Reti di luci per abitare il pianeta Sabato, 2 aprile 2016 Seconda

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Reti di luci per abitare il pianeta Sabato, 2 aprile 2016 Seconda
Reti di luci per abitare il pianeta
Sabato, 2 aprile 2016
Seconda sessione: Città in azione
Laboratorio internazionale di cittadinanza
La partecipazione motore di una cittadinanza attiva
Buone prassi
Tre scenari per riconfigurare la città1 – Ana Cristina Montoya Montoya,
Docente Ist. Universitario Sophia, Loppiano (Italia)
Una delle bellezze di questo incontro è la nostra provenienza globale, la nostra diversità che
si manifesta nel volto, nelle lingue, nel modo di parlare, di ascoltare e soprattutto di capire
la realtà. Ma si manifesta anche nel modo di conoscere.
Alejo Carpentier, grande scrittore cubano che ha conosciuto dal di dentro la natura umana,
ed è uno di cui si può affermare che pensava la storia in chiave “latinoamericana”, così
descriveva, in modo molto acuto -a mio parere-, la natura dell’uomo del nostro continente,
a partire dal suo rapporto con le mura della città: _I latinoamericani della mia generazione
hanno conosciuto un unico destino che, da solo, basterebbe per differenziarli dagli uomini
d’Europa: sono nati, cresciuti e maturati in funzione del cemento armato. Mentre gli uomini
europei sono nati, cresciuti e maturati in mezzo a pietre secolari, antiche costruzioni, appena
trasformate da qualche timida ristrutturazione architettonica. Il latinoamericano, nato agli
albori del secolo dei prodigi, delle invenzioni, delle mutazioni, delle rivoluzioni, apriva i suoi
occhi nell’ambito delle città che si estendevano, crescevano e si elevavano al ritmo delle
macchine di mescolamento del cemento armato. (…) una realtà della quale eravamo giudici,
parte, animatori, protagonisti, atoni spettatori … potevamo dire: questo l’ho fatto io, questo lo
ho visto crescere, questo_2.
Forse è per questo che, anche per capire la realtà, noi partiamo dell’aver le mani in pasta e
poi riflettiamo. Ci avviciniamo, sì, ricchi della conoscenza dell’umanità, ma deve passare
dall’azione e dalla vita.
1Le
traduzioni delle citazioni originali in spagnolo sono proprie.
A. (2003) Los pasos recobrados, ensayos y teoría critica literaria. Caracas: Biblioteca
Ayacucho, p. 42.
2Carpentier,
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Ho sempre lavorato in processi di comunicazione per il cambiamento sociale e lo sviluppo,
e ho capito che ogni città, ogni comune, ha una vita in sè, parla, si fa sentire e chiede da noi
una risposta.
E ho trovato alcune piste che permettono, ad un cittadino come me, di intraprendere
iniziative che riconfigurino la vita della città.
Ne sottolineerei tre in particolare:

Essere sensibili alla voce più sottile, al punto più vulnerabile e debole del territorio;

Scoprire le ricchezze che già ci sono;

Ascoltare i dolori e le richieste dei giovani.
Ognuno di questi punti può portare alla nascita uno scenario d’incontro, di uno spazio di
partecipazione, di creazione collettiva e, partendo da iniziative che possono sembrare
semplici - come una conversazione -, portare nuova vita alla città.
Prendiamo la prima pista: essere sensibili alla voce più sottile e debole del territorio e
rischiare una risposta semplice ma innovativa. Nella mia esperienza è stata, ad esempio,
la creazione di uno scenario d’istruzione e formazione umana.
Mi trovo in un comune agricolo, trapuntato da grandi serre, dove si coltivano i fiori di
esportazione. Le giornate lavorative iniziano alle 5 del mattino e, nelle stagioni alte, possono
protrarsi fino a mezzanotte.
I bambini sotto i 6 anni, pari al 18% della popolazione, rimangono sovente a casa, incustoditi
o affidati a fratelli appena maggiori. Vedere decine di mamme scendere la colina per andare
al lavoro, conoscendo questo retroscena, è indignante. Condividere questa sensazione,
mettere a disposizione un po’ di tempo e poche cose è la scintilla: nasce un progetto
d’istruzione e formazione.
Messo al bando il paternalismo, che non porta mai allo sviluppo. Come ci direbbe Morin: _E’
necessaria una nozione più ricca e complessa dello sviluppo, non solo materiale, anche
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affettiva e morale_.3 Si punta in alto, ad un progetto educativo ambizioso e includente che
abbiamo sinteticamente definito così: “Bambini amati, generosi e competenti - e subito
un grande orizzonte- per un mondo unito e pluralista”4.
I contributi erano piccoli: 4 ore alla settimana per curare lo sport, 3 ore per la cura personale
dei bambini, una visita medica mensile... e per le persone più povere: 2 ore per aiutare a
pulire lo spazio, pneumatici di auto per realizzare giochi. Un progetto che si è trasformato
prima in asilo, poi in una scuola media, e infine in liceo.
Ecco un primo scenario.
Il secondo: Scoprire le ricchezze che già ci sono nel territorio, evidenziarle e, se
possibile, metterle in rete, potenziarle.
In un contesto dove la migrazione massiccia diventa una minaccia per la propria identità
culturale, basta sedersi a prendere un caffè insieme alla gente, o salutare il vicino di casa, per
raccogliere i loro ricordi o talvolta i timori. Porgo l’orecchio un po’ di più e scopro, in quei
ricordi, nomi di persone che hanno suonato, cantato, recitato poesie, simboli sociali
dell’identità minacciata. Una serata di talenti può essere lo spazio che le rende visibili. Ci
vuole poco per metterli insieme.
Il creare reti di artisti, festival, momenti culturali risultava non solo un forte elemento
simbolico identitario, ma un ambito d’integrazione sociale e apprezzamento delle diversità
presenti nel territorio.
Qui mi piace citare Omar Rincón, terorico della comunicazione colombiano: _Forse il nostro
sbaglio sta nel fatto di credere che politica e democrazia, nazione, siano questioni di discorsi e
teorie, in realtà sono racconti, narrative, estetiche_5
3Morin,
E. (1999) Los 7 saberes necesarios para la educación del futuro. UNESCO - Santillana, p.
42.
4 Visione del progetto istituzionale dell ‘Asilo Felice, oggi, Scuola Sol Naciente, Tocancipá Colombia.
5 Rincón, O. (2009). Agendas comunes: Haciéndonos cargo de los que nos toca En. J. Martin Barbero
(Ed). (161-174). Entre saberes desachebles y saberes indispensables. Bogotá: Centro de
Competencia y Comunicación para América Latina C3 Fets.
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Fare leva sul fatto che ognuno di noi è un soggetto relazionale, capace di incontrare la gente
e farla incontrare. Direbbe Ricoeur: _La relazione sociale è un testo che un soggetto scrive ad
un altro_.6
Ecco il secondo scenario.
Vediamo la terza pista: Ascoltare i dolori e le richieste dei giovani, perché di solito
costituiscono il termometro della vita della città. La loro voce muta, si esprime spesso col
linguaggio del corpo, con i gesti. Non cercare di soffocare le proteste, ma piuttosto creare
una cassa di risonanza per le loro voci e dare vita ad uno immaginario di futuro
Un forte processo d’industrializzazione cambia il volto del paese. La popolazione triplica
nell’arco di 10 anni.
Se capita di attraversare la piazza di sera, ci sono giovanissimi gruppi di rapper che sembrano
guardare sempre altrove. Le mura si coprono di graffiti e ci si sente come estraneo nel
proprio territorio. Dappertutto si parla della stessa cosa: “Dove andranno a finire i nostri
giovani? Non c’è futuro in paese, non ci sono opportunità di lavoro, i vizi dilagano”.
Non ci si riconosce più. Timore, insicurezza, rumore. E come direbbe Bauman: _Male e paura
sono siamesi. È impossibile trovare uno e non trovare l’altro nello stesso momento, anzi, forse
sono due nomi della stessa esperienza. Solo che uno punta all’esteriore, al mondo, e l’altro al
più profondo di ciascuno di noi_7.
Ci troviamo una sera e ci confrontiamo: una ventina di persone, tra cui insegnanti, consiglieri
comunali che conosciamo, un paio di famiglie e alcuni giovani. Nel parlare una frase ci
accende: _Bisogna sognare! La forma peggiore di povertà è l’incapacità di pensare ad un
futuro migliore_. E uno dei presenti aggiunge una parola e poi un’altra e sorge, così,
un’iniziativa tanto affascinante quanto impensata: la formulazione di un progetto di
prospettiva per l’intero paese. Immaginare insieme un futuro possibile e lavorare per farlo
6
7
P. Ricoeur (1986) In, Donati, P. (2013). Sociologia della relazione. Bologna: Il Mulino
Bauman, (2007). Miedo liquido, Buenos Aires: Paidós, p.75
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diventare realtà, un progetto, dunque, a lungo termine, dal 2005 al 2025.
Il futuro, diceva K. Popper, _è molto aperto, e dipende da noi, da noi tutti. Dipende da ciò che
voi ed io e molti altri uomini fanno e faranno, oggi, domani e dopodomani. E quello che noi
facciamo e faremo dipende a sua volta dal nostro pensiero e dai nostri desideri, dalle nostre
speranze e dai nostri timori. Dipende da come vediamo il mondo e da come valutiamo le
possibilità del futuro che sono aperte_8.
Il processo, poi, ha preso vita da sè: una colazione con industriali, un pomeriggio di gioco
con ragazzi, una riunione con quelli che si occupano dell’ambiente, ecc.; e a tutti chiediamo
di pensare come vorrebbero il paese. Un processo di diagnosi e consultazione che è durato
per anni e che si sintetizzava sempre così: _Tra il presente e il futuro di Tocancipá, c’è un punto
nodale: noi”. Un noi che cresceva sempre di più. Portare le idee ai dirigenti e includerle nel
disegno delle politiche pubbliche sono state una conseguenza logica della vitalità di una
sfera pubblica diventata forte, a partire da una semplice conversazione che mira al bene di
tutti_.
E poi le idee buone sono contagiose e si moltiplicano; magari gli attori ed i contesti
cambiano nel tempo, ma ogni interazione mossa dall’interesse per il bene di tutti genera
beni relazionali, che rimangono e già riconfigurano la città.
Fin qui il terzo scenario.
La città è un essere vivente con una caratteristica e vocazione propria, che possiamo far
emergere. Ma da dove iniziare? Dalle cose più semplici e dal locale
La cosa più semplice: tutti noi ci troviamo ogni giorno davanti a cose che ci fanno male, che
non ci soddisfano, che vorremmo cambiare, e se abbiamo occasione ne parliamo con altri.
Se in questo parlare, andiamo oltre il semplice commento, scopriamo una straordinaria
potenza generativa. Lo direi con le acute parole di Adela Cortina: _Ognuno di noi è desideroso
di felicità, ma quando questa si cerca nel seno della comunità e non individualmente,
8
Popper, K. (1992) La lezione di questo secolo, a cura di Giancarlo Bosetti, Venezia: Marsilio.
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dialogando e deliberando con altri, allora si entra nell’ambito della cittadinanza attiva_9 Il
primo passo è quindi scoprire che ogni disagio contiene un invito alla creatività, direi che è
potenzialmente generativo.
Secondo passo: coinvolgere gli amici. Noi siamo nodi di una rete di reti, e quindi si tratta di
attivare il flusso di relazioni positive di cui facciamo parte. Una città è innanzitutto un tessuto
di rapporti, di relazioni.
Terzo passo: sapere che ognuno di noi è un popolo e non considerare piccola nessuna
proposta. Noi siamo come tasselli di un mosaico. In una recente visita a Ravenna, ho visto le
meraviglie che si possono fare con pietruzze piccole, che da sole potrebbero sembrare
insignificanti. Certo, ci vogliono anni, ma nel disegno della città ogni tassello è prezioso e
insostituibile.
Dobbiamo dare vita a scenari dove si possano esprimere domande e proposte, e valorizzare
la sfera pubblica, portando le proprie idee e rispettando quelle altrui. Aggiungere, non
togliere: questo dà vita a quello che Cristina Matta, ricercatrice e politologa Argentina,
chiama una “cittadinanza comunicativa”. Essendo la comunicazione una facoltà inerente
all’umano, tutti lo possiamo fare. Dobbiamo, però, garantire un clima di fiducia e, oserei dire,
anche se Jürgen Habermas non sarebbe pienamente d’accordo con me, che bisogna
prendere le persone intere, non basta la pura razionalità. La deliberazione, la creazione
collettiva coinvolgono il soggetto politico, l’agente, l’attore in tutta la sua integrità.
Se sorgono conflitti, incomprensioni e -come dice Vincenzo Buonuomo- devono sorgere,
occorre puntare al futuro, alla relazione. Due che esclusivamente si contrastano, si possono
trovare in un “terzo” e quindi, quando si sente il peso delle diversità, una chiave per andare
oltre è guardare al rapporto in prospettiva di futuro. Il lavoro di prospettiva fa rompere i
margini stretti delle proprie posizioni e potenzia le nostre risorse.
Nel suo libro Flesh and Stone, Richard Sennett, afferma una cosa molto forte a mio parere e
profondamente reale: _Il muoversi liberamente e aggiungerei rapidamente nelle odierne città,
Cortina, A (1997) Ciudadanos del mundo. Hacia una teoría de la ciudadanía. Madrid: Alianza
Editorial.
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sminuisce la percezione sensoriale, il nostro interesse per i luoghi e per la gente. Ogni
collegamento viscerale profondo con il nostro intorno, minaccia l’individuo… il movimento ha,
in certo qual modo, privato il corpo sociale della sua sensibilità e quindi noi, che amiamo
questo corpo, sia quello nostro che quello sociale, dobbiamo ridargliela_10.
Metaforicamente direi che ci vogliono orecchi per sentire la voce sottile e spenta dei più
deboli, occhi per scoprire i talenti nascosti, mani per tessere tra di esse una rete, fiuto per
accorgersi quando qualcosa non va bene, e bocca per esprimere le proposte dove devono
essere ascoltate.
E concludiamo con queste ispiratrici e incisive parole di Montaigne: _Non esiste un destino
migliore per l’essere umano che quello di compiere pienamente il suo compito d’essere uomo_.
Ana Cristina Montoya Montoya
10
Sennett, R. (1996). Flesh and Stone: The Body and the City in Western Civilization, W.W. Norton.
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