failler 19.qxp - Robin Edizioni

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failler 19.qxp - Robin Edizioni
I
– Dov’era la notte tra il dodici e il tredici ottobre?
– Io, capo?
– E chi altri? Mica siamo in trentasei in quest’ufficio, mi
pare.
Diavolo! Il barometro segnava tempesta.
Il commissario osservava Fortin senza simpatia. Seduto
davanti alla scrivania del capo su una disgraziata sedia che
minacciava di schiantarsi sotto il suo corpo massiccio, l’ispettore di Polizia Fortin cadeva dalle nuvole; in genere, questa domanda era lui a farla e quell’“io, capo?” tradiva una dolorosa indignazione.
– Io? – ripeté poggiandosi l’indice sul petto e aggrottando la fronte.
– Sì, lei!
C’era nell’aria una notevole esasperazione e Fortin non
aveva davvero nessuna idea di che cosa avesse potuto fare
perché il commissario capo si trovasse in uno stato simile.
– Suppongo d’essere stato a casa mia...
Poi alzò sul commissario uno sguardo da cocker picchiato senza ragione dall’amato padrone.
– Lei suppone?
Il capo, lui, non sembrava nutrire incertezze: anzi, lo si
sentiva piuttosto carico.
– Ma certo. Me lo chiede così...
– E come glielo dovrei chiedere?
Passava ora all’ironia, un’ironia cattiva:
– Mica posso mettermi a cantare!
Fortin da parte sua avvertiva tutta l’ingiustizia d’essere
trattato in quel modo. Come se si potesse ricordare di tutte le
sue serate! Il dodici, il tredici ottobre, che cosa aveva fatto?
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JEAN FAILLER
Non aveva ammazzato nessuno! L’ingiustizia porta all’eccesso, tutti lo sanno. Per questo le parole dell’ispettore furono eccessive. Il colore dei suoi occhi cambiò, raddrizzò la figura accasciata e guardò in faccia il commissario:
– E lei cosa fa, rientrando dal lavoro? Se ne torna a casa,
penso.
Ci mancò poco che, abbandonando ogni prudenza, gli
chiedesse se andava a correre la cavallina, e se era per questo che si agghindava come un piazzista in vena di bisboccia.
Ma sapeva che non si parla così al proprio superiore. Il
commissario capo Fabien non era uomo da lasciarsi impressionare dalla stazza di un ispettore, per imponente che fosse.
La sua forza era altrove, nel portamento, nello sguardo, nell’energia che si sentiva ribollire in lui, soprattutto quand’era
in collera.
Proprio come adesso.
Il commissario aggrottò le sopracciglia. Non era nelle
abitudini di Fortin rispondere in quel modo. Con lui ci si
manteneva nel minimo sindacale: me ne vado rasente i muri,
meno mi si vede, meglio sto.
Fortin non nutriva ambizioni smisurate, come Mercadier,
che quasi si vedeva sulla poltrona del capo. La prima cosa
che faceva arrivando al commissariato non era informarsi
sugli avvenimenti della notte, e neppure preoccuparsi dei fascicoli in corso. No, Fortin si tuffava sull’Equipe per aggiornarsi sui risultati sportivi del giorno precedente.
Ma quel giorno non aveva avuto modo di spulciare il suo
quotidiano prediletto. Il commissario Fabien l’aveva mandato a chiamare nel suo ufficio alle nove spaccate.
– Allora, ha riflettuto?
– Eh, – fece l’ispettore confuso.
Ritrovarsi così sul banco degli accusati!
– Che cosa è accaduto quella notte? – chiese prudentemente.
– Sono io che faccio le domande! – abbaiò Fabien irritato, dando un colpo col palmo sulla scrivania.
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IL TESORO SOMMERSO
Almeno a livello di dialogo si restava sul classico.
L’ufficio del capo era impeccabile, proprio come lui.
Completo grigio antracite, camicia azzurra, cravatta rossa, il
signor commissario capo faceva colpo, e non poco! La cosa
faceva sghignazzare in cuor suo Fortin, perché l’eleganza nel
vestire non era mai stata affar suo e giudicava i patiti dell’abbigliamento una sottospecie di uomini un po’ degenerati.
Nella stanza, le pulizie erano state fatte minuziosamente:
la moquette passata con l’aspirapolvere per il verso giusto e
i vetri della finestra sembravano inesistenti tanto erano trasparenti. Nella biblioteca di prugnolo chiaro, si vedeva una collezione di Dalloz rilegati in cuoio rossiccio lucidati col panno
morbido. Se fosse stato altrimenti, un brutto vento avrebbe
soffiato sul commissariato, almeno fino a mezzogiorno.
Solo una pallottola di carta accartocciata giaceva sulla
moquette, senza dubbio qualche documento privo d’importanza che aveva fatto le spese della collera del capo.
Sulla scrivania, vergine di qualsiasi fascicolo, una cartella di cuoio con la carta assorbente verde, che la donna delle
pulizie cambiava tutte le mattine, un interfono, due telefoni e
un posacenere dove una Benson con filtro si consumava lentamente.
– Glielo dico io, dov’era, – fece Fabien piantando uno
sguardo penetrante negli occhi dell’ispettore Fortin, – lei era
a Huelgoat in compagnia di Mary Lester!
E non lo mollava con lo sguardo, con l’aria di dire: prova
un po’ a pretendere il contrario!
Fortin respirò più liberamente. Nient’altro che questo?
– Ma no, capo, – disse, – la notte tra il dodici e il tredici
ero proprio a casa mia! Era la sera del dodici che mi trovavo
a Huelgoat!
– Non stia a giocare con le parole, Fortin...
– Con tutto il rispetto, capo, quando finisce la serata? A
mezzanotte? Ebbene, a mezzanotte ero rientrato a casa. Mia
moglie glielo confermerà.
– Sua moglie!
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Fabien rifiutava la testimonianza.
– Anche le mie figlie!
– Delle bambine! Non erano a letto a quell’ora?
– Sì, ma come tutte le sere sono andato a dar loro un bacetto prima d’andare a dormire.
Anche se faceva lo gnorri, l’ispettore Fortin era un buon
papà.
– Sia pure, ma cos’ha fatto prima?
– Ah, ma è molto semplice. Mary mi aveva invitato a cena
a Huelgoat!
– In onore di quale santo?
– Sant’Herbot, forse, è il patrono del posto. Sembra che
per curare le bestie con le corna non vi sia di meglio.
– Ah, non faccia il furbo Fortin!
Il grosso ispettore cominciava ad averne fin sulla cima
dei capelli. Si appoggiò allo schienale della sedia, che gemette. Allora, prudentemente, si sporse in avanti, con gli avambracci puntati sulle ginocchia.
– Mi scusi, capo, ma se mi dicesse di che cosa mi accusa
faremmo qualche passo avanti: quello che mi chiede riguarda la mia vita privata. Ho terminato il mio lavoro alle diciotto, poi sono andato a cena con un’amica, e non vedo come
questo possa interessarla.
Riguadagnava terreno, l’ispettore Fortin. A forza di vedere Mary Lester rimandare i propri interlocutori alle loro contraddizioni ne aveva tratto degli insegnamenti.
La fronte del capo si era corrugata, il che non faceva presagire niente di buono. Fortin, che qualche volta aveva fiuto,
si affrettò a mollare un po’:
– Ma non ho niente da nascondere, – proseguì, – e quindi le racconterò lo svolgimento della serata a partire dalle diciotto.
– È quel che le sto chiedendo dall’inizio di questo colloquio, – fece Fabien molto secco.
– Dall’inizio di questo interrogatorio, – corresse Fortin
ammantandosi di dignità offesa.
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IL TESORO SOMMERSO
Fabien alzò le spalle:
– Cominci!
– In realtà, – disse Fortin, – non ho lasciato il commissariato che alle diciotto e trenta. C’era da finire il rapporto sul
furto con scasso nella zona industriale. E proprio nel momento in cui me ne stavo andando, Mary mi ha chiamato sul cellulare: si trovava a Huelgoat e voleva sapere se ero libero a
cena. Poiché sapevo che quella sera c’era “Chi vuol esser milionario” o qualche altra idiozia del genere alla tele e mia
moglie sarebbe stata tutta la sera incollata al televisore, ho
detto ci sto. Ho dunque avvertito mia moglie...
– Che era trattenuto dal lavoro... – tagliò corto Fabien sarcastico.
– Proprio così, – disse Fortin a suo agio. – E posso anche
dirle che la cosa le andava a fagiolo perché così non avrebbe
dovuto far da mangiare e avrebbe potuto vedere in santa pace
il suo programma idiota. Se fossi rientrato, avrei voluto vedere Pau-Orthez su Eurosport.
– Che cos’è Pau-Orthez?
– Una partita di basket.
– Ah, dunque questo evitava ogni discussione.
– Proprio, e una volta tanto tutti erano contenti. Ho preso perciò il mio catorcio e ho incontrato Mary un’ora dopo
al ristorante del lago a Huelgoat. Abbiamo preso una pizza
e...
– E dopo siete partiti per la vostra spedizione.
Fortin fece una smorfia con la bocca.
– Si potrebbe dire così, – concesse. – In effetti siamo andati a vedere il caos degli scogli sotto la luna.
– Passeggiata sentimentale?
“Parola mia, si disse Fortin, ecco che mi fa una scena di
gelosia!”
– In verità, capo, Mary era venuta a Huelgoat per investigare.
– Non fa più parte della Polizia, – abbaiò Fabien, dando
un colpo sulla scrivania. – Indagare! E su che?
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Si alzò spostando di malagrazia la poltrona e diede un
calcio rabbioso alla pallottola di carta che s’era persa fuori
dal cestino.
“Bel colpo!” pensò Fortin. Ma si guardò bene dal fare
qualsiasi commento ironico. La pallottola, dopo avere urtato
la porta, era tornata verso la sua sedia. L’ispettore s’inchinò,
la raccolse e con un buffetto la spedì abilmente nel cestino di
vimini.
Il commissario tornò a sedersi, prese il suo righello di tek
e cominciò a cercare di piegarlo.
“Ecco la Vecchia Guardia che fa cultura fisica.”
Conservò tuttavia la sua maschera impassibile e sospirò.
– C’è bisogno che glielo dica, capo? Lei sa tutto questo
tanto bene quanto me!
– E a ben ragione, – tuonò Fabien tirando fuori un giornale dal cassetto e gettandolo sulla scrivania di fronte a sé, –
l’inchiesta della signorina Lester è raccontata qui in lungo, in
largo e di traverso. E con tanto di fotografie, prego! Ecco che
si mette a fare la stampa scandalistica, adesso!
– Ah, è uscito? – esclamò Fortin con espressione raggiante.
– Posso vederlo?
– Deve solo comprarselo, – ringhiò il commissario.
– Certo che lo comprerò, – disse Fortin con convinzione,
– e anche tutti i colleghi, ma nel frattempo lo vorrei proprio
vedere.
Il commissario spinse la rivista davanti a sé con l’estremità del righello, con aria disgustata, come se si trattasse di
una deiezione canina lasciata là sulla sua cartella e guardò
con ostentazione da un’altra parte sospirando.
Fortin se ne impossessò e guardò la copertina con una
smorfia d’ammirazione:
– Caspita, Paris-Flash, mica robaccia! Ha sei pagine oltre
la copertina!
Fabien si alzò, costeggiò la scrivania e andò a prendere la
rivista dalle mani dell’ispettore:
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IL TESORO SOMMERSO
– Certamente sì, ha sei pagine, so ancora contare, ragazzo mio. Se continuasse un po’ col suo racconto?
Fortin respirò. Era tornato il “ragazzo suo”, il che cambiava piacevolmente il ruolo di imputato che aveva rivestito
fino a qualche istante prima.
– Come vuole, capo, – l’ispettore indicò con un cenno
della testa Paris-Flash, – Mary è stata chiamata in aiuto dalla
famiglia d’una donna accusata di un delitto. Come sa...
Il commissario Fabien fece un gesto con la mano che significava “va bene...”.
– Come sa, – proseguì Fortin che era passato dalla stupefazione al timore, poi dal timore al sollievo e che ora cominciava a divertirsi ed era la prima volta che gli accadeva al cospetto del capo, – Mary non ci ha messo molto a capire che
l’inchiesta era abborracciata e che la donna in carcere non
aveva niente a che vedere con quel massacro. Quindi ha cercato altrove e come al solito ha trovato.
Quel “come al solito” suonò lugubremente alle orecchie
del commissario Fabien. Aveva avuto, nella persona di Mary
Lester, un’investigatrice senza pari che non si era saputo tenere. Ora lei faceva inchieste giornalistiche per la stampa
scandalistica. Che pasticcio!
A sua discolpa bisognava dire che, se Mary aveva sbattuto la porta, non era stato per colpa sua, di Fabien, ma perché
qualche stronzetto incistato al ministero aveva voluto vendicare un grosso stronzo di cui Mary aveva portato alla luce le
oscure turpitudini1.
Alla fine, ecco il risultato. Mary non apparteneva più alla
Polizia di Stato.
– Se devo prestare fede a quest’articolo, – disse Fabien, –
Mary aveva preso contatto con la gendarmeria e due gendar-
1 Si riferisce al caso risolto da Mary Lester ne La regata mortale
di Saint-Philibert, Robin Edizioni, 2008.
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mi del gruppo di indagine e pronto intervento di Reims erano
sul posto.
– Proprio così, capo.
– Allora perché ha invitato anche lei, Fortin?
Fortin assunse un’aria disinvolta:
– Non l’avevo più vista dal suo ritorno. Dovevamo cenare insieme...
– Ah, sì, – disse Fabien senza aver l’aria di credere a una
sola parola.
– D’altronde, – aggiunse Fortin, – sembra che anche lei la
dovesse invitare uno di questi giorni al Moulin de Rosmadec.
– Insomma, – tagliò corto il commissario stizzito, – non è
lei a dovermi ricordare quel che devo fare!
Dentro di sé, Fortin si divertiva un mondo. Questo invito
del commissario, come l’arrivo di Godot nella celebre commedia, era rimasto nel limbo delle cose procrastinate. Il capo
l’aveva promesso a Mary in un momento di euforia durante
un’inchiesta all’Île-Tudy due anni prima 3 e non aveva mai
adempiuto a questa promessa. Mary si divertita a ricordargliela e Fabien si trovava ogni volta in una situazione scomoda e pericolosa: cosa dire a sua moglie?
Mangiare in una birreria a due passi dal commissariato
con una collaboratrice poteva passare per un pranzo di lavoro. Invitare una donna giovane e graziosa, di sera, in un ristorante rinomato era tutt’altra cosa. Non era affatto certo
che la signora Fabien l’avrebbe apprezzato.
Si irrigidì:
– Non usciamo dal seminato, Fortin. Perché Mary l’ha invitata a Huelgoat?
L’ispettore si schiarì la gola imbarazzato.
– Sa, capo, Mary e io abbiamo l’abitudine di fare squadra.
Da molto tempo...
3 Si riferisce al caso risolto da Mary Lester in Morte di una befana,
Robin Edizioni, 2007.
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