I – Mary, – disse il commissario Fabien, – sono

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I – Mary, – disse il commissario Fabien, – sono
I
– Mary, – disse il commissario Fabien, – sono proprio
seccato...
Mary Lester guardò con più attenzione il suo ex capo,
intrigata da questo esordio inusuale per lui. Infatti il commissario non ammetteva facilmente il proprio fastidio. In
genere la fiducia in se stesso non presentava falle.
Senza dire una parola, vagò con lo sguardo in quell’ufficio che conosceva così bene. L’ambiente era identico al
giorno in cui aveva lasciato la polizia sbattendo la porta.1
Erano già passati due anni, e in due anni non era cambiato nulla, almeno all’apparenza.
I mobili erano gli stessi. Sul tavolo del commissario –
ormai direttore delle Polizie Urbane – lo stesso rettangolo
di carta assorbente verde, sempre nuova, che la donna delle pulizie cambiava ogni mattina; lo stesso tavolo di finto
mogano, la stessa libreria dove, dietro alla finestra con le
inferriate, come in un pollaio, luccicava il dorso di cuoio
dei libri lucidato con la cera d’api.
Stranamente queste rispettabili opere del diritto erano
protette come se si avesse paura che svanissero, o che un
malvivente particolarmente perverso le venisse a rubare.
– Hai visto, – le aveva fatto notare un giorno Fortin, –
dai carcerieri persino i libri sono in gabbia!
Il carceriere! Questo era proprio il vocabolario targato
Fortin! Se i poliziotti si mettevano a parlare come i fanatici
del pallone...
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Vedi La regata mortale di Saint-Philibert.
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E poi era un po’ eccessivo! Il commissario Fabien non
era mai stato un orco! Era un capo come doveva essere,
fermo ma anche flessibile. La formula “un pugno di ferro
in un guanto di velluto” doveva essere stata inventata per
lui.
No, nulla era cambiato, neanche il commissario Fabien.
Sempre asciutto, nervoso, lo sguardo vivo, inquisitore, il
pollice e l’indice della mano destra sempre tinti dell’indelebile segno brunastro della nicotina.
Non era riuscito a smettere di fumare, il bravo commissario, e si dava sempre alle Benson col bocchino.
I suoi capelli erano diventati un po’ bianchi sulle tempie
e i baffi, una volta neri, viravano al sale e pepe. La signora
Fabien lo riforniva sempre di pillolette omeopatiche? Controllava sempre con gelosa attenzione la sua dieta?
In ogni caso, lui non parlava più di invitare Mary al
Moulin de Rosmadec, cosa che non gli avrebbe evitato di
vedersi ricordare il suo credito al momento opportuno.
Perché il commissario Fabien le era ancora debitore di
un pasto nel prestigioso ristorante sulle rive dell’Aven. Si
era imprudentemente impegnato quando Mary l’aveva invitato a dividere un sontuoso vassoio di frutti di mare al
Café du Port durante un’inchiesta all’Île Tudy2.
A riprova che qualche bicchiere di muscadet, granchi
e maionese degustati al sole possono sciogliere un uomo,
anche se consumati furtivamente causa colesterolo!
Ora non si trattava più di mantenere quella promessa,
il che non era ovvio. Non che il commissario Fabien avesse, sempre secondo una formula cara a Fortin, “dei ricci
di mare nel portamonete”, bensì perché la signora Fabien
era di una gelosia malsana. Se avesse saputo che il marito
andava a spendere soldi comuni con una “giovincella” in
un ristorante in cui non le aveva mai neanche proposto
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Vedi Morte di una befana.
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di prendere semplicemente un tè, si sarebbe messa male
per la matricola del potentissimo direttore delle Polizie
Urbane.
Ciò dimostra che nel proprio mestiere si può essere un
capo indiscusso, mentre a casa ci si piega all’ordine tassativo di una mogliettina dispotica.
Mary abbassò la testa, chiuse gli occhi e sentì un nodo
in gola. La nostalgia! Non si sarebbe mai aspettata questo.
La nostalgia di quella casa, dell’ufficio, di quel capo col
quale pure si scontrava così spesso. Era possibile?
Si raddrizzò e guardò il commissario Fabien. Lui aspettava senz’altro che lei gli facesse domande su ciò che lo
preoccupava, ma Mary se ne guardava bene e la cosa sembrava scocciargli parecchio.
Mary trattenne un sorriso. Come lo conosceva bene,
questo signore che aveva l’età di suo padre! Come sapeva
farlo infuriare! Eppure come gli voleva bene...
A che cosa pensava in questo momento? Stava facendo
le sue stesse riflessioni? Perché no!
– Un affare delicato preoccupa il ministro, – disse alla
fine.
– Quale ministro? – chiese lei con tono distaccato.
– Il nostro... il mio, – disse il commissario.
Mary non poté trattenersi dal chiedergli con aria ingenua e sorpresa:
– Lei ha un ministro?
Ecco fatto, aveva ancora una volta trovato il modo di
dargli sui nervi.
Lui la guardò arrabbiato e precisò:
– Sa bene che cosa voglio dire! Voglio parlare del ministro dell’Interno, quello che ha in carico la nostra amministrazione.
– Ah... – disse lei come se le si fosse aperto davanti un
sipario e fosse apparsa una verità.
E ripeté:
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– Il ministro dell’Interno! Suppongo che questa Eccellenza non abbia solo un unico affare delicato tra le mani.
Credo addirittura che abbia molto da fare.
Fabien, con le labbra strette, si sforzava di stare calmo.
– Certo. Tuttavia la questione a cui mi riferisco ci riguarda in modo particolare.
– Lei ha detto ‘ci’? – disse Mary.
Fabien sospirò.
– Ho detto ‘ci’!
Si alzò bruscamente con un moto di stizza rovesciando
la sedia, e fece tre passi verso la finestra alzando le braccia
al soffitto:
– Sì, ho detto ‘ci’! Che vuole, Mary, non ho ancora incassato la sua diserzione!
Mary protestò:
– Diserzione? Ci vada piano!
Fabien fece un gesto di scoraggiamento:
– Bah, è solo una parola!
Si abbassò per rialzare la sedia da direttore.
– Non è il termine adatto, – disse Mary con fermezza
guardandolo dritto negli occhi. – Ho dato le dimissioni!
– D’accordo, – concesse Fabien, rimettendosi a sedere,
– lei ha dato le dimissioni, ma quando la vedo in questo ufficio, seduta su quella sedia, ho sempre l’impressione che
lei faccia parte della casa.
Sotto la frase cortese Mary leggeva nei suoi pensieri.
Ed ecco il risultato: “Pezzo di somara, non vedi quanto mi
manchi?”.
– Aggiorni i suoi file, signore, sono andata via quasi tre
anni fa.
– Eppure quando la vedo lì... – ripeté il buon commissario scuotendo la testa.
– Lei mi vede qui come invitata, signor Fabien! Sono
giornalista indipendente ormai e bisognerà che se lo metta
in testa!
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– Sì, – fece lui abbattuto, appoggiando il mento sul pugno chiuso.
Alla fine Mary ne ebbe abbastanza di punzecchiare il
pover’uomo:
– Se mi dicesse che cosa si aspetta da me, capo...
Il viso di Fabien si illuminò. Mary l’aveva chiamato
‘capo’, come ai bei vecchi tempi. Questo lo confortava
benché non si facesse illusioni sul ritorno all’ovile della
sua investigatrice preferita.
– Dov’è il suo problema? – chiese Mary.
– A Nantes.
– A Nantes! E che cosa succede a Nantes che i poliziotti
locali non riescono a risolvere?
– Delitti!
Mary ripeté con aria lugubre:
– Delitti?
– Sì, tre delitti in tre settimane.
– Un delitto a settimana... Non mi sembra eccessivo per
un agglomerato urbano dell’importanza di Nantes.
Fabien ebbe un gesto di irritazione:
– Ah, Mary, non scherzi su queste cose!
Lei ostentò un’espressione troppo contrita per essere
sin­cera:
– Ha ragione, capo, è di pessimo gusto. Ma glielo chiedo ancora, che cosa si aspetta da me?
– Il mio collega Graissac, – svicolò Fabien...
– Graissac! – esclamò Mary. – Ancora non è in pensione?
– Eh no, – disse Fabien a denti stretti. – Ha appena la
mia età! Abbiamo iniziato insieme, finiremo insieme. Ma
ancora non siamo a quel punto!
In effetti, mancava ancora qualche anno, in considerazione delle nuove funzioni del direttore delle Polizie Urbane.
Mary apprezzò nella giusta misura quel “ha appena la
mia età”.
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– Le manda i suoi più sinceri saluti, – continuò il commissario, – ha conservato un ottimo ricordo del suo passaggio al golf del Bois Joli3.
– Anch’io! – disse Mary. – Erano i bei tempi in cui la
polizia mi pagava le vacanze a tre stelle.
– Lo vede che non tutto è pessimo in questa casa, – disse Fabien con un tono che voleva essere brioso.
Poi si rabbuiò:
– Per quanto riguarda Graissac, che è un vecchio amico, teme di trovarsi di fronte a un serial killer...
– Per via di tre omicidi?
– Sì.
– C’è un collegamento tra i tre delitti?
– Sì, – disse il commissario, – nel modus operandi.
Guardò Mary con aria sospettosa:
– L’avrà sicuramente letto sui giornali...
– Forse, ma si leggono tante cose...
– In questo caso, – disse il commissario, – ecco per sua
informazione.
Sopra la carta assorbente impeccabile del suo tavolo,
spinse verso Mary una cartella di cartone chiusa da una
cinghia:
– Non le dico nulla di più, è tutto lì dentro. Mi piacerebbe avere il suo parere.
Mary prese il dossier con una certa diffidenza:
– Che cosa faccio esattamente?
– Per cominciare, mi dia il suo parere.
– E in un secondo momento?
Il commissario Fabien iniziò a ridere:
– Ha sempre fretta di bruciare le tappe, Mary Lester!
Mi dica innanzitutto che cosa ne pensa e poi ne riparleremo. D’accordo?
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Vedi L’uomo dalle dita blu.
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Mary si ritrovò nel suo alloggio di Venelle du PainCuit, con il raccoglitore che aveva accettato suo malgrado.
Insomma, neanche tanto suo malgrado! Non era mai riu­
scita a passare davanti a un enigma senza avere voglia di
andare a vedere il rovescio delle cose.
Miz Du, il grande gatto nero ereditato dalla “gwrah”4
sorvegliava ancora la casa e quando la vide preparare un
fuoco nel camino, sbadigliò di soddisfazione svelando le
temibili zanne dalle punte affilate come quelle di una lince.
Il fuoco infiammò il giornale arrotolato a palla, poi i
trucioli della cassetta di frutta sacrificata per la circostanza, prima di venire a lambire i pezzetti di legno che Mary
teneva all’asciutto sotto la lastra del focolare. Di lì a poco,
quando la fragile pira avrebbe preso fuoco, Mary avrebbe
aggiunto un ceppo di quercia che avrebbe bruciato per tutta la sera sprigionando un buon odore e un dolce calore.
Poi Mary aprì il dossier sul tavolo basso dove erano
disposti la tazza, la teiera e alcune crêpes che la vicina le
aveva messo in cucina.
La vicina, che benedizione! Nutriva Miz Du quando
le inchieste chiamavano Mary all’esterno e, pur restando
di un’estrema discrezione, aveva sempre delle piacevoli
attenzioni. Doveva invitarla, uno di questi giorni. La vedova, che viveva sola, sarebbe stata felicissima, soprattutto se Mary le avesse raccontato una delle sue inchieste.
Era curioso vedere l’interesse appassionato per le storie
sanguinarie che manifestava quella sessantenne tranquilla!
Poi Mary tornò ai suoi delitti: tre morti... O meglio, un
morto e due morte. C’era di che rallegrare la sopra citata
Amandine Trépon, assistente principale del notaio, attualmente in pensione nella Venelle du Pain-Cuit e fine cuoca.
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Vedi Bouquet per una povera diavola.
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Albert Leterrier, trentacinque anni, impiegato dell’ANPE5, apriva la serie dei delitti. Lo avevano scoperto accasciato sul volante della sua auto in un parcheggio sotterraneo vicino al suo ufficio, dove parcheggiava abitualmente.
Un po’ di liquore acquoso e di sangue gli era colato sulla
guancia e l’autopsia aveva rivelato che l’assassino gli aveva conficcato un lungo ago nell’occhio, passando attraverso il globo oculare, per poi arrivare al cervello. Il vetro
dell’auto era abbassato a metà, nessuna impronta utilizzabile era stata rilevata.
Mary chiuse istintivamente gli occhi e fece una smorfia
di dolore. Che morte orribile! Farsi conficcare così un ago
nell’occhio!
Tornò alla sua lettura. La lista degli orrori si allungava:
sei giorni dopo la morte di Albert Leterrier, un’assistente
sociale era stata scoperta senza vita nel tram. Il controllore
aveva pensato che si fosse addormentata appoggiata alla
finestra e, quando l’aveva scossa gentilmente per svegliarla, aveva avuto la sorpresa di vederla crollare come una
bambola di pezza.
Inizialmente si era pensato a una crisi cardiaca, benché la vittima non ne avesse il profilo, come si dice, ma
l’esame post mortem aveva rivelato una puntura sotto la
scapola sinistra, causata probabilmente da un lungo ago
che le aveva trafitto il cuore e che era rimasto conficcato
nello schienale del sedile.
Angèle Puy, trentaquattro anni, nubile, era morta sul
colpo.
Quanto a Corinne Pagès, la terza della serie, era caduta
sulle scale del passaggio Pommeraye davanti a venti testimoni che erano corsi in suo aiuto. Aveva perso conoscenza e i pompieri, chiamati come primo soccorso, l’avevano
rapidamente condotta all’ospedale dove un medico del
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Agence National Pour l’Emploi: Agenzia Nazionale per l’Impiego.
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pronto soccorso ne aveva constatato il decesso. Una spilla
con una testina a sfera, del tipo “spillone ferma cappello”,
era rimasta conficcata nel cuore della ragazza causandone
la morte.
Tre vittime e, apparentemente, la stessa arma: uno spil­
lone lungo una ventina di centimetri che uno spirito malefico aveva trasformato in una sorta di stiletto di una efficacia mortale.
Quest’arma poco usuale era proprio l’unico legame tra
i tre delitti.
Spesso, in questo genere di casi, le vittime hanno un
punto in comune: c’è lo squilibrato che si accanisce su
vecchie signore, quello che mira gli omosessuali, l’altro
che invece riserva le proprie “attenzioni” alle ragazze
bionde... Una volta presi, toccherà agli psichiatri spiegare,
con più o meno fortuna e verosimiglianza, le ragioni che li
hanno spinti a lanciarsi nelle loro crociate assassine.
Per le vittime sarà troppo tardi, quali che siano state le
motivazioni del criminale.
Alcuni assassini seriali hanno i loro terreni prediletti
per compiere i misfatti: cantine, parcheggi sotterranei, sottoboschi.
Nel caso presente, c’erano già tre luoghi totalmente di­
versi: un parcheggio sotterraneo, il tram, un passaggio com­
merciale molto frequentato.
Le vittime non avevano niente in comune tra loro, almeno in apparenza. Un impiegato dell’ANPE, un’assisten­
te sociale, una donna ispettore delle imposte.
Leterrier e Angèle Puy erano relativamente giovani,
mentre Corinne Pagès era prossima all’età della pensione.
E se si fosse trattato di uno psicopatico che colpiva alla
cieca ogni persona vulnerabile che gli capitava a tiro?
Mary richiuse il dossier, pensierosa, e bevve un sorso di tè. Di fronte ad assassini di questo tipo, la polizia
era impotente. A questo punto sarebbe stato il colmo se i
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media si fossero impadroniti del caso: il sentimento di inquietudine sarebbe cresciuto e il panico si sarebbe diffuso
nel centro abitato.
Ora, il signor ministro il panico non lo voleva assolutamente. Si era impegnato a far diminuire l’insicurezza, era
stato eletto per questo e non doveva proprio essere diversamente, accidentaccio!
Non era proprio il caso che i media s’intromettessero.
Priorità delle priorità, mettere le mani sullo psicopatico
che, con mano tanto sicura, spediva i suoi contemporanei
“ad patres” con l’aiuto di uno spillone per cappelli.
Ben presto, nella bella città di Nantes, si sarebbero tutti
guardati con sospetto, le lettere anonime avrebbero inondato le redazioni dei giornali e il commissariato, e qualcuno avrebbe senz’altro approfittato dell’occasione per nuo­
cere a un vicino antipatico, un parente esecrato o un marito
infedele.
Graissac aveva ragione a essere preoccupato, l’atmosfera rischiava di diventare odiosa nella città dei Duchi di
Bretagna.
Mary rimase per un po’ pensierosa davanti al fuoco,
guardando senza vederle le brevi fiamme arancioni e blu
inseguire il vecchio legno.
Poi si alzò e inserì nel lettore cd “Così fan tutte”.
E il divino Wolfgang Amadeus Mozart la portò ben
lontana dal ventunesimo secolo, in un mondo di dolcezza
e bellezza che ignorava la bassezza degli uomini.
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