Essere stranieri, essere cittadini

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Essere stranieri, essere cittadini
ETICA DELLA CITTADINANZA
Essere stranieri, essere cittadini
Se il discorso pubblico sul senso della cittadinanza per la popolazione straniera verte unicamente sulla domanda "a chi concediamo la cittadinanza?", intesa come concessione della nazionalità elvetica, allora i criteri del discorso si baseranno unicamente
sui requisiti di accesso necessari per includere "loro", gli stranieri, nel mondo sociale, culturale e civile del "Noi", inteso come
Popolo. In tal modo il discorso rimane fondamentalmente ancorato al punto di vista degli autoctoni, alla rivendicazione, da parte
del Popolo, dei caratteri distintivi che lo costituiscono, i valori e
la cultura che starebbero a fondamento del legame nazionale che
unisce i cittadini dello stato.
di Giona Mattei, SOS Ticino*
Una buona parte degli stranieri può così stare al
gioco, perché, per sentirsi parte dell'identità collettiva del paese d'accoglienza, farà di tutto per
assimilare la cultura nazionale del paese, rimuovendo magari la propria cultura d'origine, dimostrando a se stessi ed agli altri di essere "più svizzeri degli svizzeri". D'altro canto, il difficile accesso alla cittadinanza può produrre anche effetti
opposti, riluttanza da parte dello straniero nell'accettare le condizioni di accesso alla cittadinanza,
secondo il motto "se è questo che volete da me, e
in questo modo mi volete giudicare, allora tenetevi la vostra cittadinanza!". Il risultato di questo
processo sociale lo si nota nella percentuale di
stranieri residenti, che in Svizzera supera il 20%
della popolazione complessiva, percentuale fra le
più elevate in Europa, dovuta principalmente alle
difficili condizioni di accesso alla cittadinanza
elvetica.
A questo punto può sorgere spontanea la domanda su quale senso di cittadinanza sia portatore il
20% della popolazione, esclusa dalla piena cittadinanza democratica in Svizzera. Chi giunge oggi in
Svizzera a partire da un progetto di migrazione
volontaria per ragioni lavorative rimane perlopiù
ancorato alla cultura, e quindi al senso di cittadinanza, del suo paese d'origine. Come avveniva già
in passato, il migrante che abbandona il suo paese
d'origine per trovare lavoro altrove spesso pensa
realisticamente di ritornare in patria. Discorso
diverso per i rifugiati politici e per i richiedenti l'asilo: sono migranti, come nel caso dei rifugiati,
che fuggono da persecuzioni dirette nei loro confronti da parte delle autorità statali del loro paese
d'origine, e sono dunque persone senza più nazione di appartenenza; oppure sono migranti, come
nel caso degli altri profughi, che fuggono da situa8
il dialogo III/09
zioni di guerra e di violenza generalizzata, paesi
per i quali si fatica ad immaginare un futuro prossimo di pace e sviluppo. Profughi e rifugiati
immaginano così la loro cittadinanza nella loro
nazione d'origine in un futuro lontano, futuro nel
quale i rifugiati potranno forse un giorno riottenere accesso alla cittadinanza e i profughi di guerra ricominciare la ricostruzione di un paese
distrutto.
Ma questa assenza di cittadinanza di profughi e
rifugiati non potrebbe forse valere, alla lunga,
anche per i Gastarbeiter? Non è forse vero che
spesso l'immigrato che arriva per lavoro e pensa di
ritornare nel suo paese d'origine alla fine finisce
per rimanere in Svizzera? E anche lui, emigrato
per lavoro, alla fine non finisce per idealizzare una
patria, come i rifugiati e i profughi, che non esiste
più, perché quando vi ritorna dopo aver vissuto
per anni in un paese straniero non si riconosce più
nella realtà politica, sociale e culturale del paese
dal quale è emigrato?
Se pensiamo alla cittadinanza come appartenenza
ad uno stato-nazione, costruita a partire da un'identità condivisa fondata su valori ed una cultura
comuni, allora spesso gli stranieri si muovono tra
l'idealizzazione di una patria lontana e le difficoltà di accettazione e di accesso ad una nuova cittadinanza nel paese d'accoglienza. Oppure possono
vivere la questione come assenza di cittadinanza e
assenza d'identità nazionale.
Per uscire da questa impasse si rende necessario
un ripensamento del concetto di cittadinanza, non
più legata ad un'identità nazional-popolare fondata su dei valori ed un cultura supposti originari di
un paese, ma basata su una visione universale e
cosmopolita, dove il senso etico della cittadinanza
è fondato sul valore comune dell'essere umano.
Una cittadinanza interculturale e globale, che può
già sin d'ora concretizzarsi all'interno di uno
stato-nazione come la Svizzera, dove l'identità
condivisa può essere data da una cultura comune
complessa costruita dalle varie provenienze culturali dei cittadini che la compongono. Infine, mi
sembra essere l'unica via per preservare quell'identità comune svizzera che si chiama democrazia, affinché si possa finalmente dare voce a quel
20% di popolazione residente che non ha diritto
di parola.
* Consulente e mediatore interculturale di SOS
(Soccorso operaio svizzero) Ticino