APRI PDF - Processo Penale e Giustizia

Transcript

APRI PDF - Processo Penale e Giustizia
Processo penale e giustizia n. 5 | 2016
58
L’omessa traduzione della sentenza per l’imputato alloglotto
paralizza i termini per impugnarla
CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE II, SENTENZA 6 APRILE 2016, N. 13697 – PRES. GALLO; REL. FILIPPINIS
L’omessa traduzione della sentenza nella lingua conosciuta dall’imputato alloglotto avente diritto alla traduzione
della stessa, dovendosi equiparare alla mancata effettiva conoscenza contemplata dall’art. 175, comma 2, c.p.p.,
impedisce il passaggio in giudicato della pronuncia in quanto ha l’effetto di sospendere i termini di impugnazione
da parte dell’imputato fintanto che questi non abbia avuto conoscenza dell’atto in una lingua a lui accessibile.
[Omissis]
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 153 in data 28 gennaio 2015 la Corte di Appello di Lecce ha condannato [Omissis]
alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa in ordine ai reati di cui agli artt.
81, comma 2; 474 e 648 c.p., così rideterminando la pena inflitta in primo grado dal Tribunale di Lecce
con sentenza del 16 dicembre 2011 per il riconoscimento della continuazione con il reato giudicato a
carico dello stesso imputato con sentenza del Tribunale di Lecce del 27 maggio 2010.
Invero, [Omissis] era stato giudicato colpevole dal Tribunale di Lecce in composizione monocratica
in ordine al reato di cui agli artt. 81, 474, in relazione all’art. 2. lett. l) e c. 4, d.lgs. 19 marzo 2001 n. 68 e
success. mod., 648 c.p, perché, quale titolare di fatto di un’attività commerciale di vendita al dettaglio di
prodotti non alimentari, allocata nella sua abitazione, deteneva per venderli n. 53 orologi da polso di
vario genere, riportanti noti marchi contraffatti o alterati e n. 140 penne riportanti il marchio contraffatto Mont Blanc, acquistati illegittimamente da persona sconosciuta, taluni privi di marcatura C.E.
sull’imballaggio (n. 5 colli di orologi e n. 8 penne), altri privi delle note esplicative in italiano (n. 5 colli
di orologi e n. 8 penne), altri con note esplicative in altre lingue (n. 5 colli di orologi e n. 8 penne), altri
ancora, privi del nome e/o della ragione sociale e dell’indirizzo del fabbricante o del suo mandatario o
responsabile dell’immissione sul mercato della Comunità Europea (importatore e/o distributore) (n. 5
colli di orologi e n. 8 penne) ed infine altri con riferimenti “ingannevoli” a marche più conosciute (n. 5
colli di orologi e n. 8 penne), tutti privi di certificazione di garanzia di provenienza, nonché di astuccio
della confezione originale.
[Omissis]
Il Tribunale lo ha condannato fondando tale sua decisione sulle dichiarazioni rese dai testi e sulla
produzione documentale in atti. La fattispecie concreta risulta ricostruita in sentenza in rapporto alla
deposizione de maresciallo della G.d.F. [Omissis] su quanto accertato il 16 novembre 2006 allorché, in
occasione del controllo dell’autovettura condotta dall’imputato, venivano rivenuti diversi orologi con
marchi Rolex, Cartier, Gucci, oltre a centoquaranta penne con marchio Mont Blanc. Gli operatori procedevano poi a perquisizione presso l’abitazione dell’imputato. Nelle operazioni si rinvenivano seicentotrentuno orologi con marchio Rolex, Patek Philippe, Breitling, Bulgari, Panerai e n. 1423 penne marchiate
Mont Blanc. Della provenienza di detta merce non si riscontrava alcuna documentazione. L’ausiliario di
p.g. geomometra [Omissis] ha confermato la contraffazione dei marchi. Addirittura alcuni orologi
presentavano modelli mai realizzati dalle case.
La Corte di Appello predetta ha riformato la sentenza di primo grado limitatamente al riconoscimento della continuazione con precedente condanna per ricettazione, confermando nel resto.
AVANGUARDIE IN GIURISPRUDENZA | L’OMESSA TRADUZIONE DELLA SENTENZA PER L’IMPUTATO ALLOGLOTTO …
Processo penale e giustizia n. 5 | 2016
59
Ricorre per Cassazione avverso la predetta sentenza il difensore dell’imputato, deducendo:
1. Con il primo motivo di ricorso il difensore dell’imputato lamenta violazione di legge in relazione
all’art. 143 c.p.p. e violazione del diritto di difesa (richiamando l’art. 606, comma 1, lett. b) e c), c.p.p.,
per i seguenti profili: non solo la mancata traduzione integrale del decreto di citazione in giudizio,
compreso l’avviso della facoltà di richiedere il giudizio abbreviato, viola il diritto di difesa, ma lo
spirito dell’art. 143 c.p.p. mira a garantire l’effettività di tale diritto anche rispetto alla sentenza di primo grado, al decreto di citazione nel giudizio di secondo grado, agli atti di quest’ultimo grado e alla
relativa sentenza, che, dunque, debbono essere tutti tradotti per mettere l’imputato in condizione di
esercitare il diritto all’autonoma impugnazione previsto dall’art. 571 c.p.p., articolando motivi di gravame propri, magari in contrasto con quelli del difensore.
[omissis]
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato limitatamente al profilo sotto indicato.
[Omissis]
6. Parzialmente fondato appare invece il primo motivo di ricorso, che può accogliersi nei soli limiti
infra precisati.
6.1. Come accennato, con tale motivo di doglianza il difensore dell’imputato lamenta violazione di
legge in relazione all’art. 143 c.p.p. e violazione del diritto di difesa (richiamando l’art. 606, comma 1,
lett. b) e c), c.p.p., per i seguenti profili: premesso che trattasi di imputato alloglotto, non solo la mancata traduzione integrale del decreto di citazione in giudizio, compreso l’avviso della facoltà di richiedere
il giudizio abbreviato, viola il diritto di difesa, ma lo spirito dell’art. 143 c.p.p. mira a garantire l’effettività di tale diritto anche rispetto alla sentenza di primo grado, al decreto di citazione nel giudizio di
secondo grado, agli atti di quest’ultimo grado e alla relativa sentenza che, dunque, debbono essere tutti
tradotti per mettere lo straniero imputato in condizione di esercitare il diritto all’autonoma impugnazione previsto dall’art. 571 c.p.p., articolando motivi di gravame propri, magari anche in contrasto con
quelli del difensore.
6.2. Al riguardo, va premesso che la sentenza di appello (pag. 4) espressamente riconosce come dagli
atti del procedimento (in particolare dal verbale di sequestro redatto in data 16 novembre 2006) risulti
che l’imputato conosce poco la lingua italiana e non è in grado di leggere gli atti redatti in italiano.
6.3. Va anche premesso che la Corte di appello, dopo aver fatto quel rilievo, ha respinto il motivo di gravame relativo alla violazione del diritto dell’imputato ad avere la traduzione degli atti rilevanti, all’epoca
formulato con riferimento a quelli formati sino al primo grado di giudizio, rilevando che la nullità derivante
dal mancato rispetto dell’art. 143 c.p.p. è a regime intermedio e dunque doveva ritenersi sanata, non avendo
l’imputato dedotto o dimostrato di averla tempestivamente eccepita (costante e conforme è la giurisprudenza di legittimità in tal senso – fra le tante, sez. III, 18 febbraio 2015, n. 14990, Rv. 263236).
6.4. Come noto, in materia processuale, la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, nel senso
che, nella ricerca degli eventuali errores in procedendo (opportunamente denunciati con specifico motivo
di ricorso), occorre verificare, ex actis, l’osservanza della legge processuale (Cass., sez. un., n. 42792 del
31 ottobre 2001, Rv. 220092).
6.5. Nel caso di specie, la disamina delle scansioni temporali degli atti del procedimento e del processo consente di accertare: – che la sentenza di primo grado è stata deliberata all’udienza del 16 dicembre 2011; – che l’estratto relativo alla stessa è stato notificato personalmente all’imputato il 10 aprile
2012; – che l’atto di appello del difensore è stato depositato in data 11 maggio 2012; – che l’atto di citazione per il giudizio di secondo grado è stato notificato all’imputato il 2 settembre 2013.
Trattasi, dunque, di attività tutte formatesi in epoca anteriore al 2 aprile 2014, data di entrata in vigore del vigente testo dell’art. 143 c.p.p., introdotto con il d.lgs. n. 32 del 2014 di recepimento dei principi
contenuti nell’art. 3 della direttiva 2010/64/UE.
Il previgente testo dell’art. 143 c.p.p., prevedeva esclusivamente, nei confronti dell’imputato alloglotto, la nomina dell’interprete al fine di poter comprendere l’accusa e di poter seguire lo svolgimento
degli atti e delle udienze cui partecipava.
AVANGUARDIE IN GIURISPRUDENZA | L’OMESSA TRADUZIONE DELLA SENTENZA PER L’IMPUTATO ALLOGLOTTO …
Processo penale e giustizia n. 5 | 2016
60
Non si prevedeva, all’epoca, l’obbligo di traduzione della sentenza e dunque, correttamente, il giudice dell’appello ha escluso la possibilità di rilevare la nullità derivante dalla omessa traduzione degli
atti introduttivi del giudizio di primo grado (decreto che dispone il giudizio) in quanto, come imposto
dall’art. 181, comma 3, c.p.p. non eccepita entro il termine previsto dall’art. 491, comma 1, c.p.p.
Né si possono ipotizzare o ravvisare nullità relative alla mancata nomina dell’interprete nel giudizio
di primo grado, posto che l’imputato non ha partecipato allo stesso, rimanendo contumace.
Né sussiste nullità rispetto alla mancata traduzione della sentenza di primo grado, posto che l’atto è
stato compiuto anteriormente all’entrata in vigore del vigente testo dell’art. 143 c.p.p. e dunque in epoca nella quale tale obbligo non era normativamente previsto.
Neppure può ritenersi che il diritto dell’imputato alla traduzione dell’atto in parola (la sentenza di
primo grado) fosse già direttamente derivante dall’art. 3, par. 1, della direttiva 2010/64/UE (secondo
cui il diritto alla traduzione si riferisce a «tutti i documenti che sono fondamentali per garantire [agli imputati o indagati] che siano in grado di esercitare i loro diritti di difesa e per tutelare l’equità del procedimento»), posto che l’art. 9 della direttiva fissava il termine di recepimento al 27 ottobre 2013, momento successivo,
come già detto, alla adozione degli atti del primo grado di giudizio, come pure del decreto di citazione
in appello (che fissava la prima udienza del relativo grado al 17 ottobre 2013).
6.6. Va a questo punto ricordato che, con il d.lgs. 4 marzo 2014, n. 32, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 18 marzo 2014, n. 64, è stato introdotto un nuovo testo dell’art. 143 c.p.p., entrato in vigore dal 2
aprile 2014, del seguente letterale tenore:
«Articolo 143 (Diritto all’interprete e alla traduzione di atti fondamentali)
1. L’imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente, indipendentemente
dall’esito del procedimento, da un interprete al fine di poter comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti e lo svolgimento delle udienze cui partecipa. Ha altresì diritto all’assistenza gratuita di un interprete per le comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio, ovvero al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento.
2. Negli stessi casi l’autorità procedente dispone la traduzione scritta, entro un termine congruo tale da consentire l’esercizio dei diritti e della facoltà della difesa, dell’informazione di garanzia, dell’informazione sul diritto
di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell’avviso di conclusione delle indagini
preliminari, dei decreti che dispongono l’udienza preliminare e la citazione a giudizio, delle sentenze e dei decreti
penali di condanna.
3. La traduzione gratuita di altri atti o anche solo di parte di essi, ritenuti essenziali per consentire
all’imputato di conoscere le accuse a suo carico, può essere disposta dal giudice, anche su richiesta di parte, con
atto motivato, impugnabile unitamente alla sentenza.
4. L’accertamento sulla conoscenza della lingua italiana è compiuto dall’autorità giudiziaria. La conoscenza
della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano.
5. L’interprete e il traduttore sono nominati anche quando il giudice, il pubblico ministero o l’ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare.
6. La nomina del traduttore per gli adempimenti di cui ai commi 2 e 3 è regolata dagli articoli 144 e seguenti
del presente titolo. La prestazione dell’ufficio di interprete e di traduttore è obbligatoria».
6.7. Come esplicitamente previsto dalla norma, è stato ora introdotto il diritto dell’imputato alloglotto alla traduzione della sentenza. La previsione in esame costituisce all’evidenza disposizione processuale, rispetto alla quale, in assenza di disposizioni transitorie, va applicato il normale regime temporale di tali previsioni, e cioè il principio tempus regit actum.
6.8. Nel caso di specie la sentenza di appello è stata resa all’udienza del 28 gennaio 2015 (data alla
quale si è pervenuti dopo che l’udienza del 17 ottobre 2013 era stata rinviata per adesione del difensore
all’astensione dalle udienze proclamata dall’Ordine degli Avvocati di Lecce), all’esito di un giudizio
svoltosi nella contumacia dell’imputato.
6.9. Pacificamente risulta dagli atti che la sentenza di secondo grado non è stata tradotta nella lingua
dell’imputato e dunque sussiste, in relazione a tale atto, la violazione dell’art. 143 c.p.p. nella sua nuova
formulazione.
6.10. Fermo dunque l’obbligo di traduzione della sentenza, la violazione di tale obbligo deve essere inquadrata nel sistema delle invalidità previsto dal nostro ordinamento processuale. Al riguardo, mette
conto rilevare come la mancata traduzione della sentenza nella lingua comprensibile all’imputato alloglotto non pare al Collegio incidere, in effetti, sulla legittimità/validità della decisione, bensì soltanto sulla
possibilità per l’interessato di attivare avverso la stessa gli strumenti di reazione previsti dall’ordinaAVANGUARDIE IN GIURISPRUDENZA | L’OMESSA TRADUZIONE DELLA SENTENZA PER L’IMPUTATO ALLOGLOTTO …
Processo penale e giustizia n. 5 | 2016
61
mento, id est di proporre impugnazione. La mancata traduzione non inficia di per sé la decisione, ma incide soltanto sui termini per proporre impugnazione, dal momento che impedisce al diretto interessato di
prendere contezza delle ragioni che sono state poste a fondamento della condanna pronunciata nei suoi
confronti e, dunque, di esercitare appieno le sue prerogative difensive, che passano anche attraverso il diretto accesso alle motivazioni, senza il filtro della difesa tecnica, così da poter meglio valutare l’an ed il
quomodo degli ulteriori sviluppi processuali. (cfr., Cass., sez.VI, 29 settembre 2015, n. 45457).
L’omessa traduzione ha dunque quale unico effetto quello di sospendere o comunque dilazionare il
termine per proporre impugnazione in capo all’imputato, fintanto che questi non abbia avuto compiuta
conoscenza dell’atto in una lingua al medesimo accessibile. In tale senso si è del resto già pronunciata
questa Corte, in relazione a fattispecie antecedente all’entrata in vigore del nuovo testo dell’art. 143
c.p.p., là dove ha sancito che la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all’imputato alloglotto non integra un’ipotesi di nullità dell’atto ma, se vi è stata specifica richiesta, i termini d’impugnazione decorrono dal momento in cui la motivazione della decisione sia stata messa a disposizione
dell’imputato nella lingua a lui comprensibile (Cass., sez. I, 11 febbraio 2014, n. 23608, Rv. 259732).
Né dalla stretta correlazione fra la titolarità del diritto alla traduzione della decisione e l’esercizio del
potere autonomo dell’imputato di impugnazione ex art. 571 del codice di rito può farsi discendere che il
difensore non sia legittimato ad eccepire la violazione del diritto spettante al proprio assistito alloglotto
rispetto alla traduzione della sentenza, specie se – come nella fattispecie – l’imputato resti del tutto silente, posto che quest’ultimo è rappresentato in giudizio dal difensore e non è personalmente in grado
di esercitare il diritto in parola proprio per effetto della violazione della novellata previsione dell’art.
143 c.p.p. relativa alla traduzione delle sentenze, dal momento che, ricevendo un atto in lingua che non
legge e non comprende, non può esigere il rispetto dell’obbligo di traduzione né esercitare il diritto di
impugnare personalmente la sentenza.
Neppure può richiedersi, al fine di ravvisare la specificità del motivo di ricorso in cassazione, che il
difensore indichi precisi profili di doglianza o specifiche ragioni di ricorso prospettabili dall’imputato
personalmente, proprio perché la mancata traduzione della sentenza nella lingua nota all’imputato preclude a quest’ultimo il diretto esame dell’atto, l’effettiva comprensione dello stesso e, dunque, la reale
possibilità di addurre argomenti a difesa.
6.11. Così definito il perimetro della questione processuale che ci occupa, ritiene il Collegio che nel
caso in esame debba essere riconosciuta la violazione dei diritti difensivi dell’imputato con specifico riguardo al diritto di ottenere la traduzione della sentenza di secondo grado nella lingua a lui nota
all’imputato, con rinvio alla Corte di Appello di Lecce perché provveda all’adempimento e ai successivi
incombenti previsti in relazione alla contumacia dell’imputato.
6.12. Invero, una volta definiti, con la presente pronuncia, gli ulteriori motivi di ricorso proposti dal
difensore, non può consentirsi il passaggio in giudicato della sentenza di condanna in esame se non sia
stato previamente posto l’imputato in condizione di esercitare il diritto di impugnazione personale riconosciutogli dall’art. 571, comma 1, c.p.p.
6.13. Al riguardo, pare al Collegio soccorrere la previsione dell’art. 175, comma 2, c.p.p., nella formulazione ratione temporis applicabile al caso di specie ai sensi dell’art. 15 bis della l. n. 67 del 2014, secondo
cui «se è stata pronunciata sentenza contumaciale o decreto di condanna, l’imputato è restituito, a sua richiesta,
nel termine per proporre impugnazione od opposizione, salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del
procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione od opposizione. A tale fine l’autorità giudiziaria compie ogni necessaria verifica».
6.14. Tale comma va letto alla stregua della sentenza n. 317 del 2009 della Corte costituzionale che
l’ha dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non consente la restituzione dell’imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel termine per
proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, nel concorso delle ulteriori condizioni indicate dalla legge, quando analoga impugnazione sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato.
Situazione di mancata effettiva conoscenza che deve ritenersi ricorrere anche nei casi, quale quello in
esame, nei quali sia stato violato il diritto ad ottenere la traduzione di un atto contemplato dal novellato
art. 143 c.p.p. Con la conseguenza che, in presenza di istanza in merito, l’imputato va posto nelle condizioni di esercitare il diritto alla impugnazione autonoma.
6.15. È ben vero che la precedente giurisprudenza di questa Corte aveva affermato che «gli autonomi
diritti di impugnazione attribuiti all’indagato (o all’imputato) e ai difensori trovano precisi limiti al loro collegato
AVANGUARDIE IN GIURISPRUDENZA | L’OMESSA TRADUZIONE DELLA SENTENZA PER L’IMPUTATO ALLOGLOTTO …
Processo penale e giustizia n. 5 | 2016
62
esercizio, da una parte nell’attualità di decorrenza del termine, dall’altra nell’intervento del provvedimento sollecitato comunque da uno degli aventi diritto. Ed invero, per il principio dell’unicità del diritto all’impugnazione,
una volta che il gravame sia stato proposto da uno qualsiasi dei soggetti legittimati (indagato o imputato ovvero
suo difensore) e che su di esso sia intervenuta la decisione di merito, detto diritto, avendo conseguito il suo effetto,
si è consumato, onde ne è precluso l’ulteriore esercizio che, essendo funzionalmente diretto a un risultato in favore
dell’indagato (o imputato) e non al conseguimento di un interesse pertinente al solo difensore, non può essere reiterato in presenza di una decisione che ha provveduto sull’impugnazione altrimenti proposta»: ex plurimis Cass.,
n. 4561 del 1999 Rv. 214034; Cass. n. 19835 del 2006 Rv. 234655, confermate dalle SS.UU che, con la sentenza n. 6026 del 2008 Rv. 238472, hanno affermato il seguente principio di diritto «l’impugnazione proposta dal difensore, di fiducia o di ufficio, nell’interesse dell’imputato contumace (nella specie latitante), preclude a
quest’ultimo, una volta che sia intervenuta la relativa decisione, la possibilità di ottenere la restituzione nel termine per proporre a sua volta impugnazione». In motivazione, la S.C. ha osservato che l’astratta configurabilità di una duplicazione di impugnazioni, promananti le une dal difensore, e le altre dall’imputato,
rappresenterebbe una opzione palesemente incompatibile con l’esigenza di assegnare una “ragionevole
durata” al processo, sulla base di quanto imposto dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
6.16. Sennonché, il principio dell’unicità dell’impugnazione è stato messo definitivamente in crisi
dalla sentenza n. 317 del 2009 della Corte costituzionale, che ha dichiarato, come già accennato,
l’illegittimità costituzionale dell’art. 175, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non consente la restituzione
dell’imputato, che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento, nel
termine per proporre impugnazione contro la sentenza contumaciale, quando analoga impugnazione
sia stata proposta in precedenza dal difensore dello stesso imputato. Il Giudice delle leggi, nella motivazione della sentenza in parola, prendendo direttamente in esame la disciplina vigente e, soprattutto,
la giurisprudenza di legittimità, anche a SS.UU. – che, nel ribadire il principio dell’unicità del diritto di
impugnazione, aveva creato un vero e proprio “diritto vivente” dal quale non sa prescindere – ha
rammentato che «la valutazione della questione di legittimità costituzionale concernente l’art. 175, comma 2,
c.p.p. doveva essere condotta in riferimento congiunto ai parametri di cui all’art. 117, comma 1 – in relazione
all’art. 6 CEDU, quale interpretato dalla Corte di Strasburgo – art. 24 Cost. e art. 111, comma 1, Cost. [...]»,
giungendo alla conclusione che (par. 9 della parte motiva) non possono essere richiamati, per convalidare la legittimità costituzionale della norma censurata, i principi dell’unicità del diritto all’impugnazione e del divieto di bis in idem, da cui non possono essere tratte conclusioni limitative di un diritto
fondamentale, il cui esercizio non può essere sottratto al suo titolare, che può essere sostituito solo nei
limiti strettamente necessari a sopperire alla sua impossibilità di esercitarlo e non deve trovarsi di fronte
all’effetto irreparabile di una scelta altrui, non voluta e non concordata, potenzialmente dannosa per la
sua persona. Il principio di diritto tratto dalla suddetta sentenza è il seguente: il diritto di impugnazione
attiene alla sfera del diritto di difesa dell’imputato e non può ritenersi consumato dall’esercizio del parallelo diritto d’impugnazione che spetta al difensore né può essere limitato dal divieto del bis in idem.
6.17. Così ricostruiti i citati insegnamenti, anche al fine di prevenire la formazione di un giudicato
che potrebbe essere successivamente messo in crisi da una successiva impugnazione dell’imputato che
dovesse lamentare la violazione del proprio diritto ad impugnare autonomamente la sentenza per effetto della mancata traduzione della stessa, in considerazione della infondatezza delle ulteriori deduzioni
del difensore, delle ragioni sopra esposte circa la reale portata del vizio rilevato – non inerente la sentenza in sé ma solo un adempimento successivo alla stessa – e delle tipologie di provvedimenti di cui
questa Corte dispone, va pronunciato l’annullamento dell’atto impugnato per il solo profilo della omissione della traduzione della sentenza.
6.18. Può essere formulato il seguente principio di diritto:
«L’omessa traduzione della sentenza nella lingua conosciuta dall’imputato alloglotto avente diritto alla traduzione della stessa impedisce il passaggio in giudicato della pronuncia in quanto ha l’effetto di sospendere il termine
per proporre impugnazione personale da parte dell’imputato fintanto che questi non abbia avuto compiuta conoscenza dell’atto in una lingua al medesimo accessibile».
6.19. Decorso il termine in parola, in difetto di impugnazione personale da parte dell’imputato, la
sentenza diverrà definitiva.
[Omissis]
AVANGUARDIE IN GIURISPRUDENZA | L’OMESSA TRADUZIONE DELLA SENTENZA PER L’IMPUTATO ALLOGLOTTO …