La retorica del potere nei discorsi del primo franchismo

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La retorica del potere nei discorsi del primo franchismo
§
PARAGRAFO
RIVISTA DI LETTERATURA & IMMAGINARI
Paragrafo
Rivista di Letteratura & Immaginari
pubblicazione semestrale
Redazione
FABIO CLETO, DANIELE GIGLIOLI, MERCEDES GONZÁLEZ DE SANDE,
FRANCESCO LO MONACO, FRANCESCA PASQUALI, VALENTINA PISANTY,
LUCA CARLO ROSSI, STEFANO ROSSO, AMELIA VALTOLINA
Segreteria di Redazione
STEFANIA CONSONNI
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Questo numero è pubblicato con il contributo del
Dipartimento di Lettere, Arti e Multimedialità dell’Università di Bergamo
© Università degli Studi di Bergamo
ISBN – 978-88-95184-10-0
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Stampato da Stamperia Stefanoni - Bergamo
Paragrafo
II (2006)
Sommario
QUESTIONI
§1. ANDREA BELLAVITA, L’emersione del Reale. Perché una psicoanalisi
del cinema contemporaneo?
7
§2. ANDREA MICONI, Dal real maravilloso al realismo magico.
Approccio evolutivo alla formazione di un genere
27
FORME
§3. CLAUDIO CATTANEO, Cornici per un assassinio. I confini del testo
in Libra di Don DeLillo
51
§4. MASSIMO VERZELLA, Embers di Christopher Hampton e la traduzione della malinconia
69
§5. ENRICO LODI, La retorica del potere nei discorsi del primo franchismo
83
TEMI
§6. SILVIA ULRICH, Gli eredi di Felix Krull. Dai ‘falsi’ di Wolfgang
Hildesheimer alle imposture del caso Gert Postel
105
§7. FRANCESCA PAGANI, Dal ‘cielo stellato’ di Mallarmé alle ‘bolle
d’inchiostro’ di Reverdy. L’immaginario del libro magico nella
poesia francese della modernità
121
LETTURE
§8. LUCIA QUAQUARELLI, La vittoria di un’onda. Palomar di Italo
Calvino
135
§9. VALENTINA LOCATELLI, Christa Wolf, una moderna Medea in
California
149
I COLLABORATORI DI QUESTO NUMERO
169
NUMERI ARRETRATI
171
§
5
Enrico Lodi
La retorica del potere
nei discorsi del primo franchismo
L’analisi retorica dei discorsi ufficiali prodotti dal franchismo durante la
guerra civile1 e nei primi anni del regime istauratosi al suo termine consente di operare un taglio prospettico sull’ideologia che li ha intessuti;
uno spaccato più ravvicinato di quello che possono offrire altre modalità
di indagine, maggiormente impostate in termini politico-sociologici.2 Tale premessa non comporta una pretesa di oggettività nell’affrontare l’argomento. Nessuna critica può illudersi di possedere un metalinguaggio
universalmente adeguato alla descrizione di una realtà storica, tanto più
che isolare un periodo e un corpus di testi da analizzare presuppone di
per sé una scelta orientata secondo criteri schematici e classificatori, che
eccedono quelli strettamente linguistici. Ciò nonostante è coerente pensare che l’adozione di uno sguardo ‘testuale’ aiuti a districarsi nelle griglie
concettuali che strutturano una determinata ideologia e a svelarne le strategie di costruzione identitaria.
Il primo franchismo.
Complessità costitutiva tra politica culturale, censura e propaganda
Sia a livello di configurazione politica che di caratteristiche ideologiche,
la quasi quarantennale dittatura di Francisco Franco è stata sottoposta a
diverse interpretazioni. Per esigenze di chiarificazione come anche, proba1
Quando cioè non si era ancora costituito in regime ma presentava già i tratti ideologici specifici che avevano portato all’Alzamiento.
2
Il corpus di discorsi preso in considerazione in questo saggio si compone principalmente di articoli di giornale e interventi ufficiali di Francisco Franco. Le due testate da
cui sono stati tratti più esempi sono ABC, quotidiano di orientamento monarchico e Arriba, organo ufficiale del partito falangista.
PARAGRAFO II (2006), pp. 83-101
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bilmente, per una sorta di imbarazzo al momento di proporre una definizione, la maggioranza degli studi che si sono occupati del franchismo,
analizzandolo nei suoi differenti aspetti, non ha potuto esimersi dal fare
una pur breve ‘carrellata’ sulle principali definizioni attribuitegli. Alla domanda ‘cosa fu il franchismo?’ sono state date diverse risposte che non si
escludono a vicenda.
Lo storico francese Hermet3 utilizza la definizione di ‘autoritarismo
conservatore’ in forza della considerazione secondo cui la dittatura avrebbe voluto, partendo dalla base d’appoggio delle vecchie oligarchie dominanti, estenderla alle classi medie sfruttando la loro ansia di sicurezza e riconoscimento di status. Si tratterebbe quindi, nella sua concezione, di un
regime che, mantenendo come fondamento la sussistenza di settori privilegiati, si caratterizza come conservatore. Stanley Payne, nella sua voluminosa opera sul fascismo,4 descrive il caso spagnolo come ‘dittatura sincretica’ in relazione alla presenza di tratti che permetterebbero di classificarla, almeno inizialmente, come ‘semifascista’. Uno degli studiosi più citati
dalla letteratura del settore è Juan J. Linz,5 che ha coniato la definizione
di ‘regime autoritario’ ad hoc per il caso spagnolo, sottraendosi così alla
tendenza classificatoria dominante che propone una ripartizione netta tra
democrazia e totalitarismo.
Il regime autoritario si distinguerebbe essenzialmente per un pluralismo politico limitato; l’assenza – meglio sarebbe indefinitezza – di una
ideologia; la mancanza di mobilitazione politica della popolazione, in effetti mai attuata con efficacia in Spagna; l’importanza dell’esercito e la debolezza del partito unico autoritario. Proprio questo ultimo punto, unito
alla considerazione di come la Falange detenesse il monopolio dell’apparato ideologico fascista in Spagna, giustifica la considerazione secondo cui
nel paese non si diede mai un fascismo per così dire estensivo, ma ci si limitò ad una imposizione ‘dall’alto’. Del resto ‘dall’alto’ era avvenuta anche la consacrazione istituzionale del partito stesso, che nel periodo repubblicano della propria esistenza, dal 1933 al 1936, non aveva mai riscosso una partecipazione effettiva della popolazione e aveva quindi falli3
Guy Hermet, “La España de Franco, formas cambiantes de una situación autoritaria”,
in Id., Ideología y sociedad en la España contemporánea. Por un análisis del franquismo, Madrid: EDICUSA, 1977.
4
Stanley G. Payne, El fascismo, Madrid: Alianza Editorial, 1982, pp. 143-64.
5
Juan J. Linz, “Una teoría del régimen autoritario. El caso de España”, in Id., Política y
sociedad en la España del siglo XX, Madrid: Akal, 1978.
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to nell’instaurazione del processo di socializzazione politica che auspicava.
Altro fattore che concorse a minare la solidità e l’indipendenza del partito
fu senza dubbio l’assassinio del suo leader carismatico, José Antonio Primo de Rivera, nel 1936. La sua scomparsa, avvenuta per mano dei repubblicani, portò alla creazione di una nuova icona nel patrimonio ieraticomitologico della dittatura, ma soprattutto consentì a Franco di proclamarsi legittimo erede del fondatore della Falange e quindi padrino a vita
del partito rimastone orfano. Ciò stette a significare la definitiva cristallizzazione della sua libertà d’azione. Si erano poste così le basi di una presenza politica sempre più burocratizzata e sempre meno operativa del partito unico.
La politica culturale del ‘Nuovo Stato’ rifletté specularmente gli equilibri di potere interni al regime, inscenando una partita giocata primariamente tra la componente fascista e la Chiesa. La disomogeneità dei modelli ideologici proposti si tradusse in una spartizione di competenze a livello
dei singoli campi d’azione pertinenti la politica culturale. Ciò avvenne sin
dalla formazione del primo governo franchista il 30 gennaio del 1938, prima ancora, quindi, della vittoria definitiva sui repubblicani. Quello che
anteriormente si chiamava Ministero dell’Istruzione Pubblica e delle Belle
Arti prese il nome di Ministero dell’Educazione Nazionale e venne ricoperto da Pedro Sainz Rodríguez, appartenente alla destra cattolica e sottoposto all’autorità morale rappresentata gerarchicamente dal cardinale
Gomá; la Falange, dal canto suo, monopolizzò l’ambito dell’informazione
dal Ministero dell’Interno attraverso la figura di Serrano Suñer. Questa
suddivisione dei settori di competenza fu velata da una maschera di complementarità che in concreto, e in modo ancora più marcato con il passare
degli anni,6 comportò la supremazia degli ideali cattolici, tanto più funzionali alla costituzione identitaria della dittatura quanto più divenivano anacronistici quelli fascisti propugnati dalla Falange.
Censura e propaganda, facce distinte dello stesso meccanismo, cercarono da un lato di impedire la sovversione e il dissenso politico, dall’altro
di strutturare il consenso attorno al regime, anche attraverso l’incoraggiamento a una più o meno effettiva partecipazione di massa della popolazione. Tuttavia le manifestazioni di piazza, organizzate sul modello delle
adunate fasciste ed esaltate dalla retorica falangista come palese riconosci6
Chiamando in causa altre definizioni date al franchismo, si passò da un fascismo frailuno a un vero e proprio nacional-catolicismo.
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mento plebiscitario del franchismo, furono in realtà eventi utilizzati dall’establishment al fine di silenziare, con il rumore delle singole celebrazioni, la generale situazione di malcontento dettata principalmente dalle
drammatiche condizioni in cui versava il paese, che si trovava in difficoltà
anche nel reperimento di generi alimentari in quantità sufficiente per tutti.7 Piuttosto si ebbe un tentativo prolungato e, alla luce della durata della
dittatura, efficace di ottenere coercitivamente la sottomissione acritica
delle masse;8 ed è forse in questo senso che il carattere iterativo, quasi
narcotizzante, della propaganda franchista raggiunse il suo scopo.
Per quanto concerne gli aspetti di censura e di generale limitazione
della libertà di parola e opinione, è bene considerare come la politica
informativa del regime nascesse in una situazione di conflitto armato,
comportando come diretta conseguenza l’adozione di misure estremamente restrittive dettate dalla necessità di un controllo totale del flusso di
notizie e gestite in grande misura dalle alte sfere militari.
Già dall’agosto del 1936 la Junta de Defensa Nacional istituì un Gabinete de Prensa, diretto dal giornalista Juan Pujol e seguito, nel novembre
dello stesso anno, da una Oficina de Prensa y Propaganda presieduta dal
generale Millán Astray, noto per il suo screzio con Unamuno.9 Di essa fecero parte nomi di rilievo dell’ambiente, come Juan Aparicio o Ernesto
Giménez Caballero. Il 23 dicembre formulò una propria normativa censoria in cui, all’articolo 1, si dichiarava l’illegittimità della “produzione, il
commercio e la circolazione di giornali, riviste e ogni tipo di materiale
stampato e registrato pornografico o di letteratura socialista, comunista,
7
Si veda in Justino Sinova, La censura de prensa durante el franquismo (1936-1951),
Madrid: Espasa Calpe, 1989, pp. 246 e sgg. Attraverso specifici dettami che prenderanno
il nome di consignas si vietava anche di parlare esplicitamente di banchetti e perfino di citare il nome di alimenti considerati ‘di lusso’.
8
In Javier Jiménez Campo, “Rasgos básicos de la ideología dominante entre 1939 y
1945”, Revista de Estudios políticos, 15, 1980, p. 116-17, si riportano le parole del falangista Salvador Merino che nel 1940 diceva: “Vogliamo le masse […] ma non per ottenere la
loro adesione […] bensì per […] sottometterle a quadri di comando”. Salvo diversa indicazione, le traduzioni sono mie.
9
Miguel de Unamuno, esponente di rilievo della Generazione del 98, aveva trovato una
collocazione di prestigio all’interno del ‘nuovo Stato’. Nonostante tutto lo aveva criticato
apertamente, soprattutto per la scarsa considerazione in cui era tenuta la cultura. Ne è testimonianza il diverbio con il generale Millán Astray, il quale aveva ribadito all’intellettuale le premesse ‘culturali’ a cui preferiva attenersi: viva la muerte, muera la inteligencia. La
conseguenza di questo scontro, per come riporta l’aneddotica, fu la clausura domestica di
Unamuno sino al giorno della sua morte, avvenuta pochi mesi dopo.
LA RETORICA DEL POTERE NEI DISCORSI DEL PRIMO FRANCHISMO
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libertaria e, in generale, dissoluto” nelle zone occupate.10 Questa impostazione, seguita sostanzialmente nel corso dei primi anni del franchismo,
creava una sovrapposizione tra categorie ideologiche e morali, instaurando una vasta area di ambiguità. Saranno tuttavia questi principi, improntati alla salvaguardia dell’immagine di Stato, Esercito e Chiesa, che guideranno le comisiones depuradoras nel vaglio delle opere presenti nelle biblioteche e che regolamenteranno la censura di stampa obbligatoria, istituita nel maggio del 1937, di competenza della Delegación del Estado para
Prensa y Propaganda. Si trattava ovviamente di censura preventiva, a cui
veniva riconosciuto peraltro il principio di infallibilità, con la relativa impossibilità di ricorso da parte delle sue vittime.
Parallelamente alla Delegazione, di matrice militare, il partito unico
aveva provveduto a creare la propria Delegación de Prensa y Propaganda de
FET y de las JONS. Tra i falangisti più noti che vi collaborarono si possono
annoverare Torrente Ballester, Pedro Laín Entralgo, Giménez Arnau,
García Valdecasas, Dionisio Ridruejo e Antonio Tovar.
Con la formazione del primo governo di Franco le competenze relative a censura e propaganda furono affidate in modo più netto alla Falange,
attraverso l’istituzione del Servicio Nacional de Prensa y Propaganda – poi
Dirección General de Prensa –, dipendente dal Ministero dell’Interno, che
a sua volta cambierà nome in Ministero del Governo e di cui era ministro
Serrano Suñer, braccio destro del Caudillo e vertice della dirigenza falangista. Non tarderanno a farsi sentire le conseguenze. Attraverso la Dirección General Serrano nominò Tovar responsabile della radiodiffusione,
aspetto molto curato dal regime, Ridruejo della Propaganda e Giménez
Arnau della stampa. Questi, pur negando una sua effettiva responsabilità
una volta tramontato il regime,11 redasse la tanto discussa Ley de Prensa
del 22 aprile 1938, che rimase in vigore sino al 1966.
Tale provvedimento, preso in piena guerra civile e improntato quindi
a una severità marziale, si basava sul concetto di fondo di una stampa
concepita come semplice prolungamento delle funzioni dello stato e perciò repressiva di qualsiasi esercizio di libertà da parte del giornalista. Pur
senza menzionare direttamente la parola – che proviene dal registro mili10
Román Gubern, La censura. Función política y ordenamiento jurídico bajo el franquismo (1936-1975), Barcelona: Península, 1981, p. 10.
11
In José Antonio Jiménez Arnau, Memorias de memoria, Barcelona: Destino, 1978,
p. 181.
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tare –, veniva istituito un sistema di consignas,12 attraverso cui si dettavano con dovizia di particolari i temi da trattare nei singoli articoli, in che
modo argomentarli e persino le parole da usare o quelle vietate. Il preambolo della Ley de prensa rende chiaramente l’idea di quali fossero i fini a
cui tendeva un inquadramento così serrato:
Non poteva perdurare un sistema che continuasse a tollerare l’esistenza di
quel ‘quarto potere’, di cui si voleva fere una premessa indiscussa […]
Non poteva ammettersi che il giornalismo continuasse a vivere ai margini
dello Stato […] Bisogna evitare i mali provenienti dalla libertà di tipo democratico. La stampa deve essere sempre al servizio dell’interesse nazionale, un’azienda pubblica al servizio dello Stato.13
Lo stato franchista, che poco a poco si avvicinava alla vittoria definitiva
contro una Repubblica agonizzante, non permetteva quindi manifestazioni di libertà, o meglio, nel suo linguaggio ampollosamente ambiguo ‘offriva’ una “libertà integrata che non potrà più sfociare in quel libertinaggio verso la Patria e lo Stato, attentare contro di essi e proclamare il diritto alla menzogna, all’insinuazione e alla diffamazione come sistemi metodici di distruzione della Spagna”.14
Si negava dunque ogni principio liberale e si dava una responsabilità
interpretativa altissima a chi doveva giudicare un ipotetico scritto, in forza della vaghezza di frasi come ‘sminuire il prestigio della Nazione’ o ‘seminare idee pericolose’. Le sanzioni venivano applicate con rigore e variavano da multe pesantissime, alla sospensione dal servizio del giornalista o
del direttore interessato, fino alla radiazione dall’albo e al sequestro della
testata. Ne conseguiva un clima di sostanziale terrore che riguardava sia la
categoria dei giornalisti che quella dei censori, generalmente non preparati sotto il profilo culturale, e costretti in turni di lavoro massacranti ad affrontare situazioni che li vedevano impossibilitati ad una scelta netta, dovendosi barcamenare tra i dettami non chiari della legge e delle consignas,
e i capricci di autorità spesso in conflitto tra loro.
L’apparato di controllo risultava godere di una estensione capillare,
pur in un contesto generale di “organizzata disorganizzazione”15 che non
12
Non si è tradotto il termine per la complessità delle connotazioni che comporta e che
avrebbe reso limitante un corrispettivo italiano. Consigna indica infatti la ‘consegna’, come
disposizione, ma anche l’ordine militare.
13
Román Gubern, op. cit., pp. 28-29.
14
Ivi, p. 29.
15
Justino Sinova, op. cit., p. 148.
LA RETORICA DEL POTERE NEI DISCORSI DEL PRIMO FRANCHISMO
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permetteva mai un’applicazione sistematica, bensì reinterpretabile arbitrariamente di volta in volta. Questa precarietà rientrava precisamente nell’idea funzionale che aveva Franco della stampa: una completa subordinazione alle esigenze dello Stato, e, quindi, alle sue.
Nonostante esempi episodici di attenuazione – come l’ordinanza del
25 marzo 1944, che disponeva l’esenzione dalla censura preventiva per le
pubblicazioni liturgiche – in sostanza, la Ley de Prensa rimase in vigore fino al 1966, quando ad essa ne subentrò una più liberale. La censura manifestava così la sua duplice faccia: da un lato si proclamava legittimo baluardo in azione contro forze destabilizzanti, dall’altro esercitava la privazione della libertà di espressione. Tale atteggiamento ambivalente è emblematico di una dittatura che, soprattutto nei primi anni, rinnegava
qualsiasi concezione libertaria perché controproducente alla prosecuzione
del proprio esercizio di potere. Nelle parole di Sinova, “con una mano
strangolava, con l’altra lo negava”.16
Il sogno di un regime effettivamente persuasivo e capace di mobilitare
grandi masse entusiaste dovette quindi da subito cedere il passo a pratiche più dimesse ma costanti di coercizione, con il fine di mantenere saldi
al loro posto i vertici del potere. La presa di coscienza della fine di una simile illusione, d’altra parte, coincise con la detronizzazione di FET y de las
JONS dal monopolio nella gestione dell’immagine del ‘nuovo Stato’, assegnatole dopo la vittoria sui repubblicani e cessato con l’incorporazione
delle mansioni di propaganda nel cattolicizzato Ministero dell’Educazione Nazionale. I falangisti, che ottimisticamente avevano pensato ai primi
anni del regime come a una fase di transizione verso uno stato fascista in
ogni suo aspetto, furono in sostanza emarginati in parallelo al tracollo europeo dell’auge ideologica totalitaria.
L’ideologia cattolica godeva certamente di una maggiore penetrazione
sociale e i suoi gruppi di potere furono deputati a raccogliere l’eredità della Falange. È preciso il giudizio di Chueca, secondo cui “la Chiesa, l’Esercito, il capitale erano stati semplicemente ri-posti nelle loro privilegiate
posizioni del passato e disponevano di appoggi e risorse politiche proprie.
La Falange, che tanto aveva contribuito a tale cambiamento, no. Solo politicamente disponeva di garanzie peraltro assai dubbie”.17 Al partito uni16
Ivi, p. 279.
Ricardo Chueca, “FET y de las JONS”, in Josep Fontana (a cura di), España bajo el
franquismo, Barcelona: Editorial Crítica, 1986, p. 73.
17
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ENRICO LODI
co comunque restava la direzione della più grande catena giornalistica
mai esistita in Spagna e la parziale paternità di uno stile linguistico e gestuale che in certa misura è riuscito a sopravvivere nel tempo.
Sono quindi varie le cause che rendono problematica la collocazione
ideologica della dittatura franchista in un modello indicativo di riferimento, prima tra queste il suo caratterizzarsi in termini fortemente personali, con un Caudillo che era contemporaneamente sostituto a tempo indeterminato del re in uno stato definito monarchico, capo dell’Esercito,
del Governo e quindi della Falange, unico partito permesso. La presenza
di poli di potere diversi, e il loro alternarsi in base alle esigenze dettate dagli equilibri interni e internazionali, comportò conseguenze sul piano della formulazione dei discorsi così contestualizzati.
Si configura in questo modo lo sfondo in cui la dittatura di Franco dovette esercitare le sue doti di equilibrismo, ora sostenendo i suoi ideali alleati dell’Asse,18 ora cercando di dissimulare nei limiti del possibile la propria partecipazione nel momento della loro disfatta.19 L’ostilità degli alleati,
una volta terminato il conflitto, risultò comunque evidente e si esplicitò
nei termini di un marcato raffreddamento nei rapporti diplomatici con la
Spagna; processo culminato nell’embargo e nell’esclusione della stessa
dall’ONU, nel dicembre 1946. La reazione, l’unica possibile, fu quella di far
passare l’idea di un isolamento auto-imposto nei confronti di un quadro
internazionale moralmente condannabile, a cui contrapporre un modello
di Spagna ancorato ai valori tradizionali della monarchia e del cattolicesimo. Una delle parole-testimone20 del periodo divenne quindi autarchia,
idea già mussoliniana di completa indipendenza nazionale, auspicato agglutinante sociale attorno al quale creare un consolidamento del consenso.
Fu proprio il ribadire costantemente una supposta diversità spagnola –
e il suo articolarsi, attraverso i discorsi del franchismo, in un universo linguistico e simbolico che la connotasse in termini di atemporalità – a delineare i tratti costitutivi dell’ideologia di un regime che cercava nella (ri)costruzione di un mondo immutabile la ricetta della propria sopravvivenza.
18
Il contributo militare concreto apportato dalla Spagna si limitò alla spedizione della
tanto mitizzata quanto esigua “División Azul”.
19
A livello di apparato simbolico è significativa, ad esempio, l’abolizione nel 1945 del
saluto romano, brazo en alto.
20
Ci si rifà qui alla terminologia adottata in Miguel Angel Rebollo Torío, Estudios sobre
el vocabulario político Español (1931-1971), Cáceres: La Minerva Cacereña, 1976. A sua
volta, l’autore spagnolo si riconduce agli studi linguistici di Georges Matoré.
LA RETORICA DEL POTERE NEI DISCORSI DEL PRIMO FRANCHISMO
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La lingua del vincitore e il tempo ideologizzato
“Ecco la lingua del vincitore […] non la si parla impunemente, si finisce
per assimilarla, per vivere secondo il suo modello”:21 riflettendo sulla lingua del Terzo Reich, Victor Klemperer, filologo tedesco ed ebreo, annotava le conseguenze dell’esposizione al mondo linguistico ufficiale del regime: l’assimilazione del suo modello ideologico.
In modo analogo, anche i discorsi dei primi, cruenti, anni della dittatura di Franco elaborarono un modello, imposero una descrizione del
mondo circostante. Tesero a esprimere una Weltanshauung. Proprio questo
termine, nota Klemperer, era particolarmente caro al regime nazista per la
sua connotazione nel campo semantico della percezione sensibile. Etimologicamente poteva essere considerato come visione mistica (Schau) del
mondo (Welt), andandosi a inscrivere nell’ambito suggestivo della rivelazione religiosa. Weltanshauung divenne negli anni del Terzo Reich un sostituto costante di filosofia. La lingua nazista “vi trovava quello che per lei
era il più importante opposto dell’attività del filosofare. Infatti filosofare è
un’attività della ragione, del pensiero logico, di cui il nazismo è un nemico mortale”.22 Anche il franchismo, pur facendo leva su diversi elementi
in parte già radicati nel retroterra culturale spagnolo, adottò criteri simili
di rifiuto del razionale nelle proprie strategie di legittimazione. È coerente
pensare che una simile scelta di campo argomentativo, in regimi non democratici, sia da ascrivere alla volontà di superare le aporie che segnano le
loro narrazioni, laddove un ricorso a espedienti logico-razionali comporterebbe la messa in luce di forzature e violenze nella giustificazione delle
proprie istanze. L’irrazionale, il fantastico sono canoni operativi preferiti
dal franchismo per la loro connotazione in termini emotivi, non logici.
Una delle istanze primarie del regime fu procurarsi una collocazione
stabile lungo l’asse del tempo. La preoccupazione di garantirsi continuità
politica portò a privilegiare un punto di vista che precludesse la prospettiva a eventuali cambiamenti futuri. Stabilità e staticità vennero così sostanzialmente a coincidere. Non si propose dunque una concezione temporale lineare: essa avrebbe implicato l’idea di un possibile mutamento, o
comunque di una ricerca di perfezione che si considerava già raggiunta.
L’alternativa offerta non fu però nemmeno quella di una visione ciclica:
21
Victor Klemperer, LTI, la lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, Firenze: Giuntina, 1998, p. 24
22
Viktor Klemperer, op. cit., p. 184.
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ENRICO LODI
essa avrebbe comportato il rischio di uno smarrimento della congiuntura
franchista in una serie di snodi storici che potevano così comprometterne
l’unicità. Piuttosto, secondo Marie-Aline Barrachina,
si trattava di una sorta di negazione pura e semplice del passare del tempo, di una percezione pressoché simultanea di avvenimenti non classificati secondo l’ordine cronologico bensì secondo una scala manichea di valori, una sorta di quarta dimensione che conduce all’idea di eternità.23
Il franchismo si proclamò erede del passato più glorioso della storia spagnola, codificando un’impalcatura commemorativa di tutte le sue date
‘storiche’. Si crearono in questo modo una serie di appuntamenti simbolici che scandivano, celebrazione dopo celebrazione, il passare del tempo. Il
primo aprile si evocava la Vittoria del 1939 e la Pace, il 19 dello stesso
mese era il giorno dell’Unificazione, il 2 maggio quello dell’Indipendenza, il 18 luglio si riunivano i festeggiamenti per il Glorioso Alzamiento e
quelli della Exaltación del Trabajo, il primo ottobre era il Giorno del Caudillo, il 12, della Hispanidad, il 29, della fondazione della Falange e dei
caduti, il 20 novembre, infine, era lutto nazionale: si piangeva la morte
del primo falangista e ora martire ufficiale del regime José Antonio Primo
de Rivera.24
La Guerra Civile, che fornì la maggior parte del bagaglio celebrativo a
disposizione del franchismo, rappresentava una sorta di orizzonte degli
eventi: “Un profondo bacino di tempo non storicizzabile, vale a dire: una
catastrofe espiatoria che resuscitava in chiave tragica quello che c’era di
mitico in altri momenti del passato remoto”.25 Si creava così un’intersezione tra due livelli storici: da una parte il ricorso al passato ogni qual
volta fosse stato possibile evocarlo, dall’altra la celebrazione delle festività
del ‘nuovo Stato’. Una sorta di fuoco incrociato all’insegna della ripetitività che otteneva l’effetto di moltiplicare la valenza commemorativa e
astraente del presente. Un tempo immobile, stagnante; un tempo in cui
23
Marie-Aline Barrachina, Propagande et culture dans l’Espagne franquiste 1939-1945,
Grenoble: Ellug, 1998, p. 181.
24
Il livello di inquadramento istituzionale in cui era tenuta tale codificazione emerge
anche dalla pubblicazione che all’epoca si faceva di volumi dedicati a esplicitare l’importanza delle commemorazioni. Si veda ad esempio Francisco Moret Messerli, Conmemoraciones y fechas de la España nacionalsindicalista, Mardid: Vicesecretaría de Educación Popular, 1942.
25
Rafael R. Tranche e Vicente Sánchez Biosca, NO-DO. El Tiempo y la Memoria, Madrid: Cátedra, 2001, p. 290.
LA RETORICA DEL POTERE NEI DISCORSI DEL PRIMO FRANCHISMO
/ 93
non si dava l’alternativa del cambiamento. La quarta dimensione di cui
parla Barrachina finisce quindi col diventare asfittica, una ‘non-dimensione’ che grava sulle altre tre.
I discorsi del franchismo traspirano la concezione che il regime aveva
della storia. Si consideri il seguente brano, scritto in occasione del trasferimento della salma di Primo de Rivera:
Il significato più alto della sepoltura di José Antonio lo offrono la distanza, il cammino e il ritmo di marcia, al passo. […] Oggi ci troviamo di
fronte a un lutto dinamico, in movimento. […] La sensazione che sia una
cosa costante, che non possa fermarsi, che nuove spalle si sostituiscano ad
altre, e che le reliquie proseguano lì, fluttuando nell’aria […]. Via retta e
deserta, via in lutto, via antica, senza motori, senza fumo, e senza polvere
[…] anche gli alberi vorrebbero marciare. […] Un popolo che vuole salvarsi e redimersi deve lavorare così, tutti devono offrire, generosamente,
le spalle per portare il peso in un onorevole avvicendamento, e marciando
senza fretta, senza parlare, con passo lento e sicuro. […] José Antonio,
dopo la morte, detta un passo, un ritmo, una sicurezza nel destino. La
nostra migliore storia è stata fatta così, lungo sentieri, camminando.26
Nel testo è subito visibile la volontà di creare un ponte simbolico tra l’episodio descritto e il ‘cammino’ parallelo della storia nazionale. Il tempo si
connota di tratti connessi al cattolicesimo, sino a diventare cammino di redenzione – “salvarsi e redimersi” – attraverso il sacrificio – “offrendo le spalle” – e senza che si dia la possibilità di metterne in questione il significato –
“senza parlare”. L’incedere liturgico e rituale si colora tuttavia anche di tratti
semantici appartenenti all’ambito militare, connotandosi come “marcia”. Il
ritmo dato da tale incedere si appiattisce in una temporalità sospesa, espressa dall’immagine ambiguamente escatologica dei resti del novello martire
che fluttuano nell’aria. L’effetto di sospensione viene accentuato dai dettagli
surreali con cui viene descritta la processione: la ripetizione anaforica di
strada è funzionale all’accostamento paratattico di una qualificazione asettica – “retta e deserta, senza fumo e senza polvere” – che richiama i paesaggi
di Dalí e De Chirico. Il testo pare ricercare quella che Lausberg, definendo
l’ornatus vigoroso, chiama “esperienza faticosa del bello”.27
Il suo tipico registro connotativo e solenne fa giocare la significazione
26
ABC, La lección de un entierro, 23/11/1939.
Heinrich Lausberg, Elementi di retorica, Bologna: Il Mulino, 1992, § 166. A propria
volta, l’Ornatus si definisce come abbellimento retorico del discorso, attraverso il ricorso
abbondante a tropi e figure; idealmente opposto alla chiarezza lineare: la Perspicuitas.
27
94 /
ENRICO LODI
sul piano emotivo, mentre il ricorso a un lessico ora religioso, ora militare
chiama in causa i valori a cui maggiormente si ispirava il regime: l’inquadramento militare e la consolidata tradizione del discorso cattolico. Secondo il cognitivista Geroge Lakoff, “l’essenza della metafora è la comprensione e l’esperienza di una cosa in termini di un’altra”;28 andrebbe superata la vecchia distinzione tra ‘letterale’ e ‘metaforico’ in quanto lo
schema operativo metaforico plasma il concetto da esso filtrato. In questo
senso – si vedrà anche più avanti – la metafora religiosa permea i discorsi
del primo Franchismo, tendendo a rappresentarlo come allegoria storica
di significati primariamente trascendenti e fideistici.
La ripresa frequente del passato imperiale, declinata nell’allegoria manichea con cui il regime rappresentò la guerra civile, portò a un impiego
abbondante di metafore che dipinsero il Franchismo in termini di rinascita: “Inizia la primavera di Spagna. Alle spalle resta l’inverno di tutto il precedente, il freddo della fede caduta, uragani e tormente”.29 In una sorta di
prosopopea “Madrid apparve ieri vestendosi della splendida gala di primavera”;30 analogamente viene presentata la dicotomia simbolica luce-tenebre: “ci apprestiamo a continuare la nostra storia nel giorno stesso in cui
nella capitale della nazione splende un sole per molto tempo oscurato”.31
Nonostante la metafora stagionale – e temporale in genere – definisca
il regime come un punto di partenza, la ciclicità delle immagini che vengono proposte ne limita lo slancio, fissandone i confini in un presente
eternizzante e proponendo con puntualità l’idea del ritorno al passato.
Sono continui i flashback tematici che operano la ripresa dei miti a cui si
appoggia il franchismo, ma questa risulta evidente anche dalle scelte lessicali. Il prezzo da pagare affinché non cessi l’amanecer, il ‘farsi giorno’ spagnolo, è che il tempo si blocchi; si vorrebbe “innestare l’attualità sul passato”.32 La cristallizzazione nel presente, commista a tale ripresa del passato, si manifesta in un abbondante ricorso alla prefissazione: quello spagnolo sarà un “ri[-]sorgere”,33 la Falange dichiara di voler procacciare un
“ri[-]nascere possibile che ci riporti all’equilibrio passato e, attraverso
28
George Lakoff e Andrew Ortony, Metaphor and Thought, Cambridge: Cambridge
University Press, 1992, p. 5.
29
“En el día de hoy”, ABC, 2 aprile 1939.
30
“La gloriosa jornada de ayer”, ABC, 29 marzo 1939.
31
Articolo senza titolo, ABC, 29 marzo 1939, p. 3.
32
Francisco Franco Bahamonde, Franco ha dicho, Madrid: Ediciones Carlos Jaime, 197,
p. 158.
33
Ibidem.
LA RETORICA DEL POTERE NEI DISCORSI DEL PRIMO FRANCHISMO
/ 95
quello, alla grandezza”;34 sotto la guida di Franco la Spagna quindi “ri[]crea la propria Storia”.35 In definitiva tutto questo risulta coerente con
l’ideale franchista che, viste anche le limitazioni materiali a una vocazione
imperialistica, si rifaceva non all’ideale della “conquista”, bensì alla spirituale “re conquista” sui nemici della religione.
Un’ontologia elementare poi, seguendo quella che Klemperer chiama
la “maledizione del superlativo”,36 porta il regime a connotare in termini
di ‘storica’ la sua attualità, evocativa di un passato fastoso. Il comunicato
ufficiale della fine della guerra diventa “storico documento” e il nuovo regime evoca la “grandezza storica” spagnola.37 Le macerie dell’Alcazar di
Toledo, del resto, sono classificate come “storiche rovine”38 perché hanno
partecipato alla mitizzata resistenza contro l’esercito repubblicano più che
per il loro passato secolare. Il particolare risalto che si vuole dare a questo
tipo di aggettivazione emerge anche dalla sua collocazione in relazione al
sostantivo: è infatti frequente il ricorso all’iperbato, che inverte l’ordine
tradizionale sostantivo-aggettivo, attribuendo a quest’ultimo una posizione di preminenza spaziale e semantica.
Fissare il tempo in questo modo, con una scrittura che si auto-suggestiona, vuol dire precludere vie di fuga, la ripetizione dell’uguale cancella
la altre prospettive. L’utopia, che prevede racconti di emancipazione, ripiega nel mito grazie al cattolicesimo, che vincola la salvezza in uno spazio comodo in quanto ‘altro’ (l’al di là) e si radica nel passato tradizionale.
Al posto del racconto di emancipazione quindi si sostituisce quello del
mito che, secondo Lyotard, è tipico del discorso totalitario:
una delle proprietà del racconto [mitico] è quella di poter raccogliere,
mettere in ordine e trasmettere non soltanto delle descrizioni, ma anche
delle prescrizioni, delle valutazioni, dei sentimenti. La tradizione trasmette gli obblighi annessi ai nomi con le prescrizioni relative a tale situazione, legittimandole per il semplice fatto di porle sotto l’autorità del nome
[…] in questa pratica narrativa è quindi in gioco una vera e propria politica, immersa tuttavia nell’insieme della vita istituita dai racconti. In questo senso tale politica può essere definita totalitaria.39
34
“Significación de una fecha”, Arriba, 29 ottobre 1943.
“En el día de hoy”, ABC, 02 aprie 1939.
36
Victor Klemperer, op. cit., p. 274.
37
“Empieza la paz”, ABC, 04 aprile 1939.
38
“18 de julio”, ABC, 18 luglio 1939.
39
Jean-Francois Lyotard, Le postmoderne expliqué aux enfants, (1986), trad. it. Il Postmoderno spiegato ai bambini, Milano: Feltrinelli, 1987, p. 6.
35
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ENRICO LODI
Gli elementi mitici vengono proposti non secondo le modalità narrative
tradizionali ma in maniera sfumata, quasi onirica. Ciò avviene attraverso
la ricerca di uno stile peculiare che si riflette e manifesta soprattutto nel
linguaggio, attraverso una concezione estetizzata per cui diventa possibile
parlare allegoricamente di un “libro meraviglioso che inizia come Storia e
finisce in Poesia”.40
Come sostiene Ulrich Prill, sussiste una “differenza costitutiva che si
fa nella scrittura mitica tra Chronos, ossia il tempo come flusso, e Kaíros,
ossia il tempo come momento caricato di significazione mitologica”.41 La
scrittura franchista, con le caratteristiche che la costitutiscono, è predisposta per accogliere e presentare un tempo inteso come Kaíros. Esso, per
essere apprezzato, necessita non tanto di una capacità interpretativa razionale, quanto piuttosto di una esegesi mistica che sposti i canoni cognitivi
nell’ambito del culto: culto verso Dio, verso la Nazione e il suo Capo,
culto verso gli Eroi e infine – e qui il cerchio si chiude – culto verso la
Storia.42
Il concetto franchista di Spagna
Una volta configurato un tempo mitico, il discorso franchista è pronto
per accogliere al suo interno i nomi di cui parla Lyotard in relazione ai
racconti della tradizione. Tra le preoccupazioni principali dell’establishment vi sarà quella di formulare una nozione di patria confacente alle
proprie esigenze di legittimazione. La spaccatura intestina deflagrata nella
guerra civile non si poteva ignorare al momento di presentare un’immagine compatta della Spagna, cosicché il regime vincolò l’unità nazionale
proprio a una ideologia oppositiva che vedesse contrapposti i vincitori del
conflitto ai sostenitori della repubblica sconfitta, costantemente evocati
come nemici della patria e relazionati ai circuiti del ‘bolscevismo internazionale’ e della onnipresente minaccia massonica:43 “La nuova Spagna è
40
“18 de julio”, ABC, 18 luglio 1939.
Cit. in Mechtild Albert, Vencer no es Convencer, Frankfurt am Main: Vervuert, 1998,
p. 167.
42
Non è casuale che i grandi mistici spagnoli, in primo luogo San Juan de la Cruz, venissero all’epoca proposti con orgoglio nazionalistico.
43
È interessante a questo proposito “La leyenda negra de la República Española”, riportato in appendice a Gabriel Jackson, La República Española y la guerra civil, Barcellona:
Grijalbo, 1976. Lo stesso Franco, sotto lo pesudonimo di Jakim Boor scriveva articoli di
tema antimassonico sul quotidiano Arriba.
41
LA RETORICA DEL POTERE NEI DISCORSI DEL PRIMO FRANCHISMO
/ 97
questo: una lotta aperta della verità contro la menzogna, dell’onore contro il crimine e, in una parola, della Patria contro l’antipatria […] la forza
della massoneria risiede precisamente in quel misterioso segreto del non
sapere mai chi sono né quanti sono i massoni”.44
Con una capillare distribuzione all’interno dei propri discorsi, il franchismo fece del nemico un elemento non solo obbligato, bensì addirittura necessario alla propria formulazione identitaria. I valori cattolici, che
colorano questa dicotomia, finirono col vedere nella sollevazione militare
una cruzada:
La nostra crociata è stata l’Alzamiento che, per la seconda volta nella nostra
Storia portò il nostro popolo a sollevarsi dalla sua decadenza e ad alzarsi
contro il marcio e il decadente. E questo Movimento, nel quale tutti siete
stati attori […] riunì sotto le nostre bandiere tante persone che […] sentirono nell’anima accendersi il santo fuoco dell’amore patriottico, travolti
dal romanticismo delle nostre consignas, e dall’ispirazione dei nostri canti,
che rese possibile la vittoria e con essa la Spagna Una, Grande e Libera.45
Emerge, a partire dal pensiero del Generalísimo, l’ambigua consistenza di
una unità propugnata come valore primario e allo stesso tempo concepita
sulla base di una scissione radicale della società. I nemici della Spagna
franchista sono nemici della fede, e l’azione repressiva contro di essi è legittimamente definibile come ‘crociata’. Questo divenne uno dei termini
fondamentali del regime. La sua definizione fu sempre vincolata a quella
dei nemici, grazie ai quali trovava la propria ragione di esistere giustificando così un costante ripescaggio sia della memoria della guerra civile
che del ‘deprecabile’ periodo repubblicano che la precedette:
Quando la rapina rossa assaltava le nostre proprietà e svaligiava palazzi e
musei; quando l’oro spariva dalle banche e il denaro dalle nostre povere
tasche, quando l’anello dei nostri sponsali ci era strappato di mano, la coperta dal nostro letto; […] quando si bruciavano le chiese e si saccheggiavano le dimore dei nostri più pacifici cittadini; […] quando cadevano
esanimi il probo e l’intelligente, mentre il ‘responsabile’ della canagliata si
stiracchiava le gambe nell’auto rubata […], noi speravamo!46
44
“Al enemigo masón”, El Norte de Castilla, 26 febbraio 1940, p. 3.
Francisco Franco Bahamonde, op. cit., p. 42. Sono stati lasciati in spagnolo i termini
che perderebbero la propria specificità in traduzione.
46
“Premio a la fe y a la esperanza”, ABC, 29 marzo 1939.
45
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Nel frammento riportato si accostano figure di accumulazione – anafora,
ripetizione – e di omissione – lo zeugma in “l’anello dei nostri sponsali ci
era strappato di mano […] la coperta dal nostro letto” – in un consueto
effetto retorico amplificante.
Si nota qui però anche un artificio abbastanza usato dalla retorica del
franchismo: la chiusura di un termine tra virgolette ironiche per indicare
come l’impiego della parola – in questo caso responsabile – fosse menzognero da parte di chi originariamente ne rivendicava l’attribuzione.
Klemperer, avendone riscontrato la presenza cospicua nel linguaggio del
Terzo Reich, nota come
probabilmente, un uso ironico delle virgolette deve essere iniziato immediatamente dopo l’introduzione di questo segno di interpunzione, ma
nella LTI […] prevale di gran lunga. Perché ha in odio la neutralità, perché deve aver sempre un avversario, perché deve sempre trascinare nella
polvere l’avversario.47
Con la dittatura spagnola, questo fenomeno grafico si produsse principalmente negli anni di maggior vigore della retorica falangista e riguardò per
lo più termini o espressioni di ambito repubblicano e democratico. La rivista Legiones y Falanges, caso singolare di collaborazione editoriale continuativa con l’Italia fascista, pubblicava spesso immagini di miseria e devastazioni sottotitolate didascalicamente con l’uso di virgolette ironiche.48
Un articolo della stessa rivista, per esempio, si intitola “La ‘opinión pública’ suprimida”,49 e procede al suo interno a una sistematica confutazione
dei principi costituzionali liberali. L’opinione pubblica viene aborrita come idea obsoleta e nociva al Movimiento franchista, e proprio per questo
motivo non la si prende in considerazione se non come concetto estraneo. In questo senso si può sostenere che le virgolette funzionino qui come una sorta di guanto in lattice che permetta di afferrare elementi socialmente e politicamente infetti senza rischiare il contagio. Andò così
perduta buona parte del senso ironico del contrasto a vantaggio della demarcazione testuale di una zona semantica esplicitamente interdetta.
Al dispiego di virgolette ironiche si fece accompagnare un uso antifra47
Victor Klemperer, op. cit., p. 99.
Frasi tipiche potevano essere “Esto es la ‘civilización’ roja” o “efectos de la ‘protección’
moscovita a la infancia”. Cfr. “La ‘opinión pública’ suprimida”, Legiones y Falanges, 10
agosto 1942, p. 18.
49
Ibidem.
48
LA RETORICA DEL POTERE NEI DISCORSI DEL PRIMO FRANCHISMO
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stico dei termini che gli avversari facevano propri, capovolgendone il senso: “uguaglianza nei cenci e nella fame e una perenne farsa ufficiale, la cui
verità sanguinolenta tutti sapevano”.50 Allo stesso modo si parla del giornalismo repubblicano in termini di “felici articoli dove si applaudivano i
criminali”,51 fino a negare implicitamente il diritto alla vita dell’avversario
per le supposte efferatezze compiute: “non solo pensavano di avere diritto
alla vita e alla libertà, pretendevano persino che li pagassimo”.52 La formula non solum/sed etiam crea una sorta di contrapposizione tra dato e nuovo, per cui l’elemento informativo nuovo – e sorprendente – è che il nemico vuole essere pagato, mentre si dà per conosciuta la pretesa del suo
diritto di vivere, naturalizzandone l’assurdità nell’immaginario del lettore.
Una volta dato il via al processo di disumanizzazione, il nemico può essere
detenuto in una specie di lager discorsivo, dove si trova costretto alla rappresentazione di un baccanale satanico che giustifichi la prosecuzione della ‘crociata’ di Franco: “una enorme camera di tortura dagli indicibili orrori […] dei mostri insospettabili abortiti improvvisamente nel Carnevale
rivoluzionario con grottesche e orribili maschere, ubriachi di vendetta”.53
Le descrizioni che si danno della ‘Anti-Spagna’ sono collocate nell’ambito della dissoluzione totale, della depravazione; adottando un lessico che
si pone al limite dell’infernale e che, nell’evocazione disordinata e impetuosa di immagini orrifiche, ignora la distinzione grammaticale tra sostantivi e
aggettivi, ugualmente impiegati nella confusione satanico-carnevalesca che
si vuole rappresentare. Nel testo sopra riportato, ad esempio, si parla di
“mostri abortiti nel carnevale rivoluzionario” ma, a livello informativo, sarebbe stato equivalente scrivere “aborti mostruosi”, e via dicendo.
L’introduzione del referente testuale nemico prevede nei discorsi del
primo franchismo la assoluta identificabilità. La sua presenza cioè, pur
connotata secondo tratti deformi e vaghi, è data per certa. Sintomatico di
ciò è come alcune espressioni appartenenti ad aree semantiche diverse fossero divenute sinonimicamente paradigmatiche nel linguaggio ufficiale:
rojo era considerato sinonimo di comunista, e si usava anche come aggettivo in relazione a termini spregiativi di svariato tipo, da vesanía (roja) a milicianada, da fraude a barbarie. Termini più neutri, come izquierdismo, si
accompagnano ad aggettivi deformanti come rabioso.
50
“En la hora final”, ABC, 1 aprile 1939.
“Atención a los cínicos”, ABC, 4 aprile 1939.
52
Ibidem.
53
“Sabado santo de España”, ABC, 1 aprile 1939.
51
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Le connotazioni del nemico oscillano sovente tra il mostruoso e il selvaggio; non sono rari i discorsi dedicati interamente alla descrizione di un
locus horridus che sarebbe conseguenza dell’applicazione dei principi del
liberalismo:
vaga agitato, convulso, come bestia tra le bestie e persino più miserabile
di loro, l’uomo di Rousseau… Rousseau crea il suo uomo, nel cui ‘pedigree’ ritroveremmo Hobbes, quello dell’apotema: homo homini lupus, Spinoza, Bentham: tutto il naturalismo, tutto il razionalismo senza dimenticare le più primitive sette eretiche… quello che è più importante è vederne le conseguenze e queste furono di ordine politico: la Dichiarazione dei
diritti del 1789 […] e le Istituzioni Democratiche che ancora spirano in
pieno XX secolo. […] a partire da quel momento vediamo che un vento
di dissoluzione e provvisorietà si abbatte sopra tutte le cose umane, rendendo sterili i migliori sforzi costruttivi.54
Per un uomo dai tratti bestiali, le cui caratteristiche vengono raccolte sotto
l’etichetta cinofila del ‘pedigree’, e dedito ‘ereticamente’ a quella sorta di
culto idolatrico che sarebbe la democrazia, si profila il castigo che su di lui
“si abbatte” nei termini biblici della sterilità. Quasi un contrappasso alla
sfrenata lascivia che si produrrebbe in seno alle comunità democratiche.
Il castigo è l’altra faccia del sacrificio, quella più oscura, ma che deve
affrontare anche lo ‘spagnolo buono’ per purgare l’eredità storica del suo
passato scomodo. D’altronde il male è endemico, presente nel corpo nazionale come un tumore in un corpo biologico malato: “Sicuro. Ciò che
vidi era qualcosa di molto simile a come se il pus estratto con una operazione chirurgica volesse tornare nelle vene per mescolarsi nuovamente al
sangue sano. Si faranno carico i nostri governanti acciocchè questo non
possa succedere”.55 La similitudine è attenuata, si limita a esplicitare solo
un termine di comparazione: ciò che sarebbe “molto simile” alla malattia
– cioè l’elemento che subisce il paragone – viene presentato solo come
“ciò che vidi”, di conseguenza è l’immagine morbosa a conservare il monopolio della focalizzazione.
La presenza dell’antagonista pone le condizioni affinché si possa avere
poi, attraverso una catartica passione, l’espiazione dei peccati che permetta il risorgere del popolo spagnolo: “se l’egoismo e l’odio di classe non ci
54
“El liberalismo, germen de la decadencia española”, Legiones y Falanges, 3 gennaio
1941.
55
“Despedida”, ABC, 04 aprile 1939.
LA RETORICA DEL POTERE NEI DISCORSI DEL PRIMO FRANCHISMO
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avesse impedito di comprendere quelle verità, fiumi di sangue e mari di
lacrime non sarebbero stati versati nell’angoscia di un popolo che si faceva a brandelli”.56 In questo frammento si introducono i ‘peccati originali’
di egoismo e odio di classe come preludio ad una sorta di diluvio biblico
– “fiumi […] e mari”. Esso sembra riprendere la retorica impiegata da
Churchill nel discorso inaugurale del suo governo,57 quando sostenne che
non aveva altro da offrire se non “sangue, fatica lacrime e sudore”.
Il sacrificio si configura come una caratteristica costitutiva del regime,
e quest’ultimo come manifestazione terrena della volontà divina: “La
guerra fu vinta perchè gli spagnoli non risparmiarono un solo sforzo per
vincerla; oggi dobbiamo pesuaderci che, per conquistare definitivamente
la pace, il processo di sacrificio nazionale non deve interrompersi”.58 È
questo il registro in cui si articola la dinamica discorsiva populista del primo franchismo. La coscienza del nemico, il castigo, il sacrificio, la malattia, sono tutti elementi che prendono forma nei testi attraverso il codice
della comunicazione religiosa. E, come sostiene anche Jiménez Campo,
“Quello che è importante mettere in risalto […], è che la presenza del
fattore religioso si continui a percepire anche quando l’ideologia non vi fa
direttamente riferimento, quando sono, apparentemente, le sole relazioni
sociali quelle tenute in considerazione e l’esistenza secolare degli individui
l’oggetto esclusivo dei contenuti espressi”.59
Secondo il politologo spagnolo si genera in questo ambito lo spazio
ideologico del populismo. Esso viene a configurarsi appunto come discorso religioso in cui la religione, come tema, non è presente. La retorica religiosa, del resto, era la più confacente alla volontà del potere di mantenere viva la coscienza di una comunità divisa al suo interno. In essa si inscenava la rappresentazione della lotta eterna tra Bene e Male, e il regime ne
doveva orientare le sorti per volontà di Dio, conducendo il popolo spagnolo a un lieto fine opportunamente sempre rimandato.
56
“Significación de una fecha”, Arriba, 29 ottobre 1943.
Il cambio di governo avvenne in data 13/05/1940, vista la risonanza del discorso, è
ipotizzabile una sua influenza formale anche su testi di ideologia opposta.
58
“18 de julio”, ABC, 18 luglio 1939.
59
Javier Jiménez Campo, “Integración simbólica en el primer Franquismo”, Revista de
Estudios políticos, 21, 1981, p. 140.
57