Prima di tutto una donna

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Prima di tutto una donna
ARCHIVIO
C.D.H.
Bologna
Numero HP: 38
Anno: 1995
Quale scenario sociale fa da sfondo alla dimensione femminile della
disabilità? Come trovare mediazioni tra una riflessione soggettiva
inevitabilmente ricca di contraddizioni e la realtà sociale, che dovrebbe
garantire il massimo impegno per la salute di tutti, ma che poco sa
conciliare bisogni legati al deficit o alla malattia con una qualità di vita
ancora progettabile, nonostante la disabilità e la necessità di cure?
Prima di tutto una donna
di: Daniela Lenzi e Cristina Pesci
Progettare per il benessere, per il piacere di vivere e per un futuro
possibile, nonostante la mancanza più o meno grave di abilità o di salute,
deve essere mantenuto come il diritto prioritario per chiunque. Ma la
nuova-vecchia storia che si sta scrivendo sottovoce è una storia che
sembra opporsi nuovamente al riconoscimento delle persone se non per la
loro diagnosi o per il loro stato sociale, che impedisce il rivestire ruoli
sociali significativi e gratificanti, che sconsiglia di esprimere differenze.
Indossare i panni delle identità negate
Chi, per ragioni apparentemente tanto diverse, indossa i panni di identità
negate, è spesso costretto a fare i conti con un territorio personale e
sociale da difendere con i denti... e che dire allora di tante mute, dolorose
storie di donne, di ragazze che non hanno potuto crescere con la
consapevolezza del piacere di chiamarsi tali. Il silenzio, l'imbarazzo e
anche l'invisibilità quando uno sguardo incrocia la tua persona, quando
non sai se questo sguardo guarda la donna che sei o l'handicap che hai.
Femminile e handicap: una terra di nessuno che facilmente diventa
silenzio e si rende invisibile. Tanto invisibile che l'idea di avventurarsi in
questa terra può sembrare, a prima vista, azzardata. E' azzardato pensare
al femminile per un mondo come quello della disabilità, che si dibatte tra
la ricerca di una propria identità e il rifiuto di una discriminazione?
L'handicappato nell'immagine comune non ha differenze sessuali, non è
donna o uomo: è handicappato e basta. Come se questa grossolana
qualifica fosse sufficiente a determinare la enorme complessità del mondo
nascosto da una parola così definitiva e poco sfumata.
Altre domande, altrettanto importanti: ci sono terreni di riflessione
comune tra donne handicappate e no? C'è qualcosa che accomuna le
donne, tutte le donne, quando si interrogano sulla propria diversità, sulla
curiosità, o diffidenza, che questa diversità suscita, sui rapporti che le
legano e le avvicinano agli uomini? Il femminile e l'handicap sono solidali
nel vivere un senso di estraneità e di disagio nei confronti di una cultura
che esalta il corpo, la perfezione, l'efficienza, la salute e la normalità. Il
femminile e l'handicap sono entrambi alla ricerca di una identità e di una
soggettività socialmente riconoscibili ed efficaci che li sottragga dalla
subordinazione.
Silvia Veggetti Finzi sottolinea come soggettività significa essere
"soggetti" nella duplice accezione: riconoscersi sottoposti ad una serie di
determinazioni e di limiti, ma anche essere "soggetti" di divenire
protagonisti della propria vita, detentori del proprio futuro, artefici della
propria storia. Rompere il silenzio nella ricerca di una propria identità e di
una propria storia è intraprendere una strada in cui non vi sono facili e
sicure risposte, in cui la comunicazione, legata ad un grosso groviglio di
dolore, di angoscia e di vissuto personale, a fatica trova parole adeguate.
Il cappello di Marguerite Duras
Le parole di Marguerite Duras sembrano dare voce a questi difficili
interrogativi che forse desideriamo rimangano tali.
"Ma quel giorno non sono le scarpe la nota insolita, inaudita
nell'abbigliamento della ragazza. Quel giorno porta in testa un cappello da
uomo con la tesa piatta, un feltro morbido color rosa, con un largo nastro
nero. A creare l'ambiguità dell'immagine è quel cappello. Come fosse
capitato in mio possesso l'ho dimenticato. Non vedo chi potrebbe
avermelo dato. Credo che me l'abbia comprato mia madre e su mia
richiesta. Unica certezza: è un saldo di saldi. Come spiegare
quell'acquisto? Nessuna donna, nessuna ragazza portava cappelli da uomo
nella colonia, a quei tempi. Neppure le indigene. Ecco come deve essere
successo: mi sono provata quel cappello, tanto per ridere, mi sono
guardata nello specchio del negozio e ho visto, sotto il cappello maschile,
la magrezza ingrata della mia persona, difetto dell'età, diventare un'altra
cosa. Ho smesso di essere un dato grossolano e fatale della natura. E'
diventato l'opposto, una scelta che contrastava la natura, una scelta dello
spirito.
Improvvisamente è diventata una cosa voluta. Mi vedo un'altra, come
sarebbe vista un'altra, al di fuori, a disposizione di tutti, di tutti gli sguardi,
immessa nella circolazione delle città, delle strade, del piacere. Prendo il
cappello, me lo metterò sempre, ormai posseggo un cappello che, da solo,
mi trasforma tutta, non lo abbandono più. Per le scarpe deve essere
successa più o meno la stessa cosa, ma dopo il cappello. Lo contraddicono
come il cappello contraddice la figura gracile, quindi fanno per me. Anche
quelle non le abbandono più, vado ovunque con quelle scarpe, quel
cappello, fuori con ogni tempo, in tutte le occasioni, in città". (*)
"…Una scelta che contrastava la natura…"la natura che contrasta una
scelta, tante scelte, numerosissime scelte. La diversità da nascondere, da
comprimere, da camuffare contrapposta alla diversità voluta, ostentata,
fatta bandiera. Infine, ultima in ordine di apparizione, la diversità di
vivere " a disposizione di tutti, di tutti gli sguardi, immessa nella
circolazione delle strade, della città, del piacere".
La diversità che sporca e che purifica, che rompe l'integrità (ma questa
non esisterebbe se non integrando i contrasti); che si ritrova in una
ragazza vestita con un cappello maschile che fa parlare e scrivere di sé,
così, affermandosi e, nella stessa misura, negandosi. La diversità che c'è e
non c'è e che all'improvviso si ripropone ciascuno, ridente o con un nodo
in gola. E il cappello, le scarpe, il desiderio? E' la donna, l'adolescente, la
ragazza bianca o quella col cappello rosa a tesa larga e con un nastro
nero? Cosa di tutto questo rappresenta mille ugualissime, differenti
similitudini?
(*) Il brano è tratto da "L'amante" di M. Duras, Universale Economica
Feltrinelli