3 Annelisa Vecchione La relazione educativa come luogo di dialogo

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3 Annelisa Vecchione La relazione educativa come luogo di dialogo
Reti di luci per abitare il pianeta
Venerdì, 1 aprile 2016
Prima sessione: Città in dialogo
Laboratorio internazionale di cittadinanza
Le potenzialità del dialogo nelle situazioni di conflitto: processi globali e
personali
Interventi di esperti
La relazione educativa come “luogo” di dialogo tra generazioni per
affrontare, trasformare e
superare il conflitto - Annelisa Vecchione,
Formatrice, Potenza (Italia)
“Il rapporto educativo è puramente dialogico”1
Martin Buber
LA STORIA – L’idea: Sogno e Realtà La mia esperienza di educatore comincia nel 1999, con l’ideazione, insieme ad alcuni miei
colleghi, di un laboratorio di narrazione per lo sviluppo di un progetto inserito nell’ambito
della realizzazione di centri ludici per l’infanzia e l’adolescenza sul territorio della Basilicata
(Italia).
I centri ludici furono realizzati nel 2001 ed io, insieme al mio gruppo di lavoro, cominciai a
costruire un laboratorio della fiaba per i bambini del mio territorio. Laboratorio che è
diventato poi, nel tempo, una metodologia educativa che definisco “Educazione Socio –
Emotiva Integrata”, che ha preso forma in maniera più chiara nel 2005, quando abbiamo
proposto questa esperienza ad un istituto comprensivo di un comune lucano (Viggiano), nel
quale ho lavorato per sei anni come esperta nella conduzione di laboratori socio – emotivi
in classe, durante le ore curriculari come supporto ai docenti, nella scuola dell’Infanzia e
Primaria.
1
M. Buber, Discorsi sull’Educazione, Armando Editore, Roma 2009.
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I laboratori di educazione socio emotiva integrata si costituiscono come piccole comunità
educanti, alle quali partecipano i bambini, gli insegnanti, i genitori, che a turno, vengono
ospitati in classe per condividere le attività di laboratorio, cercando di costruire relazioni in
cui ci si impegna a generare un’accoglienza incondizionata, non giudicante dell’altro, nello
sforzo costante di valorizzare il positivo di ciascuno, per realizzare una consapevole
reciprocità.
Il processo di insegnamento/apprendimento nei laboratori socio emotivi integrati, è
finalizzato all’acquisizione di comportamenti che tentano di genera il “Ben–stare” insieme.
Gli strumenti utilizzati sono i contenuti disciplinari e l’educazione al riconoscimento e alla
gestione delle emozioni primarie, attraverso la decodifica dei comportamenti, spesso
conflittuali tra pari, ma anche tra genitori e insegnanti e tra questi e i bambini o i ragazzi.
L’esperienza è stata poi replicata in diverse scuole della Basilicata, circa una decina, fino a
trasformarsi nel 2014 in un Progetto di Comunità, finanziato dai fondi europei, per la
valorizzazione del territorio e della memoria, realizzato nel comune di Sarconi, in provincia
di Potenza in Basilicata.
IL METODO – Leggere e decodificare la realtà COME costruire relazioni che si trasformano in “luogo di dialogo”, che possano consentire
di affrontare la conflittualità, trasformandola in incontro?
Lavorando per diversi anni con i bambini ho imparato, ascoltando le loro narrazioni con
attenzione, molte cose che mi hanno aiutata a mettere insieme lo studio, la conoscenza, con
la realtà dei rapporti umani, la teoria con la pratica. Senza questo connubio, il processo
educativo non può realizzarsi e i bambini con i loro bisogni, spesso inascoltati, mi hanno
“suggerito” la necessità di coinvolgere, nonostante le difficoltà organizzative, burocratiche,
gli adulti nelle attività laboratoriali.
Coloro che sono stati coinvolti nelle attività, non potevano essere destinatari di questo
processo, ma partecipanti, costruttori del dialogo.
I laboratori sono strutturati in modo da dare valore alle persone, capovolgendo le logiche
diffuse in una società competitiva, edonistica, consumistica. Lo spazio laboratoriale diventa
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luogo per acquisire e sviluppare competenze che si realizzano in un clima altruistico di
collaborazione, che richiede il sacrificio del “mi piace”, oggi molto usato nelle chat,
intervallandolo con altri atteggiamenti, come ad esempio: “provo ad ascoltarti”,“provo a
mettermi in gioco”, “mi fido di te”, “ti chiedo aiuto”, “ti racconto una storia …”.
In classe si lavora quasi sempre in coppia, in gruppo, mettendo in comune lo spazio, gli
strumenti, le conoscenze, la pazienza, il fastidio, a volta il disordine, l’inevitabile scontro, con
lo scopo di mediare, di “ascoltare” il disagio provocato dalla frustrazione del limite che l’altro
mi pone con la sua presenza. L’educatore educa attraverso la sua carne e il suo sangue, non
solo attraverso le parole e le spiegazioni. Spesso, incorriamo nel verbalismo, rischio che tutti
gli educatori, oggi corrono, focalizzando il proprio impegno educativo in una serie di
spiegazioni teoriche; ma non posso educare all’altruismo e alla collaborazione, al rispetto e
all’ascolto, se non predispongo i banchi in un certo modo, se non favorisco l’utilizzo comune
degli strumenti e dei materiali, e così via.
Nei laboratori di educazione socio emotiva integrata rivolti agli adulti (realizzati nelle
biblioteche comunali, nei centri per le famiglie, nelle scuole ecc), non si ascolta una lezione
in modo distaccato, ma si sta in cerchio, si partecipa ai giochi di pedagogia creativa, si sente
il fastidio o l’imbarazzo del decostruire per ricostruire, dando un senso condiviso alle parole
“RELAZIONE”, “DIALOGO”, “CAMBIAMENTO”, “DARE VALORE”, “EDUCATIVO”.
LE ESPERIENZE – tendere verso la realizzazione di un FINE indefinitamente perfettibile,
ma concretamente realizzabile –
“I luoghi dei legami e della memoria”) - 2014 Partecipanti:

gruppo studio e ricerca (15 – 25 anni);

4^ e 5^ primaria e 1^, 2^, e 3^ secondaria di primo grado;

adulti, famiglie, anziani in pensione;

Enti e associazioni del territorio (Comune, Parrocchia, Ass. culturali, turistiche e di
volontariato).
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Il progetto sviluppato a Sarconi, dall’associazione Ca.Tali.Te e dalla Pro Loco, relativo ai
Luoghi della Memoria, è stato un viaggio emotivo – sensoriale nell’immaginario collettivo,
di quanti, hanno voluto partecipare alle attività proposte.
L’iniziativa progettuale, ha dato vita ad una rete culturale che ha messo in relazione persone,
enti, istituzioni e infrastrutture, favorendo una circolarità di iniziative che ha spinto la
comunità a prendere coscienza del patrimonio esistente e a condividerlo come bene
comune, vivendo l’appartenenza ad un territorio non come semplice fatto geografico, ma
nel senso di avere intessuto con esso un “legame emotivo”, costruito attraverso le persone,
il contatto di mani e di piedi che hanno toccato, camminato, accarezzato volti, strade, muri
e pietre.
“Abitare il Sogno” (Potenza) – 2014/2016 –
Partecipanti:

i giovani allievi di diverse scuole secondarie di secondo grado (15 -18 anni) del
capoluogo potentino impegnati in 7 laboratori creativi ( pittura, scrittura, graffiti,
teatro, musica ecc.);

di cui uno dedicato ai ragazzi del Carcere minorile di Potenza;

un laboratorio dedicato agli adulti educatori (genitori, insegnanti, allenatori, catechisti
ecc.).
Il Progetto, di cui è promotore il Rotary Club di Potenza in collaborazione con la Regione
Basilicata, si è posto l’obiettivo di costruire con consapevolezza una comunità educante; una
comunità di persone disponibili ad allearsi per formarsi e confrontarsi. La comunità educante
è un modo di essere e di vivere, in cui non ci si limita ad affermare l’importanza della
collaborazione e della condivisione in linea di principio, ma si tenta di creare occasioni di
scambio e di comunicazione, spazi per il sostegno e la formazione dei diversi soggetti
coinvolti, attraverso il quale generare il bene comune, un sistema che garantisce le condizioni
per cui ciascuno può impegnarsi per realizzare i propri sogni, specialmente le giovani
generazioni alle quali, spesso, il mondo adulto nega il futuro non svolgendo adeguatamente
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nel presente la propria funzione educativa.
Alcune affermazioni conclusive degli adulti che hanno partecipato al percorso, parole
incarnate, frutto dei mesi trascorsi insieme:
•
“si insegna soltanto se si impara”;
•
“educare è amare: la parola che nasce dal cuore arriva al cuore”;
•
“Educare è cambiare se stessi”;
•
“Educare è comunicare il messaggio abbi fiducia in te”;
•
“ho acquisito una maggiore consapevolezza dell’atto educativo e ciò mi sta
inducendo ad una riflessione prima dell’azione che mi conferisce serenità e capacità
di autocontrollo”;
CONCLUSIONI COME INIZIO
Affermava Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, a Washington, durante la
Lectio Magistralis tenuta in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa in
Pedagogia:
“Ogni pedagogia autentica è portatrice di una tensione utopica, da intendersi come idea
regolativa a costituire tra noi, quel paese che ancora non c’è, ma che dovrebbe esserci.
L’educazione, in tale prospettiva è vista come mezzo per avvicinarsi al fine utopico[…]. L’utopia
non è un sogno, né illusione, né una meta inavvicinabile, essa è tra noi[…]”.
Allora potremmo dire che il fine utopico dell’educazione socio - emotiva è costruire una
comunità educante, in cui è la memoria la mappa di una comunità, espressa attraverso il
dialogo nei legami tra generazioni, per insegnare e imparare a progettare e realizzare, con
impegno, il cammino per abitare il proprio sogno, educando al difficile, all’incarnazione della
parola, con il contributo di tutti coloro che partecipano.
Affermava Monsignor Romero in una sua riflessione, di cui vi lascio solo alcune righe
stralciate:
“[…]Non possiamo fare tutto, però dà un senso di liberazione l’iniziarlo. Ci dà la forza di fare
qualcosa e di farla bene. Può rimanere incompleta, però è un inizio, il passo di un cammino
[…]”.
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E’ il nostro inizio quotidiano che costruisce la via per raggiungere la meta prefissata, e il
cammino è la parte reale e concreta del nostro fine utopico.
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