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I
Mary Lester si stava avviando senza fretta al commissariato di Quimper. Quella mattina di marzo, le acque
dell’Odet, il fiume che attraversa la città, erano ancora torbide per la pioggia del giorno prima, ma l’aria profumava
di primavera. Si sentiva che di lì a poco i fiori di ippocastano avrebbero fatto schiudere le grandi gemme lucenti
che ancora li opprimevano, e che ormai sarebbero bastati
soltanto due o tre giorni di sole perché la natura si mostrasse con esuberanza.
Rimase alcuni istanti a contemplare le secolari magnolie chine sull’acqua che presto, per lo stupore dei passanti, avrebbero regalato meravigliosi fiori bianchi e rosa.
Non restava che attraversare la strada per essere al
commissariato. Mary sospirò: certo non era il tempo adatto per rinchiudersi in un ufficio! Alzò le spalle: il dovere,
il lavoro, in quella splendida stagione, si contrapponevano
al desiderio di andarsene in giro ad annusare il profumo
della natura in primavera. A quell’ora, erano milioni quelli che come lei, sul punto di entrare in ufficio, in negozio,
in fabbrica, sentivano l’irrefrenabile desiderio di starsene
a pancia all’aria... Dopotutto, però, bisognava pur vivere e
guadagnarsi il pane... Ancora valida la maledizione biblica: “Ti guadagnerai il pane con il sudore della fronte”.
Immaginò i milioni di sospiri emessi a quell’ora da altrettanti toraci e si diresse verso le strisce pedonali.
Il semaforo era verde; rivolse un ultimo sguardo alle
magnolie e attraversò. Sul marciapiede opposto, un uomo
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JEAN FAILLER
la osservava mentre le veniva incontro. Un uomo che
aveva passato i cinquanta, con un trench color nocciola e
un cappello di feltro beige, che fumava una sigaretta americana.
Mary lo riconobbe e gli sorrise:
– Salve, capo.
– Buongiorno, mia bella signorina...
Il suo sorriso si allargò. Sin dal suo ingresso in polizia,
aveva lavorato soltanto sotto il comando di uomini, non
sempre indulgenti, che troppo spesso l’avevano considerata un’intrusa o che si erano coperti di ridicolo con i soliti complimenti, nel tentativo di rimorchiarla.
Il commissario Fabien non aveva nessuno di questi
difetti. Nonostante l’uniforme da poliziotto di film anni
Trenta che pensava di dover sfoggiare, aveva modi ben
educati e nessun pregiudizio sull’ingresso delle donne in
polizia.
Soprattutto da quando conosceva Mary Lester, che
aveva brillantemente risolto casi complicati in cui uomini, ritenuti esperti, avevano combinato dei grossi disastri.
– L’ho vista ammirare le magnolie – disse Fabien. –
Fioriranno presto.
Mary tirò la pesante porta metallica rivestita di vetro
infrangibile e si spostò per far passare il commissario.
– Eh sì! – disse. – È primavera!
Il commissario si fermò all’entrata, rendendo il saluto
ai piantoni presenti:
– Come lo dice! – fece. – Sembra quasi che le dispiaccia.
– Oh no! Per niente! Quel che mi dispiace è dover stare
rinchiusa con un cielo così.
E guardava l’azzurro limpido attraverso i vetri polverosi della stazione di polizia.
– Insomma...
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Imboccò le scale che portavano al suo ufficio, mentre
Fabien consultava il brogliaccio, il registro su cui i poliziotti del turno di notte segnavano gli incidenti avvenuti
durante la guardia. Dal momento che nulla aveva attirato
la sua attenzione, anche Fabien prese le scale per raggiungere il posto di comando, al primo piano.
* * *
Fortin aveva preceduto Mary Lester nel piccolo ufficio che
condividevano, a qualche porta da quella del capo. Stava ultimando il primo lavoro della giornata, cioè leggere L’Equipe,
il quotidiano sportivo essenziale per il suo equilibrio.
Mary non ricordava di essere mai entrata in ufficio
senza aver visto Jean-Pierre Fortin dietro al giornale aperto sulla macchina da scrivere. Si chiedeva proprio come si
potessero trovare tanto interessanti le ultime stravaganze
di Cantona o la tendinite del re della racchetta, ma in
fondo, ognuno ha i suoi gusti.
Jean-Pierre Fortin, “il piccolo Fortin”, come diceva il
commissario Fabien, più basso del tenente di una testa e
mezza, era un ottimo compagno, uno bello robusto, ingenuo e che si sarebbe buttato nel fuoco per la “sua” Mary.
Ma senza secondi fini. Venerava allo stesso modo la
moglie, una bionda un po’ mielosa che gli aveva regalato
tre bimbi adorabili; Jean-Pierre Fortin aveva gusti semplici e poca ambizione. Era pienamente soddisfatto del suo
ruolo di tenente di polizia e non avrebbe mosso un dito per
una promozione che rischiasse di mandarlo a mantenere
l’ordine pubblico in una periferia lontana e malfamata.
Alcuni dicevano che fosse un perfetto imbecille, altri
lo consideravano un saggio. Ognuno ha la propria opinione e, dopotutto, erano affari del cittadino Fortin. Non
aveva certo la stoffa di un rivoluzionario, di un sindacalista, e ancor meno quella di un commissario.
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– Allora, Jeipi (così Mary soprannominava il suo compagno, anglicizzando le sue iniziali), sembra che tu te la
stia spassando nella zona del mercato...
– Lo dici tu – disse, allontanando il giornale – iniziano
a farmi inc... quegli stronzi!
– Oh! Jeipi – disse con finta severità – bada a come
parli!
– Pfff! – fece Fortin indispettito, ripiegando il giornale.
Con la primavera, le pettinature colorate e velenose dei
punk erano spuntate come fiori per le strade del centro; a
gruppi, questi fricchettoni, con l’aiuto di cani selvaggi al
loro pari, chiedevano a forza l’elemosina, facendo scappare i clienti ed esasperando i commercianti del posto. Fortin
era stato incaricato, insieme a due abitanti dell’Île-Tudy
motorizzati, di mettere un po’ d’ordine là in mezzo.
Tentava di assolvere al meglio a questo ingrato compito, ma aveva la brutta impressione che, come diceva, “lo
avessero incaricato di frenare un fiume in piena”. Infatti, i
teppisti messi dentro la sera venivano rilasciati la mattina
e il povero Fortin si ritrovava giorno dopo giorno con gli
stessi problemi, causati dagli stessi teppisti.
– Poi, vedi, – rivolto a Mary – in più mi prendono pure
per il culo! Ah, se non mi controllassi...
E agitava le mani come fossero mestole, che una volta
ferme si trasformavano in tremendi pugni.
Ma si tratteneva, il buon Fortin. Come tutti quelli robusti, era un tipo mite, e quando c’era lui quei “piccoli stronzi” approfittavano della sua debolezza.
Mary si lasciò cadere sulla sedia, aprì un cassetto, tirò
fuori un plico di stampe e sospirò:
– E io, se non mi trattenessi, manderei queste scartoffie...
Fortin non seppe mai dove Mary avrebbe inviato le
suddette scartoffie. La porta si aprì ed entrò il commissario Fabien.
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– Ah! – disse nel vedere i questionari sulla scrivania di
Mary. – Le mie statistiche sulla microcriminalità!
Mary lo guardò di sbieco e sbuffò visibilmente.
– A quanto vedo, sempre arrabbiata con i questionari
dell’amministrazione – disse il commissario. – Su, prenda
tutto quanto e venga con me.
Mary e Fortin si guardarono: che cosa poteva significare? Lei mise il plico sottobraccio e seguì il capo senza
aprire bocca.
Lungo il corridoio, Fabien aprì al volo una porta e
gridò:
– Tieni, Bredan, posta per te!
E a Mary, mostrandole la scrivania ingombra di
Bredan:
– Lo posi là!
Bredan era il tenente più anziano della squadra.
Aspettava tranquillo la pensione occupandosi del settore
amministrativo del commissariato. Ormai, era questione
di pochi mesi. L’ultima volta che aveva dovuto scendere
sul campo, in assenza del commissario Fabien, era stato
durante il caso Altobello 1. Ci aveva guadagnato alcuni
pallettoni tra le chiappe e un gran desiderio di non uscire
mai più in quel mondo ostile. Borbottò, ma non si sapeva
se di gioia o di dispiacere e Fabien non si attardò a chiederglielo, mentre filava verso la scrivania.
Sulla cartella di carta assorbente verde, alcune foto.
– Si sieda, Lester.
Mary obbedì docilmente. Le porse le foto.
– Guardi qua!
Gli levò il plico dalle mani e, alla vista della prima
fotografia, strinse le labbra. Erano foto in bianco e nero,
1 Si riferisce al caso risolto da Mary Lester ne I diamanti
dell’Arciduca.
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formato 18x24. Mostravano un corpo disteso sul pavimento, il corpo di una donna, una vecchia signora. Era
distesa faccia a terra, con la bocca e un occhio aperti. Un
occhio fisso, orribile, di cui si vedeva soltanto il bianco. Il
fotografo aveva fatto diversi scatti, tra cui un primo piano
del viso segnato dalle ecchimosi. L’occhio, uscito dalla
sua orbita, pendeva su una guancia macchiata di sangue.
Di fronte a quest’orribile visione, Mary storse il naso e
girò lo sguardo.
Alla fine, posò le foto sulla scrivania e si voltò verso il
commissario che giocava con una sigaretta.
– Allora, mi dica... Inutile chiedere se sia morta.
– Inutile, in effetti.
– Non è molto carino! – disse, ancora sotto l’effetto di
quell’orribile spettacolo.
Fabien raccolse le foto.
– Ha ragione.
– Chi è?
– Una vecchia befana.
– Come, prego?
La sigaretta si spezzò tra le dita del commissario, sulla
cartella cadde un po’ di tabacco. Lo tolse subito con la
mano.
– Una vecchia dell’Île-Tudy.
– L’Île-Tudy – disse Mary – ma è qui vicino!
– A una ventina di chilometri – disse Fabien.
– Non deve occuparsene la gendarmeria?
– Sì, ma...
– Ma cosa?
– Il sindaco non può aspettare.
– Già! Quando è successo?
– Ieri!
– Quindi?
– Bisogna capirlo, la città ricava buona parte delle sue
risorse dal turismo. Con l’arrivo delle vacanze...
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Fece una smorfia:
– Non mi dica che pensa davvero che la morte di quella povera donna avrà conseguenze disastrose sull’afflusso
di turisti in città...
Fabien sorrise, scrollando le spalle :
– Temo di sì.
– Se ricordo bene – aggiunse Mary – l’isola è una località per famiglie. La maggior parte di quelli che in estate
vivono lì, ci vanno da molti anni...
– Infatti – disse Fabien. – Anche se ci sono alcuni
alberghi, dei campeggi...
– Anche questi frequentati dai soliti clienti.
– Certo...
Sospirò:
– La metta come le pare, ma il sindaco è in ansia. Un
delitto, se ne rende conto? In un paese in cui si può lasciar
fuori la bicicletta per tutta la notte e senza lucchetto, in cui
la maggior parte degli abitanti non chiude a chiave la
porta?
– Va bene, ma alla fine che c’entro io là in mezzo?
Comunque, non scavalcherò certo la gendarmeria!
– Non se ne parla, infatti. Ma visto che adesso qui è
piuttosto calmo, ho pensato che potrebbe recarsi sul posto
per vedere che aria tira.
Sbuffò e sorrise:
– Ho capito che non ha molta voglia di restare al chiuso. Certo, l’Île-Tudy non è La Baule, ma è pur sempre sul
mare.
Per poco non gli saltava al collo dalla gioia:
– Ah! Grazie capo!
Certo, il vecchio porto per la pesca delle sardine non
era La Baule, ma per lei andava bene comunque.
Si alzò, poi si sedette di nuovo:
– Veniamo al punto, con cosa l’hanno trucidata, la nonnetta?
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– Una scarica di colpi in testa con l’attizzatoio.
– L’arma è stata ritrovata?
– Sì, sul luogo del delitto.
– Le impronte?
– No.
– Il furto è il movente del delitto?
– È un po’ troppo presto per dirlo, ma la borsa della vittima è stata rinvenuta accanto al cadavere. E non so ancora se mancasse qualcosa.
– Ha avvisato quelli della gendarmeria della mia presenza sul posto?
– No, lo farà il procuratore.
– Ah...! Il procuratore...
– Perché dice “Ah...! Il procuratore” con questo tono?
– Perché, con tutto il rispetto, quelli della gendarmeria
la prenderanno molto meglio se sarà lui ad avvisarli anziché lei, capo.
– Lo penso anch’io – sospirò Fabien.
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