padre Giuseppe Carrara Filippine

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padre Giuseppe Carrara Filippine
La sfida dell’evangelizzazione: una realtà anche nelle Filippine
FILIPPINE
CON LO ZAINO IN SPALLA E DIO NEL CUORE
PADRE GIUSEPPE CARRARA È UN GIOVANE MISSIONARIO DEL PIME, NATIVO DI BONATE SOPRA. PARTITO PER LE
FILIPPINE, IN SOLI TRE ANNI È VENUTO A CONTATTO CON REALTÀ MOLTO DIVERSE TRA LORO PER LINGUA,
CULTURA, AMBIENTE. DALLE COMUNITÀ RURALI DI SIBUCO ALLA GRANDE CITTÀ DI MANILA E ORA, DA QUALCHE
MESE,. TRA I MONTI DI ARANKAN VALLEY: UN’ESPERIENZA MISSIONARIA VISSUTA SEMPRE CON DISPONIBILITÀ E
ENTUSIASMO
Quando alcuni anni fa lo conobbi non era ancora padre Giuseppe. Era un giovane seminarista con
un diploma di ragioniere subito riposto nel cassetto, non appena si era sentito chiamato ad
amministrare capitali ben più grandi e preziosi che qualsiasi banca, per quanto potente, possa mai
sognarsi di possedere e far fruttare.
Aveva risposto a questa chiamata e si stava preparando a diventare sacerdote presso il PIME, un
Istituto fondato proprio per inviare missionari in tutto il mondo.
Sognava il Giappone e ce ne parlava spesso. Era affascinato da questo Paese dove appare davvero
grande, per un giovane prete pieno di slancio missionario, la sfida dell’ evangelizzazione. E così,
quando nell’89 il nostro amico Beppe diventò padre Giuseppe, a tutti noi sembrava scontato che
finisse in Giappone.
Gli fu chiesto, invece, di partire per le Filippine. Sempre di Asia si tratta, ma c’è una bella
differenza. Almeno sulla carta i numeri dicono che la popolazione filippina è in maggioranza di
religione cattolica. Anche se la realtà è diversa. Non ci ha impiegato molto padre Giuseppe ad
accorgersi che la sfida dell’evangelizzazione lo aspettava anche nelle Filippine.
PRIMO BILANCIO DI UNA MISSIONE
Quando alcuni mesi fa è ritornato in Italia per una breve vacanza, gli ho chiesto di raccontarmi
questi suoi primi anni di missione: i sogni e la realtà, le delusioni e i “successi”, i progetti di un
giovane missionario “apprendista” sul campo. “In certi periodi dell’anno, per via delle piogge, sottolinea sorridendo- si potrebbe dire nel fango, più che sul campo…”
“Quello che mi aspettavo di trovare partendo l’ho trovato. Ad esempio le difficoltà di apprendere
nuove lingue e quella di venire a contatto con una cultura e una mentalità così diversa dalla mia.
Quindi la fatica c’è stata, ma me l’aspettavo. Per quanto riguarda la gente, credevo che i filippini
fossero cattolici. Invece ho scoperto che, soprattutto nelle zone rurali, il cristianesimo è solo una
mano leggera di vernice stesa sopra una mentalità tradizionale, animista, in cui la superstizione, la
pressione della tribù e le paure incidono più del messaggio evangelico, più dell’insegnamento della
Chiesa.
E’ quindi un vero lavoro di evangelizzazione quello che a noi è affidato, anche se quasi tutti sono
battezzati. E’ un lavoro da fare soprattutto con i giovani che sono più ricettivi rispetto a coloro che,
a una certa età, faticano a cambiare. C’è una marea di giovani nelle Filippine: è giusto puntare su
di loro, senza trascurare gli altri”.
NUOVI PROGETTI
Proprio con i giovani padre Giuseppe si stava preparando a lavorare, dopo che lo scorso anno gli fu
chiesto di lasciare la sua prima missione rurale di Sibuco per andare a Manila. Un trasferimento
faticoso, un’obbedienza sofferta a una decisione dei superiori che lo chiamavano nella capitale ad
affrontare una realtà del tutto diversa, un lavoro nuovo. E una nuova lingua.
“Mi dispiaceva lasciare Sibuco, ma mi affascinava anche il fatto di andare a Manila, soprattutto per
quella prospettiva di lavorare in modo specifico con i giovani. Un lavoro che non ho quasi
cominciato perché subito mi è stato comunicato che sarei stato di nuovo trasferito”.
Adesso, con il nuovo trasferimento ad Arankan Valley, è necessario tirar fuori ancora il vecchio
zaino, rimettere in moto le gambe per allenarle ad andare su e giù per i monti della missione. E
rispolverare la prima lingua studiata all’arrivo nelle Filippine e un po’ dimenticata. “Anche se ad
Arankan Valley sarà il bergamasco la lingua ufficiale della casa parrocchiale, visto che il parroco
della missione è padre Giorgio Beretta, bergamasco come me…”.
“Questa missione rurale, in cui andrò tra pochi giorni al mio ritorno nelle Filippine, ha un centro
base con la casa dei Padre e una comunità tutt’intorno. Ci sono poi, tra i monti, parecchie
comunità, una cinquantina, in maggioranza cattoliche, sparse su un territorio molto vasto. Per
visitare queste comunità, soprattutto le più lontane, restiamo fuori per due o tre giorni a turno e vi
svolgiamo il lavoro pastorale ordinario: messa, confessioni, matrimoni, feste patronali. Poi c’è il
lavoro che si svolge prevalentemente al centro della missione per la formazione dei leader, i
catechisti, i responsabili della liturgia nelle varie comunità”.
TORNARE A CASA
E’ contento di tornare “a casa” padre Giuseppe, anche se la sua missione cambia di nuovo
indirizzo.
“Riparto con lo stesso entusiasmo dell’inizio, anzi con qualcosa di più: la consapevolezza di sapere
quello che mi aspetta e con questi tre anni di esperienza sulle spalle che considero una ricchezza,
errori compresi. Come quello che ho fatto all’inizio della mia missione, pretendendo di cambiare la
mentalità dell’altro, giudicando come antievangelici atteggiamenti che sono semplicemente frutto
di un’altra cultura che non riuscivo a capire”.
Che cosa vai a portare, padre Giuseppe? – gli chiedo alla fine del nostro incontro.
“Io spero di portare il Dio della misericordia, al cui servizio metto le mie energie, la mia persona, la
mia giovinezza. E vado a ricevere la stessa cosa dai miei fratelli filippini perché anch’io ho bisogno
della misericordia di Dio.
Il cuore di ogni uomo ha bisogno del Dio della misericordia, un bisogno spesso sopito, che non si
avverte. Risvegliare nel cuore dell’uomo questo bisogno di Dio è il compito che mi è stato affidato”.
Da MISSIONDUEMILA, inserto mensile del settimanale diocesano “La Nostra Domenica”, 9 novembre 1997