premiata la IV classe - Direzione Didattica Bastia Umbra

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premiata la IV classe - Direzione Didattica Bastia Umbra
Concorso “IL NONNO RACCONTA”
Primo premio alla classe quarta di XXV Aprile
Lo stimolo a realizzare questo lavoro è venuto dal concorso proposto dalla Pro Loco
di Tordandrea “Il nonno racconta”. Le finalità del concorso infatti coincidevano
perfettamente con le convinzioni profonde delle insegnanti.
Per capire il presente bisogna comprendere il passato. La memoria di chi ha vissuto
lontane esperienze va tramandata perché costituisce un insegnamento per tutti,
soprattutto per i bambini che non hanno ancora gli strumenti per riflettere sul
presente.
Per questo lo scorso anno sono stati invitati in classe il nonno di Anna, che ha
raccontato come si viveva quando era piccolo e ha portato tanti strumenti da lavoro
che si utilizzavano nella vita quotidiana.
Quest’anno, aderendo al tema del concorso, Elena, un’altra alunna della classe, ha
intervistato il suo bisnonno Aldo, di 94 anni, su alcune tradizioni del passato, in
particolare quelle legate al matrimonio. Il racconto è stato molto interessante e per
tutti è sembrato un viaggio all’indietro, in una specialissima macchina del tempo …
Il lavoro prodotto dalla classe è stato apprezzato dalla giuria del concorso ed ha
avuto come riconoscimento il primo premio per la sezione di appartenenza.
Alleghiamo il racconto dei nonni per condividere sia il divertimento nello scoprire
tradizioni “particolari” e curiose, ma anche per la consapevolezza che i sentimenti e i
valori attraversano il tempo senza invecchiare.
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“Oggi
“Oggi è semplice per i giovani conoscersi, amarsi e lasciarsi. Sono
tante le opportunità: le discoteche, le gite, i viaggi, le cene, e così via.
Nel passato non era sempre così facile.
Spesso i primi amori nascevano in chiesa, durante le poche feste che
venivano organizzate in paese, nelle case del vicinato,
vicinato, quando le
ragazze si facevano più belle e si mettevano il vestito “ bono” o mentre
si svolgevano i lavori all’aperto, nei campi, alle fontane, ai lavatoi. I
due fidanzati non avevano molte occasioni per incontrarsi,
si
vedevano a Messa o nelle feste, così “si andava molto presto a casa”
dei rispettivi genitori.
Quando decidevano di fidanzarsi, il ragazzo doveva chiedere il
permesso al padre della fidanzata e se questo era d’accordo poteva
cominciare a frequentare la casa di lei, sempre in presenza dei
genitori, generalmente durante il pranzo o la cena della domenica.
Dopo un periodo di fidanzamento i due ragazzi, insieme alle
rispettive famiglie, decidevano il giorno dello “sposalizio”.
La sposa doveva provvedere al “corredo”che aveva già cucito con la
mamma e la nonna: la biancheria intima, le camicie da notte, le
vestaglie, le lenzuola di cotone lavorate al telaio,
il copriletto,
“l’imbottita”, le tovaglie e gli strofinacci. Il tutto veniva piegato,
legato con nastrini di raso e riposto in un baule.
Non c’erano le partecipazioni, ma si andava di casa in casa ad
invitare i parenti e gli amici. La sera prima del matrimonio lo sposo
andava sotto la casa della
sposa e con gli amici le faceva la
serenata, accompagnata dalla musica della fisarmonica.
La sposa
sposa restava alla finestra, ma non potevano incontrarsi.
Il giorno del matrimonio lo sposo andava a prendere a casa la sposa
e insieme si andava a piedi fino alla chiesa oppure si prendeva una
macchina in affitto, perché quasi nessuno possedeva l’automobile.
l’automobile.
L’acconciatura dei capelli della sposa veniva preparata a casa dalla
parrucchiera e la sarta l’aiutava a vestirsi.
Noi ci siamo sposati il 27 novembre del 1946. Giannina era bellissima:
indossava un cappotto verde con le maniche e il collo di pelliccia,
pelliccia,
lungo fin sotto il ginocchio e aveva un vestito ciclamino e bianco.
Sulla testa portava un cappellino dello stesso colore del soprabito e
una piccola veletta che le arrivava fino alle spalle. Le mani erano
ricoperte da guanti di pelle. All’epoca infatti,
infatti, i vestiti da sposa erano
eleganti, ma non sempre bianchi.
Alla fine della cerimonia gli amici tiravano il riso o dei confetti, di
solito senza la mandorla dentro, che i bambini si affrettavano a
raccogliere.
A quei tempi il pranzo di nozze, il “banchetto”,
“banchetto”, si svolgeva a casa e
non al ristorante, come avviene oggi. Talvolta si facevano due pranzi,
uno a casa della sposa e uno a casa dello sposo. Le donne della
famiglia, aiutate da amici e vicini, preparavano un ricco pasto a
base di brodo, pasta e carne arrosto,
arrosto, dolci di vario tipo. Il
matrimonio era una delle poche occasioni in cui si mangiava la
carne. Durante la festa si ballava e si cantava allegramente al suono
della chitarra e della fisarmonica. Gli invitati alle nozze, in base al
grado di parentela o alle condizioni economiche, potevano scegliere
di recare in dono pentole, piatti o altri oggetti per la casa, oppure
dare la consueta busta con i soldi, che veniva raccolta dagli sposi
mentre passavano per i tavoli con un cestino pieno di confetti , al
posto della bomboniera.La sposa, con un cucchiaio, ne dava cinque
ad ogni invitato, come segno di buon augurio. Talvolta i più vivaci si
divertivano, per scherzo, a lanciare i confetti che però finivano per
rompere bicchieri, bottiglie e qualche volta provocavano
provocavano anche
spiacevoli incidenti.
Dopo il matrimonio gli sposi andavano ad abitare nella casa
paterna di lui dove vivevano più famiglie che, per questo, erano molto
numerose.
Io e Giannina non abbiamo fatto il viaggio di nozze, che non si
usava ancora, ma il giorno dopo siamo andati nel campo a cogliere
la favetta…”