uno scambio considerato come un far cambiare la terra a una certa varietà di fagioli. Viene dunque riconosciuto, con questa tecnica, il ruolo essenziale delle qualità del terreno sul prodotto seminato. Questa tecnica probabilmente suppliva anche a difficoltà di rotazione dei prodotti, in una zona montana con poco spazio disponibile per i seminativi. L’obiettivo era quello di “rinvigorire” la semente, di metterla nelle condizioni (in questo caso pedologiche) di mantenersi rigogliosa; non potendo praticare una rotazione dei terreni si “rotavano” i semi, piantandoli in una terra “nuova”, diversa. 1.4 cambiare la semente Qua sono sempre state cambiate, variate, le razze (Ettore De Bastian, 19-9-2000) le innovazioni di coltivazione come salti culturali Vari motivi inducevano i coltivatori a “cambiare razza” di fagiolo, cioè a cambiare varietà, abbandonando la semente di casa. A volte si “cambiava razza” perché emergeva sul mercato una razza più conveniente. E’ stato questo il caso per esempio dei fagioli “regina”. Cambiare semenza perché dopo tanti anni che viene una qualità, cambiando semenza magari, c’erano quei famosi regina (Ettore de Bastian 19-9-2000) In questo caso l’abbandono della semente precedente per una varietà nuova è indotta da variazioni di mercato tali per cui la semente precedentemente utilizzata subisce un processo di “svalutazione” culturale che i locali percepiscono e descrivono bene, ma che non si sanno spiegare. La perdita della semente locale di fagiolo giallino, per esempio, è imputata da alcuni informatori ad una strana “debolezza” della varietà sopraggiunta ad un certo punto: Ad un certo momento quella qualità lì non veniva più…forse è cambiata anche un poco la temperatura, l’andamento di tutto, non so spiegarmi tanto bene … quel giallino che menzioniamo noi adesso gli ultimi anni è venuto da niente, (di scarsa qualità) (Maoret Luciano 7-3-2000) Quei giallini, ne mettevamo noi una volta, ma adesso, questi ultimi anni, sono venuti da niente (scarsi) Le nuove varietà vengono rappresentate come varietà che “vengono fuori” ad un certo punto. Il vero lamon che avevamo noi una volta era solo quello a quel tempo, poi sono veniute fuori altre razze, allora è diventata un po’ mista la cosa (Corona Maoret, 18-9-2000) La storia delle varietà locali sembra un continuo succedersi di varietà dove una scalza l’altra. In questo modo la nuova varietà poteva: sostituire completamente la precedente, che così andava perduta o marginalizzare la precedente, che così veniva sostituita parzialmente, permanendo in spazi più ristretti, solitamente a livello di conduzione strettamente familiare. Noi abbiamo sempre piantato il Lamon che si aveva vecchio di una volta, lo chiamavano addirittura il sanguìgn, poi è venuto fuori quel tipo Lamon e abbiamo sempre piantato quello, e quast’anno abbiamo piantato proprio il Lamon… era un fagiolo piccolo, era piccoletto, tenero come scorza… (Rossa Giuseppe, 12-10-2000) La coltivazione di varietà locali pare dunque procedere a salti, non omogeneamente, evolutivamente, ma come “salti culturali”, cambiamenti anche repentini dovuti al mercato e al variare delle esigenze economiche. Si può dunque profilare una doppia concezione della biodiversità, dal punto di vista locale : una biodiversità che è tale in rapporto alle varietà ibride e globalmente diffuse poste sul mercato; una biodiversità intesa in senso stretto, come permanenza assai limitata nello spazio di specie che hanno preceduto nel tempo le varietà considerate oggi di interesse per la conservazione della biodiversità; è insomma la bodiversità che precede la biodiversità attuale. Tale biodiversità, quando è sopravvissuta, è diffusa probabilmente solo a livello familiare e risulta essere la più corrosa e la più soggetta a perdita. La conservazione della biodiversità in senso stretto pare essere solo quella ad uso strettamente domestico. Bisogna considerare infine la dinamica dei ruoli sociali: Alcuni informatori ci hanno illustrato come la semente di fagioli che essi piantavano era quella che il padrone imponeva loro e che poi essi gli consegnavano. Allora avevamo una qualità di fagiolo bianco, un po’ più grosso del giallino, faceva un mucchio di fagioli, … siamo andati fuori razza E come li chiamavano? Non so la qualità Dove li avevate presi? Li ho trovati dove sono andata dopo sposata, io non so dove li avessero recuperati in giro, poi li ho anche cercati sul mercato, ma non sono stato più capace di trovarli E le case intorno non li avevano? No, niente, non c’ea nessuno che li aveva, solo la casa nostra perché bisognava darglieli ai padroni, erano loro che comandavano… si teneva qualcosa anche per casa, ma la maggior parte era per loro (madre di Corona Maoret, 18-9-2000) Complessivamente, la manipolazione della biodiversità da parte dei contadini e delle contadine si dimostra come soggetta a subire forti imposizioni e pressioni. La biodiversità quale noi oggi possiamo rilevare è dunque il risultato di un duplice processo: da una parte della manipolazione del germoplasma da parte dei contadini, con le strategie che ho delineato, dall’altra di imposizioni e costrizioni provenienti dall’esterno della cultura contadina. Allo stesso risultato che qui si discute sono giunte le ricerche di Barbara De Luca sui meli nel bellunese, mostrando come la diversa coltivazione dipendesse dal diverso status sociale, dalle diverse condizioni economiche e dai diversi movimenti del mercato. Si veda a questo proposito il saggio di Barbara De Luca, qui riportato. 2. RAPPRESENTAZIONI CULTURALI 2.1 LEGGERE E SCRIVERE LA NATURA CON I COLORI In una cultura dove la scrittura non è affatto assente, ma neanche direttamente o assiduamente frequentata, e forse nemmeno tanto familiare, diventa una strategia di scrittura l’uso dei colori. E’ quanto abbiamo riscontrato durante la nostra ricerca. I colori primari e le loro combinazioni, le opposizioni e le scale di colori, le sfumature e le differenziazioni, costituiscono uno strumento culturale con il quale vengono interpretati i fenomeni naturali, con il quale viene letto il mondo della natura e rappresentato il mondo coltivato. Durante la nostra ricerca è stato dunque importante porre attenzione a questo aspetto culturale, ogni volta che gli interlocutori ci dicevano qualche cosa che riguardasse i colori. La tematica non è nuova, come già dimostrano altri studi sul mondo della natura interpretato attraverso i colori Cardona 1985, Breda 2000 (e la nostra ricerca necessiterebbe di un ulteriore approfondimento della questione) ma essa va segnalata perché offre la possibilità di proficue comparazioni e perché ci mostra all’opera un meccanismo culturale, antropologicamente interessante e specifico, che solo una ricerca etnografica può in qualche modo, a volte frammentario, cogliere. Vediamo dunque con qualche esempio etnografico le modalità di uso del sistema dei colori per scrivere e leggere il mondo della natura Colori per le fasi vegetative Emerge come dato etnografico interessante l’uso del colore verde, genericamente inteso, per indicare una fase vegetativa dei frutti e degli ortaggi: è “verde” tutto ciò che è crudo, non secco, o maturato insufficientemente. Essere verde significa dunque essere crudo, non secco, e a volte per estensione non maturo. Che il procedimento sia di interesse culturale emerge chiaramente se si pone attenzione al caso del fagiolo. E’ possibile infatti che nella fase in cui il fagiolo è maturo ma non ancora secco, non abbia molto a che fare con il colore verde, ma viene ciononostante definito “verde”, con un significato aggiunto quindi di “crudità”. Il termine verde è usato in senso generico, non esiste un suo opposto definito con i colori; l’opposizione è dunque tra fagiolo “verdo”/fagiolo secco. La fase di maturazione viene poi delineata descrivendo con accuratezza le caratteristiche cromatiche del frutto o dell’ortaggio, come si può vedere dagli esempi del paragrafo successivo. Il fagiolo conservato da più di un anno perde il suo caratteristico colore, che viene perso anche se non viene conservato all’ombra. Il colore del fagiolo si può perdere anche se si raccoglie il baccello umido, cosa che non era quindi consentita né praticata. Si lasciavano seccare sulla pianta, perché allora restavano belli, guai tirarli giù se erano umidi, perché perdevano il colore, se erano verdi che il baccello non fosse secco perdevano il colore (Maoret Luciano 7-3-2000) Colori per i frutti La distinzione cromatica risulta essenziale per parlare e descrivere la frutta e gli ortaggi. Si vedano a tale proposito i continui riferimenti ai colori per descrivere le 30 varietà di mele raccolte nei dati etnografici di Barbara De Luca per questa stessa ricerca rimando al saggio di B. De Luca, riportato insieme al mio presente.. Le mele sono rosse, bianche e verdi. Ma anche gialle, ruggini, rigate, macchiate, “scritte”. Viene utilizzata anche la distinzione chiaro/scuro I fagioli sono bianchi, neri, gialli, rossi. Una varietà di fagiolo di colore particolarmente rosso era definita “sanguign”, sanguigno, con un accostamento ad un altro universo di significati, quelli legati al sangue, significati accomunati dal colore rosso. Particolare significato assume l’espressione “fagiolo scritto”, cioè “screziato”, per cui si vedano i successivi paragrafi dedicati a questo significato. Colori per i difetti Anche i difetti o le malformazioni delle piante e dei loro prodotti possono essere interpretati culturalmente attraverso i colori. Si vedano per esempio i due termini: puntinà e ragià. Su uno sfondo di colore uniforme, la malattia si presenta come una puntinatura (dovuta ad un eccesso di pioggia o umidità, o alle più lunghe e umide notti autunnali) o come macchie, come cambiamenti di colore. In altri casi la malattia o la malformazione è definita come un essere scuro, marron, da parte del frutto o dell’ortaggio. 2.2 Colori e scrittura: i fagioli “scritti” Di particolare interesse è l’espressione che denota le striature del fagiolo: il fagiolo striato è definito “scritto”. Il fagiolo “scritto” è cioè il fagiolo con striature colorate, generalmente di colore scuro su sfondo chiaro. La rappresentazione cromatica in questo caso è interpretata come “scrittura”. Si scrive attraverso i colori, quindi. Esemplare dei fagioli “scritti”, screziati, è il fagiolo di Lamon, apprezzato proprio per le sue screziature dal colore rosso vivo. Il vero lamon è rotondo, invece quelli che si trovano adesso sono piuttosto lunghetti, il vero fagiolo di lamon deve essere tondo, bello rigato, con quelle belle righe vive (Corona Maoret, 18-9-2000) Al polo opposto, il fagiolo gialìn è pregiato proprio per la caratteristica opposta: esso deve il suo pregio al colore uniforme, giallino appunto, o chiaro, e senza alcuna “scrittura”. Eventuali screziature sul fagiolo giallo sono considerate un ibridismo del fagiolo, e pertanto il fagiolo perde valore: è meno commerciabile, meno apprezzato, non viene considerato né tenuto come semente. Queste due varietà di fagiolo nella rappresentazione locale costituiscono un sistema significativo: situandosi ai poli opposti della coloratura, essi si trovano opposti anche per le caratteristiche del comportamento riproduttivo. Il fagiolo di Lamon è considerato essere forte e dominante sul fagiolo gialìn, il fagiolo gialìn delicato e quasi sottomesso al fagiolo di Lamon. - Se lei mettesse un po’ di questi gialli e un po’ di Lamon insieme, allora imbastardiscono fortemente, perché il Lamon è tanto coso che impollina gli altri, perché questi hanno più tendenza a tirare altre razze, questi sì… quello di Lamon sarebbe più forte come razza? Sì, sarebbe più forte come fagiolo (Vigne Silvana, 27-9-2000) Mi dicevano che i giallini sono i più facili ad imbastardire, è vero? Sì Perché allora? I giallini e quelli con il baccello blu, anche quelli sono potenti per essere ibridati Ma sono gli altri che ibridano loro o? Eh, tra loro! Ma allora i giallini vengono fuori tipo scritti rossi? Vengono fuori che invece di essere tutti belli gialli hanno anche quel fagiolo che viene scuro, che viene più rigato, perché i giallini sarebbero tutti gialli, invece vengono fuori rigati…. (Corona Maoret, 18-9-2000) Questa visione locale si esprime attraverso il gioco delle striature, della “scrittura” del fagiolo. E’ il fagiolo scritto che tende a dominare i fagioli dal colore uniforme, a segnarli delle sue screziature, quindi a scriverli, a lasciarli segnati. Sono i fagioli dai colori uniformi a doversi in qualche modo difendere, proteggere, o meglio a dover essere protetti, dai fagioli scritti, se si vuole conservare la loro caratteristica uniformità di colore, la non-scrittura. Si imbastardisce, che se io per esempio semino il Lamon o i borlotti, non viene più di razza qualità sua, viene un incrocio, più piccolo, viene scritto (Vigne Silvana 30-10-2000) Quello giallo era tremendo per essere bastardato (Corona Maoret 7-3-2000) Questo esempio etnografico ricorda da vicino alcune riflessioni di G. Cardona e di F. Remotti, sulla cultura come attività di segni su luoghi e corpi, siano essi corpi di persone o corpo della terra, volti di individui o volto della terra. Come scrive Francesco Remotti, è questa una concezione propria a vari popoli, ed espressa anche dalla proficua e calzante idea di Giorgio R.Cardona "secondo cui alla base della 'cultura' troviamo la 'scrittura', intesa come «un'attività universale e continua» di incisione di segni su luoghi e su corpi" (Remotti, 1993: 45). Il termine del popolo yoruba per "civiltà", continua Remotti, è un termine che significa 'volto segnato da linee', "volto della terra e volto degli individui, luoghi disboscati, segnati da sentieri e da confini, e corpi umani, su cui si incidono cicatrici per significare l'identità delle persone” (Remotti, 1993: 45). Producendosi come cultura, la cultura si differenzia dalla natura incidendovi segni, cesure, tratti, linee, sentieri o scarificazioni. "La cultura umana in quanto tale è taglio, incisione, differenziazione più o meno profonda. E questa operazione riguarda -come ci dicono Yoruba, Nande o Cardona- sia i luoghi, sia i corpi, sia i manufatti, sia le idee" (Remotti 1993:46). 2.3 la razza Vari spunti delle testimonianze etnografiche ci consentono di delineare la rappresentazione culturale che sorregge le tecniche e le pratiche di produzione e conservazione della biodiversità agricola locale che abbiamo delineato. Se il colore delle screziature rappresenta il massimo grado di scrittura, tale da generare una identificazione colore-scrittura negli ortaggi, la vita del fagiolo è rappresentata localmente anche attraverso un altro significativo discorso: quello sulla razza, sulle razze dei fagioli. La varietà locale è rappresentata e discorsivamente identificata come una “razza”, in confronto ed in competizione con le altre “razze”, cioè le altre varietà locali. Il discorso rappresentativo, a livello culturale, è dunque un discorso sulla razza e sulla sua gestione. E’ così che l’ibridismo è definito “imbastardirse”, imbastardimento, con una serie di continui rimandi dunque ad un discorso sulla fisicità della razza che ricorda da vicino i quadri epistemologici dell’evoluzionismo del XIX secolo. Un discorso sulla razza che continuamente implica i concetti di purezza e non-purezza, originarietà, autenticità, e al polo opposto imbastardimento, incrocio, perdita delle caratteristiche originarie, primigenie, della purezza, dell’autenticità, acquisto di impurità. Il verbo impestare è usato come sinonimo di imbastardire, ibridare, e rimandando semanticamente alla peste, indica un significato negativo del processo di ibridazione. Si vede subito quando si tira giù la tegolina, si vede dal fagiolo, se è scritto allora non è la sua, allora è imbastardito… non é quello autentico (Vigne Silvana, 27-9-2000) Testimoniano di questa concezione molte significative espressioni etnografiche, alcune già riportate, altre che voglio qui ricordare: - “Tirare” altre razze Perdere la razza Cambiare razza Andare “fuori razza” Si lasciava indietro un pezzeettino apposta per farsi proprio la semente, non la si comprava, solo che qualche volta se ndéa fòra anca de ràtha (si andava fuori razza), dipende dagli anni, ma insomma (Maoret Luciano 7-3-2000) 2.4 la domesticazione come scrittura, la scrittura come domesticazione L’intreccio di colori- domesticazione-scrittura Siamo partiti da un discorso sulle concrete tecniche di manipolazione della semente, abbiamo attraversato un discorso sui colori, per arrivare alla rappresentazione della biodiversità locale come discorso “sulla razza”. Il percorso etnografico proposto ci permette di approdare ad una lettura conclusiva della cultura della biodiversità locale. Le tecniche e le pratiche locali di manipolazione, selezione e conservazione delle sementi locali (di fagioli, in questo caso) sono chiaramente tecniche di domesticazione delle piante, intesa come manipolazione di germoplasma per l’alimentazione umana. Lo scopo è quello della conservazione, fin dove possibile, della purezza della varietà locale, identificata come razza al contrario di quanto invece ha riscontrato Barbara De Luca con la sua ricerca sui meli, che mostra invece la volontà costante di sperimentare diversità e varietà dei frutteti, attraverso l’innesto, come si può ben vedere nel suo saggio, cui rimando.. La purezza della varietà locale, della “razza” locale , è rappresentata localmente dalla purezza del colore del fagiolo, che non deve essere “scritto”, striato. La non-scrittura rappresenta la conservazione del fagiolo gialìn, la scrittura è la domesticazione di altri fagioli. La striatura, la “scrittura”, è un elemento su cui si determinano le scelte del coltivatore: può essere un elemento ricercato (per ottenere il quale allora si incrociano fagioli di colori diversie con diverse striature) o un elemento negativo, da evitare ed evitato. In questo caso allora il fagiolo che risultasse screziato è negativamente considerato “bastardato”, ibridato. Il fagiolo gialìn autentico, come abbiamo visto, non deve essere segnato da altri colori, ma presentare un colore panna uniforme. Il contadino quindi determina la domesticazione del fagiolo determinando o evitando colori e le striature, quindi gestendo la colorazione del fagiolo, la sua scrittura. La scrittura ed il suo contrario, la non-scrittura, rappresentano dunque il modo di gestione della manipolazione locale del germoplasma del fagiolo. Utilizzando i colori per leggere il mondo della natura, il contadino legge nelle forme di scrittura con il colore i suoi processi di domesticazione degli ortaggi e di conservazione della biodiversità locale. Il livello tecnico ed il livello rappresentativo sono unificati in questa cultura locale dal particolare discorso che intreccia colore-domesticazione-scrittura del mondo naturale. Questo processo pare parallelo a quanto avviene con la domesticazione animale. Come dimostrano gli studi etnografici Si veda per esempio Fukui, K., 1996, Co-evolution Between Humans and Domesticates: the Cultural Selection of Animal Coat-Colour Diversity Among the Bodi, in Ellen, R., Fukui, K., 1996, alcune culture agricole praticano la selezione e gestiscono la domesticazione bovina basandosi su forme e colore del mantello degli animali, opponendo i colori uniformi a quelli misti, ricercando o evitando uniformità del mantello, striature, macchie, disegni o pezzature, scegliendo quali maschi accoppiare con particolari femmine per ottenere determinati effetti cromatici del mantello che rappresentano anche risultati di selezione qualitativa delle razze. Il caso della domesticazione e della bio-diversificazione del fagiolo giallino nel bellunese rappresenta un caso del tutto simile. 3. PRATICHE ECOLOGICHE LOCALI. IL MISURARE LOCALE Un importante motivo di interesse degli studi antropologici sulla natura è la rilevazione delle cosiddette pratiche ecologiche locali, quelle pratiche che connotato in maniera singolare una cultura, che si allontanano dalle pratiche riconosciute dalle scienza e che differenziano una popolazione da un’altra, un luogo da un altro, una cultura da un’altra. Nei paragrafi che seguono cerco di mettere in risalto alcune pratiche ecologiche locali che mi sembra siano emerse dalla ricerca etnografica nel bellunese, in riferimento alla coltivazione dei fagioli. Le pratiche ecologiche locali che ho identificato attraverso le testimonianze dei miei interlocutori si connotano come tecniche di misurazione, come modi di misurare, come criteri che identificano il punto, il momento, il modo, il criterio con cui fare una certa cosa. Le pratiche ecologiche locali di cui parlo sono quindi “ il misurare locale”, dove un particolare gesto e un particolare sapere emergono per determinare il criterio popolare con cui misurare. Esse sono pratiche minime, quasi impercettibili, sicuramente fragili, e proprio per questo ho voluto metterle in evidenza. Esse seguono le fasi vegetative del fagiolo misurare la quantità da seminare (il numero dispari) La necessità della misurazione, nella gestione del mondo della natura, inizia con il momento della semina: quanti semi si mettono in ogni buco? Molti interlocutori riferiscono di usare piantare i semi in numero dispari, 3 o 5. misurare lo spazio per la semina (èl pas) Per distanziare in maniera corretta e costante le piante di fagioli al momento della semina, si usava èl pas, il passo. Uno o due passi sono sufficienti per poter stabilire la corretta distanza. Il corpo viene utilizzato come unità di misura. Mia mamma faceva due passi del sorgo e metteva giù un fagiolo (Vigne Silvana) Mia moglie li semina ancora adesso con il calcagno, tac e via tac e via (Rossa Giuseppe, 12-102000) Nelle campagne dove c’era il granoturco si mettevano in mezzo i fagioli, si faceva un passo, così andavano su per la canna del sorgo (Maoret Luciano 7-3-2000) La motivazione tecnica addotta per l’adozione di questa consuetudine è che in questo modo i semi del fagiolo restano più distanziati, più sparpagliati, nel luogo della semina, avendo a disposizione successivamente per la crescita un po’ più di spazio di quanto avverrebbe invece seminandoli facendo il classico buco sulla terra con il bastone, tecnica che costringerebbe i semi a rimanere addossati uno all’altro, e così pure le piantine che ne deriverebbero. Con la scarpa restano più sparpagliati (Vigne Silvana 30-10-2000) misurare il tempo della semina (la luna) Rimandando ad un più ampio e complesso discorso sulle rappresentazioni culturali che accomunano il mondo vegetale con quello astrale e quello animale ed umano (per cui rimando a M. Albert-Llorca), voglio solo evidenziare il legame tra il momento della semina ed il comportamento vegetativo degli ortaggi. La luna influisce su questo mondo degli orti contribuendo a sviluppare (portare verso l’alto) gli ortaggi nella fase crescente, e a “smorzare” (portare verso il basso) l’eccesso di vitalità di alcune piante, nella fase calante, ottenendo così di contenerle nella giusta misura, che è quella che permette di portare frutto. Sul primo quarto sarebbe la luna giusta, perché non si sviluppino troppo, che si fermino a fare il frutto, però a volte bisogna metterli giù quando si può, … il momento peggiore è vicino al culmine della luna (Corona Maoret 7-3-2000) misurare il comportamento della pianta (fagioli da mezza frasca e fagioli che caricano forte) La nostra qualità vecchia erano fagioli bianchi proprio bianchi, erano tanto più buoni di quelli gialli, solo che si ammalavano forte, sempre fagioli piccoli, bianchi, andavano su per le frasche alti, invece quei fagiolini lì gialli il massimo che si alzano è tanto così (Corona Maoret 7-3-2000) La cultura locale distingue i tipi di fagioli in base al comportamento vegetativo e all’altezza che raggiunge la pianta. In tal senso si possono distinguere fagioli che “vanno alti”, cioè che si arrampicano e raggiungono notevoli altezze/fagioli bassi/fagioli “di mezza frasca”, cosiddetti, come sono i giallini bellunesi. I fagioli bassi sono detti anche nani; quelli alti, rampicanti, sono definiti fagioli che “caricano”. Un fagiolo che caricava forte, andava su forte, il sorgo si crepava sempre giù…quelli gialli sono più bassi di qualità (Corona Maoret 7-3-2000) I giallini restavano più bassi, non hanno pretese di andare su per la canna, non erano neanche nani, erano i cosiddetti di mezza frasca (Maoret Luciano 7-3-2000) Più bastoni hanno più corrono su in cima, invece questi gialli fanno fagioli più giù in basso (Vigne Silvana, 11.4.2000) misurare l’essiccazione (il fagiolo che salta) Misurare l’essiccazione del prodotto è di vitale importanza nelle culture contadine poiché essa permette la conservazione del prodotto, che altrimenti va perduto. Nella scala di maturazione e di essiccazione dei fagioli, c’è un pu