I Fuochi di San Giuseppe, la Pentolaccia e la

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I Fuochi di San Giuseppe, la Pentolaccia e la
I Fuochi di San Giuseppe, la Pentolaccia e la Sega Vecchia
Il 19 Marzo, come ogni anno, a Faeto è stata onorata la tradizione di realizzare i falò di San
Giuseppe. Dopo la Santa Messa delle ore 17.00, al temine della quale sono state consegnate le
pergamene di premiazione dei fuochi dell’anno precedente, la statua del Santo è stata portata a
spalla per le vie del paese, alternando canti e preghiere. Il parroco Don Antonio Moreno ha
riadattato il consueto percorso di processione sulla base della dislocazione dei tre falò edificati e,
una volta giunto su ciascun luogo, ha provveduto a benedire i fuochi e ha concesso agli
organizzatori di accenderli.
Questa tradizione è anche un’occasione per i giovani di riunirsi attorno al fuoco per suonare e
mangiare la carne alla brace fino a tardi, così come è avvenuto presso il falò arso nella parte più alta
del paese.
In molte città d’Italia è usanza accendere dei falò. Questo rito ha origini molto antiche che risalgono
alla tradizione pagana, secondo la quale al fuoco veniva attribuita la capacità di purificare,
illuminare, distruggere il male e festeggiare così l’equinozio di primavera. Alcuni fanno risalire
questa tradizione ad un’ antica festa romana nella quale veniva invocato “il Sol Invictus” che
celebrava la vittoria della primavera sul lungo e freddo inverno.
Con il tempo, il rito pagano si fuse con la tradizione cristiana e l’accensione del fuoco fu attribuita
a San Giuseppe, sposo di Maria, il quale patendo il freddo nella grotta di Betlemme andò di casa in
casa a chiedere un po’ di brace, la sua figura sostituì così quella del dio pagano. L’ accensione dei
fuochi divenne consuetudine soprattutto nelle campagne, dovuta ad esigenze pratiche come quelle
di bruciare i resti delle potature degli alberi e il residuo del raccolto dei campi, purificando la terra.
In Emilia Romagna, in località Candia, sul greto del torrente Bobbio, si usa accendere un falò “fuje”
col quale viene bruciata la “vecchia”, un fantoccio che rappresenta l’inverno, posta in cima alla
struttura: se brucia subito e le faville salgono in alto vuol dire che l’inverno è finito e si avrà una
primavera con una cospicua raccolta, in caso contrario il freddo continuerà con cattivi auspici.
Attorno al fuoco si intona il tipico ritornello: “San Giusép l’è pasè, la primavera l’è riturnè!”
Nel Lazio, in provincia di Latina, a Itri, la manifestazione è caratterizzata da decine di falò sparsi
nel paese, accesi con i resti della potatura degli alberi di ulivo ed è allietata da concerti di musica
popolare e degustazione di prodotti tipici.
In Basilicata, a Viggianello, per la festa si accendono enormi falò “fucalazzi”, con la cui legna si
bruciano anche i ricordi indesiderati (lettere d’amore e oggetti legati ad amori infelici) e tutto il
negativo dell’inverno, dando il benvenuto alla primavera. È una vera e propria gara a cui
partecipano grandi e piccoli.
In Sicilia, a Palermo, nelle “Vampe” di San Giuseppe si bruciano legna, vecchi mobili e tutto ciò
che è combustibile per il rito.
In Puglia, a San Marzano di San Giuseppe, nella provincia di Taranto, nel pomeriggio una
quarantina di traini trasportano in processione per tutto il paese resti di potatura di alberi di ulivo,
adorni con l’immagine di San Giuseppe. Da qualche anno, la festa è animata da giovani che
suonano, cantano, ballano la pizzica e gli schermidori si sfidano davanti al fuoco nella “pizzica
scherma”.
Anche in altri paesi della Puglia la tradizione è ancora viva, nel giorno di San Giuseppe si
accendono in onore del santo i falò ad Alberona (Fg), Bovino (Fg), Celenza Valfortore (Fg), Erchie
(Br), Faeto (Fg), Fragagnano (Ta), Giuggianello (Le), Locorotondo (Ba), Monte Sant’Angelo (Fg),
Mottola (Ta), Palese-Macchie (Ba), Poggiardo (Le), Troia (Fg) e Turi (Ba).
A Faeto, la tradizione dei Fuochi di San Giuseppe è molto sentita, ci si organizza in anticipo, con
una nota di competitività tra le varie zone del paese.
Anticamente, i ragazzi si riunivano e iniziavano ad andare di casa in casa per farsi dare un pezzo di
legna già dalla settimana precedente. Nessuno si tirava indietro, anche i più bisognosi partecipavano
per
devozione,
donando
la
propria
parte.
Dopo aver completato il giro delle case, i giovani andavano a ripulire i rovi e raccoglievano la legna
nei boschi, aiutandosi con l'accetta.
A differenza dai giorni nostri, in cui i falò sono di numero ridotto, un tempo se ne organizzavano in
quantità maggiore, forse perché c’era più gente o perché era molto più vivo il sentimento religioso.
Non si portava il Santo in processione, ma passava ugualmente il prete per dare la benedizione. Poi
si sedevano tutte le persone attorno al fuoco (ognuno si portava la propria sedia da casa), si recitava
il rosario e si cantavano le storie della Chiesa. Queste ultime consistevano in un vero e proprio
racconto cantato, come ad esempio quello riguardante l’apparizione della Madonna Incoronata di
Foggia.
Attorno ai fuochi si stava a lungo, perché quelle erano le occasioni per stare insieme. Quando i
fuochi stavano per spegnersi, il vicinato per devozione metteva la brace santa nel braciere e se la
portava a casa.
Lo spirito religioso della festa era tanto profondo che, come si evince da un articolo tratto da “Il
Provenzale” numero di saggio agosto 1979, la PRO LOCO e l’A.N.S.P.I. trasformarono la
manifestazione in un momento spettacolare, attivando una vera e propria gara dei fuochi con tanto
di premi, per valorizzare il patrimonio spirituale di un popolo.
Un altro articolo de “Il Provenzale” del 1982 testimonia non solo che si tennero tre fuochi in
quell’anno, ma anche che a distanza di molti anni veniva nuovamente esposta la statua del Santo,
generosamente custodita in casa del Sig. Daniele Paoletta.
La festa di San Giuseppe era solo una delle tante feste che interrompevano l’austerità e la lunga
durata della Quaresima. Come già confermato dalla piccola ricostruzione storica, sacro e profano si
intersecavano e si sovrapponevano spesso nelle tradizioni popolari. Infatti, i festeggiamenti del
Carnevale si insinuavano nella Quaresima attraverso due feste che si tenevano rispettivamente la
prima e la seconda domenica di Quaresima ossia la “Squàccja pegnàte” (La pentolaccia) e la “Séga
Vècchje” (Sega la Vecchia).
La “Squàccja pegnàte” era una festa popolare la cui caratteristica era quella di attivare ad un certo
punto dei festeggiamenti un gioco per i bambini. Si riempiva una pignatta di dolciumi e si
appendeva al soffitto attraverso dei sostegni tipici dei soffitti antichi, utilizzati generalmente per
mettere ad essiccare i salumi. Ai bambini, bendati a turno, veniva dato un bastone col quale
dovevano colpire la pignatta e romperla per trovare la sorpresa. Per rendere l’impresa più ardua, un
adulto faceva girare su stesso il bambino bendato, in modo da fargli perdere l’orientamento. Il
divertimento era garantito per tutti.
La “Séga Vècchje” era anch’essa una festa popolare durante la quale il colpo di scena era
rappresentato dal segare un fantoccio di paglia dalle sembianze di un’anziana signora, dal quale
fuoriuscivano dolciumi per i bambini. Una delle particolarità riguardanti l’abbigliamento dei
fantocci carnevaleschi di Faeto consiste nella provenienza degli abiti usati. Mentre “Francísche de
Pàglje” (Francesco di Paglia), fantoccio realizzato il martedì grasso per la chiusura del Carnevale,
vestiva “da soldato” usando abiti militari smessi, il fantoccio della “Séga Vècchje” vestiva
“all’americana” indossando indumenti scartati tra quelli inviati dagli emigranti in America ai loro
familiari.
Sia la “Squàccja pegnàte” sia la “Séga Vècchje” si svolgevano all’interno di diverse case private,
nelle quali si riunivano parenti, amici e vicini. Si festeggiava consumando taralli, ceci arrostiti, popcorn, struffoli, il tutto accompagnato da abbondante vino, musica e balli.
L’inverno era rigido e lungo, soprattutto in un paese di montagna come Faeto, i lavori agricoli
dovevano aspettare l’estate, bisognava accudire gli animali e i più laboriosi erano gli artigiani in
questa parte dell’anno. Il desiderio di condivisione e la voglia di socializzazione prendevano forme
diverse mescolando la religiosità e la pura voglia di divertimento, in un periodo in cui la corrente
elettrica e la televisione erano solo immaginazione.
Sportello linguistico Faeto
-Annualità 2009-