Juliet Design Magazine
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CONTIENE I.R. Poste Italiane S.p.A. – Sped. in abb. post. – 70% - DCB Trieste ISSN 2036-2773 design magazine È pittore, scultore, designer, architetto: è sicuramente l’artista più leggendario che sia mai esistito, più ammirato, più rispettato, più temuto. Eppure pochi ne conoscono il nome ed ancora meno sanno riconoscere i suoi capolavori. Le sue opere sono sparse per il mondo e sono talmente numerose che non possono essere conservate nei musei, e sebbene i musei ne possiedano molte, sono molte di più quelle che si trovano fuori, nelle città, nei palazzi pubblici e privati, nei giadini e nelle campagne. È più facile trovarne nei luoghi semplici, umili e poveri, dove non c’è la presunzione di mantenere tutto sempre pulito e lucido, intatto e immutabile. È un personaggio schivo, poco pubblico, non si incontra mai nelle riunioni e nelle assemblee e mai e poi mai nelle feste e nelle celebrazioni. Lui arriva dopo, all’apparenza sempre in ritardo, in realtà puntuale e afdabile come nessuno altro al mondo: mai una scusa, un’assenza, una defezione, una malattia. Lavora sempre, indefessamente. Nessuno lo ha mai visto con le mani in mano: a qualsiasi ora del giorno e della notte scava, incide, colora, crea e non necessariamente in silenzio, anzi talvolta facendosi precedere da boati assordanti, eruzioni di vulcani, lampi, tuoni. Si avvale dell’aiuto dei più straordinari agenti atmosferici: umidità, pioggia, vento, neve, gelo, siccità, calura, sotto la sua magistrale guida operano a livelli di perfezione assoluta, decisamente padroni di se stessi e del proprio talento, incapaci di sbagliare. Non teme alcuna critica, alcun giudizio, alcun attacco. È umile e tollerante, paziente come nient’altro al mondo: sa aspettare, calmo, meticoloso, persistente ma non insistente, imperscrutabile e imprevedibile nella sua genialità, conscio del suo potere sull’uomo e sulla natura. È il Tempo che passa. Se lo incontrate ammiratelo e sbalordite del suo splendore. Michele De Lucchi, “L’Artista” Angera, 5 agosto 2005 volume 3 / 4 € 15,00 Se “Vitra Design Museum. Cento sedie classiche”, Photo Miro Zagnali. Courtesy Goethe-Institut Italien o ol , ng O ria UIT 972 lt 1 AT /10/ ) de R d o G 26 t. iv pr GIO .R. , let .P t. 2 G SA A ( D a r 3 V . I . 63 es n DESIGN MAGAZINE 38 YEARS III, VOLUME 3/4 2010 Registrato al Tribunale di Verbania, n. 8 del 27/11/2008 ISSN 2036-2773 Direttore responsabile / Editor in chief Alessio Curto T +39 349 6361781 alessio.curto@ julietdesignmagazine.it Direttore editoriale / Editorial director Eleonora Garavello T +39 340 7353147 eleonora.garavello@ julietdesignmagazine.it Cover by Michele De Lucchi Testo, disegno e foto tratti dal libro “12 racconti con casette” (Ph. P. De Lucchi) Courtesy Corraini Edizioni - Mantova Special Guest Alessandro Calligaris Presidente Calligaris spa e Pres. Confindustria Regione Friuli Venezia Giulia Supervisor Roberto Vidali T +39 329 2229124 [email protected] Traduzioni / Translation Luisa Durrani Pubblicità e abbonamenti / Advertising and subscriptions GARAVELLO EDITORE Via G. Marconi, 33/C 28075 Grignasco (NO) Italy [email protected] www.julietdesignmagazine.it prezzo di copertina / cover price 15,00 euro 1 arretrato / 1 back issue 30,00 euro abbonamento annuale / Annual subscription (3 issues) Italy 45,00 euro (studenti 30,00 euro - è indispensabile allegare la dichiarazione d’iscrizione all’università o alla scuola) Europe 55,00 euro Others 65,00 euro L’importo può essere versato tramite assegno intestato a: Garavello Editore Please payments to our current account no. 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Clift Guestroom, Ian Schrager Hotels – New York; Starcknaked, Wolford – Bregenz; Motò 6.5, Aprilia – Noale; Kit Spaghetti Party, OAO – Maldegem. Coutesy delle rispettive aziende Museo della Calzatura di Villa Foscarini – Rossi. Photo Omniavisual. Courtesy Rossimoda – Vigonza All © 2010 copyright is retained by the contributors Logo Juliet by Oreste Zevola 56 33 Schizzo PhonoTransistor “TP 1” (1959) di Dieter Rams e tratto dal suo archivio in occasione della mostra “Less and More. Das Designethos von Dieter Rams”. Courtesy Museum für Angewandte Kunst Frankfurt 1 8 Design: de gustibus est disputandum di Renato De Fusco L’esperienza del design ci consente alcune considerazioni critiche sul vecchio motto del gusto che non si discute, dovuto alla diffusa opinione per cui quello del gusto sarebbe un fenomeno estremamente soggettivo. Non condivido tale assunto, come indica il titolo dell’articolo, e tenterò di dimostrare il contrario perché se ciò fosse vero vanificherebbe tutta la riflessione estetico-filosofica sull’argomento, nonché ogni tentativo di comunicazione intersoggettiva, ogni intesa fra l’individuale e il generale. La presenza della componente del gusto è riscontrabile in ogni manifestazione sociale, dalla politica alla cultura, dall’economia al lavoro, dagli usi ai costumi; il che già vale ad indicare che il gusto non è tanto materia di opzione individuale quanto piuttosto fenomeno dotato di una certa invarianza oggettiva. Il campo del design mi sembra quello più idoneo a dimostrare la tesi che del gusto è possibile, anzi indispensabile discutere. Ma, a parte la dimostrazione dell’assunto, il rapporto gusto-design assume valenze socioeconomiche e artistico-culturali di tale rilevanza da rendere necessario un apposito discorso. Per iniziarlo è necessario prendere in considerazione la vecchia distinzione fra le arti pure e quelle applicate, tra le quali è certamente l’architettura e il design. Non ignoro che essa è stata più volte revocata in dubbio dalle più qualificate interpretazioni esteticofilosofiche, ma se il problema della distinzione ritorna nella pratica a porsi vuoi dire che la teoria unitaria non è riuscita a risolverlo completamente. In parte a favore di quanto ho appena espresso è la posizione della Langer: «Sono anch’io convinta che l’arte sia sostanzialmente una, che la funzione simbolica sia la stessa in ogni genere di espressione artistica, che tutti i generi siano ugualmente grandi, e la loro logica sia tutt’una [...] Ma per enunciare questi articoli di fede con le proposizioni ragionevoli non basta asserirle enfaticamente e ripetutamente e deplorare le prove in contrario: occorre piuttosto esaminare le differenze e delineare le distinzioni fra le arti fin dove è possibile seguirle. Esse sono più profonde di quanto non sia dato a tutta prima supporre. Ma c’è un livello definito in cui non è più possibile fare distinzioni: tutto ciò che può dirsi di ogni data arte, si può dire anche delle altre. In questo sta la loro unità. Tutte le suddivisione si arrestano a quel punto, che è la fondazione filosofica della teoria dell’arte» [S.K. LANGER, Sentimento e forma, Feltrinelli, Milano 1965, pp. 122-3]. Premesso che distinzione non è separatezza, proprio operando distinzioni giungiamo a cogliere la natura diversa delle arti e la loro fenomenologia sia teorica che operativa. Inoltre, qualcosa in più va detto sull’idea del design come arte applicata, nell’aggettivo concentrandosi tutta la sua problematicità e socialità. Esso non è solo arte applicata per le sue evidenti ragioni funzionali; perché solo una parte del design attiene alla sfera artistico-estetica; né in quanto produzione nella quale la tecnica gioca un ruolo rilevante, donde risulta vincente la nozione greca di tekné che significava insieme arte e tecnica o meglio un’arte che s’insegna con regole del mestiere; in breve, essa è applicata perché ad essa si applicano molte altre scienze e pseudo-scienze, segnatamente quelle storico-sociali che, invece, non sono sempre pertinenti alle cosiddette arti pure. Ritornando all’idea che proprio nel design va ricercata l’oggettività, beninteso sempre relativa, del gusto, bisogna, almeno in senso euristico, utilizzare la distinzione fra le arti pure e quelle applicate. Grazie ad essa, possiamo renderci conto della diversa fenomenologia del gusto e della sua influenza sia nel primo campo che nel secondo. Anzitutto, oltre al menzionato carattere di arte applicata, mentre al design pertiene un’artisticità diffusa - un altro aggettivo che richiama la generalità più che l’individualità -, alle arti pertiene un’artisticità emergente. Ancora, se le espressioni poetiche, musicali, della pittura, della scultura, del teatro sperimentale ecc. possono in un primo momento non piacere, non incontrare il gusto della maggioranza, in un secondo momento esse sono generalmente accolte, in virtù del fatto che il mercato artistico, l’editoria, le sale di concerto, le mostre, le gallerie, i musei svolgono un’opera di spiegazione e di convincimento, mentre lo stesso non avviene per i prodotti del design. Se questi non incontrano subito il gusto del pubblico c’è il forte rischio che restino a livello di prototipi, mai entrando nella produzione, nella vendita e nel consumo. Nel caso dell’arte gli iniziali giudizi mi piace/non mi piace possono ritardare l’accettazione 2 dei gusto di cui essa è portatrice; nel caso del design tali giudizi segnano sin dalla nascita il successo o il fallimento di intere produzioni. Perché si verifica tale discrepanza? La prima causa può vedersi in ciò che l’arte pura è il cosiddetto «superfluo necessario», mentre l’arte applicata nel senso più esteso di tutta la merceologia industriale - appare e spesso è «l’indispensabile»; in altre parole è acquisito che generalmente i cultori delle arti sono persone particolarmente preparate o aspiranti ad esserlo, mentre i fruitori degli oggetti di design sono tutti, quali che sia il loro livello di cultura. Ne discende che per decretare il successo di un artista basta una minoranza, mentre per quello di un designer e della sua produzione, una maggioranza; evidentemente il numero conta nel definire un gusto particolare e un gusto generalizzato teoricamente a tutta la sfera sociale. Ma ciò non dimostra a sufficienza la disputabilità o meno del concetto di gusto. Meglio risponde al nostro tema la seconda causa del divario tra le arti e il design. Essa dipende dalla distinzione fra l’artistico e l’estetico, dove col primo termine si indica un’esperienza che comporta un impegno di studio e di conoscenza, un «artificio», nell’accezione migliore dei termine, sia da parte di chi opera, sia da parte di chi ne fruisce; col termine «estetico» s’intende invece una qualità che dà piacere indipendentemente dalla cultura e dalla preparazione; l’estetico è fenomeno naturale e pertiene ai sensi, l’artistico, invece, pertiene alla cultura. Cosicché, l’amatore d’arte può apprezzare un’opera in senso artistico, ma non estetico. Ovviamente fra i due modi di sentire non c’è contraddizione: il cultore d’arte prova piacere anche nella contemplazione artistica come pure il fruitore dell’oggetto di design coglie una valenza artistica anche nel piacevole oggetto d’uso, ma perché ciò si verifichi anch’egli deve possedere una preparazione artistica. Ogni sorta di gusto può essere educata, ma mentre il pubblico che frequenta i musei è intenzionato a perfezionare il suo gusto, a far coincidere appunto l’artistico con l’estetico, quello interessato soprattutto agli aspetti pratici non pensa neanche a migliorare il suo gusto, supponendo che quello che ha sia il migliore. Nel caso che invece si ponga il problema di aggiornare il suo gusto, lo fa in generale ancora per pratici motivi: il possedere cose apprezzate, il rientrare in una sfera elitaria, il prestigio sociale, ecc. Persistendo tale discrepanza, il cultore d’arte tende a superare le sue conoscenze, il fruitore del design presenta maggiori resistenze ad abbandonare i suoi pregiudizi e preconcetti: deve vivere a diretto contatto con gli oggetti, farli rientrare nel suo habitat, esige più piacere estetico che artistico. Una terza causa della diversità fra arte e design sta in ciò che la prima gode di una tradizione auratica, di una vasta letteratura, del fatto che masse di turisti si spostano da un paese all’altro per visitare musei e gallerie, mentre il secondo non possiede gli stessi canali d’informazione: esistono poche storie del design, la letteratura è affidata a riviste specializzate e le stesse esposizioni sono pensate prevalentemente per gli addetti ai lavori. È possibile colmare il divario sopra esposto e modificare il gusto anche per chi nutre solo interessi extra-culturali? La risposta è affermativa è lo strumento per attuare tale programma sta in una maggiore divulgazione della cultura del design. Ho già in altre occasioni citato un passo di Gimpel: «È proprio all’inizio di una nuova Tecnica Espressiva che il livello è più alto... La vetrata, l’arazzo, la pittura ad olio non sono mai stati più grandi che nella loro prima età. La fotografia ottocentesca è spesso più notevole di quella del nostro tempo. E i grandi film devono essere già stati girati» [G. Gimpel, Contro l’arte e gli artisti, Bompiani, Milano 1970, p, 193]. Si tratta evidentemente di un paradosso, specie per quanto attiene al discorso sui film, ma non si può disconoscere in esso un gran parte di vero. Può dirsi anche per il design che il meglio è quanto è stato già prodotto? Per un verso prodotti come quelli di Thonet, dell’AEG, della Wiener Werkstätte, della Ford anni ‘10-‘20, ecc. appaiono insuperabili, per un altro, vi sono prodotti recenti che reggono degnamente il confronto. Tuttavia, in molti avvertiamo che, nonostante i successi di alcune aziende e l’attività di alcuni designer, c’è qualcosa che non va nel fenomeno teorico-pratico che possiamo definire complessivamente cultura del design. Ora, come non comprendere che quella «Tecnica Espressiva» nuova di cui parla Gimpel non può che riguardare la componente «vendita» e per essa la comunicazione, l’informazione, la divulgazione del de- sign presso il più vasto pubblico da effettuarsi per via informatica e telematica? Ma d’altra parte, come spiegare allora che il design, un’esperienza avanzata e sperimentale per definizione, non si avvalga dei mass media più nuovi ed efficaci? Ci piaccia o meno, una cosa appare certa: quando qualcosa non figura in televisione è come se non esistesse; se questo è vero, nel senso che è entrato a far parte del costume contemporaneo, perché è assente in essa la cultura del design, sia sotto forma di appositi programmi, sia in veste di spot pubblicitari? In realtà, alcuni settori del design, segnatamente quello dei mobile e dell’arredo, sono ben presenti in televisione, ma si tratta, salvo le solite eccezioni, di prodotti appartenenti ad aziende più commerciali che produttrici, del tutto indifferenti al design d’autore, che smerciano mobili d’ogni stile, d’ogni tipo, tant’è che figurano prevalentemente su emittenti locali. Quello che manca nelle grandi reti televisive e in internet è il design delle maggiori aziende, firmato dai progettisti più prestigiosi, entrato ormai nella storia, in una parola il cosiddetto Italian style. Alla domanda sulle motivazioni di tale assenza mi sono state date le più varie risposte: la pubblicità televisiva costa molto; si addice a prodotti di specifiche merceologie, dalle automobili agli elettrodomestici, in sostanza ad articoli di più rapido consumo e non ad altri, come i mobili che si comprano una o due volte nella vita; non è escluso che le aziende di prima categoria non figurano in tv anche per non confondersi con le altre ritenute, a torto o a ragione, secondarie. Ho tentato di contestare una ad una tali motivazioni, ma invano, giungendo alla conclusione per cui la logica che guida le politiche aziendali è di tipo individuale, pertanto abbastanza indifferente alle sorti e all’immagine complessiva della cultura del design. Considero questa posizione molto rischiosa: è più facile che una produzione spregiudicata, ma postasi sui canali giusti della comunicazione, attinga, con l’aiuto di qualche designer, a un livello di qualità, mentre una produzione che conta solo su quest’ultimo continua a porsi fuori dagli attuali media d’informazione. Ritorniamo al tema del gusto. Di solito chi aderisce al precetto de gustibus non est disputandum fa appello alla individualità, alla irreperibilità, all’estremo soggettivismo delle persone che, in quanto così diverse, hanno un proprio gusto, come del resto una propria particolare visione del mondo. Già abbiamo accennato che se ciò fosse completamente vero non ci sarebbe vita associata. Ma, riferendosi alla storia, chi ha espresso meglio la necessità di una coesistenza tra l’individualità e la conformità è stato Kubler: «Non ci possono essere due cose o due eventi che occupino le stesse coordinate nello spazio e nel tempo: ogni atto è quindi diverso da qualsiasi altro atto precedente o susseguente. Non esistono due cose o due azioni che possano essere accettate come identiche. Ogni atto è un’invenzione. Eppure tutta l’organizzazione del pensiero e del linguaggio è una negazione di questa semplice affermazione di non identità. Possiamo cogliere l’universo soltanto semplificandolo con idee di identità distinte in classi, tipi e categorie riordinando l’infinita continuità di eventi non identici in un sistema finito di similitudini. È nella natura dell’essere che nessun evento possa mai ripetersi, ma è nella natura del nostro pensiero che noi possiamo intendere gli eventi soltanto per mezzo di identità che immaginiamo esistere tra loro» [G. KUBLER, La forma del tempo, Einaudi, Torino 1976, p. 83]. Trasferendo questo giudizio dall’esperienza storica a quella del design, è certamente vero che esistono tanti gusti quante sono le individualità, tuttavia affinché si possa pervenire a una «regola del gusto», per dirla con Hume, è indispensabile pensare a un denominatore comune, a una sorta di identità, a condivise categorie, magari a diffuse convenzioni. In altre parole, soltanto ricorrendo alla «natura del nostro pensiero» che, come coglie gli eventi per mezzo di identità, così supera l’aspetto puramente soggettivo del gusto, si può attingere a un’idea più generale di esso. Certo, ci sarà sempre un modo particolare di gustare qualcosa, così come esiste un modo particolare di essere cattolici, socialisti o liberali, ma quel che conta ai fini sociali è che questo essere particolare faccia capo a una identità che almeno ipotizziamo esistere fra le persone. Il problema del resto è riconducibile alla lingua: ognuno parla una lingua con particolarità che vanno dal tema che affronta alle inflessioni regionali, dal modo di esporre fino agli accenti e al tipo di voce, ma tutti parliamo la lingua che per convenzione e tradizione storica parla una data comunità. Torna utile al nostro discorso quanto ebbe a sostenere Cesare Brandi sul significato delle parole: «Il monema, o, se si vuole essere meno esatti, la parola, non ha come significato la cosa, ma lo schema preconcettuale della cosa o al più il concetto empirico della cosa; questo schema o concetto tuttavia non è un surrogato o un simulacro della cosa, rappresenta bensì il risultato gnoseologico della cosa secondo che una determinata società - quella che parla la lingua - l’ha prelevato e sintetizzato dall’esperienza» [C.BRANDI, Struttura e architettura, Einaudi, Torino 1967. p. 38]. In questo giudizio, accantonando il problema del rapporto fra parole e cose denotate, che non pertiene al tema del gusto, c’è un’indicazione preziosa: come il significato delle parole è il risul- tato gnoseologico che una determinata società assegna agli oggetti - altri hanno scritto che il significato delle parole dipende dall’uso che di esse fa una determinata società - così il gusto è il risultato gnoseologico-estetico della fruizione dei prodotti e/o dei comportamenti. Sintetizzando al massimo, il gusto è una convenzione. Come tale, appartenendo cioè alla sfera culturale, nel senso antropologico del termine, esso è storicamente condizionato, relativo, mutevole, modificabile, soggetto a numerosi altri fattori: le tendenze, le influenze, le mode, ecc. Hume notava che la convenzione deve essere intesa, non come una promessa formale, ma come «un sentimento dell’interesse comune, che ognuno trova nel suo cuore» (lnq. Conc. Morals, App. 3); e aggiungeva «così due uomini muovono le vele di una barca con comune accordo per il comune interesse, senza alcuna promessa o contratto; così l’oro e l’argento sono infatti misure dello scambio; così il discorso, le parole, la lingua sono fissati dalle convenzioni e dall’accordo umano» (Ibid.). Si pone un ultimo quesito: il gusto come convenzione riguarda tutte le arti o solo quelle applicate? Una risposta può ricavarsi indirettamente da quanto ebbe a scrivere Panofsky: «L’opera d’arte [...] ha per sua natura la duplice proprietà di essere, da un lato, determinata de facto dalla situazione temporale e locale, e, dall’altro, di costituire, riguardo all’idea, una soluzione atemporale, assoIuta e a priori di problemi posti - di prodursi nel flusso del divenire storico e di raggiunger tuttavia una sfera di validità sovrastorica. Perciò il fenomeno artistico [...] affaccia di necessità una duplice pretesa: da un lato di venir compreso nella sua condizionatezza [...] dall’altro di essere compreso nella sua assolutezza, di essere cioè sottratto dal nesso storico di causa ed effetto e di venir inteso, al di là della relatività storica, come soluzione, estranea al tempo e al luogo, di un problema che è estraneo al tempo e al luogo» [E. PANOFSKY, “Sul rapporto tra la storia dell’arte e la teoria dell’arte”, in La prospettiva come forma simbolica e altri scritti, Feltrinelli, Milano 1961, pp. 205-61]. Ora, ammesso che ciò valga per l’arte, può valere anche per il design e le altre arti applicate? Ed è lecito asserire questa duplice proprietà anche per ciò che attiene al gusto? Non mi pare. Un’opera di riconosciuto valore artistico risponde al gusto del tempo in cui è nata ed è accolta ugualmente dal gusto nostro contemporaneo. Non sempre si può dire lo stesso per i prodotti del design; anzi alcuni prodotti ottocenteschi e segnatamente gli abiti d’epoca ci sembrano addirittura ridicoli. D’altra parte alcuni articoli - e penso in particolare a quelli di Thonet - hanno sfidato il tempo: essi rispondono al gusto attuale così come fecero a loro tempo. Questo secondo caso può spiegarsi in due modi. O la persistenza del gusto nel tempo dimostra che anche per alcuni prodotti del design vale lo stesso ragionamento che Panofsky fa per l’arte, rientrando essi a pieno titolo nella sfera di quest’ultima o il problema del gusto, avendo una fenomenologia propria, risponde a una convenzione del suo tempo e altresì a una convenzione del nostro. Sono portato a credere che sia vera la seconda ipotesi, come dimostra il fatto che alcuni prodotti, per così dire «ritornano» dopo aver attraversato un periodo di dimenticanza. Riassumendo, il gusto nasce come fenomeno soggettivo salvo a modificarsi nel tempo come ogni altro fatto storico, acquistando una certa oggettività, quella cioè che denota le caratteristiche del contesto socioculturale di una comunità. Se questo è vero il naturale istinto dell’inizio si trasforma in una convenzione, allo stesso modo di come si forma una lingua, che consente l’espressione individuale condizionata al tempo stesso da una codificazione, certo non meccanica, ma propria di una innere Sprachform, per dirla con Humboldt, che intende la lingua come una forma interna, espressione della visione del mondo del popolo che parla quella lingua. Da tutto quanto precede, possiamo sostenere che il gusto è una convenzione, rispetto alla quale possiamo consentire o dissentire, ma che comunque si evolve, s’impara, si corregge; è soggetto a influenze, ad alterne fortune come tutti i fenomeni storici; che soprattutto, problematico com’è, risulta materia altamente discutibile. Renato De Fusco Architetto, nato a Napoli, è professore emerito di “Storia dell’architettura” presso l’omonima Facoltà dell’Università Federico II di Napoli. Ha insegnato “Storia del design” presso l’Istituto universitario Suor Orsola Benincasa. Dal 1964 ha fondato e diretto la rivista Op.cit. di selezione della critica d’arte contemporanea (dedicata all’architettura, al design, alle arti visive). Premio Inarch per la rivista nel 1967; premio Inarch alla carriera nel 2001. Dirige la collana di critica dell’architettura e design della Franco Angeli di Milano; quella di storia dell’architettura e design della Liguori Editore di Napoli; quella dell’ADI (Associazione per il Disegno industriale) e la collana dei Trattati per l’architettura moderna della Editrice Compositori di Bologna. Ha curato tutte le voci dell’architettura, delle arti figurative e del design del Grande Dizionario Enciclopedico, UTET, 1984. Ha ideato i due volumi dal titolo Gli strumenti del sapere contemporaneo e redatto le voci architettura, arti figurative e design, UTET, 1985. È socio onorario dell’ADI. Le date principali del suo curriculum sono: 1953 laurea in architettura; 1954 fa parte del MAC (Mavimento arte concreta), studia con Zanuso, collabora alla Casabella-Continuità di Ernesto. N. Rogers; 1955 entra nell’Istituto di Storia dell’architettura dell’Università di Napoli, diretto da Roberto Pane; 1961 libera docenza in “Caratteri dell’architettura moderna”; 1972 vince il concorso per ordinario di “Storia dell’architettura”; 2008 riceve il Premio alla Carriera del Compasso d’Oro ADI. 3 4 Marco Zanini in una foto di Luca Carrà Da piccola falegnameria artigianale, nata nel 1923 a Manzano (provincia di Udine) nel cuore del “triangolo della sedia”, a impresa leader nel mondo del settore arredo. La storia della Calligaris è una storia di successo, fatta di capacità di innovare e coraggio di investire. Con quella stessa propensione all’innovazione che negli anni Sessanta ha portato l’azienda della mia famiglia a ideare la prima macchina impagliatrice per sedie, oggi per mezzo di strategie innovative che negli anni hanno rivoluzionato le funzioni di marketing e logistica, la Calligaris è riuscita a superare anche questi mesi di generale difficoltà chiudendo il 2009 con un fatturato consolidato che si attesta a un livello di circa 150 milioni di euro. Del resto quando le cose vanno bene, si lavora tanto; quando vanno relativamente male -come adesso- bisogna lavorare molto di più”. La crisi sta colpendo tutto il sistema economico, in particolare quello manifatturiero; talvolta a macchia di leopardo ma, in linea generale, tutti ne sono stati coinvolti. Negli ultimi anni una certa facilità di trasferimento del denaro ha generato un aumento molto forte nei consumi, determinando una sovrapproduzione nei mercati, seguita poi da una riduzione della quantità dei consumi e quindi delle 6 produzioni immesse sul mercato. Per questo sono convinto che resisteranno le aziende più strutturate e capitalizzate, o anche quelle che, avendo meno risorse economiche, dispongono di capitale umano, progettuale e di prodotto. L’esperienza della nostra industria può e deve essere d’esempio al territorio, perché, nonostante le difficoltà ancora in corso, gli imprenditori sapranno agganciare il rilancio se riusciranno a puntare su nuove strategie gestionali, innovazione a tutto tondo, ma anche su una maggiore fiducia nel futuro. La Calligaris (e tutto il distretto) è cresciuta con il legno che è stato per lungo tempo l’unica materia prima usata per ogni pezzo. Il design degli anni Novanta ha iniziato a utilizzare altri materiali come la plastica, il metallo, il cuoio e il vetro. Tutti materiali accomunati da un unico comune denominatore: l’innovazione. Proprio l’innovazione è il fattore principale che ci ha portato al successo. Innovazione di prodotto e dei materiali, ma anche quella gestionale e logistica, abbandonando infatti negli anni l’idea di azienda verticalizzata, per acquisire quella di una realtà che progetta, industrializza e gestisce la logistica produttiva dei componenti in outsourcing. Abbiamo deciso di focalizzare tutta la nostra attenzione su due fronti importanti: la logistica produttiva e quella distributiva. Per la produzione, utilizzare materiali diversi e linee differenti comporta avere specializzazioni interne e non è possibile essere competenti in tutte le tecnologie dei diversi materiali. Così abbiamo dato un’identità di assemblaggio dei componenti in metallo e plastica ad ogni stabilimento. Allo stato attuale trecentosessanta sono le persone che lavorano nello stabilimento e nella direzione generale di Manzano sono per oltre il 50% colletti bianchi. La fisionomia dell’azienda è cambiata rispetto al passato: oggi alla Calligaris progettano, industrializzano, pensano al marketing e alla commercializzazione. Il secondo punto di forza è la politica distributiva intesa come vicinanza ai mercati. Questo è un aspetto fondamentale per la nostra azienda: oggi un compratore in negozio vuole avere subito quanto ha acquistato. Un punto vendita italiano ha mediamente quattrocento metri quadri di spazio e ha bisogno di consegnare un tavolo e quattro sedie nel più breve tempo possibile. Quindi sono stati creati dei magazzini logistici per distribuire i prodotti in tempi rapidi. C’è poi la convinzione che il valore aggiunto del Made in Cogliere le sfide del Italy sia nella fase di creazione, ideazione e industrializzazione, ammettendo la delocalizzazione di alcune fasi della produzione, senza che questo infici l’italianità del prodotto. Inoltre è indispensabile porre una forte attenzione alla leva della comunicazione: occorre essere presenti alle diverse fiere di settore, per dare l’opportunità al consumatore di conoscere cosa fa l’azienda. Bisogna lavorare molto sul sito internet fornendo un catalogo elettronico con informazioni aziendali e caratteristiche tecniche di prodotto; è uno strumento importante perché il consumatore ha bisogno di conoscere il produttore, di informazioni per scegliere in modo consapevole. L’azienda Calligaris sta attraversando nell’ultimo anno un grande periodo di cambiamento: guarda al futuro investendo in un importante progetto di valorizzazione e posizionamento del proprio marchio. L’universo della marca Calligaris vuole essere un universo vivo, caloroso e, in una parola, accessibile. Il primo marchio Calligaris è nato quasi spontaneamente quarant’anni fa: con lo sviluppo dei prodotti, del catalogo e della distribuzione si capì che il “nome” era assolutamente necessario. Oggi lo vogliamo portare, attraverso un’azione attentamente pensata, a un ruolo preciso: ci proponiamo che esprima, con la sua sola forza, i contenuti e i valori della nostra azienda. Desideriamo che la gente sappia che dietro a questo simbolo c’è la passione per il lavoro, e cioè per le cose fatte bene; c’è la competenza maturata in ottantacinque anni di storia; c’è la ricerca, tutta italiana, delle forme belle e armoniche, senza mai strafare; c’è il principio, tutto friulano, di parsimonia e di equilibrato approccio al mercato. È l’accessibilità il valore che vogliamo perseguire non solo con riferimento al prezzo (il “lusso accessibile” come obiettivo, perché un prodotto accessibile deve comunque far sognare il consumatore), ma in senso lato come prossimità al quotidiano, con una vasta rete distributiva, un sito web accessibile, un’offerta chiara e comprensibile in termini di stile, prezzi, design bello ma funzionale: in una frase “il design da vivere per la casa d’oggi”. Ciò significa diventare la marca di riferimento del design italiano accessibile, per chi ama l’arredamento di qualità e design ma anche gli acquisti intelligenti, per chi ama creare il proprio universo di vita, contemporaneo e vivo, mescolando stili e colori. È stata quindi rinnovata l’immagine coordinata che da un lato darà maggior riconoscibilità all’universo di marca Cal- ligaris fatto di prodotti, servizi, attività di comunicazione, presenza sul web e sul retail, dall’altro contribuirà a veicolare parte dell’identità della nostra marca e dei suoi valori. Il nuovo logo, che mantiene lo storico rosso Calligaris, si concretizza in un lettering più moderno e in un nuovo payoff: “Italian Home Design since 1923”. Accanto al logo è stato inserito un simbolo accattivante, un picchio stilizzato, per rafforzare l’impatto e la distintività del marchio, rendendolo così più visibile e ricordabile soprattutto in quei mercati internazionali, dove non deve essere necessariamente letto per essere riconosciuto e ricordato. Se da un lato il nuovo payoff rappresenta l’attenzione alla ricerca di colori, stili e trend, la completezza dell’offerta nell’area giorno e notte della casa, e sottolinea il valore del proprio passato (produttore dal 1923, con una storia specifica legata al legno e alla sedia), dall’altro il picchio richiama i valori dell’affidabilità (in termini di prodotto e servizio), dell’ingegno (funzionalità ad esempio dei suoi tavoli) e della laboriosità, propri anche della Calligaris. mercato e trasformarle in successi Alessandro Calligaris Presidente Calligaris spa e Presidente Confindustria Regione Friuli Venezia Giulia English version on page 92 7 Dall’alto in basso: letto “Neoz”-prod. Driade Aleph_sveglia-radio “Coo Coo” -prod. Alessi/Thomson e lampada da tavolo “Miss Sissi” - prod. Flos consolle lavamani - prod. Duravit e miscelatore “Edition 1” - prod. Axor/Hansgrohe_spazzolino da denti e portaspazzolino - prod. Fluocaril_ Patrizia Piccione con lo spremiagrumi “Juicy Salif” - prod. Alessi_maniglia “1191” - prod. FSB 8 Philippe Starck: antologia e attualità. Omaggio all’eccentrico e geniale produttore di sorprese fertili per festeggiare la lunga e fortunata carriera da “esploratore” dell’universo progettuale. Per un futuro più immateriale “Oggi entriamo nel secolo della simpatia e dell’immaterialità, bisogna che gli oggetti spariscano e, se proprio non possono ancora sparire completamente, almeno che si rendano sopportabili essendo simpatici”. Philippe Starck (1) Il mondo cambia, il futuro ha già preso il via, l’uomo è alla ricerca di nuovi pianeti su cui traslocare e, nel vecchio continente, tra le tante cose strane che accadono, recentemente hanno depennato d’ufficio, dalla nostra millenaria lista alimentare, anche la gustosa braciola di maiale nonostante l’assicurazione che il virus influenzale A/H1N1 non può essere contratto mangiando prodotti di origine suina. Tuttavia, in questa introduzione, non mi soffermerò a descrivere delle negative caratteristiche di un ambiente costantemente sotto la pioggia acida e soffocato da giganteschi flussi del traffico aereo e terreste o, al contrario, di spazi che sorgono isolati da una crosta inospitale in un’atmosfera siderale, ne parlerò di robot ideati come replica ossessivamente perfetta dell’umano (oppure della sua clonazione, di schizofreniche rivolte sociali contro intelligenti macchine incontrollabili, di asettiche guerre fredde e terrificanti invasioni marziane, di burocrazia al servizio del potere garantito da lavaggi del cervello, ecc…). Il mio intervento, invece, sarà mirato alla riscoperta del magico mondo infantile, fatto di fiabe a lieto fine allo scopo di cercare la formula per imparare a convivere con le paure della propria esistenza e sul modo di vincerle. Ovvero di come un brutto anatroccolo diventa un magnifico cigno, di come un grezzo pezzo di legno si trasforma in uno sveglio bambino e Biancaneve trova asilo dai Sette Nani. Infatti, proprio a cavallo del terzo millennio, scopriamo che qualcuno -zitto zitto e piano piano- ci ha cambiato le carte in tavola rendendoci a ogni buon conto la vita più felice. Spiegandoci gentilmente che, nella nostra epoca, il vecchio oggetto è diventato un “non prodotto”, per cui non dovremo più preoccuparci della sua funzionalità (ricordate la legge delle tre effe: Form Follows Function), bensì soltanto della sua dimensione affettiva e poetica (2). Secondo queste nuove prerogative, le nostre giornate iniziano come sempre all’alba, avvisati da una dolce melodia trasmessa della sveglia-radio “Coo Coo” che ci conferisce la giusta carica per alzarsi dal comodoso letto modello “Neoz”, non prima di aver acceso “Miss Sissi” (archetipo delle vecchie lampade a paralume). Per le consuete e non più monotone attività dedicate all’igiene personale ci rifletteremo nello specchio “Caadre” e useremo gli spazzolini da denti “Fluocaril” belli come le sculture di Brancusi dal segno estetico-formale che dialoga in perfetta sintonia con rubinetti e sanitari “Edition 1”. E dopo una ricca colazione a base di alimenti biodinamici “Oao” accompagnati da una salutare aranciata fatta con lo spremiagrumi “Juicy Salif”, il tutto apparecchiato sul funzionale tavolino “Miss Balù”, saranno le libere lancette dell’orologio da parete “Walter Wayle II” a indicarci che è giunta l’ora di recarci al posto di lavoro. Chiusa la porta della nostra abitazione (a proposito, che forma organica e oblunga la maniglia “Sesamo”), muniti della pratica borsa a tracolla “Fao” e degli occhiali da sole “Eyes Biosun”, saliamo sulla “Motò 6,5” (un prolungamento del corpo dove la tecnologia più moderna si coniuga a un’estetica senza tempo) consentendoci di arrivare a destinazione con puntualità, pur affrontando il caotico traffico cittadino. Giunti in ufficio anche questo ambiente ci riserva una gran quantità di radiosi prodotti. Il linguaggio del mago che trasforma in design tutto ciò che disegna si evolve tra divertissement come il cestino gettacarte “Colucci”, ironico quanto Note (1) Zanco F. (a cura di), “Design per fare lavorare il cervello” in Domus n.758, marzo 1994, p.31. (2) “Non conosco i concetti marxisti, ma sicuramente so che molti oggetti hanno perso la loro vera ragione d’essere, nel senso che sono divenuti dei parassiti, invece che degli oggetti d’uso e di servizio nel senso nobile, largo del termine. In altre parole, la gente suda sangue per acquistare oggetti generalmente inutili. Oggi il mondo degli oggetti è fatto di un 10-15% di effettiva domanda di servizio, al massimo, e di un restante 85% di merda, che ci asfissia. Il positivo si è trasformato in negativo, e così alla fine del XX secolo siamo arrivati a una società veramente materialista, che potrebbe anche essere interessante, se fosse cosciente del perché è così. Ma questa società non lo sa. La gente è incapace di conoscere la vera ragione dei propri acquisti: se la conoscessero, gli acquisti sarebbero diversi e si acquisterebbe di meno, e credo che questo comincerà ad accadere in un futuro molto vicino. (…) Ci sono molte cose da dire e io ho fatto una specie di riassunto, ma questo porta oggi all’idea di un obbligo etico nei confronti della moralizzazione della produzione”. Meneguzzo M. (a cura di), Philippe Starck Distordre, Electa/Alessi, Milano, 1996, p.9. (3) “Bisogna finirla con l’utopia suicida del design industriale, bisogna smettere di voler rendere belli gli oggetti utili. Abbiamo creduto ingenuamente che gli oggetti avrebbero potuto darci la felicità. Errore: non siamo affatto più felici. Al contrario: gli oggetti ci hanno asfissiato. Con l’età, mi sono detto che avrei tentato di correggere una storia di cui io stesso sono stato sicuramente complice”. Pierantozzi F. (a cura di), “Il Signore degli oggetti” in Liberal, novembre 1998, pp.80-83. (4) “Io sono un designer di mobili italiano, un progettista industriale tedesco, un architetto giapponese, uno scenografo americano, un direttore artistico francese. Di solito utilizzo i Paesi seguendo le loro capacità, le loro potenzialità; i mobili li faccio con gli italiani perché sono i migliori produttori del mondo; la libertà urbanistica la trovo solo in Giappone, quindi è il luogo migliore per costruire; il potere d’investimento americano è enorme e permette di creare scenografie piuttosto complesse. Io sono di origine francese, ma vivendo in aereo è come se fossi inserito perennemente in una società mondiale”. Carella I. (a cura di), “Eclettico Starck” in Modo n.221/222, agosto/settembre 2002, pp.43-47. Dall’alto in basso: sedia e tavolino “Lola Mundo”-prod. Driade Aleph_posacenere “Joe Cactus”-prod. Alessi_Marco Rosada con il telefono “Ola”-prod. Thomson e il libro “Philippe Starck”-edizioni Taschen_libreria “Mac Gee”-prod. Baleri Paolo Tutta con fermaporta “Dédé”-prod. Alessi_pubblicità per l’acqua minerale St Georges funzionale, al gioco delle memorie settecentesche rivisitate con le tecnologie moderne che ne ribaltano il significato come può evidenziarsi nel tavolino/sedia “Lola Mundo” dalle gambine inaspettatamente pressofuse e la texture del piano della seduta ritmata da borchie in gomma rosa che fanno il verso ai capitonnè di ben più paludate tradizioni. Per tenere ordinati gli articoli da cancelleria ci pensano gli eleganti “Stationnery: Secrets, Pensées, Gaieté, Liberté” portalapis e portalettere in bakelite colore bordeaux. Naturalmente, sul piano di lavoro non manca il telefono “Ola”, il posacenere “Joe Cactus” e il portariviste “Claudia Evangelista” e, a terra, mai dimenticare di posizionare la mitica figura fermaporte “Dédé”. Le spiccate connotazioni arredative della alare libreria “Mac Gee” e delle mascherate borghesi poltrone “Richard III” completano degnamente la work station finalizzata al massimo comfort e alla più corretta ergonomia. A conclusione della giornata “il Signore degli oggetti” non ci finisce di stupire dedicandoci ulteriori e mirabolanti articoli creati per il tempo libero. Per esempio, al calar della sera, fate indossare a vostra moglie il tubino mini “StarckNaked” (una sintesi tra un collant e un tubo lungo e stretto dal look sofisticato) e per trascorrere dei momenti indimenticabili, portatela a cena al snobbissimo ristorante londinese del St. Martins Lane (dov’è d’obbligo ordinare le famose reginette a doppio riccio accompagnate dallo champagne Jean-Pierre Fleury e dall’acqua minerale St. Georges). In conclusione, senza che noi ce ne accorgiamo, questi oggetti di buon design ci offrono qualità tutte le volte che li utilizziamo; hanno, in altri termini, cambiato la nostra vita. Per tutto questo il nostro più sentito ringraziamento va al world designer Philippe Starck dall’estro creativo molto abile nel disegnare i prodotti più diversi per le industrie più diverse per i mercati più diversi (3). All’unico grande talento del design francese in un paese di non-designer (4), figlio di un progettista aeronautico e capace di parlare al consumatore globale, la nostra rivista intende rendergli omaggio presentando una selezione di lampade, mobili, elettrodomestici, giocattoli, utensili da cucina, veicoli e vestiti che hanno consacrato la sua fama in tutto il mondo. Alessio Curto 9 10 Ambientazione “Axor Starck Shower Collection” prod. Axor/Hansgrohe - Courtesy Threesixty Microturbina eolica per uso domestico “Revolutionair” mod. WT1kW (Tripala), prod. Pramac 11 “Chiambretti Night” in onda su Italia 1. Ideazione e conduzione della trasmissione a cura di Piero Chiambretti, regia di Massimo Fusi. Dario Cavaletti ha concepito la scenografia del programma come un locale notturno sospeso tra fantasia e realtà, tra musica soul e parole in libertà; tra i tavoli del pubblico ha seminato le lampade “Miss Sissi”. Ph. Vincenzo Di Cillo - Courtesy Mediaset, Direzione Comunicazione e Immagine 12 In un edificio cinquecentesco affacciato sul Canal Grande (di fianco a Palazzo Grassi) nasce Palazzina Grassi, il primo hotel realizzato in Italia dalla genialità del poliedrico creativo francese. Cinque stelle, 16 camere e 6 suite apartment per una nuova filosofia di ospitalità voluta da Emanuele Garosci. Insieme hanno immaginato e creato un luogo unico, capace di racchiudere l’essenza della Venezia più autentica in un gioco di contrasti e armonie fra tradizione e modernità “LaCie Starck Desktop Hard Drive” e “LaCie Starck Mobile Drive” - Courtesy Text100 Srl ALLÔ, MONSIEUR STARCK Il culto del bel oggetto ha oramai raggiunto livelli quasi di feticismo: siamo assediati, circondati e aggrediti dal design a chilo per consumatori insaziabili. Ma non tutto è oro quel che luccica! Il novanta per cento del materiale in commercio è scarto, mal copiato e senza senso. La forma è la funzione diceva qualcuno; dal cucchiaio alla città aggiungeva qualcun altro. Certo, in una cinquantina d’anni (vedi la Storia del Compasso d’oro), tanta acqua è passata sotto i ponti della progettualità ma le buone intenzioni manifestate dai padri della disciplina hanno trovato pochi allievi capaci di non uscire dal seminato. Direte che siamo antiquati, bacchettoni e tradizionalisti ma non è vero! E per dimostrarvi il contrario abbiamo chiamato a testimoniare –a sostegno delle nostre tesi- nientemeno che il più geniale e innovativo designer del mondo: Philippe Starck. Chi meglio di lui, che ha disegnato qualsiasi tipo di oggetto per ogni grande marca e ha esposto nei più prestigiosi musei internazionali, può rendere evidente quanto l’atmosfera tecnologica ma anche estetica del nostro habitat dipendono dall’evoluzione di un design formalmente corretto. Dunque, un occhio all’eleganza e uno all’innovazione; questa è la metodologia vincente della star dei creativi, non tralasciando mai le linee guida del tema e problema a dispetto delle mode che scodellano sagome provocanti che nascono e si esauriscono nel breve spazio di una stagione. Dagli spremiagrumi ai palazzi, dagli spazzolini alle moto: non c’è casa al mondo postindustriale che non accolga un suo oggetto, vere e nuove icone del paesaggio domestico. Per poter capire meglio lo spirito guida di questo fertile costruttore francese, amante della musica rasta, dello champagne e del romanzo Ubik di Philip K. Dick, di seguito riportiamo una breve intervista raccolta da Gabriella Dorligo, qualche tempo fa, a Milano. Cosa pensi dei problemi di comunicazione del mobile? L’architettura e il design sono mezzi dei mezzi di espressione e, come tutti i mezzi di espressione, come tutti i vettori, devono essere comunicati perché è la loro finalità. Vale a dire che l’oggetto non ha nessuna importanza come oggetto. Esso ha solamente importanza come veicolo di espressione, come mezzo di comunicazione: è un sinonimo. Tutto deve essere mezzo di comunicazione. Bisogna che l’architettura sia mediatrice, così come il design. Più l’oggetto e più il suo mezzo di comunicazione si comunicano, più il messaggio diventa una forte espressione morale. Come consideri l’aspetto decorativo delle cose? Ti rispondo subito. Per me è tutto uguale: un edificio o un interno, nulla è cattivo. Qual è l’impostazione progettuale che preferisci? Non mi pongo il problema. Tutto va bene dal momento che è fatto bene e che vuole dire qualcosa. Quali sono i tuoi progetti futuri? Ce ne sono 123 e allora è un po’ lungo da dire. Ma il progetto più interessante è un immobile che stiamo costruendo in Giappone e che forse potrà cambiare qualcosa nell’architettura. Ti piace il design italiano? Certamente, altrimenti non sarei qui! Con ciò voglio dire che parlare di design italiano è una sorta di pleonasmo, perché il design è soprattutto italiano e, per quanto mi riguarda, io sono spesso in Italia. 13 VIAGGIO IN PORTOGALLO Conversazione con Nanni Strada a cura di Beatrice Mascellani, giugno 2009 Fotografie e disegni tratti dall’archivio di Nanni Strada (ANS) Fotografie e progetto grafico di Alessio Bozzer e Beatrice Mascellani Nanni Strada e la moda. Credo che questa sia la terza intervista che mi concedi e di questo te ne sono molto grata. Dal 1970 inventi modi di vestire e disegni collezioni per importanti ditte. Progetti col tessuto ma non sei assolutamente una stilista, non sei legata alla moda e alle mode. Al contrario, con i tuoi vestiti sposti l’attenzione dal dettaglio del corpo all’insieme. Come hai trovato la chiave che ti ha permesso di ridefinire il rapporto tra l’abito e la persona, in termini di rispetto della stessa? Non ho vissuto la moda nel senso più coerente con le sue origini e linguaggi, ho seguito il mio percorso tenendomi 14 cautamente distante dal suo DNA e dall’ambiente moda nel suo insieme; non per snobismo ma per naturale predisposizione e interesse per le persone e per le cose. Mi interessano i processi produttivi, sono attratta dalla materia e da tutti i modi per trasformarla e produrla, sono più “disegnatrice”, nel senso che mi piace molto disegnare così come so fare istintivamente più che creare delle “toilettes” o delle “mode”. Non mi interessano gli aspetti comportamentali della moda e non amo soprattutto quelli “indotti”, di massa. Le mode di massa e i loro comportamenti, soprattutto quelli più deteriori, portati avanti dagli stilisti e dai media mi fanno orrore. La moda avrebbe bisogno ora di tornare al modello di eleganza del comportamento, a modelli cioè più creativi, più vicino a delle posizioni da outsider, come la mia amica Isabel Toledo, una creatrice di moda di origine cubana che ibrida la sua cultura con l’alta moda europea anni ‘50 e con la moda americana delle comunità di colore. Abbiamo bisogno di “meticci”, forse non ci possono salvare ma ci danno comunque una mano, uno stimolo culturale fresco. Il viaggio A proposito della multiculturalità di cui parli, ricordo che hai avuto l’occasione di lavorare in Paesi con realtà molto diverse tra loro: Libia, Cina, URSS, Portogallo, Giappone, senza contare Pagina a fianco: preparativi per la “Festas de Lisboa” nel quartiere dell’Alfama, dove il piatto tipico sono le sardinhas alla griglia. 2009 Primo negozio Nanni Strada in Portogallo. Sul piano della vetrina si può vedere la cesta tipica di produzione artigianale trasformata laccata per i negozi Nanni Strada. 1984, ANS fuori dal sistema moda più tradizionale L’arrivo nei porti, Santos, Rio, Montevi- L’avventura era per me la scoperta in (Cina 1978 e URSS 1984). deo e poi Buenos Aires per me che totale libertà delle grandi sale da pranzo Il viaggio è una condizione alla quale mi venivo da un “piccolo mondo antico” e e da gioco dove si faceva della musica al sento l’abbandono protettivo, Bellagio, sul lago di Como, pianoforte e al bar per passare il tempo; dell’abitudine, degli obblighi quotidiani, sono stati l’incontro con l’esotismo, con su e giù per le scale che collegavano i il senso di libertà, l’imprevedibilità delle la diversità, con la dimensione “grande” e ponti della prima, seconda e terza classe situazioni alle quali si aggiunge la la vastità dei luoghi alla quale il mio isolate dal ponte di comando. curiosità per le cose nuove e soprattutto occhio si è abituato e che mi ha reso L’attesa dell’arrivo nei porti era eccitante il vivere in un ambiente totalmente molto difficile al rientro riadattarmi alla dopo la traversata e la scoperta di posti impersonale come l’albergo. vecchia Europa e all’Italia in particolare. mai immaginati prima e un po’ simili a Essere sola e avere il tempo di pensare a Buenos Aires, l’Argentina e tutto il Sud quelli descritti nei libri di Salgari che me stessa al contrario di quando sono a America non conoscono la dimensione aveva a casa la mia nonna. casa e sempre troppo attiva. provinciale; il meticciato e la multicul- Il premio finale: Buenos Aires, la città più L’imprinting mi è stato dato a sei anni turalità sono invece la caratteristica più affascinante del continente sudameri- con il viaggio per mare da Genova a diffusa e peculiare di ciascun paese. cano. Buenos Aires su una delle prime navi che La del Il viaggio è diventato così una partivano dall’Europa insieme a persone viaggio risale a quei giorni di traversata condizione familiare pur nella sua un po’ di tutte le provenienze. dell’oceano sul transatlantico che era un precarietà anche nelle situazioni più Il viaggio verso una nuova vita in un luogo galleggiante, un’isola, dove i critiche; materia da elaborare, arric- paese grande, ricco e diverso, non passeggeri diventavano isolani, molto chimento a cui attingere. viaggio turistico ma di “avventura”, è coesi anche se partivano da sconosciuti stata la prima occasione per assaporare (l’oceano non è il Mar Mediterraneo, emozioni ed esperienze che mi hanno blu-celeste, ma blu-verde, la luce è lasciato un segno positivo indelebile. accecante e l’orizzonte è cielo e mare). l’Italia, riuscendo sempre a portare una ventata d’aria fresca attraverso i tuoi progetti. Viaggiare è per te sicuramente una condizione molto favorevole per creare. Quando è nata questa tua predisposizione? Non c’è stata intenzionalità. In tutte le occasioni che ho avuto di visitare luoghi nuovi sono state piuttosto le circostanze stesse che mi ci hanno portato, fin dalla mia prima infanzia, quando mio padre decise di andare, nell’immediato dopoguerra, in Argentina che fu per me la fortunata occasione di conoscere quel grande paese e di trascorrervi la mia felice infanzia. In seguito furono le circostanze di lavoro, committenti e aziende che mi hanno portato in altri luoghi; ho trascorso lunghi periodi in Portogallo, in Giappone e anche in paesi “esotici” e predisposta: scoperta della dimensione 15 “Tutto si piega” vestiti e accessori pensati e trovati per far parte delle collezioni degli abiti da viaggio. Anni ‘90, ANS 16 L’esperienza portoghese Vorrei parlare di un paese che è stato per te una scoperta dal punto di vista lavorativo ed umano: il Portogallo, nel quale sono appena stata. Nel 1984 un giovane imprenditore ti invitò a creare una catena di negozi di abbigliamento da te disegnato e col tuo nome come marchio e questa esperienza durò sei anni. In uno dei nostri incontri hai detto: «Il Portogallo è un paese molto colto, cosciente della qualità delle cose -come i giapponesi- del cibo, del servizio. È una qualità -se vuoi- aristocratica ma insegna a chi non può qualche cosa». Tu come ricordi il Portogallo di 25 anni fa? La mia esperienza portoghese è stata soprattutto affettiva per la conoscenza delle persone in un momento che preludeva a un nascente periodo di benessere e al cambiamento da paese chiuso e isolato in se stesso alla scoperta del continente al quale apparteneva e dal quale era stato isolato per un lungo tempo. Un paese atlantico molto legato al proprio grande passato e per ciò con un senso di esotismo coloniale inconscio ma presente in molte manifestazioni, Bambini all’asilo con il tipico grembiule. Anche le maestre indossano la stessa divisa colorata. Evora. 2009 Nanni e l'uniforme. Nanni con sua sorella Isabella nel girono in cui ha ricevuto il premio della fascia-bandiera. ANS anche quotidiane: dal cibo all’architettura fantastica, fatta di pietra grigia e severa e di forme leggiadre e rischiarate dalla maiolica brillante e blu degli “azulejos”. Un mondo antico nel quale permanevano abitudini antiche: i campi e gli orti al bordo dell’oceano erano concimati con le alghe trasportate sui carretti, il pesce pescato era portato in testa, con le ceste, dalle donne delle località periferiche di Porto. Non ho vissuto la Lisbona “turistica” e monumentale, ma la quotidianità dei luoghi periferici, dei piccoli paesi del nord, della Sierra de Estrelha dove andavamo a produrre vestiti, maglie, borse, tessuti e tutto ciò che serviva ad alimentare un sistema distributivo, undici negozi di successo in tutto il paese. L’inverno atlantico era umido e fiorito e la vita lavorativa eccitante e stimolata dalla realizzazione del progetto che si andava attuando per me, per il mio committente, per i portoghesi avidi di novità ma innocenti (non ancora consumatori globalizzati). La giornata passava tra un intenso lavoro e pranzi e cene favolose sempre a base di pesce mariscos e del riso più buono che si possa mangiare nell’Europa intera. Questo paese è stato per me un grande amore. Progetto e luoghi Una volta mi hai detto: «Nasce tutto dall’osservazione: io vedo dove altri non vedono. La molla è la curiosità di capire come sono fatte le cose, il gusto della scoperta. Il processo è trasformare e saper vedere le risorse. Poi quando ho ben chiaro il progetto sono molto pragmatica, però c’è sempre questo inizio legato al cambiamento». Potresti raccontarmi se il Portogallo, in cui hai detto di avere vissuto il periodo forse più felice della tua vita creativa, ti ha aiutato in questo processo? Non più che in altri luoghi. Il Portogallo è stato un’esperienza più profonda perché più prolungata e ravvicinata ma non più del Giappone dove sono andata per periodi più brevi ma più a lungo e cioè dal 1980 fino alla metà degli anni ’90 e ancora adesso. Il Portogallo è stato più determinate per il progetto perché attingevo a risorse produttive artigianali, autoctone e perché il progetto era legato al mio nome e al mio marchio. 17 Foto dei tram della linea tramviaria che percorreva l'Avenida de Boavista a Porto con la pubblicità del negozio Nanni Strada. 1984, ANS Una tipica casa nel quartiere popolare Ribeira a Porto. 2009 Bambini che giocano a calcio in un campetto improvvisato di fronte ad una casa con le tipiche piastrelle. Quartiere Ribeira a Porto. 2009 Avevo a disposizione laboratori di produzione industriale, di maglieria, confezioni di felpe, di camiceria ma anche di produzione manuale e artigianale. Così approfittavo di queste opportunità in maniera molto sperimentale e creativa. Ricordo che i controllori di qualità delle marche svedesi che venivano a far produrre in Portogallo non volevano credere che quelle maglie e quei vestiti fossero stati realizzati da quegli stessi fornitori coi quali si confrontavano quotidianamente. Forse il fatto di essere donna e di parlare la loro lingua, oltre che al loro coinvolgimento al progetto, mi aveva favorito nei rapporti con i produttori ma mi aveva anche aiutato la popolarità derivata da una campagna promozionale del mio nome sui giornali locali e alla televisione che mi aveva trasformato in un personaggio “popolare” come un calciatore della squadra di Porto. L’uniforme A proposito dell’amore dei portoghesi per il calcio e per i calciatori (non esiste taverna che non abbia la tv accesa su un campo verde o piazza che non abbia bambini che giocano a pallone), vorrei parlarti della divisa, a partire da quella scolastica. Ho notato che tutti i bambini portoghesi indossano un grembiule a righe con eleganti rifiniture colorate; 18 “Tutto si piega” i famosi Torchon abiti da viaggio. Anni ‘90, ANS Dal giornaletto del collegio Nanni a 9 anni. ANS del “saper fare”, tutto ciò che sappiamo fare in termini di qualità originale e di valore che è stata la base del nostro successo. Per questo incito i giovani studenti a ricercare non solo sulle fonti alle quali tutto il mondo ha accesso (leggi internet) ma alla fonte originale, laddove puoi arrivare solo grazie alla testimonianza diretta, tangibile, di coloro che hanno aperto la strada al successo italiano in settori diversi e trainanti. In Italia, invece, vengono via via aboliti e, dove presenti, si tratta di divise incolore ma rigorosamente griffate (in contrasto con il senso di appartenenza ed uguaglianza che la divisa, se non per meriti acquisiti, deve infondere). Puoi spiegarmi quando dici: «Se ben disegnata, (la divisa) è una forma di costrizione ma di fatto è di grande libertà ed egualità»? C’è in giro per il mondo un grande dibattito su cosa sia più mortificante per una donna: se il velo come imposizione o la nudità e l’esibizione come “svalorizzazione”. Questo è un fatto politico, non di costume. Il maschilismo dei nostri leader è pari al bieco fanatismo dei mullah, non vedo differenza. Venere esibiva la sua bellezza nuda, non provocava. Nelle immagini dei grandi fotografi anni ‘40-‘50 le modelle più belle e sofisticate celavano lo sguardo attraverso la veletta, un accessorio demodé, in una forma di seduzione consapevole e sottile. Non c’è bisogno di mortificarsi, bisogna essere consapevoli delle proprie libertà. L’uniforme o divisa è un indumento che esprime nello stesso tempo regola e costrizione: privandoti della scelta personale ti sottrai al giudizio altrui dandoti libertà. L’uniforme del mio collegio in Argentina mi dava l’orgoglio dell’appartenenza a una comunità di allieve della scuola bellissima che frequentavo. Il progetto oggi Per concludere questa breve conversazione su un paese che fino a pochi decenni fa era molto indietro a livello di sviluppo, a me è parso che oltre alla consapevolezza di possedere una grande cultura, i portoghesi siano riusciti a salvaguardarla, ammodernarla e renderla fruibile attraverso sforzi magari anche piccoli ma continuativi. Un segno evidente di rispetto per le cose e le persone. In Italia non vedo questa lungimiranza. Nanni Strada La sua carriera inizia negli anni ‘60. Lo spirito innovativo e l’approccio al progetto la portano a realizzare alcuni pezzi storici: i primi sandali in plastica ad iniezione (1967 per Fiorucci); la collezione “Sportmax”, per Max Mara, ispirata dalla ricerca sugli abiti orientali e dalle letture e lo studio dei testi dell'etnografo tedesco Max Tilke; i capi della collezione “Oriente e Cina”, abiti bidimensionali, venduti in confezioni geometriche con un nuovo utilizzo del colore. Nel 1970 la ricerca sulle tecniche di calzetteria le permettono di progettare il primo abito al mondo senza cuciture. Questa ricerca sarà alla base di tutto il suo lavoro futuro che le porterà, nel 1979 il Compasso d’Oro. Progetta negli anni ‘80 e ‘90 i primi “vestiti da viaggio”, plissettati e comprimibili, o alle gonne “Pli-plà”, pieghevoli come matasse. Oggi più che mai c’è bisogno di progetto. I giovani ne sono consapevoli e quelli che io incontro sono preparati. Purtroppo non lo sono altrettanto coloro che dovrebbero dirigere il paese a livello strategico-politico e di conseguenza siamo costretti al “fai da te”. Ciò che dobbiamo assolutamente difendere è il patrimonio e la capacità 19 20 I I n t t e r Intervista a Franco Jesurun, direttore della sezione arti visive del Comitato Trieste Contemporanea. (Trieste, dicembre 2009). I n I I N r 21 21 22 24 25 DISEGNO COME AUTORITRATTO (con dedica nascosta) Naturalmente di tutti questi miei disegni pubblicati ora da Juliet quello che preferisco rappresenta un oggetto non realizzato, un gioiello: un grande collier che vorrei far fare per una giovane donna, che ha in effetti un collo abbastanza lungo, su cui si adatterebbe molto bene questo lungo disegno. Il disegno è fatto con il vecchio trucco della simmetria, che rende molto facile disegnare oggetti “belli”. Sappiamo che la vista umana si trova meglio con le forme simmetriche, anche perché buona parte della natura e degli esseri viventi è fatta proprio così, a parte qualche buffa stella marina o altri strani animali. Sappiamo anche che da diverso tempo la simmetria non va più tanto, che i modernisti - molto formalisti - avevano deciso che era meglio l’asimmetria. Ricordo bene però che quando ho fatto vedere questo disegno di sfuggita, le è piaciuto molto: così spero di trovare il tempo per andare da un gioielliere e far realizzare - per lei, solo per lei - il collier. Oppure potrei regalarle semplicemente il disegno, perché si sa che a volte un disegno può benissimo sostituire un oggetto, molti oggetti. (Sarà per questo che preferisco collezionare disegni, invece che oggetti?) E in fondo davvero è l’idea dell’oggetto quella che conta, non tanto l’oggetto stesso: l’idea che corrisponde al disegno, o almeno gli corrisponde in quella visione, per così dire pre-istoricotecnologica, che ancora conservo del progettare come atto di volontà intellettuale. Non saprei neppure da che parte cominciare per disegnare qualcosa con un pc, laptop o altro: va molto bene così, se serve mi possono aiutare, mi aiutano, persone più giovani e più brave di me a usare le macchine. Come uomo nato nel passato, e che in parte continua a viverci con una certa soddisfazione, mi piace pensare di portare nel futuro – meglio, il futuraneo, cioè il futuro contemporaneo che è già qui, oggi – questa idea non nuovissima, anzi piuttosto antica: il disegnare a mano, con pennelli, pennarelli, biro e/o matite è già un modo di inventare il mondo, di farne l’autoritratto con dedica, magari nascosta, alla bellezza di cose e persone, vere o solo immaginate, che fanno parte dell’esistenza – l’unica che ci è dato avere e come tale vale la pena di vivere, in modo esclusivo e originale come è ciascuno di noi, come lo è ogni nostro disegno. Collier per donna dal collo lungo, 2000 Stefano Casciani 15 ottobre 2009 26 Slogan ascensionali con vasi da fiori (progetti d’arte 1993/2010) DISEGNO COME AUTORITRATTO (con dedica nascosta) 27 DISEGNO COME AUTORITRATTO (con dedica nascosta) 28 Lampada a luce diretta/indiretta per ufficio, 1998 DISEGNO COME AUTORITRATTO (con dedica nascosta) 29 Studi per diffusori Ballerina su lampada Lu-Lu, 1995 DISEGNO COME AUTORITRATTO (con dedica nascosta) 30 Tappeto Teorema dei Quattro Colori, 2004 DISEGNO COME AUTORITRATTO (con dedica nascosta) 31 I L S E G N O Il numero zero di Juliet art magazine ha visto la luce nel dicembre del 1980 e, quindi, sulle spalle si porta ben trenta anni di attività. Il logo fu scelto da Oreste Zevola, un bravissimo artista napoletano (i suoi disegni sono stati pubblicati da testate come Liberation, The New Yorker, Wall Street Journal, Washington Post e da riviste delle edizioni Mondadori, Times, Forbes e Bloomberg) che in quegli anni risiedeva a Trieste. Egli, messo di fronte alla difficoltà di dover competere con tante testate storiche, come Artforum, Kunstforum o Flash Art, che sempre anteponevano l’austerità del lemma ‘arte’ alla fantasia interpretativa, scelse un nome che ambiguamente potesse collocare la rivista su una linea sconfinante nel campo della moda, del fumetto o del design. Bisogna confessare che negli anni questa intuizione ha retto molto bene, avvicinando a “Juliet” le simpatie del grande pubblico, forse un po’ meno ha incontrato la disponibilità della critica baronale e paludata che ritiene questo nome un po’ troppo allegro e scanzonato. Comunque, questo esperimento è risultato essere faccenda anomala per la città di Trieste, ma senz’altro consistente, dato che 30 anni non sono uno scherzo, e visti un po’ più da vicino, significano centoquarantanove numeri di una rivista diffusa in Italia e all’estero; una lunga serie di edizioni speciali; un supplemento annuale dedicato alla fotografia; un nutrito numero di cataloghi e pubblicazioni; circa ottanta mostre organizzate con artisti italiani e stranieri (tra i quali figurano nomi di rilievo internazionale come Aldo Mondino, Silvio Merlino, Luigi Ontani, Jan Knap, Piero Gilardi, Mark Kostabi, Claudio Massini, Antonio Sofianopulo, Enrico T.De Paris, Aldo Damioli, Giuseppe Desiato, Kocheisen+Hullmann, Oreste Zevola, Oliviero Toscani e Maurizio Cattelan); innumerevoli oggetti promozionali, come t-shirt e piastrelle, calendari e manifesti. Tutti risultati ottenuti grazie anche alla continua collaborazione di artisti, galleristi, critici, e di molti di coloro che operano attivamente non solo nell’arte ma nell’intero panorama culturale italiano. Risultati che non paiono tuttavia essere stati sufficienti a raccogliere l’attenzione del milieu culturale cittadino, piuttosto lento a sostenere azioni non segnate dai crismi dell’ufficialità. Ma, come si sa, nemo profeta in patria, nel senso che le istituzioni pubbliche non hanno sostenuto l’attività editoriale e promozionale della rivista Juliet nella maniera che ci si potrebbe aspettare. Per esempio, l’Amministrazione della Regione Friuli Venezia Giulia, a partire dal bilancio 2004, ha interamente tagliato il finanziamento per l’attività editoriale a favore dell’associazione Juliet, ritenendola non pertinente. D’altra parte, il direttore della testata, Roberto Vidali, non ha mai paura di dichiarare, con una certa durezza, che Trieste “è sempre stata una città capace di offrire falsi modelli cul- turali e di sprecarsi in maniera eccessiva per progetti fuorvianti. La constatazione che taglia la testa al toro è questa: come mai l’intellighenzia di questa ridente città di mare (proprio quella che pretende di discettare su Saba, Svevo, Joyce e Stuparic) non è stata mai capace di portare a Trieste una bella rassegna di Mario Merz o di Francesco Clemente? E perché nelle collezioni triestine è impossibile trovare un’opera di Maurizio Cattelan o di Jeff Koons? Chi presume di sapere già tutto non vuole fare la fatica di informarsi e di relazionarsi con le altre iniziative, giacché ogni rapporto nuovo potrebbe far sorgere il rischio di una messa in discussione totale, cosicché si preferisce vivere nel pregiudizio o nell’indifferenza più totale. Non cattiva volontà, quindi, bensì condizione oggettiva che spinge il pedale in questa direzione”. In ogni caso, al bisogno ‘giocando fuori casa’, questa incredibile attività editoriale -di indefessa promozione dell’arte contemporanea- e poi proseguita anche a favore di altre discipline della comunicazione visiva come l’architettura, la fotografia e il design. Quest’ultimo settore d’indagine ha dato addirittura il via alla registrazione, nel 2008, di Juliet design magazine per volontà della Garavello Editore di Arona (No). Il passato e il futuro così si intersecano e tracciano il sogno del segno: “Anche se diverse possono essere le conseguenze del viaggio, una sola è la molla che spinge l’uomo ad abbandonare il luogo noto per quello ignoto: è il malessere dell’esistenza che conduce al desiderio d’avventura. E l’avventura, quando è davvero buona avventura, conduce sempre al fascino della scoperta: si può scoprire un corpo di donna, le rovine di un monumento circolare, gli occhi della tigre nel folto della giungla, l’albero conficcato al centro del mondo. Parimenti, all’interno di questa geografia sconosciuta, i progetti cartacei di Juliet attuano un viaggio senza fine tanto da diventare viaggio e compagni di viaggio”. E allora, ritornando alle tematiche approfondite dal n. 3/4 di Juliet design magazine, mettiamo in atto queste linee di condotta e, nelle pagine successive, proviamo a disegnare un percorso di esperienze progettuali manifestate attraverso l’utilizzo di varie tecniche esecutive. Un insieme di linguaggi nato da abbinamenti non casuali ma neanche troppo obbligati da percorsi cronologici, critici o commerciali. Così facendo desideriamo invitare il lettore ad esercitare la libertà di pensiero critico applicando letture personalizzate tuttalpiù accompagnate, per chi desidera, dai lemmi estratti dalla piccola enciclopedia redatta da Roberto Vidali e intitolata “Mamma vogghiu fa’ l’artista. Vademecum del giovane Birimbozzo”, pp. 112, Juliet Editrice, 2007. Buon divertimento. Dall’alto in basso: cover Juliet art magazine n. 3/4 di Oreste Zevola, 1981; n. 67 “Hands Around” di Mark Kostabi, 1994; n. 113 “Alter” di Neo Rauch, 2003, courtesy Galerie Eigen+Art-Berlin DEL SOGNO 32 DEL SOGNO abbonamento soldini che bisogna versare con scadenza annuale o biennale per sentirsi aggiornati. L’abbonamento può essere alla tivù, a una rivista di settore o a un web-magazine. L’importante è ricordarsi di rinnovarlo. allestimento insieme delle operazioni necessarie per preparare un percorso espositivo. Può essere progettato dall’artista, dal curatore o da un architetto. caricatura il termine comprende espressioni figurative che vanno dal comico alla satira, dalla critica di costume a quella politica. La caricatura deliberatamente manipola e deforma il dato oggettivo e là dove gli artisti manipolano a loro uso e consumo i dati della realtà diventano una pallida caricatura di sé stessi proprio perché da questa ne risultano imprigionati. fax apparecchio antidiluviano per la ricetrasmissione di documenti tramite la rete telefonica. È stato soppiantato dallo scanner e dal computer. firma piccola traccia (sigla o grafia estesa) che l’autore appone (davanti, dietro, di fianco) sull’opera per autografarla o per confermarne l’autenticità. fumetto nei paesi anglosassoni i fumetti sono indicati come comics, in Giappone vengono chiamati manga, in Francia sono chiamati bande dessinée. Il termine in oggetto si riferisce alle nuvolette utilizzate per riportare il dialogo tra i personaggi (detti in inglese balloon). Il fumetto è un linguaggio costituito da più codici, tra i quali si distinguono principalmente quelli d’immagine e di temporalità. Curiosamente il fumetto, nato per gli adulti, diventato poi territorio per l’infanzia, è quindi tornato a essere patrimonio di una fascia non esclusivamente giovanile. geometria da sempre, con la geometria, gli uomini hanno cercato di ingabbiare il mondo, scoprendo o inventando regole che lo potessero contenere, fino ad arrivare alla definizione di schemi di organizzazione formale che caratterizzano le opere architettoniche e figurative in generale. In particolare la geometria descrittiva è un codice linguistico che riguarda la rappresentazione grafico-progettuale del mondo reale, secondo determinate norme UNI. All’opposto, le teorie dei grandi numeri, le leggi del caos, il principio di complessità, le geometrie non euclidee, gli algoritmi, l’uso dilagante dei processi digitali, spesso rendono difficile la lettura delle regole compositive che sottostanno alla costruzione dei più recenti monumenti architettonici. globalizzazione rapporto di relazione e integrazione tra mercati e strutture produttive di tutto il pianeta. Il sistema delle telecomunicazioni e dell’informatica ha favorito il processo, ma l’istinto di guadagno ne è stato il motore principale. Le conseguenze per l’arte contemporanea sono molteplici: varietà delle proposte estetiche, apertura di nuovi mercati, dilatazione delle possibilità espositive, elaborazione di nuove strategie organizzative. graffito segno inciso su una superficie di pietra, metallo o ceramica. Oggi, però, si parla di graffiti anche a proposito di tag o immagini realizzate con lo spray su muri o vagoni ferroviari. Il movimento ha preso corpo, tra gli anni Sessanta e Settanta, nelle zone degradate del Bronx, come espressione spontanea e popolare. Cutrone, Basquiat, Haring I L Dall’alto in basso: una originale richiesta di abbonamento inoltrata a Roberto Vidali, dir. Juliet art, da Maurizio Cattelan, 1990; rendering allestimento mostra “Sant’Anna di Stazzema. 12 agosto 1944. I bambini ricordano” di Oliviero Toscani alla Risiera di San Sabba-Trieste, 2004; caricatura del dir. resp. Juliet design di Alessandro Bonin; congratulazioni per il 20° compleanno di Juliet inviate via fax da Maria Teresa Venturini Fendi/Fendissime-Roma, 2001 hanno avuto un passato graffitista, anche se anomalo. Si veda anche: public art. kitsch tendenza o oggetto di cattivo gusto che trova nel supermercato il luogo della sua massima esaltazione. Di regola il kitsch non sta nella cosa in sé, bensì nell’uso (modificato e mercificato) che si fa del prodotto originario. Così per la gondola/ soprammobile di plastica scadente che si vende ai turisti, così per il David michelangiolesco ridotto a quindici centimetri di altezza. Secondo Abraham Moles, il kitsch “è il modo estetico della quotidianità; esso rifiuta la trascendenza e si stabilisce nella maggioranza, nella media, nella distribuzione più probabile”. Si veda anche: ornamento. mestiere dell’artista indica chi esercita, per scelta di vita, una o più discipline artistiche. Ritenersi artisti è una grande responsabilità, ma quando la si assume significa portarne per intero il peso sulle proprie spalle e la colpa di essere nati con questo marchio nel profondo della propria coscienza. modello in architettura è sinonimo di plastico e indica una costruzione tridimensionale che in rapporto scalare riproduce il progetto da realizzare. ornamento una volta era un delitto (A.Loos), oggi, chi lo desidera lo mette in mostra senza paura alcuna, poiché, come è già stato detto, dall’inutilità si trae un nuovo senso etico. Ricordiamo anche gli slogan: “less is more” (Mies van der Rohe) e “less is bore” (Robert Venturi). pubblicazione aziendale più è grossa, pesante, patinata, cartonata, con colori extraquadricromatici e più rivela una reale circuitazione di denaro; più è striminzita e più denota il vojo ma no posso. public art trattasi di interventi d’arte (provvisori) realizzati nello spazio urbano e fatti per lo più per coinvolgere il pubblico. Opere spesso non “da vedere, ma da agire” (Roberto Pinto). Enrico Crispolti, ancora negli anni Settanta, parlò di “Ambiente come sociale” e nel 1976 ci firmò persino una Biennale. (auto) ritratto è quell’immagine che l’artista vuole dare di sé ai posteri, non solo come tratti fisici ma anche come impellenza (o impotenza morale). Agli altri, quelli che vengono dopo, tutto quello che serve è un buon fotografo. schizzo precede l’abbozzo e viene eseguito con rapidità. Non si usa la “pompetta”, ma pennello, matita o simili. simbolo unione di significati discordanti e di segni contrastanti e/o complementari. Esempi: la croce, la ruota, l’ottagono, la tetraktys, ecc. Come sostiene Guénon, i simboli sono “valori universali” e inventarne di nuovi non avrebbe senso alcuno. Oggi, per ben che vada, si possono progettare marchi e loghi. studio preparatorio rappresentazione particolareggiata di una composizione o di una sua parte, eseguita da un artista per essere sicuro di realizzarla correttamente nell’opera definitiva. Si diversifica dallo schizzo preparatorio per la maggiore accuratezza. wunderkammer [s.f. ted., propriamente vuole dire “camera delle meraviglie”] il vocabolo indica quegli insiemi di armadi seicenteschi dove le persone di censo altolocato raccoglievano oggetti strambi e rari (veri, falsi o presunti) biologici, mineralogici e simili. S E G N O I firma In occasione della mostra “Caffè Espresso. La caffettiera in architettura e poesia” realizzata dal Museo Alessi negli spazi espositivi del Museo d’arte moderna “Ugo Carà” di Muggia (TS) Riccardo Dalisi, oltre a presentare le sue ricerche e divagazioni sul tema della caffettiera napoletana, lascia una traccia del suo passaggio autografando un catalogo dell’iniziativa II fumetto “Ha scritto un critico d’arte che Guido Crepax disegna la sua pagina come un tutto unico, come un architetto progetta la pianta di un edificio. Affascinato dalla complessità del suo linguaggio grafico e dalla novità del montaggio, il designer Giuseppe Canevese chiese, alcuni anni fa, un incontro con il Maestro. Era nata, in quell’occasione, l’idea di trasformare le pagine disegnate dei suoi libri in oggetti tridimensionali: i mobili a fumetti”. Così scrive Luisa Crepax nel catalogo Valentina, la donna è mobile, serie di mobili prodotta da ennezero – Pordenone (in questa pagina il contenitore con tre ante “Valentina nel metró”) III geometria 1910-2010: in concomitanza con le celebrazioni per il centenario della nascita del Futurismo e l’uscita del volume Camparisoda. L’aperitivo dell’arte veloce futurista (Corraini Edizioni), proponiamo il piano ortogonale con quotature della bottiglietta Campari Soda, progettata nel 1932 dal pittore futurista Fortunato Depero e realizzate dalle Vetrerie Bordoni di Milano. Courtesy Gruppo Campari – Milano IV globalizzazione “World Expo 2010 is the occasion for China to bring the world at home, and for the world to feel at home in China”. Così recita lo slogan che apre la pagina web www.chinatouristmaps.com dove è possibile scaricare anche il diagramma qui riprodotto e relativo alla mappa che localizza il sito dell’Esposizione Universale di Shanghai V graffito (v. anche public art) Una delle installazioni realizzate su cassonetto per rifiuti differenziati da Gabriele Demarin e intitolate “Yellow Cat”, 2006 VI kitsch (v. anche ornamento) “Yoyomaker Plate” è un servizio da tavola prodotto dalla londinese Yoyo Ceramics e decorato con elementi riconducibili a una mini-storia del disegno industriale. ‘In esposizione’ Marc Newson - Dish Doctor (Magis 1997), Michael Graves - Bird Whistle Kettle (Alessi 1985), Verner Panton - S Chair (Vitra 1968), Helen Johannessen - Butter Dish (Yoyo Ceramics 2004), Phillipe Starck - Juicy Salif (for Alessi 1990), Nokia 6110 (1998), Braun Multipractic (1983), Anthony Dickens - Fifty (Anglepoise 1997), Apple Ipod classic (2007). Bon appetit! VII mestiere dell’artista Nel 1992 prende il via da Illy Caffè l’operazione “Illy Collection” che ha commissionato a Matteo Thun la progettazione di una nuova forma di tazzine da bar, decorate da un gruppo di creativi da lui coordinati. Le prime sei tazzine denominate “Arti e Mestieri” sono firmate dallo stesso Thun, Maurizio Cagnelli, Cosimo Fusco, Luca Missoni, Francesco Illy e Paolo Cervi Kervischer. Quest’ultimo, pittore allievo di Emilio Vedova, dopo il nudo “Tunji” (v. acquerello originale posizionato alle sue spalle) ha realizzato anche la serie “Basket Play Ground” del 1996 e qui riprodotta nelle sei versioni ‘fuori serie’ VIII VIII modello 1979 – 2010: sono passati 31 anni dall’approdo sulla Punta della Dogana del “Teatro del Mondo” di Aldo Rossi per la Biennale della I Mostra di Architettura. Dell’edificio, impostato su travi di ferro saldate sul piano di una zattera, che ha una altezza complessiva di 25 metri, l’editore olandese Accademia boekhandel Delft ha prodotto un kit del modellino in scala 1:100 ideato da Onno A. van Nierop. Pubblichiamo l’esploso che evidenzia le istruzioni per il montaggio (Per la foto courtesy La Biennale di Venezia a seguito della recente mostra curata da Maurizio Scaparro: “Il Teatro del Mondo edificio singolare. Omaggio a Aldo Rossi”, Portego di Cà Giustinian) IXIX pubblicazione aziendale Il designer indiano Sahil Bagga ha firmato la cover della pubblicazione per Cappellini di Mariano C.se (Como). Una nuova visione per un pianeta verde a favore del marchio nato nel 1946, guidato da Giulio Cappellini e oggi inglobato nel gruppo Poltrona Frau, leader internazionale nel settore dell’arredamento di alta gamma con Cassina, Gebrüder Thonet Vienna, Gufram e Nemo X (auto) ritratto “Se si considera la funzione di una cosa, la forma arriva a volte per conto suo”. Questa la lezione trasmessa dal Professor Ferdinand Alexander Porsche che ci proviene dai laboratori del Porsche Design Studio (fondato a Stoccarda nel 1972 e due anni dopo trasferito a Zell am See in Austria). Courtesy Porsche Design Group XI schizzo Alessandro Veralli, “Cube”, 2007 prod. Lagostina - Omegna (VB). Direttamente consegnata dalle mani del giovane progettista (il suo studio di architettura è situato vis à vis alla ns. redazione) pubblichiamo in esclusiva una tavola esplicativa della proposta (poi andata in produzione) della caffettiera in oggetto e caratterizzata dalla sua forma dolcemente squadrata che modernizza la tradizione. Realizzata in lega d’alluminio secondo le più recenti norme europee (EN601) che ne garantiscono l’alimentarietà, è stata recentemente presentata alla mostra “Caffè Espresso. Arhitektura aparata za kavu” alla Galerija ULUPUH di Zagabria XII simbolo “Less and More” è il titolo della mostra ospitata al Museum für Angewandte Kunst di Francoforte, vero e proprio omaggio ai progetti eleganti e funzionali di Dieter Rams per la storica azienda teutonica Braun, per anni leader degli apparecchi domestici. Portabandiera del Gutes Design, gran parte della documentazione –dal 1929 a oggi- è visibile al Museo Braun di Kronberg e all’Institut für Neue Technische Form di Darmstadt. Negli anni Novanta la rivista Instant n. 22 era uscita con un numero monografico dedicato al celebre marchio qui riprodotto nella sua costruzione tipografica XIII XIV studio Roberto Sambonet, “Studi per bicchieri Companie des Cristalleries Baccarat” matita e acquerello, 1971. Courtesy Csac, Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma (nell’ambito della rassegna “Nove100”) – Studio Esseci XIV wunderkammer St Martins Lane è un hotel 5 stelle al centro di Covent Garden e del quartiere dei teatri, situato a pochi passi da locali notturni, ristoranti, negozi e musei della multietnica Londra. Piccolo, spiritoso e sofisticato, è stato progettato da Philippe Starck e rappresenta un mix brillante di influenze -dal moderno al barocco- che arricchiscono l’albergo di energia, vitalità e magia come si evince dal bozzetto del ristorante “Asia de Cuba”. Courtesy Ian Schrager Hotels XV Sopra: Ingo Maurer, “Lucellino”, 1992, versione da parete in vetro, ottone, materiale sintetico, ali in piume d’oca lavorate a mano, courtesy Ingo Maurer – München Pagina a fianco, dall’alto verso il basso: Hans Christiansen, piatti in porcellana decorata (servizio per tavola del 1903), courtesy Museum Künstlerkolonie – Darmstadt; l’edificio del Bauhaus di Dessau con il famoso nome della scuola scritto sulla facciata utilizzando il carattere Universal di Herbert Bayer (1925); Marcel Breuer, “Model No. B3 Wassily”, (1925 – 1927, prod. Standard – Möbel e Thonet), riedizione Knoll International – Murr/Murr; Heinz H. Engler, servizio per caffè (dalla serie completa di accessori per la tavola “System B 1100”), 1960, ceramica, prod. Bauscher – Weiden; Dieter Rams al lavoro nel 1990 in una foto di Timm Rautert, courtesy Franz Schneider Brakel FSB-Edition XVI D - F U N K T I O N - Antologia di oggetti progettati da illustri designer tedeschi e prodotti da prestigiose aziende made in Germany Lui la tradisce ma lei (1) non se ne accorge. Continua a farlo e rifarlo sotto i suoi occhi, ma lei non sospetta di nulla. E allora? Non resta che rivelarglielo. E siccome a lui la funzionalità tedesca (2) piace un sacco, ecco un modo originale per comunicargli la verità. Ma adesso, che cosa succederà? Mi chiamo Alessio (ma non è vero), abito a Trieste (ma non è vero), sono giornalista e curatore di mostre (questo è vero) e ho tradito per la prima volta il design italiano (ahimè, è verissimo e mi è piaciuto moltissimo). Ciò che mi ha turbato, ed è questo il motivo per il quale scrivo, è che tutto il settore in oggetto, benché molto presente e aggressivo sul mercato (3) e perdutamente innamorato del sottoscritto in qualità di consumatore, non si sia assolutamente accorto di nulla. E sì che posso giurarlo, gliel’ho fatta proprio sotto al naso. Anzi, fatta e rifatta. Questo mi ha però indispettito e irritato. Ma anche incuriosito. Insisto nel mio ‘tradimento’ soltanto perché mi sento impegnato in questo gioco con lei, la mia variopinta e dinamica industria del mobile made in Italy, con la quale convivo da sempre (4). Quanto ci metterà a farsi sfiorare dal sospetto? O c’è il rischio che sia come una di quelle detestabili persone che non si accorgono mai di niente, specialmente di ciò che li riguardano intimamente? Perché raccontarvelo? Semplice: spero che qualche responsabile del comparto legga questo messaggio e che, vedendo questo articolo, sia sfiorato almeno dall’ombra di un sospetto. Che possa portarsi una mano alla fronte e dire: ma vuoi vedere che…? Sì, amore mio. Sono proprio io. E sai che ti dico? Che la tua offensiva cecità non merita altro. Perciò D – FUNKTION überalles, soprattutto! Alessio Curto, Trieste Caro Alessio che non ti chiami Alessio, eccoti servito. O meglio: ecco servita la tua connazionale e miope industria di riferimento. Devo dire che condivido in pieno: la cosa più offensiva di ogni tradimento è la colpevole distrazione dei traditi. D’altra parte penso che anche la più grave colpa di chi tradisce consista nel lasciare tracce che svelino il tradimento, a meno che non sia proprio questo lo scopo che si vuole raggiungere: farsi scoprire per ferire e far stillare almeno una goccia di sangue da un amore che sembrava impagliato. Sarei curioso di sapere da Alessio (che non si chiama Alessio) se il suo scopo è quello di farsi scoprire per castigare lei o se stesso. Oppure quello di assicurarsi -oltre ogni ragionevole dubbio- che il suo tradimento è perfettamente riuscito e quindi freneticamente godibile. Fateci sapere. (5). Note (1) Lei è l’industria italiana che opera nel mondo dell’arredo (ndr). (2) Una specie di moderno classicismo che Peter Behrens rivendica alla tradizione culturale teutonica, ad un gusto dell’ordine, della compiutezza, della razionalità quali sensi innati in ogni uomo. Si noti che negli stessi anni Le Corbusier non parlava ancora di ‘design’ ma usava la circonlocuzione di “Arte decorativa senza decorazione”. Se l’Inghilterra dell’età vittoriana è il paese-guida per la vicenda delle arti applicate, nel primo Novecento è la Germania a sviluppare la loro storia fino alla nascita del vero e proprio design moderno. Nella Storia del design di Renato De Fusco (ed. Laterza) si possono ripercorrere tutte le tappe di questo affascinante percorso. Dall’esigenza di una qualificazione dei prodotti industriali espressa nella fondazione nel 1907 da parte di Hermann Muthesius del Deutscher Werkbund (Confederazione del lavoro), nasce l’idea della standardizzazione (la Typisierung) con la presentazione del primo esempio di arredamento UNIT (mobili componibili) di Bruno Paul, che l’aveva pensato per la produzione in serie. Ma il Werkbund non nasce improvvisamente da solo: è preceduto da una lunga serie di iniziative che dal 1870 in poi furono intraprese nel settore delle arti applicate (v. le attività delle società artistico-industriali come la Deutscher Kunstgewerbe Verein di Berlino, la Bayerischer Kunstgewerbeverein di Monaco e la Colonia di artisti, patrocinata dal granduca Ernst Ludwig von Hessen, sorta a Darmstadt nel 1901). Comunque il netto passaggio dall’artigianato all’industria avviene nel 1898 quando la Deutsche Werkstätte di Dresda si distinse per la precisa volontà di meccanizzare i suoi impianti. Da quel momento la precisione, la semplicità e la regolarità di forme sono viste non solo come necessità funzionali della macchina, ma come esigenze espressive e persino simboliche in ‘una semplificazione che favorisca i limpidi rapporti proporzionali (massverhältnisse) delle singole parti’. Quel nuovo classicismo altro non era che il Protorazionalismo, vera culla dell’industrial design e modello del gusto dell’intero Movimento Moderno. Con la Allgemeine Elektricitäts Gesellschaft (AEG) vengono finalmente messe in pratica tutte le teorie relative alle metodologie progettuali sino a quel momento analizzate solo attraverso congressi, pubblicazioni e mostre. Ma la scuola del Bauhaus resta il maggiore punto di riferimento nella storia di questa disciplina. Nata per volere di Walter Gropius a Weimar nel 1919 (poi, nel 1926 trasferita a Dessau), fu in forte anticipo rispetto al suo tempo e la sua organizzazione dei corsi risponde all’esigenza di impartire una completa formazione seguendo il principio froebeliano dell’imparare facendo. L’industria comincia a rendersi conto dell’importanza del lavoro di sperimentazione dell’istituto superiore d’arte e design come è il caso della Standard-Möbel di Berlino che, nel 1926, iniziò la produzione di tutti i mobili in metallo di Breuer. Ma nel clima depresso del 1929, con la grande crisi economica partita dall’America che coinvolse tutti i paesi occidentali, è lecito ritenere che tali prodotti non fossero all’epoca molto venduti (sebbene il proposito di rendere bassi i prezzi che, per quanto modesti, erano comunque alti per una popolazione che poteva a mala pena accedere ai generi di prima necessità). Dopo la Seconda Guerra Mondiale, in una Germania che organizzava la sua ricostruzione sul modello produttivistico americano, nasce nel 1955 la Hochschule für Gestaltung di Ulm. L’orientamento scientifico e socialista della scuola fu però da subito molto ambiguo e paradossale. La sede perfettamente attrezzata in base all’esperienza della Bauhaus viene messa in dubbio dalla validità del modello didattico scelto; nonostante la proficua collaborazione che si instaura con la ditta Braun, la HfG preferì puntare sulla ‘committenza alternativa’ privilegiando cioè il prodotto industriale per uso pubblico rispetto a quello della proprietà privata. Insomma, nonostante l’inserimento di materie d’insegnamento innovative come la cibernetica, la teoria dell’informazione, la teoria dei sistemi, la semiotica e l’ergonomia, la vita dell’ente formativo durò solo tredici anni e il rettore svizzero Max Bill, (progettista della scuola, ex allievo del Bauhaus e infaticabile difensore della gute Form, convinto divulgatore della linea della continuità con l’esperienza di Gropius) fu costretto ad abbandonare l’incarico decretando la fine della reciproca insofferenza tra i suoi protagonisti. Infine, dagli anni Ottanta ai nostri giorni, il design tedesco ha visto crescere una nuova generazione di progettisti di respiro internazionale perché da subito aperti a collaborare con industrie straniere (vedi, uno per tutti, Richard Sapper con la Alessi, con la Artemide o la Brionvega), oppure perché le stesse industrie tedesche non hanno esitato a richiedere la consulenza artistica di designer internazionali (v. James Irvine con la WMF, Alessandro Mendini con la FSB, Jasper Morrison con la Rowenta e Philippe Starck con la Alfi Zitzmann o la BIG – Spielwarenfabrik). Anche un certo senso dell’auto-ironia (molto inedita e poco conosciuta ai più) si è andato a sviluppare negli ultimi anni tra le nuove firme del design: da i lavori di Stiletto a quelli di Michael Sieger (passando per le esperienze poetiche anticipatrici di Ingo Maurer e Stefan Wewerka p.e.). (3) Per Marco Fortis, docente di economia industriale all’Università Cattolica di Milano, nel suo saggio Le due sfide del made in Italy: globalizzazione e innovazione (ed. Il Mulino), nel solo settore dell’arredamento e della casa agiscono 93.948 imprese che esportano beni per 17 miliardi di euro e occupano quasi mezzo milione di lavoratori direttamente e 230 mila nell’indotto. (4) E, a proposito di made in Italy, notiamo per inciso che la rinomata dicitura made in Germany è nata inizialmente come indicazione di natura negativa. Infatti Roberto Giardina, nel suo libro Guida per amare i tedeschi. Come abbattere il muro dei pregiudizi e scoprire la verità su un popolo simpaticamente imperfetto (ed. Rusconi), ci racconta che siccome “i tedeschi erano i giapponesi della fine dell’Ottocento e andavano in giro per il mondo a copiare senza pudore, gli inglesi un bel dì si stancarono e obbligarono i tedeschi a marchiare i loro prodotti con un made in Germany che avrebbe dovuto denunciare contraffazione e cattiva qualità. Un’imposizione che però si risolse in un boomerang. In seguito il marchio d’infamia divenne garanzia di alta qualità e affidabilità”. (5) Per non lasciarvi nel dubbio su come sia andato a finire questo nostro chimerico racconto ci congediamo invitandovi a leggere il catalogo della mostra Design: 4:3 – Fünfzig Jahre italienisches und deutsches Design presentata a Bonn, dal 30 giugno al 12 novembre 2000, presso gli spazi espositivi del Kunst- und Ausstellungshalle der Bundesrepublik Deutschland. 33 33 Stoccarda, il Prof. Wilhelm Wagenfeld nel suo laboratorio nel 1956. © Wilhelm Wagenfeld Stiftung – Bremen. Sopra il suo progetto più conosciuto: la lampada da tavolo “WG 24”, 1924 (dal 1980 rieditata dalla Tecnolumen), courtesy Bauhaus-Archiv Museum für Gestaltung – Berlin 34 35 Pianta della “Cucina di Francoforte”, progettata da Margarete Schütte-Lihotzky per la municipalità di Francoforte sul Meno, 1926 – 27. Una razionale e funzionale ‘macchina domestica’ che ha contribuito alla crescita della qualità della vita e degli standards abitativi di ogni casa operaia (infatti è stata realizzata in trenta differenti versioni e in migliaia di esemplari) Sieger Design Full-Service Concepts from Germany Sieger Design is a family firm - for work shared succeeds twice as well. Thus the entrepreneur and architect, manager and creative, father and sons, complement each other. Brief introductions of the minds behind Sieger Design in portraits and close-ups. Sieger Design is inspired by art and culture - a fact reflected in the work place. Sieger Design’s offices in the Münsterland and in the centre of Venice also offer soft skills besides high-tech - in the moated castle, on the Canale Grande, where Sieger Design takes shape. Dieter Sieger, the firm’s founder, claims that Sieger Design’s success is as much the result of happy coincidence as of hard work. It was a long way from architecture through shipbuilding to product design, PR and consulting. Once upon a time there was a bricklayer’s apprentice... documents Sieger Design’s rise to success. Sieger Design takes a comprehensive view of design - a successful design is not just a good idea. Sieger Design finds solutions to market demands by offering a full service comprising marketing, product design, architecture and PR. See Services for more details. That Sieger Design is successful can best be judged by the firm’s clients for it is their success that is the measure of Sieger Design’s achievement. Another measure of its achievement is represented by the many prizes, awards and exhibitions with which Sieger Design’s work has been honoured. 36 Konstantin G r c i c Konstantin Grcic è nato a Monaco di Baviera nel 1965. Dopo un tirocinio da ebanista in Inghilterra frequenta, sotto la guida di Vico Magistretti, il Royal College of Art di Londra ottenendo un MA degree in furniture design. Conclusi gli studi non si lascia perdere la preziosa occasione di collaborare, come assistente, con Jasper Morrison per poi aprire, nel 1991, nella sua città natale, il proprio studio occupandosi dello sviluppo di progetti di arredamento e di illuminazione per alcune aziende leader nel settore del design contemporaneo. Grazie alla dimensione estetica, sobria e getto grafico firmato da Alain Fletcher e quello del packaging da Grcic). Infine, con un senso più narrativo, la lampada “May Day” contiene tutta l’idea di flessibilità d’uso per le infinite e facili possibilità di collocazione in interni ed esterni. Recentemente, per tributargli il giusto consenso, ben due personali sono state organizzate al Museum Boijmans van Beuningen di Rotterdam e alla Haus der Kunst di Monaco, ospitata proprio negli spazi ridisegnati dallo stesso Grcic. Con la duplice occasione in corso è uscita puntualmente anche una corposa monografia edita dalla britannica Phaidon inconfondibile, dettata dalla sua personalità dotata di concretezza tipicamente inglese mista al piacere della riflessione di matrice teutonica, il purista Grcic non ha difficoltà ad affermarsi a livello internazionale. I suoi prodotti industriali sono caratterizzati da una semplicità classica, dalle proporzioni insolite e dai materiali in genere poco usati come il legno pressato, la latta ondulata, l’acciaio e il cemento. Con il suo definire la funzione in termini essenziali, combinando il massimo rigore formale con la sintesi della ricerca tecnica e dell’innovazione tipologica (senza mai trascurare l’aspetto artigianale), egli prende comunque distanza dal minimalismo a favore del ‘concretamente oggettivo’ alla Baudrillard (v. “Il sistema degli oggetti”). Considerato niente meno che dal mitico Achille Castiglioni il suo erede spirituale, annovera nella sua bacheca degli allori molti prestigiosi premi internazionali (tra questi anche il Compasso d’Oro vinto nel 2001). Inoltre importanti musei di tutto il mondo hanno deciso di inserire nelle proprie collezioni di arte applicata alcuni pezzi da lui firmati. Dalle nostre parti, nel Triveneto, lo abbiamo incominciato ad apprezzare quando è stato coinvolto nella commissione istituita per selezionare giovani promesse invitate al concorso Promosedia International Design Competition Caiazza Memorial Challenge 2005 e per la ariosa seduta circolare “Osorom”, dalla stocca in materiale plastico composito formato da tecnopolimeri, fabbricata su incarico della Moroso Spa di Udine. Per evidenziare in estrema sintesi i principali tratti espressivi propri del linguaggio di Grcic qui di seguito ricorderemo quattro esempi progettuali iniziando proprio con la poltrona “Chaos” realizzata in schiumato con telaio in acciaio e rivestimento in tessuto. Questa seduta disegnata per spazi pubblici interni è costituita da volumi regolari, nette sfaccettature e tagli decisi: insomma la summa espressiva del proprio saper fare firmata dal giovane designer bavarese. Possiede invece una logica interna, descritta attraverso la sua relativa struttura senza ornamento, la linea “Coup” dove tutti i pezzi sono multifunzionali ed ergonometrici mentre, al contrario, tutta la logica esterna viene sprigionata dall’impianto appositamente creato per raccogliere e far veicolare comodamente gli otto chili della prima enciclopedia “Phaidon Design Classics” (3 volumi, 3300 pagg. complessive con pro- (“KGID - Konstantin Grcic Industrial Design”, a cura di Florian Böhm, euro 69.95, Phaidon Press 2005. Per info: www. phaidon.com). E ci si potrebbe dilungare ancora molto sulle qualità dell’autore ma, crediamo, sia tempo di concludere citando per l’occasione Marcel Proust: “Non tutti i mobili sono uguali, alcuni riflettono” of course. Dall’alto in basso in senso orario: K. Grcic seduto sulla poltrona “Chaos”, 2000, prod. ClassiCon, courtesy KGID; servizio da tavola in porcellana “Coup”COUP, 2003, prod. Thomas / Rosenthal, courtesy KGID; valigetta in materiale plastico per trasportare i tre volumi Phaidon Design Classics; lampada portatile “May Day”, 1998, prod. Flos, courtesy Florian Böhm. In sottofondo: schizzi per la penna “Vivo”, prod. Lamy, courtesy KGID 37 38 Vitra Design Museum Dimensions of Design - Cento sedie classiche “Keep Your Seat” che tradotto in italiano significa “Stai al tuo posto” è il titolo quanto mai azzeccato di uno degli ultimi eventi espositivi dedicati alle sedute e proposti dal GAM di Torino. Dell’oggetto sedia sono stati sviscerati tutti gli aspetti storici, sociologici, di design oltre che di sana ontologia perché, scrive Maurizio Ferraris, noi “siamo estremamente attrezzati per gli oggetti, abbiamo per loro occhi migliori che per i concetti e questo lo si capisce considerando quanto è facile l’equivoco concettuale, mentre scambiare fischi per fiaschi non è cosa da tutti i giorni”. Infatti nel suo ultimo libro Il tunnel delle multe (Einaudi, Torino, 2008) egli ci aiuta “a orientarci con più agio nella ‘giungla’ –una categoria, questa, mutuata dall’ontologo Alexius Meinong- delle cose che ci troviamo davanti mentre viviamo la nostra vita”. (…) “Si tratta di oggetti sociali, ideali e anche fisici, portatori di un significato che coincide con l’uso –secondo la prospettiva wittgensteiniana- per cui riescono anche a ‘parlare’ come fa una sedia che ci suggerisce tacitamente, senza scervellarsi, di sederci su di essa”. Del resto –afferma Maria Daniela Candida Carnevali nel testo Ripensare il Design (Tecniche Nuove, Milano, 1997)- “la forma, cioè il complesso dei caratteri esteriori che contraddistinguono una struttura, rappresentano il primo e più immediato aspetto che percepiamo della realtà che ci circonda, sia nel caso di strutture oppure oggetti animati sia di quelli inanimati, naturali o artificiali. Dal momento che la nostra conoscenza del mondo esterno dipende soprattutto dalla nostra percezione visiva delle cose, si può anche dire, per sottolineare il processo di astrazione fatto dalla nostra mente, che lo studio della forma consiste nella creazione di immagini strutturali. Il problema della forma è vecchio come il mondo: da sempre esso è stato al centro dell’interesse umano, sia da un punto di vista puramente artistico sia filosofico e scientifico, e ha dato vita a importanti movimenti e correnti di pensiero, che hanno influenzato non poco la cultura del tempo (basti pensare alla Scuola della Gestalt, nata in Germania all’inizio del Novecento, che rappresenta uno degli indirizzi più significativi della psicologia scientifica)”. René Thom, autore del famoso saggio Stabilità strutturale e morfogenesi (1975), ci presenta così la questione delle forme: “Uno dei problemi centrali posti alla mente umana è il caso della successione delle forme. Qualunque sia la natura ultima della realtà, è innegabile che il nostro universo non è un caos; noi vi discerniamo esseri, oggetti, cose che designiamo con altrettante parole. Questi esseri o cose sono forme, strutture dotate di una certa stabilità; esse occupano una certa porzione dello spazio e durano un certo lasso di tempo; di più, benché un dato oggetto possa essere percepito sotto aspetti assai diversi, non esitiamo a riconoscerlo come tale”. Ma cosa succede se si incrociano elementi provenienti per es. da modelli di sedie diverse producendo forme bizzarre dagli angoli strambi, eccentriche protuberanze e instabili superfici capaci di spiazzare anche l’utente meno conformista? (v. l’Action Design di Martino Camper dove il design si fa happening). In ogni caso, prima o poi, sul tema della sedia si sono misurati tutti i più grandi designer, passando dalla sperimentazione dei materiali alternativi al ritorno a quelli più tradizionali e il comfort è una delle variabili più importanti nella scelta del prodotto in oggetto. E inoltre, non bisogna perdere d’occhio le misure antropometriche della singola persona e dell’altezza del tavolo (che viene utilizzato in combinazione con la sedia), le normative sulle sedute per ufficio, l’interazione con gli altri elementi di arredo ma, alla fine, l’importante è che resti sufficiente spazio per i glutei! Per Harry Bertoia si potrebbe parlare addirittura della “maledizione della sedia”, nel senso che tale e tanto è stato il successo davvero planetario di una sua creazione, la sedia Diamond (prod. Knoll International) appunto, da porre in secondo piano ciò che di altrettanto e forse più grande questo friulano trapiantato negli States creò in campi diversi (a ‘risarcirlo’ idealmente, a trent’anni dalla morte, Gilberto Ganzer e Marco Minuz recentemente hanno realizzato una grande mostra a Pordenone, suo territorio natale). Comunque sia “La sedia è quella cosa composta da un po’ di gambe, un sedile e uno schienale” –per dirla alla Mendini (Architettura addio, Shakespeare and Company, Milano, 1981)- senza dimenticare che “Mentre la sedia lavora l’uomo riposa”. E chi lavora per costruire le sedute? Una delle fabbriche che ha riscosso maggiore successo è la tedesca Vitra di Weil am Rhein guidata dall’imprenditore svizzero Rolf Fehlbaum che ha proseguito l’attività paterna. Molto conosciuta per i cataloghi dalla grafica raffinata, per le campagne pubblicitarie che fanno tendenza, per i prodotti che sforna e la sede composta da strabilianti architetture firmate da progettisti di fama. Negli anni Ottanta fece parlare di sé perché produsse in piccola serie (e prima degli altri) pezzi ideati da Arad, Kuramata, Pesce, Nelson, Sottsass, Sipek e Starck. Dopo che nel 1981 un incendio distrusse gli stabilimenti produttivi, venne chiamato Nicholas Grimshaw per progettare la prima nuova fabbrica. Nel 1986 un altro stabilimento è stato realizzato da Alvaro Siza. Nel 1989 Frank O. Gehry progettò il Vitra Design Museum. Nel 1993 Zaha M. Hadid disegnò la caserma dei pompieri e Tadao Ando il padiglione per conferenze. Infine con Jacques Herzog e Pierre de Meuron il Campus si è arricchito di una nuova icona dell’architettura contemporanea: dodici cassette che s’incastrano l’una nell’altra e una sopra l’altra per contenere una caffetteria, una sala esposizioni con la collezione di sedie, una sala conferenze, uno shop e il foyer. Nel 1989, per merito di Alexander von Vegesack –collezionista, innovatore culturale, figura di spicco nella storia del design- nasce il Vitra Design Museum. Indipendente rispetto all’industria che opera accanto, assume una funzione trainante nella strategia di Vitra perché, attraverso la infaticabile attività espositiva, mette in evidenza la produzione e l’immagine dell’azienda nonostante non tutti gli oggetti esposti appartengano al catalogo dell’impresa di mobili per l’arredo domestico, per ufficio e per gli spazi pubblici. Una delle mostre che ha riscontrato un enorme successo, tanto da essere richiesta nei principali spazi espositivi di tutto il mondo, è stata “Dimensions of Design – Cento sedie classiche”. Il progetto espositivo, ideato dallo stesso von Vegesack con Matthias Kries e la collaborazione dei modellisti Thomas Schweikert e Miroslaw Melerski, è accompagnato da un esaustivo catalogo che raccoglie i contributi di Kries, SchwartzClauss, Dunas, Rohde e Zanco. Nella pag. accanto: un particolare dell’allestimento (ph. Miro Zagnali). In questa pagina dall’alto in basso: planimetria dell’insediamento Vitra; stabilimenti industriali di Grimshaw e Siza (ph. Olivo Barbieri); Vitra Design Museum di Gehry (ph. Thomas Dix); stazione dei pompieri di Hadid (ph. Barbieri); padiglione conferenze di Ando (ph. Paola de Pietri) e Vitra Haus di Herzog e de Meuron. Per tutte le foto courtesy © Vitra 39 Dalla Casa Bianca ai leading hotel di ogni paese del mondo, dal palazzo del parlamento di San Pietroburgo alle sedi di rappresentanza delle maggiori case automobilistiche, dalle sale delle più lussuose navi da crociera ai teatri più prestigiosi, passando per locali di tendenza, sedi di banche e uffici di multinazionali, sale d’aspetto e aeroporti, set televisivi, residenze di lusso e stores dei brand di alta gamma. Il Distretto della Sedia: 750 aziende specializzate che mettono a sedere il mondo. Questo comparto produttivo si colloca nel cuore geografico del Friuli Venezia Giulia, regione adriatica a confine con Slovenia ed Austria. Il nucleo industriale originario - costituito dai Comuni di Corno di Rosazzo, Manzano e San Giovanni al Natisone, ovvero il “Triangolo della Sedia” - si è via via esteso fino a comprendere oggi ben undici Comuni della Provincia di Udine: Aiello del Friuli, Buttrio, Chiopris Viscone, Corno di Rosazzo, Manzano, Moimacco, Pavia di Udine, Premariacco, San Giovanni al Natisone, San Vito al Torre, Trivignano Udinese. Nel Distretto abitano quasi 38.000 persone in un’area di oltre 220 Kmq. Tra le attività economiche prevalenti, oltre alla millenaria tradizione agricola, un posto di rilievo è occupato dalle attività del settore legno-arredo. Il comparto manifatturiero conta attualmente oltre 750 aziende (nelle quali sono occupati più di 8.000 lavoratori), tutte altamente specializzate nelle singole fasi del processo produttivo, dalla produzione della componentistica, all’assemblaggio e rifinitura dei prodotti. La gamma offerta è vastissima per tipologia di seduta e materiali, attentamente studiata per incontrare anche i gusti del mercato internazionale. Comune denominatore di tutta la produzione è la garanzia di un know-how che coniuga la tradizione alla più moderna tecnologia, oltre all’alto standard qualitativo caratterizzante ogni singola componente e quindi il prodotto finale. Oggi il Distretto della Sedia affronta le sfide della globalizzazione e della concorrenza internazionale puntando sull’eccellenza, sulla qualità e sulla centenaria esperienza di lavorazione del legno, il tutto guardando a materiali e forme del futuro. Le prime manifatture si registrano in zona già nell’800 attorno a Mariano del Friuli. Nel 1866 il Friuli viene annesso al neo costituito Regno d’Italia, ma il territorio regionale viene diviso in due parti lungo il torrente Judrio, con la conseguenza che la zona di Mariano rimane di dominazione austriaca. Nonostante le politiche del governo austriaco per sostenere l’economia marianese, nei primi del ‘900 la produzione si sposta nel cosiddetto “Triangolo della Sedia”, cuore dell’attuale Distretto. Nell’area si producono sedie “comuni”, ossia sedie impagliate o sedie a tavoletta, che vengono realizzate prevalentemente su base artigianale. Negli anni Cinquanta prendono avvio i processi di sviluppo del Distretto della Sedia, la cui forte domanda del dopoguerra trova risposta in un rapido incremento della natalità imprenditoriale. Una caratteristica peculiare di questo sviluppo vede la binomia tra imprese “forti”, prevalentemente industriali, ed imprese “deboli”, ancorate ad una forte tradizione artigiana. In questa fase di crescita incontrollata, gli anni Sessanta rappresentano un importante tappa del processo di trasformazione del Distretto caratterizzato dall’apertura internazionale e da un generale benessere diffuso. Nel 1977 nasce il nasce il Salone Internazionale della Sedia, veicolo di promozione delle eccellenze produttive della zona. Con la fine della Guerra Fredda il Distretto della Sedia si evolve nuovamente: la globalizzazione economica porta i processi di subfornitura prevalentemente nei mercati caratterizzati da un più basso costo del lavoro, mentre il Distretto si concentra su prodotti frutto di una esperienza artigiana unica. Oggi il Distretto produce sedute d’eccellenza che nascono da un’addizione speciale: la competenza tecnica e culturale delle aziende e la sensibilità del designer. Il tutto attraverso un sistema collettivo, flessibile ed efficiente, che accoglie gli stimoli della contemporaneità senza tradire la propria origine, che dialoga con le tendenze del gusto internazionale, rielabora apporti culturali di designer di diversa provenienza e formazione, innestandoli su saperi e pratiche consolidate. L’Asdi Sedia, Agenzia per lo Sviluppo del Distretto Industriale della Sedia, promuove l’evoluzione competitiva del Distretto offrendo servizi a supporto dei processi innovativi delle imprese localizzate nell’area distrettuale in oggetto. L’Ente nasce con la Legge Regionale 4/2005 abolendo il precedente Comitato del Distretto (privo di strutture per lo svolgimento dei propri compiti, nonché di personalità giuridica) e costituendosi sotto forma di società consortile a capitale misto pubblico e privato, in grado di prestare effettivi servizi alle imprese del territorio di competenza. L’istituzione dell’Agenzia deriva dal concetto della filiera produttiva allargata agli attori istituzionali che svolgono attività al servizio delle imprese del Distretto, ridefinendo le priorità volte al rafforzamento della loro competitività. Viene pertanto prevista la partecipazione all’Asdi Sedia da parte di imprese insediate nel Distretto, di Comuni, Province, Camere di Commercio, consorzi ed enti per lo sviluppo industriale, associazioni imprenditoriali, organizzazioni sindacali, associazioni di categoria, garantendo una reale rappresentatività degli attori operanti nel distretto nel rispetto di principi di equilibrio e di equa rappresentanza tra i soggetti presenti nella compagine sociale. Tra le finalità principali 40 dell’Asdi Sedia si trova la valorizzazione e lo sviluppo delle risorse economiche e culturali del territorio distrettuale, al fine di promuovere la competitività del sistema produttivo locale e il benessere dei cittadini. L’Asdi Sedia promuove la valorizzazione del territorio principalmente attraverso quattro linee d’azione: lo sviluppo, la formazione, l’innovazione tecnologica e la tutela dell’ambiente. Particolarmente importanti per favorire lo sviluppo del Distretto sono i progetti ambientali, in quanto, oltre ad incrementare la competitività delle imprese locali, tutelano e valorizzano il ricco patrimonio naturalistico del territorio. Tra di essi spiccano per importanza la Dichiarazione Ambientale di prodotto, un progetto che articola l’impegno di Asdi Sedia e Catas in un percorso a più fasi: la prima fase, propedeutica alle altre, è quella che si propone di gettare le basi per l’introduzione di questa cultura nella realtà distrettuale. L’obiettivo della ricerca è lo studio del ciclo di vita del prodotto sedia attraverso la metodologia LCA – Life Cycle Assessment, che prevede di individuare e calcolare tutti i flussi di materia ed energia in entrata ed in uscita durante le singole fasi della vita del prodotto, dall’acquisizione delle materie prime (produzione, trasporto, distribuzione, uso) fino allo smaltimento finale. A tale scopo, si sta effettuando lo studio LCA di cinque sedute tradizionali prodotte nel distretto friulano. Inoltre, attraverso la collaborazione con il Catas si stanno studiando vernici ad acqua maggiormente ecocompatibili, in grado di ridurre le emissioni di solventi e di incrementare la competitività ambientale del prodotto distrettuale. Sempre attraverso il contributo tecnico del Catas è stato attivato uno studio specifico degli imballi utilizzati dai produttori locali con l’obiettivo dell’individuazione di forme e materiali che possano garantire un minimo ingombro ed un facile smaltimento dell’imballo al termine della sua vita. Se la conoscenza è dunque una chiave fondamentale per lo sviluppo del territorio, nei progetti dell’Asdi essa non si concretizza solo attraverso la ricerca ma anche mediante la formazione. Forte è, infatti, il sostegno dell’Agenzia all’Ipsia “A. Mattioni” di San Giovanni al Natisone, istituto di primaria importanza per la formazione tecnica del settore. Le professionalità e le competenze che vengono acquisite durante un percorso specifico come quello offerto dall’Ipsia sono estremamente importanti per garantire continuità in quell’esperienza artigiana che contraddistingue l’eccellenza distrettuale. Per tale motivo, l’Asdi incoraggia la formazione tecnica non solo degli studenti delle scuole superiori, ma anche di coloro che hanno già intrapreso un percorso lavorativo, incentivando il difficile sacrificio della frequenza serale mediante delle borse di studio. La centralità dell’istituto all’interno del Distretto è, ad ogni modo, ribadita anche nel suo ruolo di centro catalizzatore di molte iniziative di interesse territoriale, come ad esempio il corso di aggiornamento, dedicato prevalentemente ai commercialisti, su “Tecniche e strumenti finanziari a sostegno delle PMI distrettuali”. Tra i progetti culturali messi in opera dall’Agenzia di particolare interesse è l’iniziativa realizzata in collaborazione con il Goethe-Institut di Trieste e l’organizzazione di UdinèDesign. “Dimensions of Design - Cento sedie classiche” raccoglie cento riproduzioni miniaturizzate di sedie tratte dalla collezione Vitra Design Museum, le quali coprono un arco di tempo di creatività progettuale, espresso dai maggiori industrial designer, che va dalla seconda metà del XIX secolo ai giorni nostri. La storica Thonet, modelli classici e più conosciuti di Le Corbusier, Mies van der Rohe, Breuer, fino alle firme contemporanee come Ron Arad, Jasper Morrison e Philippe Starck guidano il visitatore all’interno del mondo del design e dell’arte della produzione di sedie e poltrone. I modelli esposti, realizzati con una lavorazione artigianale accurata, esattamente in scala 1:6 rispetto all’originale, sono accompagnati da un’analisi storica e critica, raccolta in pannelli descrittivi al fine di orientare il pubblico lungo un percorso nel “mondo delle sedie”, offrendo informazioni dettagliate su ognuna di esse. L’installazione espositiva è stata posta all’interno dell’Aula Magna dell’Ipsia “A. Mattioni” di San Giovanni al Natisone con aperture in orario serale per tutti i cittadini interessati all’argomento e visite mirate per scolaresche della Provincia di ogni ordine e grado. Carlo Piemonte Direttore progetti Asdi Sedia San Giovanni al Natisone (UD). Nell’Aula Magna dell’Istituto Professionale di Stato per l’Industria e Artigianato “A. Mattioni” -Settore Legno Arredo- le autorità inaugurano la mostra del Vitra Design Museum. Da sin verso dx: Franco Buttazzoni della Confartigianato, l’Assessore provinciale di Udine Daniele Macorig, il Presidente dell’Asdi Sedia Giusto Maurig, la Direttrice del Goethe-Institut di Trieste Alexandra Hagemann e il Presidente della Confindustria Friuli Venezia Giulia Alessandro Calligaris. (Fotografia di R. Tello) udinèdesign Nei momenti di crisi è indispensabile generare nuove idee o, se proprio non è possibile tirare fuori dal cilindro una genialata, almeno fare fronte comune dando vita a una cordata che permetta di unire competenze comuni perché, quasi sempre, l’unione fa la forza. Con queste premesse, nell’ancora laborioso Nord-Est, è nata la volontà, da parte di un pool di enti pubblici e privati friulani di istituire un centro studi dedicato alle discipline che ruotano intorno al mondo del design, al fine di poter manifestare la capacità del saper immaginare e del saper fare espressa dal territorio in oggetto in merito a queste specifiche tematiche d’indagine. In sintesi l’impegno degli organizzatori consisterà nel promuovere -nel Triveneto, in Austria, Slovenia e Croazia- le attività produttive di eccellenza, sapientemente ideate e realizzate da e per questa terra, con lo scopo di offrire un plusvalore aggiunto al comparto dell’arredo casa/ufficio (e, come sappiamo, i marchi leader di mercato non mancano certo in questa zona). L’idea mediana sarà quella di veicolare il valore del disegno industriale ‘made in Friuli’ (e tutta la produzione che ne consegue) in spazi espositivi non convenzionali come scuole di ogni ordine e grado, aeroporti e centri commerciali aggiungendovi appuntamenti localizzati anche in siti più tradizionali come musei, gallerie e fiere di settore. Una programmazione densa di appuntamenti all’insegna della progettualità declinata in ogni aspetto della propria potenzialità espressiva (compresa la fotografia industriale, la grafica pubblicitaria, l’editoria cartacea e on line). La manifestazione, promossa per volontà dell’associazione Tertium Millennium (circolo presieduto da Fausto Deganutti, operante da alcuni anni nel settore delle attività culturali come strumento per la valorizzazione del patrimonio storico e artistico, vero e proprio motore di sviluppo di nuove idee attraverso la conservazione dell’identità), ha elaborato un consistente calendario di eventi composto da mostre personali, collettive e aziendali, simposi, incontri con addetti ai lavori e presentazione di libri, riviste e cataloghi. In occasione dei progetti espositivi monotematici la struttura organizzativa attuerà anche una serie di percorsi guidati e laboratori rivolti al pubblico adulto e al mondo della scuola. Un progetto complesso frutto della passione dello staff di coordinamento diretto da Alessio Curto (con sede operativa comprendente anche il nuovo Centro Documentazione Territoriale Imprese / settore arti applicate progettato dall‘architetto Luca Cendali - v. rendering pubblicato sopra - il tutto situato al secondo piano dell’Area direzionale Città Fiera, via Antonio Bardelli 4, Torreano di Martignacco - Udine), congiunto all’energia delle connessioni garantite dal periodico internazionale Juliet design magazine e aiutato dal prezioso supporto finanziario e tecnico messo a disposizione dagli enti pubblici e dalle aziende private che hanno sposato l’iniziativa in oggetto. Per la messa in moto della struttura logistica, se fondamentale è stato il sostegno dell’Assessorato al Turismo della Regione Friuli Venezia Giulia, della Provincia di Udine, della Fondazione CRUP Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone, della Banca di Cividale, della Friuladria Crèdit Agricole, non meno importante si è dimostrato anche e soprattutto l’impegno supportato da parte degli Enti che hanno contribuito a dare uno spessore di qualità all’intero ciclo di appuntamenti (Confindustria, Camera di Commercio e Università degli Studi di Udine, Comune di Gemona e Martignacco, ASDI, Istituto professionale per il settore Legno Arredo di San Giovanni al Natisone, Aeroporto FVG, Air Dolomiti – Partner Lufthansa, Plexiglas Röhm Italia, Museo Kartell, Moroso, Spazio 900, Del Fabro, Centro Commerciale Città Fiera – Area direzionale, Coworking, COVECO, Ideas in Progress, Prefor Grafiche Filacorda, Graphart, Lorenzo Dante Ferro – Maestro Profumiere, I Vinai dell’Abbate, Albergo Clocchiatti). In questo contesto rilevante è anche la partecipazione alla attività collaterali proposte all’interno della programmazione di “udinèdesign” da parte del Comune di Muggia (con il Museo d’arte moderna “Ugo Carà” per la mostra “Bauhaus Architektur nelle immagini contemporanee di Hans Engels”), per non parlare della qualificata disponibilità rappresentata dal Consolato Generale della Repubblica Federale di Germania e del Consolato Onorario della Francia accompagnati rispettivamente dal Goethe-Institut (per la mostra del Vitra Design Museum) e dell’Alliance Francaise (per la mostra “Riflessi d’argenti” di Pierre Verrier, presentata alla Galerija ULUPUH di Zagabria, in collaborazione con il Musée des Arts Décoratifs de la Chambre de Commerce de Lyon). Ultima in ordine di programmazione la manifestazione “Il design che avanza”, promossa con l’Associazione per il Disegno Industriale – delegazione FVG e Cumini, suddivisa in tre appuntamenti: “La forma dello sport” (design e ricerca nei prodotti sportivi), “Mostra itinerante ADI sul Premio Compasso d’Oro” (il design attraverso i 50 anni del premio e le aziende del Friuli Venezia Giulia selezionate dall’ADI) e “Giovani talenti FVG” (Marco Brollo, Vicente Garcia Jiménez, Lucidi e Pevere, Monica Grafo, Mara Picco. Una nuova generazione di progettisti si raccontano). Tutto questo volume di lavoro ha generato un calendario di interventi che si inserisce di diritto tra i principali appuntamenti culturali del nuovo asse centro-europeo con ricadute economiche a favore delle attività commerciali e turistiche per la città di Udine e, più in generale, per l’intera Regione poiché –come diceva Fritz Schumacher in occasione della fondazione del Deutscher Werkbund (1907)- il fine culturale non è un lusso ma una forza economica. Eleonora Garavello Nella foto a sinistra: Antonio Maria Bardelli, Patron di Città Fiera di Torreano – Martignacco (UD), alla conferenza stampa per la presentazione dell’iniziativa “udinèdesign” 41 Ennio Chiggio dal ‘62 svolge attività di artista, di graphic e industrial design. Dal ‘67 ha fatto parte del Gruppo N che ha dato impulso alle ricerche visive dell’arte contemporanea e che ha espresso un rifiuto verso la mercificazione dell’arte. La riflessione che egli ha voluto affidarci in questa ricerca realizzata con il suo gruppo di studenti durante il corso di design da lui diretto nel 1982 presso l’AABB di Venezia, per l’autorevolezza di chi la formula e per l’estrema attualità delle prospettive che investe, ci è parsa meritasse di essere conosciuta dai lettori del nostro periodico a complemento degli articoli pubblicati sul tema della sedia. Con l’occasione, per un’inquadratura generale su questo argomento, si suggerisce anche la lettura di Giorgio Fonio, La macchina per sedersi. Il contenente, il contenuto, le forme, le funzioni, Alberto Greco Editore, 1991. 1 42 2 3 4 5 6 43 promosso da a cura di in collaborazione con udinèdesign patrocinato da Plexiglas contemporaneo in architettura e design (*) Confindustria Udine - Palazzo Torriani, Largo Carlo Melzi 2 (*) Titolo originale: “Plexiglas. Werkstoff in Architektur und Design”, courtesy Museum Künstlerkolonie di Darmstadt Con la partecipazione di: Kunsthaus Graz, Moroso, Museo Kartell, Spazio 900 Modernariato & Design 44 44 MAARTEN VAN SEVEREN, chaise longue “LCP”, 2000, prod. Kartell – Noviglio (MI) Plastica dimostrare come le conoscenze tecniche, la creatività artistica e gli obiettivi pratico-culturali interagiscano nella realizzazione del mondo in cui viviamo, e come procedimenti chimici, ambiziosi processi realizzativi e ideali di vita in continuo mutamento si compenetrino vicendevolmente, dando vita ai più svariati contesti culturali.4 Il fatto che questo materiale sintetico – il più nobile di tutti – meriti particolare attenzione è dimostrato da non ultimo dal grande interesse che gli hanno dedicato artisti figurativi come Naum Gabo, Enrico Baj e Vera Röhm.5 Kai Buchholz (*) NOTE 1 Cfr. ad esempio Wilhelm Kamlah, Philosophische Anthropologie, Mannheim, Vienna, Zurigo 1973, pag. 33: “L’uomo, che parla e vede con occhio volto al futuro, non è soltanto la creatura dotata di parola bensì anche la creatura che produce ed impiega attrezzi, homo faber. ‘Accenni’ all’uso di utensili e alla produzione di attrezzi si individuano anche negli animali. Ma soltanto l’uomo, dotato della capacità di parola, è in grado di ideare, modificare e impiegare per scopi diversi gli attrezzi con occhio volto al futuro”. 2 Cfr. ad esempio Paul Lorenzen, Lehrbuch der konstruktiven Wissenschaftstheorie, Mannheim, Vienna, Zurigo 1987, pagg. 177-227; Peter Janich Grenzen der Naturwissenschaft, Monaco 1992, pagg. 197213. 3 Sul valore estetico proprio dei materiali cfr. Thomas Raff, Die Sprache der Materialien. Anleitung zu einer Ikonologie der Werkstoffe, Monaco 1994; Gernot Böhme, “Inszenierte Materialität”, in Daedalos 56 (1995), pagg. 36-43; Dieter Mersch, “Deutsche Materialästhetik”, in Die Lebensreform, edito da K. Buchholz, R. Latocha, H. Peckmann, K. Wolbert, volume I, Darmstadt 2001, pagg. 267-269. 4 Sul ruolo culturale della chimica cfr. in questo contesto Peter Janich, Grenzen der Naturwissenschaft, Monaco 1992, pagg. 63-85; “Protochemie. Programm einer konstruktiven Chemiebegründung”, in Konstruktivismus und Naturerkenntnis. Auf dem Weg zum Kulturalismus, Francoforte 1996, pagg. 237-258. 5 Cfr. ad esempio Anca Arghir, Transparenz als Werkstoff. Acrylglas in der Kunst, Colonia 1988; Vera Röhm, Colonia 2007. WILHELM WAGENFELD, Sistema “Edition Prof. Wagenfeld” composto dal porta uovo, dal set sale – pepe “Max und Moritz” e dal porta burro con coperchio in Plexiglas, 1952/54, prod. WMF – Geislingen/Steige A differenza degli animali e delle piante l’uomo, per poter sopravvivere, deve crearsi degli ambienti artificiali; in tal modo fuoriesce dal suo habitat naturale e si trasforma in un creatore di nuove dimensioni culturali. L’antropologia filosofica ricorda a tale proposito che l’uomo non è soltanto una creatura raziocinante (homo sapiens) bensì anche una creatura dotata di capacità produttive (homo faber).1 Nel corso del tempo, le abilità produttive umane si sono sviluppate e perfezionate in misura tale che, considerando i gioielli di fattura minuziosa, i mobili raffinati e gli ultramoderni macchinari intelligenti, oggi non si può che parlare di una cultura della produzione altamente sofisticata, che va ben oltre il necessario alla sopravvivenza.2 Tutti gli artefatti si basano su materiali (ad esempio marmo, gomma, rovere, oro, nylon, smeraldi) che, attraverso una lavorazione manuale o meccanica, assumono una nuova forma adeguata ai desideri e alle esigenze dell’uomo. Nell’uso, tuttavia, la pura materialità compie spesso un passo indietro rispetto alla funzione e all’aspetto estetico globale.3 A ciò si aggiunge che soltanto un numero esiguo di persone, in considerazione delle innumerevoli tecniche di lavorazione particolari ormai esistenti, ha un’idea del percorso che intercorre, di volta in volta, tra la materia prima e l’oggetto d’uso finito. Una visione esemplare di tali nessi risulta tuttavia particolarmente preziosa poiché favorisce la percettività individuale e la capacità pratica di giudizio. Proprio nel mondo complesso di oggi vale la pena prestare un occhio più attento ai materiali e alle loro diverse possibilità di sagomatura. Scegliendo l’esempio del vetro acrilico – meglio noto con il nome del marchio PLEXIGLAS® – desideriamo 45 46 Im Unterschied zu Tier und Pflanze muss sich der Mensch künstliche Umwelten schaffen, um überleben zu können; damit tritt er aus der Natur heraus und wird zum Schöpfer von Kultur. Die philosophische Anthropologie weist an dieser Stelle darauf hin, dass der Mensch nicht nur das vernunftbegabte Lebewesen (homo sapiens), sondern auch das herstellungsbegabte (homofaber) ist.1 Seine produktiven Fertigkeiten haben sich im Laufe der Zeit in solchem Maße entwickelt und verfeinert, dass man angesichts minutiös gearbeiteten Schmucks, raffinierter Möbel und hochmoderner intelligenter Maschinen heute von einer enorm ausgefeilten Herstellungskultur sprechen kann, die weit über das Lebensnotwendige hinausreicht.2 Grundlage aller Artefakte sind Stoffe (z. B. Marmor, Gummi, Eichenholz, Gold, Nylon, Smaragde), die durch manuelle oder maschinelle Bearbeitung eine neue, den menschlichen Wünschen und Bedürfnissen angepasste Form erhalten. Im Gebrauch tritt die blanke Stofflichkeit allerdings meist hinter der Zweckfunktion und dem ästhetischen Gesamteindruck zurück.3 Hinzu kommt, dass die wenigsten Menschen angesichts der mittlerweile zahllosen speziellen Verarbeitungstechniken eine angemessene Vorstellung davon haben, wie sich die Wege vom Rohstoff zum fertigen Gebrauchsgegenstand im Einzelnen vollziehen. Ein exemplarischer Blick auf diese Zusammenhänge ist aber besonders wertvoll, fördert er doch das eigene Wahrnehmungsvermögen und die praktische Urteilsfähigkeit. Gerade in der komplizierten Welt von heute lohnt es, Materialien und ihre unterschiedlichen Formgebungsmöglichkeiten näher ins Auge zu fassen. Am Beispiel des Werkstoffs Acrylglas - besser bekannt unter dem Markennamen PLEXIGLAS® - wird hier gezeigt, wie technisches Wissen, künstlerische Kreativität und praktischkulturelle Zielsetzungen bei der Umgestaltung unserer Lebenswelt ineinandergreifen, wie sich chemische Verfahren, anspruchsvolle Gestaltungsprozesse und wandelnde Lebensideale gegenseitig durchdringen und verschiedenste Kulturzusammen hänge entstehen lassen.4 Dass dieser edelste aller Kunststoffe besondere Aufmerksamkeit verdient, belegt nicht zuletzt das große Interesse, das ihm bildende Künstler wie Naum Gabo, Enrico Baj und Vera Röhm entgegengebracht haben.5 PETER COOK, COLIN FOURNIER, Immagini e prospetti relativi alla peculiare copertura della Kunsthaus di Graz, 2003. Courtesy Universalmuseum Joanneum Anmerkungen 1 Vgl. z. B. Wilhelm Kamlah: Philosophische Anthropologie. Mannheim, Wien, Zürich 1973. S 33. „Der redend und sehend vorausblickende Mensch ist nicht nur das Lebewesen, das Sprache hat, sondern auch das Lebewesen, das Geräte herstellt und verwendet, homo faber . >Ansätze< von Werkzeuggebrauch und Geräteherstellung gibt es auch bei Tieren Aber nur der redende Mensch kann vorausblickend Geräte entwerfen, verändern, für wechselnde Zwecke einsetzen.“ 2 Vgl. z. B. Paul Lorenzen. Lehrbuch der konstruktiven Wissenschaftstheorie Mannheim, Wien, Zürich 1987. S. 177-227; Peter Janich Grenzen der Naturwissenschaft. München 1992, S. 197-213. 3 Zum ästhetischen Eigenwert von Materialien vgl. z. B. Thomas Raff. Die Sprache der Materialien. Anleitung zu einer Ikonologie der Werkstoffe. München 1994; Gernot Böhme‘ Inszenierte Materialität In: Daedalos. 56 (1995). S 36-43; Dieter Mersch: Deutsche Materialästhetik. In: Die Lebensreform. Hg K. Buchholz, R. Latocha, H. Peckmann, K. Wolbert. Bd. i Darmstadt 2001 S 267-269. 4 Zur kulturellen Rolle der Chemie vgl. in diesem Zusammenhang Peter Janich: Grenzen der Naturwissenschaft. München 1992. S. 63-85; Ders,: Protochemie. Programm einer konstruktiven Chemiebegründung. In: Ders.: Konstruktivismus und Naturerkenntnis. Auf dem Weg zum Kulturalismus. Frankfurt a. M 1996. S. 237-258. 5 Vgl. z. B. Anca Arghir: Transparenz als Werkstoff. Acrylglas in der Kunst. Köln 1988; Vera Röhm. Köln 2007. 47 47 48 (*) La mostra “Plexiglas contemporaneo. Plastica in architettura e design” è una selezione del più ampio progetto espositivo originale intitolato “Plexiglas. Werkstoff in Architektur und Design” e presentato al Museum Künstlerkolonie di Darmstadt diretto da Ralf Beil (© 2007 Institut Mathildenhöhe Darmstadt, Wienand Verlag & Medien GmbH Köln, Kai Buchholz, Röhm GmbH Darmstadt). Il testo del Prof. Kai Buchholz è pubblicato per gentile concessione della Wienand Verlag & Medien GmbH. Si ringraziano i Musei, le Aziende, i negozi e i collezionisti privati che hanno collaborato alla realizzazione dell’edizione italiana dell’esposizione. ETTORE SOTTSASS, specchio “Ultrafragola”, 1970, prod. Poltronova – Montale (PT). Courtesy Del Fabro - Tricesimo (UD) Che cos’è il vetro acrilico? L’ambiente materiale in cui vive l’uomo è formato da ➝ atomi e legami di atomi, le cosiddette ➝ molecole. Il vetro acrilico è un materiale plastico trasparente le cui molecole sono composte da atomi di ➝ carbonio (C), ➝ idrogeno (H) e ➝ ossigeno (O). In chimica il vetro acrilico è definito polimetilmetacrilato (PMMA), laddove il prefisso “poli” indica che questo materiale è costituito da catene multiarticolate, di diversa lunghezza, della molecola metacrilato di metile (MMA). La sua struttura è espressa dalla formula: Was ist Acrylglas? Die materielle Umwelt des Menschen baut sich aus ➝ Atomen und Atomverbindungen, so genannten ➝ Molekülen, auf. Acrylglas ist ein transparenter Kunststoff, dessen Moleküle aus Atomen von ➝ Kohlenstoff (C), ➝ Wasserstoff (H) und ➝ Sauerstoff (O) zusammengesetzt sind. In der Chemie bezeichnet man Acrylglas als Polymethylmethacrylat (PMMA), wobei die Vorsilbe „poly“ anzeigt, dass dieser Stoff aus vielgliedrigen, unterschiedlich langen Ketten des Moleküls Methylmethacrylat (MMA) besteht. Seine Strukturformel lautet: La lettera n accanto alla parentesi quadra indica, sinteticamente, che a sinistra e a destra dei due atomi C centrali si legano altre molecole uguali in numero variabile (n). La lunghezza delle catene molecolari influisce sulle caratteristiche del rispettivo vetro acrilico: quanto più aumenta la lunghezza delle catene, tanto più stabile e resistente agli agenti chimici risulta il materiale. I residui puri di vetro acrilico si possono triturare e riciclare integralmente, il che rappresenta un vantaggio decisivo in considerazione della scarsità delle risorse. Der kleine Buchstabe n an der eckigen Klammer macht abkürzend deutlich, dass sich links und rechts von den beiden mittleren C-Atomen weitere gleichartige Moleküle variabler Anzahl (n) anschließen. Die Länge dieser Molekülketten hat Einfluss auf die physikalischen Eigenschaften des jeweiligen Acrylglases: Je länger die Ketten, desto stabiler und chemikalienbeständiger ist der Werkstoff. Sortenreine Acrylglasabfälle können gemahlen und vollständig recycelt werden, was angesichts knapper werdender Ressourcen ein entscheidender Vorteil ist. HANS GUGELOT, DIETER RAMS, WILHELM WAGENFELD, Phonosuper SK 4, 1956, prod. Braun. Foto Koichi Okuwaki. Courtesy Museum für Angewandte Kunst Frankfurt ALEJANDRO RUIZ, grattugia “Parmenide”, 1994, prod. Alessi – Crusinallo (VB) PATRICIA URQUIOLA, libreria modulare “B – side”, 2007, prod. Moroso – Cavalicco (UD) 49 Vas-One Design Luisa Bocchietto Forme col DNA classico ma con il linguaggio internazionale outdoor / indoor del XXI secolo di Virginio Briatore COMUNE DI MUGGIA Dove sbocciano le idee 50 Museo d’Arte Moderna “Ugo Carà” Flow Design Zaha Hadid Nella storia dell’imprenditoria italiana Serralunga è un esempio raro di longevità e di capacità evolutiva. Quando nel 1889 inaugurarono la Torre Eiffel l’azienda biellese festeggiava già 64 primavere. Oggi la società a conduzione familiare è giunta al terzo secolo di attività, alla V generazione di imprenditori e vive una nuova giovinezza. Fondata nel 1825 come conceria passa poi, di pari passo con la diffusione dei macchinari, a produrre manufatti di cuoio a scopi industriali, quali cinghie di trasmissione e simili. Nel Novecento aggiunge la lavorazione della guttaperca prima e della plastica poi, specializzandosi in articoli industriali. Negli anni Ottanta importa dagli Stati Uniti il sistema 51 La Regista Design Michel Boucquillon di stampaggio della plastica a rotazione e per prima in Italia installa un impianto pilota, iniziando a produrre vasi. Il rotazionale è una tecnologia innovativa, che consente di produrre oggetti cavi e con dimensioni che arrivano anche a 2.000 litri.I primi vasi esteticamente riprendono le tradizionali forme del giardinaggio italiano e nel colore si richiamano al coccio. Sono però dotati di un’innovativa intercapedine che migliora l’isolamento del terriccio, si possono fare grandi e in virtù della loro leggerezza trovano spazio anche sui terrazzi. Serralunga capisce che la dimensione fuori scala è vincente. Il passo successivo è renderli belli, intriganti, sorprendenti. Il passaggio chiave è l’incontro progettuale ➡ 52 52 New Pot Design Paolo Rizzatto tra due biellesi, complici di vecchia data: Marco Serralunga laureato in Economia e Commercio, giovane imprenditore che eredita l’azienda paterna e Luisa Bocchietto, designer e architetto, allieva di Marco Zanuso. La passione e il coraggio d’impresa del primo, uniti alla cultura del design della seconda in 15 anni rivoluzionano l’azienda, proiettandola nella dimensione del linguaggio e del life style contemporaneo d’avanguardia. I primi passi nella nuova direzione nascono dai workshop organizzati nelle università e dal dialogo con Paolo Rizzato, Alberto Meda e Denis Santachiara, tre progettisti diversi ma accomunati dallo spirito di ricerca e dalla passione per la tecnologia. Nei dieci anni 53 Bo - tanica Design Denis Santachiara seguenti Marco Serralunga e Luisa Bocchietto, convinti assertori dell’humus culturale che gravita intorno al Design Made in Italy, si confrontano con una ventina di designer internazionali e danno vita a una collezione spettacolare, sia per forme sia per nuove funzioni d’uso, che diventa punto di riferimento e trend setter del settore. Il vaso è stato re-inventato sino a trasformarsi in scultura, lampada, land mark, punto di incontro fra mondo vegetale, arredo e tecnologia. Il confine sempre più incerto e vitale fra indoor e outdoor è diventato il terreno di ricerca per Serralunga, che in quanto azienda indipendente e verticalizzata è padrona della propria tecnologia, quindi può sperimentare, - 54 nninnovare, scegliere il percorso. Dalla ricerca aziendale e dal talento dei designer prendono corpo nuove tecnologia di prodotto: vasi lampada, lampade vaso, lampade sculture, vasi sedute, vasi come foreste, divani indoor-outdoor, al tempo stesso rigidi e imbottiti. Dal 1825 ubicata nello stesso luogo l’azienda produce totalmente in Italia, a Biella, in Via Serralunga, numero 9, in uno stabilimento di 12.000 mq che impiega Biella 65 dipendenti e ne coinvolge circa il doppio nell’indotto. Qui vengono lavorate oltre 1.200 tonnellate di plastica all’anno, per un totale di circa 200.000 pezzi prodotti. L’azienda è in continua crescita e il marchio Serralunga diventa un brand inconfondibile distribuito nel mondo. 55 English version on page 92 Scarlett Design Christophe Pillet Rossimoda: il potere della seduzione Eccellenza nella scelta dei materiali, perfetta calzabilità e una creatività spregiudicata che non conosce rivali: ecco le tre parole chiave fonte del successo che da sempre accompagna Rossimoda e che le ha permesso, nel corso dei suoi oltre sessanta anni di attività, di assurgere all’Olimpo dei più grandi stilisti del panorama internazionale di Federica Rossi curatrice Museo Rossimoda della calzatura Calzaturificio tra i più importanti del distretto della Riviera del Brenta, sia per dimensione produttiva, che per livello qualitativo dei prodotti, classificati “di lusso” e “griffati”, Rossimoda nasce nel 1942 grazie all’intraprendenza di Narciso Rossi e prosegue dal 1956 con il figlio Luigino, affiancato per lungo tempo dai fratelli Dino e Diego. Dopo un inizio caratterizzato dal tentativo di imporre i propri marchi e da una produzione artigianale, ma già con un certo grado di ricercatezza, Luigino Rossi ha l’occasione di collaborare con Charles Jourdan, azienda licenziataria per le calzature del marchio Dior. Grazie a questa opportunità l’imprenditore intuisce che la strada per il successo segue quella delle grandi “griffe”. Consapevole delle abilità e competenze della sua azienda, maturate in tanti anni di lavoro nel distretto del Brenta, propone il proprio know how al giovane Yves Saint-Laurent, appena uscito dall’atelier di Dior e in procinto di iniziare la sua gloriosa avventura. Sarà l’inizio di una proficua collaborazione durata 38 anni (dal 1963 al 2000), basata su una grande stima reciproca e segnata da molta soddisfazione e crescente notorietà. Da questa prima esperienza ne seguiranno altre: il contratto con Anne Klein, stilista americana pioniera dello sportswer femminile; la collaborazione con Givenchy; Ungaro con le sue fantasie sgargianti e i suoi eleganti drappeggi; l’avventura con Ferdinand Alexander Porsche, nata quasi per gioco: creare delle calzature unisex per guidare le sue auto sportive; e poi Genny, Fendi, gli americani Richard Tyler, Vera Wang e Calvin Klein per arrivare al 2001 con l’accordo con Christian Lacroix: il nuovo astro dell’alta moda parigina. E per ognuna di queste case di moda l’azienda riesce a creare collezioni sempre nuove, tutte diverse fra loro, preservando con maestria l’equilibrio tra esigenze in apparenza inconciliabili: lo sforzo creativo, che per essere tale deve essere libero da vincoli, la fattibilità industriale dell’oggetto e la sua commerciabilità, cioè la possibilità di avere un riscontro effettivo sul mercato. Nel 2001 si verifica la seconda svolta: il gruppo finanziario del lusso LVMH, proprietario del marchio Lacroix, resta affascinato dall’incontro con Rossimoda, sedotto dai suoi prodotti, frutto di una manualità e di un buon gusto che le permettono un vantaggio competitivo ineguagliabile rispetto ai concorrenti. Dopo un periodo di conoscenza reciproca, viene siglato un accordo strategico, grazie al quale il gruppo francese acquisisce il controllo del calzaturificio brentano, aprendo nuovi orizzonti di sviluppo per l’azienda che fanno leva su consistenti risorse finanziarie e la consolidata esperienza e competenza di LVMH nel mondo del lusso. La novità porta naturalmente anche nuove collaborazioni con case di moda sotto l’egida della “grande famiglia” LVMH: da Emilio Pucci e Givenchy nel 2001, alla linea Marc by Marc Jacobs e Loewe l’anno seguente, seguite da Kenzo, Donna Karan e per finire Celine. 57 Da aprile a ottobre Lunedì: 9.00-12.30 Martedì, mercoledì, giovedì e venerdì: 9.00-12.30; 14.30-18.00 Sabato: 14.00-18.00 Domenica e festivi: 14.30-18.00 solo visite guidate Pasquetta, 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno: aperto 15 agosto e domeniche di agosto: chiuso Nei mesi di gennaio, febbraio, marzo, novembre, dicembre da lunedì a venerdì: 9.00-13.00 Sabato, domenica e festivi: chiuso Chiuso da Natale all’Epifania Per maggiori informazioni + 0039 049 9801091 [email protected] Via Doge Pisani 1/2 - 30039 Stra (Venezia) 58 Il compito di narrare questa esperienza imprenditoriale di successo è affidato al Museo Rossimoda della calzatura, il proprio museo aziendale, aperto al pubblico nel 1995 su iniziativa di Luigino Rossi e ospitato nel complesso seicentesco di Villa Foscarini, una dimora storica, lungo le rive del fiume Brenta, dove i patrizi veneziani amavano soggiornare. In uno spazio di circa settecento metri quadri, suddiviso in prestigiosi saloni, sono esposti oltre 1500 modelli di calzature femminili di lusso, che raccontano il percorso imprenditoriale della famiglia Rossi, i livelli qualitativi raggiunti dall’azienda, sottolineandone il forte legame con il territorio. Rossimoda rappresenta infatti, oramai da molti anni, l’azienda leader del distretto calzaturiero della riviera del Brenta, famoso in tutto il mondo per la produzione di scarpe femminili di lusso e griffate. Con il suo museo, unico nella zona, l’azienda svolge quindi anche il compito di divulgare i “saperi” del territorio e di diffondere la conoscenza delle tradizioni di cui i calzaturieri sono gli eredi. Si narra infatti che le competenze acquisite di quest’area vantino origini antiche, testimoniate sin dal 1260, con la Scuola dei “Calegheri” veneziani, una confraternita di calzolai di lusso, trasferitisi poi in terraferma durante le invasioni napoleoniche. Il cambiamento epocale per il territorio giunge nel 1898, quando Giovanni Luigi Voltan torna in Riviera dopo aver lavorato a lungo nelle fabbriche statunitensi ed essersi impadronito di tutti i piccoli segreti delle nuove tecnologie produttive. Decide di aprire il primo stabilimento meccanizzato per la produzione di massa di calzature, grazie all’acquisto di impianti e macchinari all’estero. Si realizza un grande successo: in pochi anni la piccola fabbrica arriva ad avere 500 dipendenti e l’azienda sviluppa una gigantesca organizzazione di vendita. Voltan si dimostra un grande benefattore oltre che un imprenditore lungimirante, organizzando corsi professionali per migliorare le conoscenze dei suoi dipendenti, costruendo abitazioni salubri per gli operai e istituendo una società di mutuo soccorso; iniziative che portano benessere e prosperità in un territorio a lungo dilaniato dalla carestia e dall’emigrazione. La popolazione reagisce con entusiasmo ai nuovi stimoli, svelando un talento nascosto per la nuova attività, una manualità e un gusto affinato da secoli di dominazione veneziana, nei quali il senso estetico della collettività ha subito l’influenza di un ambiente circostante caratterizzato da armonia delle forme e salvaguardia della tradizione, testimoniato soprattutto dalla civiltà delle Ville, tuttora presenti a raccontarlo. E da questa prima impresa del pioniere Voltan, con una specie di reazione a catena ne nascono molte altre, frutto dell’intraprendenza di bravi operai e coraggiosi capi reparto. Fra questi nel 1942 vi è anche Narciso Rossi, ma questa storia l’abbiamo già raccontata… 59 © Fotografia Gasperi Prosciuttificio Wolf di Sauris, Fantoni di Osoppo, Snaidero di Majano, Prosciuttificio Morgante di San Daniele del Friuli, Moroso di Cavalicco, Quality Food Group di Martignacco, Tonutti di Remanzacco, Tonon e Calligaris di Manzano, Gruppo Polo Le Ville Plus di Cassacco e T&T Telematica e Trasporti di Ruda: sono queste le undici aziende friulane che, da aprile a novembre, apriranno straordinariamente le porte dei loro stabilimenti e delle loro show-room ai turisti interessati a conoscere la cultura e la tradizionale della nostra Regione attraverso il mondo economico. Il nuovo circuito industriale - attivato e ideato da Confindustria Udine e sostenuto nella promozione dal Sistema Friuli Venezia Giulia attraverso la Regione con Turismo FVG, la Camera di Commercio di Udine e la Provincia di Udine – è stato presentato a palazzo Torriani nel corso del convegno dal titolo “Turismo 2.010 – Il posizionamento del turismo industriale nel progetto paese Italia”. Nell’aprire i lavori, Adriano Luci, presidente di Confindustria Udine, ha ricordato come “l’obiettivo delle iniziative dell’Associazione, caratterizzate dal logo Industria e Turismo: andata e ritorno e giunte alle soglie 60 della quarta edizione, si è connotato sempre dal duplice valore di attrarre nuovi flussi turistici e di rafforzare nel contempo l’immagine del prodotto industriale friulano. Il comparto turistico è in questi anni sicuramente cresciuto, ma certamente – ha aggiunto Luci - bisogna crescere ancora soprattutto nella capacità di fare sistema perché l’offerta turistica non si ferma solo alla qualità recettiva, ma richiede anche un contorno (eventi, manifestazioni, opportunità di incontro, servizi) che operi in una logica sinergica per far sì che l’attrazione, il senso del richiamo, riguardi l’ospitalità nel suo complesso. Su questo bisogna lavorare, ma la consapevolezza che occorre operare in questa direzione ricercando le opportune forme di sinergia dimostra come ci si sta avviando nella giusta direzione”. Dal canto suo Marco Bruseschi, vice-presidente della Camera di Commercio Udine, ha sottolineato “come l’ente camerale abbia sposato pienamente l’idea di creare un prodotto nuovo che può essere definito come scelta innovativa e strategicamente coraggiosa e che punta in modo forte alla valorizzazione dell’economia locale passando attraverso la conoscenza del mondo del lavoro e delle sue imprese. Alla CCIAA, ponendosi al centro dell’economia delle imprese del territorio e puntando in modo forte agli scambi di tipo internazionale, è sembrato naturale accompagnare Confindustria Udine in questo percorso di crescita e di promozione del Friuli, rispondendo ad una domanda crescente di imprenditori e turisti”. Dopo i saluti di Francesco Iannella, responsabile Unicredit per il Friuli Venezia Giulia, istituto che sosterrà le azioni di promozione e informazione con i propri sportelli nei Paesi della Nuova Europa, il convegno è entrato nel vivo con l’intervento di Marino Firmani, delegato al Turismo Industriale Confindustria Udine che ha parlato, nel dettaglio, del progetto di turismo industriale per il Friuli industriale. “Per competere sul mercato del turismo internazionale – ha spiegato Firmani - il nostro territorio ha bisogno sempre più di trovare nuove forme di cooperazione integrando anche il mondo delle imprese alle attività turistiche e di ospitalità del territorio. Da qui la relazionalità, le alleanze, l’impegno del mondo dell’industria e dell’economia a mettere in campo la propria capacità relazionale. E noi di confindustria Udine ci siamo avvicinati al mondo del turismo con gradualità e forte attenzione affrontando il tema con le proprie modalità di pensiero progettando e costruendo un servizio turistico prima per arrivare poi al prodotto turistico . Un filo conduttore tra il mondo dell’impresa e il mondo del turismo esiste ed è quello che oggi come ieri e domani il prodotto creato dalle industrie per entrare nell’immaginario del consumatore deve creare emozione così come un viaggio, una vacanza una permanenza presso un luogo noi tutti vogliamo che crei un’emozione. Il turista sceglie una meta dopo essere stato stimolato da una comunicazione persuasiva, attraverso i media multimediali, tradizionali e il passaparola e sceglie la meta turistica in funzione di una gamma di servizi e prodotti che la meta offre. Noi tutti scegliamo la spiaggia oppure la montagna, le città storiche, il lago e attorno a queste destinazioni cerchiamo la visita al museo, al castello della città al ristorante… A tutto questo panorama esiste anche una domanda da parte delle persone di visitare e di conoscere e di scoprire l’economia del territorio attraverso la conoscenza dello sviluppo imprenditoriale. Noi desideriamo proporre un ampliamento della gamma prodotti servizi turistici offerti dal territorio con l’offerta oggi complementare dell’apertura di un circuito turistico industriale con l’obiettivo di costruire una offerta di turismo industriale capace di attirare il turista attraverso il successo dei nostri brand”. È poi seguita l’illustrazione di tre casi di successo a cura di Valentina Doorly, marketing manager di Guinness Storehouse (Irlanda), di Alessandro Chiarini, di Grana Padano e Carolina Lussana, responsabile Fondazione Dalmine e Consigliere Museimpresa. Quello della Guiness Storehouse (un milione di visitatori all’anno, 120 dipendenti ed un fatturato di 4 milioni di euro), ad esempio, è un caso eclatante: la visita ai suoi stabilimenti è la prima attrazione in Irlanda per numero di visitatori e la terza nel mondo per quanto riguarda le visite a brand industriali. Quindi, è stata la volta del contributo di Giuliana Quendolo, albergatrice e rappresentante della sezione Turismo all’interno del Gruppo Terziario Avanzato di Confindustria Udine, ha evidenziato il tentativo andato in porta di avvicinare il mondo del turismo a quello produttivo. “Mi piace sottolineare il dinamismo propositivo che ha animato il progetto di Confindustria Udine. Come sezione turismo ci siamo fatti propulsori di questa iniziativa che ha poi trovato rispondenza positiva nelle imprese del territorio che hanno deciso di presentare le loro produzioni anche in chiave turistica. Il turista si vuole avvicinare all’industria attraverso il racconto innanzitutto da parte degli stessi imprenditori dei segreti dei propri prodotti della loro storia di generazioni di operosità delle sfide di ieri e oggi per emergere e per affermare il valore del made in Italy di radici friulane e che può divenire opportunità di business per il territorio con l’avvio di nuove filiere”. Intanto, sono già arrivate le risposte entusiaste delle aziende: Carlo Tonutti, presidente Tonutti Group, Franco Morgante ad Morgante, e Paolo Fantoni, ad Fantoni, hanno raccontato l’approccio aziendale a questa nuova esperienza. In un contributo video, il presidente dell’ENIT, Matteo Marzotto, nel dare il suo plauso a questa iniziativa friulana, ha assicurato che l’Italia mantiene saldo il suo appeal internazionale di brand unico al mondo. C’è però lo spazio per crescere ancora, ma serve l’impegno di tutti, dalla comunicazione alla cura nel minimo dettaglio nei servizi erogati. “Come orgoglioso italiano – ha affermato Marzotto - mi viene da pensare che il Friuli è una parte fondamentale dello sviluppo del Nord-Est, fatto da imprenditori che hanno consolidato lo sviluppo economico del nostro Paese e che possono raccontare molto alle nuove generazioni aprendosi con la propria storia e con le proprie esperienze internazionali. Il Circuito Turistico Industriale che avete presentato lo considero un modello eccellente di fare turismo”. In chiusura di convegno, Roberto Magliulo, vice presidente di Confindustria Servizi Innovativi, e Gianfranco Manetti, responsabile Iniziative Speciali Touring Editore si sono soffermati sul progetto Paese Italia. www.industriaeturismofvg.it “Oliere designate” 62 La località di Oleis, il cui toponimo riflette una voce latina indicante l’ulivo, ha ospitato nella suggestiva cornice di Villa Maseri il meglio della produzione olearia attiva sul territorio per celebrare questo alimento di complemento e le sue caratteristiche. Attraverso convegni, lezioni di potatura e coltivazione dell’ulivo, assaggi, oltre a un ricco calendario di eventi collaterali (arte, design e musica), si sono confrontati gli operatori provenienti dal manzanese, da Trieste e da Dignano d’Istria che, attraverso dei test sensoriali e degustazioni, hanno messo in evidenza le caratteristiche e le proprietà dei loro frantoi. L’appuntamento è stato organizzato da Arc Oleis e Dintorni con la collaborazione del Comune di Manzano (UD). Quest’ultima è una cittadina che ha legato fortemente il suo sviluppo artigiano e industriale alla produzione delle sedute meritandosi l’appellativo di “Capitale della sedia”. In questo stretto rapporto fra qualità della produzione locale (ditte spesso terziste rispetto ad aziende di arredamento) con designer di rilievo internazionale (Gio Ponti, Vico Magistretti, Jasper Morrison, Ilmari Tapiovaara, Iosa Ghini, Philippe Starck, ecc.) nasce per volontà degli organizzatori dell’iniziativa “Olio e Dintorni” la mostra “Oliere designate” prodotta dalla testata Juliet design magazine con la preziosa collaborazione della compagnia aerea Air Dolomiti-partner Lufthansa, della Katy House di Monfalcone (GO) e della Graphart di San Dorligo della Valle (TS). Un percorso espositivo basato sul concetto di pertinenza derivata dal rapporto dell’oggetto esposto in questione con il contesto in modo tale che possa essere divulgato presso il largo pubblico, oltre a interessare gli esperti del settore. Una mostra può essere dunque più o meno pertinente se si considera il contesto di un tema, di un filone artistico o di un ambiente circostante particolarmente connotato. Agire in questo modo è distinzione di qualità, di interesse, di creatività e così di seguito. Per queste ragioni ideare e realizzare un evento che ruota intorno al mondo del design, anche se proposto fuori dai circuiti tradizionali, può diventare momento privilegiato e di confronto costruttivo. Ma veniamo ai fatti e ai nomi, perché all’interno di questa pertinenza c’è tutto un ventaglio qualitativo estremamente articolato. E allora, nell’immensa flora degli oggetti che ci circonda, ve n’è uno –posto sempre al centro del tavolo- che ci accompagna durante il nostro rito quotidiano del nutrirsi. E poiché gli oggetti sono anche immagini, e le immagini sono immagini di oggetti e dunque immagini di immagini, questo oggetto ci può offrire, probabilmente molto più peculiarmente di altri, il ritratto della nostra società ricca di connotazioni. Questo oggetto, questa immagine, è l’oliera. Vestito con decorazioni, svestito da orpelli, efficientizzato, estetizzato, impreziosito, banalmente usato e, oggi, progettualmente ammirato. È un oggetto di culto: per la sua portata dietetica (terapeutico per mantenere sano il nostro corpo) e per il suo spessore culturale (se il suo contenuto ha sempre unito le genti e ha aperto le strade commerciali il contenitore non è da meno e rappresenta il meglio del meglio del disegno industriale italiano). Su questa tematica progettuale si sono cimentati note firme del design sostenute da grandi aziende del comparto. Andrea Branzi, Achille Castiglioni, Stefano Giovannoni, Michael Graves, LPWK-Marta Sansoni, Enzo Mari, Furio Minuti, Nencioni Moleri, Marc Newson, Lorenzo Piccione di Pianogrillo e Köbi Wiesendanger, Franco Sargiani e Eija Helander, Borek Sipek, Ettore Sottsass, Oscar Tusquets, Paolo Ulian e Elisabeth Vidal hanno ideato per le industrie Alessi, Driade, Fratelli Guzzini, Sambonet Paderno Industrie e Zani&Zani. Un semplice filo d’olio ha unito la carica espressiva dei creativi all’interpretazione funzionale dei costruttori di portacondimenti. Eleonora Garavello e Alessio Curto Nella pagina accanto: sopra, da sin verso dx, il logo della manifestazione e la produzione Zani&Zani con linea “Domestica” (1993) di Enzo Mari, linea “Family” (2003) di Paolo Ulian e linea “Opasis” (1986) sempre di E. Mari; al centro set di Achille Castiglioni in una illustrazione di Steven Guarnaccia (courtesy Museo Alessi e Corraini Editore); sotto la produzione Fratelli Guzzini con menage linea “Bolli” (2007) di Elisabeth Vidal e oliera linea “Happy Hour” (1998) di Fulvio Minuti più panoramica dell’Abbazia di Rosazzo (sede del convegno). In questa pagina: sopra, da sin verso dx, la produzione Alessi con il servizio “Zenit” (2001) di Marc Newson, oliera “Mami” (2003) di Stefano Giovannoni, servizio “FS05” (2005) di Franco Sargiani e Eija Helander, oliera “MG31” (2000) di Michael Graves; sotto porta-oli “Trattore” (2005) di Andrea Branzi, servizio “5070” (1978) di Ettore Sottsass e uno scorcio dell’allestimento della mostra ospitata a Villa Maseri 63 64 Sopra e a dx il plastico del progetto nelle foto di Vittorio Dozio; sotto Emilio Vedova ai Magazzini del Sale di Venezia ritratto nel 1972 da Gianni Berengo Gardin. Courtesy Fondazione Emilio e Annabianca Vedova [per Studio ell(E)gi] di Gian Paolo Venier FONDAZIONE emilio e annabianca VEDOVA Nell’immaginare lo spazio di Emilio Vedova nel Magazzino del Sale, uno dei nove Saloni trecenteschi alle Zattere, lungo il grande Canale delle navi, Renzo Piano ha applicato in modo paradigmatico questo principio che, come lui stesso ha detto, governa la sua architettura: non ha toccato le volte, non ha toccato i solidi muri del gigantesco Salone, eppure lo spazio risulta immaterialmente riempito da una sottile macchina leonardesca che, concepita come un sistema meccanico-robotico di sofisticata tecnologia, strappa le opere di Vedova alla fissità dei muri in un rimbalzo infinito di chiaroscuri. Il progetto all’interno dei Magazzini salda un antico e fortissimo legame che Vedova ha sempre avuto con questi spazi: hanno ospitato il suo studio dagli anni ’60 agli anni ’70, e li ha difesi strenuamente verso la metà degli anni ’70 da una proposta di progetto che prevedeva di abbatterli per realizzare una piscina pubblica. Il progetto dello spazio espositivo nasce certamente dall’ascolto della storia che negli anni ha legato Vedova ai Magazzini. Il criterio espositivo proposto dal progetto viene direttamente da Vedova e ripropone in un certo senso il suo universo di movimenti, oggetti, disequilibri, scarti e asimmetrie. Il progetto si basa su un’idea molto semplice e frugale: non tradire il carattere originario del Magazzino e contemporaneamente invaderlo con un’azione espositiva dinamica e, in un certo senso sorprendente. La forza di quest’idea non sta nella sua vastità, ma piuttosto nella sua intensità. Lo spazio rimane ciò che è, mantenendo la sua originaria e sobria robustezza. Sul pavimento in pietra viene appoggiato un impalcato in legno leggermente inclinato che contribuisce a contrarre la percezione prospettica dello spazio. L’accesso, per chi arriva dalla Fondamenta, costituisce una vera e propria introduzione all’esperienza espositiva, un invito alla scoperta della scenografia interna. Ma anche una mediazione tra lo spazio esterno e quello interno che hanno luce, rumori e atmosfere completamente differenti. Dalla Fondamenta inondata di luce, attraverso il portone ligneo, si entra in uno spazio introduttivo e da qui l’interno buio, squarciato da sapienti tagli luminosi: l’impalcato, il sistema di illuminazione puntuale dall’alto, la profondità delle ombre dell’intorno, tutto evoca l’atmosfera di una scena teatrale. La visita al museo Vedova andrebbe accompagnata dalla conoscenza dei fatti storici che hanno portato Piano a realizzare questo tipo di installazione, dove il progetto non è il solo allestimento delle opere ma un unico insieme indistinto, che vede le opere, la macchina, il movimento, l’assenza di luce e il magazzino come la rappresentazione del mondo e delle atmosfere di Emilio Vedova, come un’opera d’arte totale. La conoscenza del contesto storico e delle ragioni del progetto ci aiutano a superare il disagio di visionare delle tele esposte molto in alto rispetto al punto di vista del fruitore, e a dover rispettare i tempi della macchina che costringono il ritmo del visitatore a delle pause precise. Il progetto per il nuovo museo permanente dedicato al maestro Emilio Vedova esprime l’intimità e la conoscenza di lunga data tra l’artista e l’architetto: un gioco a due! 65 La rivista Il Progetto nasce nel 1997. Architettura, arte, comunicazione e design i campi disciplinari prescelti per indagare il contemporaneo, con un’attenzione particolare alla sperimentazione e all’innovazione. Il taglio inclusivo e composito, figlio di un comitato di redazione caratterizzato da diverse formazioni e scuole, ne ha fatto da subito un osservatorio privilegiato sulle maggiori trasformazioni culturali in atto in ambito internazionale. Le stesse scelte redazionali hanno spesso saputo anticipare tendenze e aspetti del divenire. Edita da Logos, la rivista è bilingue (italiano e inglese), di formato 24 x 27 cm, in 6 sedicesimi, stampata in bianco e nero, con una tiratura di 5.000 copie. A Maurizio Badaschia, direttore responsabile del periodico trimestrale abbiamo posto alcune domande. Puoi nominarci un autore di tua preferenza per ogni tematica affrontata da Il Progetto? Peter Eisenman per l’architettura. La copertina del primo numero, nel luglio del 1997 gli fu dedicata non a caso. Per il resto, devo dire che non c’è un autore che in assoluto sta sopra gli altri. In dodici anni abbiamo cercato di rappresentare un mondo condivisibile anche se eteronomo, ogni tipo di avanguardia del nostro tempo… Ciò che mi interessa, che ho cercato di raccontare, è quella zona di confine, di limite, tra mondi comunicanti, le contaminazioni, le ibridazioni, le idee per così dire “in-between”, capaci di capovolgere situazioni, di raccontare nuovi spazi, nuove progettualità. Come colleghi la tua attività progettuale a quella editoriale? Il Progetto è sperimentazione. I progetti, a tutte le scale, su cui lavoriamo, rappresentano una sintesi, un esempio di come cerchiamo di affrontare i singoli, diversi temi ricercando le migliori soluzioni a problemi complessi: ogni tema indagato può sempre essere visto da angolature diverse, rappresentare risposte a quesiti dissimili, porre questioni non univoche. Solo sperimentando e cercando di dare più soluzioni attraverso una risposta progettuale è possibile risolvere la complessità di ciò che si affronta. L’atteggiamento è necessariamente inclusivo, eteronomo, aperto al confronto, pluridisciplinare. Esattamente come nell’attività Che cosa pensi della presenza di Yona Friedman alla Biennale di Daniel Birnbaum? Una scelta eccellente, corretta, geniale, come l’ultima Biennale. Sì, è geniale la Ville Spatiale – visualisation of an idea, di Yona Friedman, un’installazione che, rendendo attuali le utopie radicali del passato (Ville spatiale, 1956) dell’architetto artista, indaga sul tema dell’imprevedibilità e della non dominabilità dei processi costruttivi urbano architettonici. Apre un dialogo su tecnologie obsolete, sulle cose che non hanno più significato, funzione, che si fermano, dando forma a un nuovo surrealismo, una ricerca architettonica e visionaria, modello per giovani artisti. Nella Venezia assolata del mese di giugno, che pareva rinata, glamour, mondana, investitrice nel mercato globale attraverso la ricerca di una nuova immagine multichannel, la Biennale curata da Daniel Birnbaum, mi ha sorpreso sin dal primo istante. Per la sua “complessità e molteplicità” di visioni, diversissime, del costruire il futuro del mondo attraverso, con l’arte. Fare Mondi, mi ha rimandato all’interrogazione estetica di Nelson Goodman, ma concettualmente evoluta attraverso lo spazio inteso come installazione visiva e tecnologica, l’artista che si occupa delle nuove reazioni e di intercettare i segnali deboli. Poche le rappresentazioni pittoriche, frammenti di percorsi attraverso lo storytelling, ogni installazione parlava, parla di storie di mondi multiculturali, multietnici, inclusivi, pluralisti. Fotografia “povera”, minimale, anticelebrativa, ibridata e contaminata, dimessa e insieme ricca di contenuti colti e sofisticati, una Biennale, specchio del nostro tempo. Non più euroamericanocentrica. Riflessiva, concettuale, questa rassegna è tornata a pensare e a fare pensare. Mi ha fatto pensare. È negli spazi dell’Arsenale che accade, come ogni volta, ciò che più emoziona. La percezione è quella della creazione di mondi quasi “in diretta”, la creazione di nuovi mondi che agiscono là dove i mondi già esistenti si incontrano. Fantastica l’“apertura” dei giochi di Lygia Pape con quell’installazione scultorea di grandi dimensioni: una rarefatta geometria di fili dorati nel buio della prima sala che riporta lo sguardo al soffitto e alla base ricercando, dalle diverse angolazioni, il punto di partenza, di creazione dell’opera insieme artistica e architettonica. Evocativi e straordinari anche gli specchi di Pistoletto, immediatamente successivi, che attraverso l’opera Seventeen Less One fa dialogare distruzione e rigenerazione della vita. Di grande effetto emozionale – mi è proprio piaciuto! il video (Schegge d’Incanto in Fondo al Dubbio) di Masbedo e C.P. Company, accompagnato dalle musiche dei Marlene Kuntz all’interno del criticatissimo, a torto ritengo, Padiglione Italia, una video-audio installazione raffigurante l’immane e inutile sforzo dell’uomo nel cercare di superare il soprannaturale. Ai giardini ciò che mi ha colpito è stato il padiglione delle Repubbliche Ceca e Slovacca (Roman Ondak), con il suo allestimento naturalistico, replicante i viali dei giardini, in un continuum che anela all’infinito; ma anche quello olandese, come sempre capace di catturare l’attenzione di moltissimi spettatori, il video di Fiona Tan (Disorient) attraverso dualità temporali stratificate disorienta il visitatore portandolo in un “non luogo” dove tempo e spazio si sovrappongono. Efficacissima anche la grande tela di ragno di Tomas Saraceno, quell’enorme groviglio di fili capace di bloccare la fisicità dell’attraversamento, non lo sguardo verso l’infinito e l’ignoto. Interessante il lavoro Coro Spezzato, di Rosa Barba, ossimoro di un coro silenzioso rappresentato da frammenti di testo proiettati da cineprese “antiche”. Esemplare il lavoro di Bruce Nauman (uno dei miei artisti preferiti), Topological Gardens, che stupisce in modo magistrale perché riesce a collegare spazi e suoni regalandoci nuove geografie emozionali da esplorare. Daniel Birnbaum, mi ha convinto, mi hanno convinto le pluralita’ dei linguaggi presenti: le installazioni, i video e i film, la scultura, le performance… quasi tutto, per la capacità di questa Biennale di fare vivere l’esperienza dal vivo, proponendosi come un’accademia multidisciplinare dove l’artista, ma anche lo spettatore, vanno in scena. A cura di Roberto Vidali Da sinistra verso destra: in piedi Alessandro Mircovich, Federica La Rocca e Stefano Longo; seduto Maurizio Bradaschia. Fotografia di Fabio Rinaldi Come nasce e come vengono scelti gli articoli de Il Progetto? “In July 1997 the first issue of the magazine Il Progetto was published. The editing team was composed of, among others, Maurizio Bradaschia, Livio Sacchi, Antonino Saggio, Maurizio Unali and myself. The decision was made to put Peter Eisenman on the cover because, at the time, he was in a very creative period. The issue was distributed at the conference entitled “Paesaggistica e linguaggio grado zero dell’architettura” (Landscape and the Zero Degree of Architectural Language) organized by Zevi in Modena in september 1997. It was an event that must be read as the relaunching of justifications for experimentation in Italy, both because it represented an opening towards environmental isuue and because it declared the end of research focused exclusively on the typical language of the 1980s. After much discussion, in the second issue, published in January 1998, the editors decided to place Massimiliano Fuksas on the cover. At the time Fuksas was not so well known, largely as a result of his ostracism by academic culture. It was precisely during these years that a new critical movement was born, mainly outside of the universities”. Così scrive Luigi Prestinenza Puglisi nell’editoriale di Architectural Design di maggio/giugno 2007 dedicato all’Italia, Italy: A New Architectural Landscape. Era il 1995, agosto, e se ne discuteva; un anno dopo, con Livio Sacchi e Maurizio Unali costituimmo un gruppo di 30, 40enni di diversa provenienza e formazione geografica, un gruppo interdisciplinare, e fondammo la rivista. Una rivista che sottotitolava “quotidiano trimestrale di architettura, arte, comunicazione e design”, a voler evidenziare la “freschezza” e immediatezza dell’informazione nei campi più disparati del progetto. Divisa in sezioni: La partita di scacchi, Architettura, Arte, Comunicazione, Design, Ibridazioni, Anteprima, aveva, come in alcuni importanti quotidiani, la sezione/rubrica “terza pagina”, il luogo dove dibattere e discutere di questioni culturali di primo piano. L’editoriale del n.1 così recitava: “Il Progetto si occuperà di architettura, arte, comunicazione, design. Il nostro obiettivo è avvicinare i problemi posti dalla scena contemporanea: la globalizzazione della cultura, la dimensione etnica, l’interazione tra le arti, la sostenibilità tecnologica, il rapporto natura/artificio. Indagheremo i linguaggi, ma anche le tecniche dell’architettura, dell’arte e delle diverse forme di comunicazione, perché crediamo nella continuità dell’azioneprogetto, nella sua forza. Chiederemo alle punte più avanzate della nostra contemporaneità di raccontarci le sperimentazioni in corso. Cercheremo inoltre di definire un punto di vista da cui costruire architetture, proponendo una elaborazione progettuale dinamica, che non solo conviva, ma sappia – come l’arte, il cinema, la musica, la letteratura – trarre ispirazione poetica anche dal negativo, da condizioni generalmente definiti di “degrado”. ... “Una prospettiva che sappia indicare strade nuove; includere considerazioni eteronome. Il coinvolgimento di collaboratori, clienti, fruitori, richiede infatti un pluralismo critico reale e non di facciata. La comprensione della cultura contemporanea richiede un radicale sforzo di inclusione, liberazione, adattamento e messa a punto di ogni modello di giudizio precostituito: esclude l’esclusione. L’identità contemporanea è trans-territoriale e multi linguistica. La nuova dimensione culturale è legata alla centralità dei marginalismi. Los Angeles e New York non sono lontane da Hong Kong e Tokyo o da Amsterdam, Londra, Berlino e Roma, città globali costrette a misurarsi con la società multietnica. Il paesaggio contemporaneo è privo di inizio e di fine, di limiti e confini, è labirinto dell’accidentale. Lo spazio urbano è sostituito dalla simulazione, dall’agglomerazione multimediale, dalla sovrapposizione incontrollabile e invisibile delle reti informatiche. La sua identità è fluida, instabile, in continua ridefinizione. Chi progetta, nel dare forma a voci diverse, traduce e interpreta la complessità di ciò che vede, legge, ascolta. In ambito estetico il riconoscimento del molteplice come ibridazione, richiede l’esercizio della scoperta. Ma prevede anche il compito di ripensare le condizioni stesse attraverso le quali apprezziamo l’arte, comprendiamo l’architettura, ne tracciamo la storia”. editoriale e pubblicistica, che io considero e chiamerei di promozione e divulgazione culturale. Esiste un problema, di non comunicazione e comprensione, tra la società civile e il mondo dell’architettura, della cultura architettonica. Ciò che appare essenziale agli addetti ai lavori non lo è affatto per i non addetti. Le migliori architetture, ovunque, sono osteggiate dalla pubblica opinione. In Italia, più che altrove. Il nostro compito è anche quello di informare, di parlare di qualità. Penso che con voi di Juliet molti siano i punti in commune: l’Architettura, l’Arte, il Design, sono parte della nostra quotidianità. Il nostro compito, “loosiano”, per certi versi, è quello di informare, forse educare il gusto. Le riviste sono uno strumento di politica culturale. L’architettura lo è. È rappresentativa di un luogo, di una società, di una cultura. In ciò trovo assonanze tra ciò che progettiamo e il nostro progetto culturale. Maurizio Bradaschia (Trieste, 1962) si laurea in Architettura presso l’IUAV nel 1987. Consegue il Dottorato di Ricerca presso l’Università La Sapienza di Roma, è professore associato a Trieste, dove insegna “Recupero e Conservazione degli Edifici” e “Progettazione Architettonica” presso la Facoltà di Ingegneria. Ha tenuto seminari e conferenze presso la Columbia University di New York, la Facoltà di Architettura di Las Palmas di Gran Canaria, la Facoltà di Architettura dell’Obafemi Awolowo University di Ile Ife in Nigeria e nelle principali Università italiane; ricercatore nel Settlement Upgrading Programme (SUP), United Nations Centre for Human Settlement (Habitat), Informal Settlement Upgrading in the city of Ibadan (Nigeria); è stato componente il working team transnazionale italiano nel progetto Vision Planet (UE Interreg IIC), progetto di sviluppo spaziale dell’area centro europea, danubiana e adriatica. Bradaschia è stato componente del tavolo tecnico TEM (Trans European Motorway – ECE-UN). È fondatore e Direttore della rivista internazionale di Architettura, Arte, Comunicazione e Design Il Progetto. È autore di oltre centotrenta pubblicazioni scientifiche. Ha scritto per le riviste Domus, ab, Il Giornale dell’Architettura, Il Progetto, d’Architettura, Neoclassico, Hise; suoi progetti sono stati pubblicati su Architécti, ab, Architekt, Area, d’A, Il Giornale dell’Architettura, Costruire, Il Progetto, Anfione e Zeto, l’Architettura-cronache e storia, World Architectural Review, Paesaggio Urbano, Architetti, Juliet, Hise, Escala, Oris. Ha fatto parte di numerose giurie di concorsi nazionali e internazionali di architettura. È stato uno dei 65 architetti invitati alla Mostra “Dal futurismo al futuro possibile nell’architettura italiana” in occasione delle manifestazioni per Italia in Giappone 2001. È stato co-progettista del Master Plan per Trieste Expo 2008, progetto esposto alla 9a Mostra Internazionale di Architettura de La Biennale di Venezia, Metamorph, 2004; è tra gli architetti italiani pubblicati nel catalogo del Padiglione italiano della 10a Mostra Internazionale di Architettura de La Biennale di Venezia. Maurizio Bradaschia ha fatto parte del gruppo dei selezionatori per la medaglia d’oro per l’architettura italiana nell’ambito della XX Expo Internazionale della Triennale di Milano (2002/2003, 2005/2006, 2008/2009). È stato advisor per il Premio In/Arch-Ance nel 2005 e nel 2006. È stato Assessore alla Pianificazione Territoriale del Comune di Trieste. Andando a ritroso, è stata in una edizione del salone del mobile di Colonia dove la Kartell, nota azienda per la lavorazione delle plastiche, e Philippe Starck, superstar tra gli industrial designer, hanno deciso di presentare insieme le loro novità e, per la prima volta al pubblico internazionale, il nuovo libro “kARTell - 150 items, 150 artworks”, Skira Editore, 21x29,7 cm, cartonato, 180 colori per un totale di 288 pagine. Concept di Franca Sozzani e Art Direction di Luca Stoppini. A dire la verità questo lavoro era già stato proposto alla Triennale di Milano e, dunque, la terra teutonica è stata la prima tappa all’estero della lunga marcia dei “150 modi, e più, per dire e per essere Kartell”. Il Flagship Store di Colonia si è inserito così nel circuito “Passagen” con un evento unico nel suo genere perché ha unito alla presentazione degli ultimi pezzi della produzione, quella di una nuova proposta editoriale, unica nel suo genere in virtù dell’utilizzo di linguaggi diversi e dell’unione di mondi paralleli quali l’arte, la moda, la fotografia e le arti visive. Kartell, dopo i suoi tanti anni di attività, ha espresso in questo modo il desiderio di raccontarsi sotto una nuova forma, lasciando la parola ad interpreti d’eccezione quali sono i centocinquanta nomi dei fotografi di moda, artisti contemporanei e personaggi selezionati, provenienti dal mondo culturale e sportivo, che hanno rilasciato la loro testimonianza presentando una foto o un testo. Tra gli ospiti illustri, che non hanno voluto mancare a questo innovativo dialogo, ricordiamo Gian Paolo Barbieri, Michel Comte, Sante D’Orazio, marco Glaviano, Paolo Roversi, Francesco Scavullo, Mario Testino, Vedova Mazzei, Francesco Vezzoli, Ellen Von Unverth (altri nominativi li citeremo quando parleremo più dettagliatamente della nuova proposta espositiva). Un’iniziativa in cui convergono molteplici punti di vista espressi dalla nostra cultura contemporanea costruita su contaminazioni, rimandi, slittamenti di senso e di ruolo. In un elogio alla libertà d’espressione e alla creatività, gli oggetti protagonisti di questi scatti -dai prodotti più recenti fino ai casalinghi del passato- si spogliano della loro tradizionale funzione e si ripropongono come icone contemporanee trasversalmente condivise da tutti noi. Ironici e, allo stesso tempo inevitabili, artistici o mondani: i pezzi fotografati diventano simboli e segni di un mondo più vasto, “un sommario di immagini e di interpretazioni artistiche di oggetti e mobili di uso quotidiano” come dichiara Franca Sozzani, direttore di Vogue Italia e curatrice dell’evento in oggetto, dove “ogni singolo pezzo sfila in un gioco visuale animato dalla magia della fotografia”. In occasione del 60° anniversario dell’azienda il Museo d’Arte “Ugo Carà” di Muggia (Trieste) ha richiesto al Museo Kartell di Noviglio (Milano) diretto da Elisa Storace la proposta espositiva e, in collaborazione con Juliet design magazine, l’ha inserita nel ricco calendario della 5a edizione del festival triestèfotografia. La nuova versione della mostra è composta da immagini firmate da autori di indubbia fama selezionati dal più ampio corpus presente nelle pagine del libro; una selezione degli oltre centocinquanta scatti realizzati per il volume e firmati dai più grandi artisti contemporanei e fotografi del mondo che hanno messo al centro delle loro opere i pezzi di design prodotti da Kartell, rendendoli eroi di storie magiche, protagonisti di mondi altri, visionari e inaspettati. Sedie, tavoli, cassettiere e complementi unici nel loro genere, progettati dai maestri del design italiano e internazionale, sono posti in una luce inedita, estranea al loro essere oggetti d’uso quotidiano e capace di farne risaltare, attraverso inconsueti paesaggi domestici o territori onirici, la raffinatezza delle forme e il potenziale scultoreo. Le opere di David Lachapelle, Karl Lagerfeld, Peter Lindbergh, David Bailey, Don Cunningham-Maurizio Cattelan, Armin Linke-Vanessa Beecroft, Jean-Baptiste Mondino, Helmut Newton, Virginia Del Giudice, Michelangelo Di Battista, Fabrizio Ferri, David Ferrua, Luca Fregoso, Giovanni Gastel, Piero Gemelli, Oberto Gili, Ranjit Grewal, Paolo Pagani, Nick Scott e Bruce Weber documentano come si è evoluto uno spirito, o meglio un gusto, che fa dei componenti Kartell presenze rintracciabili nelle situazioni abitative poste a diverse latitudini e tra i vari strati sociali. È la loro caratteristica ubiquitaria, questa trasversalità che li rende oggetto dell’estro dell’artista, per cui il posacenere, la lampada, la poltrona, la fluttuante libreria sono protagonisti di rappresentazioni ora fantastiche, o visionarie o ironiche di vita. Una capacità interpretativa che i componenti Kartell hanno d’altra parte inscritta nel loro codice genetico: perché è la loro semplicità, la duttilità delle loro forme, la corposità dei loro colori a farli diventare, nelle mani di persone estranee al mondo del design, come sono gli autori di questo libro, gli interpreti di una scelta estetica, gli emblemi di un approccio ironico e divertito alla realtà circostante. Da rilevare infine che un’anteprima della mostra è stata ospitata dallo Spazio Italia by Air Dolomiti, il gate privato della nota compagnia aerea partner della Lufthansa (e sponsor fondamentale per la realizzazione delle ultime quattro edizioni del festival dello scatto d’autore), situato al Terminal 2 del Münich Airport International. Alessio Curto Un’anima, 150 volti Immagini dal libro kARTell. 150 Items. 150 Artworks JULIET Comune di Muggia 68 design magazine 69 © Virginia Del Giudice © Piero Gemelli © Peter Lindbergh © Karl Lagerfeld 70 Perché un hotel 3 stelle Un’analisi dei consumi attuali e delle strutture alberghiere esistenti in Europa, considera come principale cliente da soddisfare colui che, per cultura, livello sociale e reddito era abituato a frequentare hotel 4/5 stelle e che oggi, per le condizioni economiche drasticamente modificate, ha a sua disposizione un budget più contenuto. Questo soggetto, che viaggia sia per lavoro che per turismo, ha di solito esigenze estetiche e di comfort molto alte, che vorrebbe mantenere e, di conseguenza, soddisfare. È anche attirato da luoghi non convenzionali o comunque ‘speciali’. Inoltre è chiaro che la ripresa sarà molto favorevole agli hotel fortemente brandizzati perché il consumatore sceglierà hotel più autentici e caratterizzati. Perché un hotel sostenibile La nostra presenza a fianco di clienti e di aziende, che lavorano con progetti a scadenza decennale, ci dice che non si può più prescindere dal progettare secondo nuove modalità più attente ai consumi e all’ambiente. Progettare per primi (non esiste ad oggi in Italia un progetto simile) un hotel totalmente sostenibile, certificato Leed, Itaca, Cened o Breem fin dall’approccio progettuale, passando per quello costruttivo, fino alla sua gestione, rappresenta, anche dal punto di vista della comunicazione, una grande chance. Il nostro sarà un hotel di design con una forte identità progettuale, adatto al vivere contemporaneo; i suoi valori ecologici e conviviali saranno declinati secondo un modello decorativo semplice ma, negli spazi comuni, di rottura rispetto ai codici spaziali tradizionali; non avrà le caratteristiche di un hotel di lusso, ma sarà estremamente accattivante, sia per un pubblico italiano che straniero. Cosa significa ‘sostenibile’ L’esperienza dello Studio Blast Architetti, che da ormai diversi anni si è misurato con il tema della sostenibilità, realizzando gli edifici per il terziario e la ricerca scientifica del Comparto Carbon Zero in Kilometro Rosso, ci permette di proporci come interlocutori seri e professionali. Inoltre, ci avvaliamo della collaborazione di BMS Progetti, organismo di progettazione specializzato nel campo delle strutture che ha sviluppato, nel tempo, specifici know-how nelle diverse discipline e l’attitudine al coordinamento tecnico ed alla integrazione delle diverse specialità con un approccio multidisciplinare al progetto. E di Manens Intertecnica, società di ingegneria fondata nel 1971 e costituita da sessanta specialisti nei vari settori degli impianti generali destinati a complessi civili, industriali ed urbanistici. Dalla sua nascita la società lavora secondo i criteri della progettazione integrata e della sostenibilità. Dalla sua fondazione Manens Intertecnica è socia del Green Building Council Italia e parte della Commissione Energia del Leed Italia. Questo sapere ci sta guidando nella progettazione della struttura architettonica, ingegneristica ed impiantistica, ma anche nella definizione della gestione dell’albergo, che andrà di conseguenza. Oggi l’aggettivo ‘sostenibile’ è profondamente abusato. Non basta usare carta riciclata o materiale biodegradabile per definire una struttura ‘sostenibile’. Sostenibile significa progettare pensando al minor impatto ambientale sin dal cantiere: dunque un cantiere veloce, controllato e organizzato nella qualità della manodopera, pulito e sicuro. Significa progettare l’albergo valutando tutte le possibili fonti di risparmio energetico attraverso le energie rinnovabili più adeguate, ma anche progettarlo in modo che la manutenzione sia il più possibile ridotta e la gestione il più possibile rapida ed efficiente. Significa arredarlo e decorarlo con materiali e prodotti di un design non fine a sè stesso, ma funzionale col progetto. Significa pensare ad una accoglienza semplice ma anche attenta alle esigenze del viaggiatore, con poche ma precise offerte veramente utili ed efficaci. Come pensiamo di costruire La progettazione integrata permette attraverso software mutuati dal mondo dell’industria di conoscere le prestazioni dell’edificio ancora prima di costruirlo. Inoltre l’industrializzazione del processo produttivo del manufatto architettonico consente un accurato controllo della filiera produttiva, la garanzia che ogni componente sia già certificata all’origine tempi di costruzione rapidi e noti, il montaggio e non la costruzione dell’edificio in cantiere costi contenuti e certi. L’albergo sostenibile sarà costruito in tempi rapidi, avrà costi di gestione minimi e produrrà energia. e nelle parti comuni useremo un pavimento tessile a forte riduzione acustica e realizzata in quadrotte facili da sostituire, dunque nessuna superficie da smacchiare o lavare con prodotti speciali. Non ci sarà il frigo bar da controllare e riempire perché, invece che un elemento per ogni stanza, ce ne sarà uno, molto affascinante, piano per piano. La biancheria è studiata in modo da essere lavata ma non stirata. Si evita così di entrare nelle grinfie delle lavanderie, ma anche di consumare energia per lo stiraggio: il prodotto avrà la qualità e l’immagine di sofisticati prodotti italiani.La prenotazione, il check-in e il check-out saranno gestiti sia dal personale che da un sistema informatizzato. Questo per offrire sia un rapporto diretto col cliente più tradizionale che un sistema rapido e ormai necessario a chi viaggia per lavoro. Il breakfast verrà servito solo nella sala colazione e sarà totalmente self-service. La sala colazione sarà aperta 24 ore su 24 e ciascun cliente si potrà servire per uno snack con cibi scelti ad hoc, in relazione ai vari presidi Slow-Food legati al territorio. Customizzazione ‘Customizzazione’ significa aver la possibilità di personalizzare il progetto secondo il proprio gusto e le proprie esigenze. Il progetto di H3hotel è diviso in due parti: l’Hard-ware e il Soft-ware. La parte Hardware riguarda la modalità costruttiva, ingegneristica ed impiantistica: è un modello sofisticato che non può essere variato se non nelle esigenze di produzione energetica legate alla collocazione geografica. La parte Software riguarda la decorazione d’interni e può essere personalizzata a patto di mantenere le caratteristiche indicate nel modello base. La struttura è flessibile e permette di essere realizzata sia su lotti urbani (in altezza) che su lotti periferici (in larghezza). Le facciate sono pensate per essere valorizzate secondo la loro esposizione, in sintonia con le esigenze di luce e produzione energetica. Cosa ci differenzia dagli altri hotel La velocità dei tempi di costruzione che incidono positivamente sull’investimento finanziario. La struttura totalmente sostenibile e dunque costi energetici e di gestione certi e controllabili, oltre alla possibilità di accedere al Conto Energia e ai finanziamenti governativi e regionali destinati alla sostenibilità. Il decor moderno e di design. L’ampiezza delle camere: 19 mq. contro i 14 mq delle catene straniere. L’offerta globale del concept, che lo rende attuale ed unico nel suo genere. La customizzazione che permette di personalizzare l’offerta al cliente. A cura di Alessandra Mauri Blast Architetti Lo Studio Blast Architetti è stato fondato nel 2001 ed è attualmente composto dai tre soci Luca Bombassei, Franz Siccardi, Simona Traversa e da una ventina di professionisti. Blast ha sede a Milano e Bergamo, all’interno del Parco Scientifico Tecnologico Kilometro Rosso. Da marzo 2008 sono operative anche una nuova sede ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi e una a Bucarest, in Romania per lo sviluppo di progetti nell’Est Europa. Dal 2001 lo Studio Blast ha lavorato al coordinamento progettuale del Parco Scientifico Tecnologico dove ha progressivamente approfondito la sperimentazione dell’architettura sostenibile con la progettazione del Centro delle Professioni e del Centro per l’Innovazione dell’Università degli Studi di Bergamo. In linea con questo orientamento sono anche i più recenti progetti dello studio: l’E-motion park®, un innovativo format commerciale dedicato al mondo dell’automotive, i Flagship store europei di Skitsch®, nuovo marchio di design sostenibile, i Baby caring®, centri di intrattenimento e gioco per bimbi e genitori, la Città dei Bambini WOW®, un parco ludico-ricreativo con finalità pedagogiche e gli edifici turistici, commerciali e per uffici attualmente in fase di studio in Romania. Il progetto H3hotel è stato sviluppato da Blast in collaborazione con Alessandra Mauri consulente per l’ideazione del concept, che ha selezionato le aziende partner e coordinato il team di lavoro. All’interno dello studio, nella progettazione di H3hotel, i soci di Blast Architetti sono stati affiancati da Michal Rucinski (capo progetto), Francesca Ciuffreda, Prisco Ferrara, Chiara Petrillo e Golnaz Salehi Mourkani. Cosa offriamo al gestore Innanzitutto una struttura che avrà costi energetici molto bassi, con un sistema di controllo intuitivo ed efficace. E che, pur mantenendo una grande qualità nel servizio, permetterà di lavorare con meno personale che un normale 3 stelle. I materiali scelti sono tutti di facile manutenzione. Le camere non avranno lampade a piantana o da comodino, nessun cassetto. Il consumo di una camera è ulteriormente ridotto a 168 watt (rispetto ai 200 watt di un 3 stelle di recente progettazione), ma non cambierà l’atmosfera, che sarà calda e funzionale. Nei bagni, rivestiti da lastre di Kerlite, rubinetti e doccia garantiscono un risparmio d’acqua pari al 30% e il riciclo delle acque grigie potrebbe portare a salvare più di tre milioni di litri in un anno. Nei corridoi 71 design magazine Luca Nichetto “Venti4 Set”, 2010 prod. Italesse - Trieste S E L E C T I O N Casa Brutus è una rivista dedicata agli appassionati di architettura e alle persone interessate a tutto quello che sta succedendo nel campo del visual design in Giappone. Ha un’identità molto marcata frutto del lavoro espresso dal suo art director Yasushi Fujimoto di Cap. La cover è dell’extra issue dedicata a Charles-Edouard Jeanneret-Gris, in arte Le Corbusier. Per maggiori info: http://magazineworld.jp/casabrutus S E L E C T I O N Per presentare i nuovi prodotti dolciari Togo, l’Agenzia Nadler Larimer & Martinelli ha ideato uno spot dove una sensuale donna è colta in un momento intimo serale dedicata a se stessa e, naturalmente, a Togo. Il tutto con il key-visual del brand: la chaise-longue LC4 di Le Corbusier. “Il tuo appuntamento quotidiano con il piacere” è il tema copy della campagna firmata da Dario Primache e Niccolò Martinelli. La regia è di Anderes Hallberg. Courtesy Brwfilmland S E L E C T I O N 76 François Pinault ritratto nel suo Centro d’arte contemporanea Punta della Dogana a Venezia attorniato dalle opere di Maurizio Cattelan (il cavallo impagliato) e le resine di Rachel Whiteread. Il restauro dello storico complesso del XVII secolo è di Tadao Ando. La prima esposizione è stata curata da Alison Gingeras e Francesco Bonami. Ph. Luc Castel. Courtesy Palazzo Grassi Spa – Paola C. Manfredi Studio S E L E C T I O N Maria Vittoria Backhaus con la direzione artistica di Natalia Corbetta firmano la campagna pubblicitaria per Flexform, industria per l’arredamento di Meda (MB). Nella foto d’autore è ‘ritratto’ il modello Cestone disegnato da Antonio Citterio. Courtesy dell’azienda S E L E C T I O N 78 Designer della Tonon & C. spa di Manzano (UD). Da sin verso dx e dall’alto in basso: T. Althaus, G. Appeltshauser, G. Assmann + A. Kleene, M. Ballendat, E. e P. Ciani, Demackerdesign, F. Di Bartolomei, Guggenbichlerdesign. St. Heiliger, C. Heimberger, B. Leniger e G. Raible, Lepper – Schmidt – Sommerlade, P. Maly, P. Mourgue, E. Nanni, P. Nava, F. Poli, M. Rexforth, D. Ross, J. Sohn, K. Weigel. Non sono presenti in foto ma collaborano con l’azienda anche L. Bellini, A. Lang , O. Tusquets Blanca e il gruppo Wiege S E L E C T I O N 79 Quartiere generale Vitra Weil am Rhein (Germania). Dopo che nel 1981 un incendio distrusse gli stabilimenti produttivi, venne chiamato Grimshaw per progettare la prima nuova fabbrica. Nel 1986 un altro stabilimento è stato realizzato da Siza. Nel 1989 Gehry progettò il Vitra Design Museum. Nel 1993 Hadid disegnò la caserma dei pompieri e Ando il padiglione per conferenze. Infine con Herzog e de Meuron il Campus si è arricchito di una nuova icona dell’architettura contemporanea. Fotografia di Paola de Petri. Courtesy © Vitra S E L E C T I O N Nel 2001 lo studio Numen + For use è stato insignito dalla Croatian Design Society del premio sia per il Graphic che per il Product Design. Un riconoscimento che sottolinea la qualità del lavoro del gruppo di giovani professionisti che si nasconde sotto il nome comune. Numen + For use spazia dalla progettazione di libri e cataloghi, al disegno di oggetti d’arredo, alla organizzazione di eventi. È nato dalla collaborazione di Sven Jonke con Cristopher Katzler e Nikola Radeljkovic. Mostre, fiere e allestimenti sono fatti con Toni Uroda e Jelenko Hercog. Tutti hanno studiato alla Facoltà di Architettura dell’Università di Zagabria tranne Cristopher Katzel che si è laureato alla Scuola di Arti Applicate di Vienna. Tra le realizzazioni più significative del gruppo: “HPL”, prod. CAPPELLINI spa - Arosio (CO) NUMEN + “SMLX”, prod. ZANOTTA spa - Nova Milanese (MI) il lay-out e la grafica del 34mo Salone di Zagabria per l’Associazione Croata dell’Arte (1999); il concetto spaziale per l’evento di musica elettronica mensile Stereo Studio per l’anno 2000; lo stand per S-ECO, leader croato nella commercializzazione di legno tropicale (2004); recentemente per Cappellini hanno disegnato il sistema di tavolini con cassetti HPL e la seduta FU-05; i modelli di sedia FU-06 e FU-09 sono in produzione presso MDF Italia, mentre SMLX è prodotta da Zanotta. Il lavoro di Numen + For use è contrassegnato da una cifra stilistica che riporta al rigore del moderno. Rigore che supera il formalismo minimalista – o modernismo di poliestere, come è stato definito -, nella percepibile tensione ad integrare concetti quali innovazione e identità. Forma e contenuto si coniugano per dare vita ad un oggetto – sia un manifesto, una sedia o un allestimento – dove la qualità del progetto viene costantemente riaffermata. Nel panorama culturale della Croazia, il gruppo ha dato un contributo al processo di rigenerazione della produzione contemporanea della grafica e del design del prodotto. 80 FOR USE “FU-09”, prod. MDF ITALIA srl – Milano Qing Yue, textile designer con la natura, intesa come ordine cosmico, in cui fluttuano i soggetti e simboli di Qing Yue: cavalli, grilli, draghi, anatre, pesci, farfalle, icone classiche dell’immaginario orientale sono sostenute da un sottile contrappunto cromatico. Nei suoi ultimi lavori Qing Yue utilizza il corpo come tela, dipingendo i suoi soggetti sulla pelle, e fotografando il risultato con attenzione. Il prodotto finale è un’opera contemporanea, incisiva, composta da una fotografia e un dipinto. Doppia Felicità, Shuangxi, NELLE TEXTURE di QING YUE Storia delll’ideogramma Shuangxi Wang Anshi (1021-1086) era un celebre poeta e riformatore dell’epoca dei Song del Nord. All’età di 20 anni, mentre si recava nella capitale per presentarsi agli esami imperiali, passò per Maqizhen e vide incollata sulla porta di una famiglia ricca la prima metà di un duilian, un distico, che diceva: “Nella lanterna dei cavalli che galoppano (nome originale della lanterna delle ombre cinesi) si vedono correre dei cavalli; questi si fermano quando la lanterna si spegne”. “Ecco la prima parte di un duilian, si disse Wang Anshi, perché non comporre la seconda?”. Ma, al pensiero che doveva presentarsi agli esami, decise che l’avrebbe composta al suo ritorno. Giunto alla capitale, Wang sostenne gli esami e l’ultima prova consisteva proprio nel completare un duilian. Sentendo l’esaminatore capo leggere: “Sullo stendardo della tigre alata si vede volare la tigre; questa si nasconde quando lo stendardo si arrotola”; Wang Anshi, improvvisamente ispirato, rispose senza esitare “Nella lanterna dei cavalli che galoppano si vedono correre dei cavalli; questi si fermano quando la lanterna si spegne”. Terminati quindi gli esami, Wang Anshi raggiunse nuovamente Maqizhen e scrisse a fianco del primo verso del duilian: “Sullo stendardo della tigre alata si vede volare la tigre; questa si nasconde quando lo stendardo si arrotola”. Il padrone della casa fu molto soddisfatto di questo verso di Wang Anshi, e gli spiegò che questo era stato uno stratagemma da lui ideato per trovare un genero. Poiché Wang Anshi aveva dato la giusta risposta, il padrone gli chiese di sposare al più presto la figlia. Nello stesso momento giunse la notizia che il nome di Wang Anshi figurava sulla lista dei promossi agli esami imperiali. Felicissimo, il padrone dichiarò: “Ecco una felicità che si aggiunge ad un’altra”. Wang Anshi, ancora più felice di lui, prese il pennello, scrisse un grande carattere di Shuangxi cioè “Doppia felicità” e diede l’ordine di incollarlo sulla porta. Qing Yue (Luna Chiara) è nata a Macao da padre triestino, ufficiale della marina mercantile italiana, e da madre cinese, discendente da una famiglia della nobiltà mandarina. Ha vissuto a Macao, Hong Kong, Mumbai e e Trieste dove oggi risiede e lavora. Frutto dell’unione tra due culture estremamente distanti, che s’intersecano con misura ed equilibrio nei suoi lavori, il suo operare artistico testimonia le radici eclettiche della sua famiglia e le diverse culture incontrate nel corso della sua vita. Ha al suo attivo numerose partecipazioni a mostre sia in Italia e che all’estero; è operatrice culturale nell’ambito di un’organizzazione dell’ONU dove si occupa del settore culturale-espositivo ed è membro dell’Accademia United Nations of the Arts, UNA, di Trieste. La dicotomia oriente/occidente, poesia/pragmatismo, dolcezza/ fermezza, yin/yang, sono significativamente rappresentati nelle sue texture rendendone graffiante la presenza nel panorama artistico. Il ritmo silenzioso del mistero e il fascino che Qing Yue declina elegantemente su stoffe preziose e scintillanti oppure sui corpi di giovani modelli, ci fa ripensare con lievità alla divulgazione della cifra orientale in Europa dopo la metà del XIX secolo. Il ritmo incalzante e, al tempo stesso, delicato dei motivi zoomorfi impressi dalle matrici create espressamente dall’autrice per le sue opere ricorda proprio la ripetitività dei soggetti e l’assenza di prospettiva nell’antica arte cinese. Al contempo, i suoi lavori rappresentano il sogno di armonia e libertà che s’identificano nel felice connubio dell’uomo 81 JULIET contemporaneamente centro federale trieste H2Open space “Proust”, serie Digital Print, prod. Abet Laminati; disegno di Alessandro Mendini; fotografia di Cesare Genuzio SPECIALE ABBONAMENTO Accendi la tua curiosità Con la sottoscrizione a Juliet design magazine in regalo “click-switch” “L’interruttore Switch è tra gli oggetti che io amo di più” Achille Castiglioni Click-switch è il famoso interruttore rompifilo disegnato nel 1968 da Achille e Pier Giacomo Castiglioni per la VLM di Buccinasco (Milano). “L’oggetto di cui sono più orgoglioso? L’interruttore rompitratta, disegnato con mio fratello. Prodotto in grande numero, è acquistato per le sue qualità formali e nessuno, nei negozi di materiale elettrico, ne conosce l’autore. È piacevole da tenere in mano, ha un bel rumore… e spesso quando entro in una camera d’albergo in giro per il mondo, e allungo la mano per cercare l’interruttore dell’abat-jour, trovo il nostro rompitratta”. Dagli studiosi è considerato il progetto più ‘ideologico’ firmato dal grande maestro del design italiano. Paolo Ferrari, Achille Castiglioni, Electa, Milano 1984, pp. 132-133; Silvia Giacomoni e Attilio Marcolli, Designer italiani, Idealibri, Milano 1988, pp. 135, 141; Enrico Arosio (a cura di), Achille Castiglioni: gli interni? Impossibile, in “Abitare”, 1993, 323, novembre, p. 130; Beppe Finessi (a cura di), Interruttore rompitratta, in “Abitare”, 1998, 375, luglio, p. 98; Paola Antonelli, Steven Guarnaccia, Achille Castiglioni, Maurizio Corraini, Mantova 2000; Sergio Polano, Achille Castiglioni. Tutte le opere 1938 - 2000, Electa, Milano 2001, p. 252; Francesca Appiani (a cura di), Design interviews. Achille Castiglioni, Museo Alessi – Maurizio Corraini 2007, p. 17,-18. + 3 numeri Juliet design magazine + “click-switch” a soli 45,00 euro* Solo vantaggi Consegna gratuita Le spese di spedizione sono a carico dell’editore Prezzo bloccato Se il prezzo di copertina dovesse aumentare l’abbonamento non subirà modifiche Una collezione completa L’abbonamento consente di non perdere alcun numero della rivista Detrazione fiscale Per i professionisti l’importo è detraibile dalla dichiarazione dei redditi Omaggio autorevole In regalo riceverete un piccolo-grande oggetto. Il vero industrial design CONTIENE I.P. Desidero abbonarmi a 3 numeri di Juliet design magazine al prezzo di 45,00 euro (30,00 euro per studenti allegando la dichiarazione d’iscrizione all’università o alla scuola). Modalità di pagamento Poste Italiane S.p.A. – Sped. in abb. post. – 70% - DCB Trieste design magazine Accludo assegno bancario intestato a Garavello Editore (da inviare accluso alla presente scheda in busta chiusa affrancata) Allego ricevuta del bonifico bancario intestato a Garavello Editore Banca Sella, c/c bancario IBAN IT40E 03268 44500 024485132710 Bollettino di c/c postale che mi invierete Desidero fattura Cognome e nome Ragione sociale Indirizzo Città CAP Telefono E-mail P.IVA / Codice fiscale Firma Data Spedire a: Garavello Editore Via Marconi 33/C - 28075 Grignasco (NO) Per un servizio più celere (riportando la modalità di abb. prescelta e tutti i dati anagrafici) potrà abbonarsi via vol. 1 / December 2008 - March 2009 $ 15,00 E-mail: [email protected] Web site: www.julietdesignmagazine.it *Prog. abb. 2010. Offerta valida solo per l’Italia e-mail Caro Philippe Starck, voglio iniziare questa mia nuova rubrica scrivendo una lettera proprio a te, che sei il designer più famoso del mondo. Ti scrivo per dirti che non sei il mio designer preferito, ma ho comprato tre lampade progettate da te. Non mi piace tanto quando a tutti i costi cerchi una cifra stilistica, imponendo un segno (il tuo corno, per esempio) su ogni cosa. Mi piace moltissimo, al contrario, quando rileggi l’estetica di un oggetto del passato in chiave contemporanea. Come non ricordare che sei stato tu a inaugurare il filone del neo – tradizionale nel Design, oggi tanto popolare, almeno due decadi fa? Ho comprato Miss Sissi, Miss K T e Walla Walla. Le ho acquistate perché, quando le ho viste in negozio, tra mille altre, è stato come scoprire un oggetto in un Charity Shop, o in un mercatino. Dentro mi ha vibrato la corda rassicurante della tradizione. Simultaneamente trillava il campanello dell’innovazione. Due suoni diversi che insieme facevano un accordo armonioso. Walla Walla, addirittura, era in svendita, e l’ho pagata davvero poco. Mi è sembrato di fare un affare: un’applique moderna, fantasma di una vecchia lampada a muro plissettata, geniale nella sua semplicità costruttiva! Ha un grande valore aggiunto: è frutto di studio, esperienza, professionalità. In poche parole, dietro c’è un progetto. Di primo acchito mi verrebbe da dire che sono tutte uguali, tutte ispirate al medesimo archetipo di abat-jour vittoriana, e che tu replichi te stesso all’infinito. Invece devo dire che hai declinato l’archetipo in tante maniere diverse, inserendo in ognuna degli elementi di sorpresa. Ti confesso che le ho comprate spinta dal più banale dei comportamenti d’acquisto: l’impulso. Pur sentendomi tanto originale perché anch’io sono una designer, mi sono accorta di essere tale e quale ai milioni di normalissime persone che hanno acquistato un oggetto disegnato da te. Molte forse lo hanno acquistato perché pensano che i tuoi oggetti siano degli status symbol. Io no. Quindi, in un certo senso, è ancora peggio: il mio acquisto è stato davvero sincero. Non posso dire altro che sei bravo. Sei un grande professionista. Anna Lombardi gennaio 2010 Allegati: Miss K T, 2003-2004, produzione Flos Lampada da tavolo a luce diffusa. Corpo in PMMA (polimetilmetacrilato) trasparente stampato ad iniezione. Diffusore interno e esterno in policarbonato stampati ad iniezione. Finitura interna con processo di alluminatura sottovuoto Packaging di Miss Sissi, 1991, produzione Flos Lampada da tavolo a luce diretta e diffusa. Corpo lampada, diffusore e supporto diffusore stampati ad iniezione in policarbonato colorato Campagna pubblicitaria di Walla Walla, 1994, produzione Flos Lampada a parete in tecnopolimero 85 REPRINt Tratto da / taken from: Juliet n. 15,1984, p. 9 INTERVISTA AD ADOLFO NATALINI Architetto Natalini, attualmente in quali progetti è impegnato? Atualmente mi sto dedicando ad alcuni grandi progetti per diverse città, in particolare per due piazze a Firenze e per altre città europee. Non è un fatto casuale. In fondo sono sempre stato interessato all’architettura contestuale, cioè legata soprattutto alla città antica. Mi stimola molto questo rapporto con le tracce stratificate delle memoria, i miei progetti hanno sempre teso a questa integrazione con la città. E poi vorrei puntualizare che sto cercando di limitare un po’ il mio campo di operazione. Una volta amavo molto la dissoluzione dei confini disciplinari, cercando di fare design, arte, architettura, interni, eccetera. Ora preferisco una collocazione disciplinare più dura, cioè sono un architetto che fa architettura. A proposito di collocazioni, si sente più vicino ai neo-moderni o ai post-moderni? Onestamente non riesco a collocarmi in nessuna di queste categorie, perché non mi interessa la nozione di moderno, che è molto ambigua, e quindi non riesco a collocarmi all’interno di qualcosa che assume questa nozione come una fondazione anche se poi la supera, la contesta, eccetera. Questo rapporto con il moderno è molto riduttivo. Mi interessa invece l’architettura nella sua estensione più vasta possibile. Se proprio devo collocarmi in qualche segmento, allora mi colloco in quello dell’architettura contestuale, oppure posso dichiarare certi miei interessi per un’architettura di fattura artigianale. Credo in un’architettura che si fa con certi mezzi, che sono fondamentalmente mezzi tradizionali, e che si fa usufruendo di un sapere antichissimo, nel quale l’idea 86 86 di moderno e di contemporaneo giocano un ruolo, ma un ruolo abbastanza limitato. Lei ha affermato che l’architettura è l’arte del tempo e della memoria. Che cosa significa? Si è trattato di una affermazione lievemente provocatoria, dato che la mia generazione è stata invece turbata dall’idea che “l’architettura è l’arte dello spazio”. Se l’architettura fosse veramente l’arte dello spazio, forse sarebbe stata risola definitivamente già da molto tempo. Io penso invece che l’architettura, come tutte le arti, ha più a che fare col tempo e con la memoria che con lo spazio. La capacità del ricordare è la capacità di incidere sul tempo, del riuscire a progettare un tempo. L’architettura è quindi un’operazione che non si basa nel presente, che è un punto e per di più in movimento, ma affonda le proprie radici e i propri strumenti nel passato, nel tentativo di modificare il futuro, nel tentativo di creare un futuro possibile. D’altronde penso che senza memoria non esisterebbe nessuna possibilità di comunicazione e quindi nessuna possibilità di vita. Lei ha pure affermato che l’archetipo dell’architettura è la foresta... Questa della foresta è un’immagine presente in una quantità enorme di architetture e in fondo esiste tutta una serie di storie che riconducono l’architettura a delle sue mitiche origini vegetali. è anche un’immagine che ritroviamo in continuazione in tutta la letteratura, dalla Divina Commedia di Dante al sogno di Polifilo. è un archetipo dello stato oscuro attraverso cui passa il sognatore, o comunque l’individuo, per arrivare ad uno stato di illuminazione. Diciamo quindi che ho collegato l’immagine dell’architettura all’immagine della foresta per cercare da un lato una rassicurazione in un passato arboricolo, naturale, e dall’altro per sottolineare lo stato ambiguo e oscuro dell’architettura. Perché l’architettura non consegna delle certezze, si limita tuttalpiù ad additare degli stati di illuminazione al di là di una situazione che è sempre abbastanza oscura. Per questo è difficile spiegare un’architettura. Se un’architettura è tutta spiegabile allora è un puro fenomeno di restituzione di dati, una tautologia. Perché le sue architetture sono spesso cariche di elementi e di riferimenti simbolici? Io penso che tutti i progetti sono carici di riferimenti simbolici, proprio per evitare di diventare pure tautologie. Magari la mia architettura usa in maniera molto massiccia dei riferimenti letterari. Questo perché mi sento per formazione più vicino a certi scrittori o a certi poeti che non alla maggior parte degli architetti. Ma soprattutto perché l’architettura è un linguaggio e il suo scopo è appunto quello di convincere, di raccontare, di spiegare, usando quindi degli strumenti analoghi a quelli letterari, come la retorica. Usando la retorica usa figure retoriche, come l’allegoria e la metafora. I miei progetti sono molto spesso chiaramente allegorici e metaforici anche perché non hanno la saldezza e la presenza dell’oggetto costruito. Devo cercare di comunicare il più possibile usando degli artifici, che poi al momento della costruzione potrei anche in gran parte abbandonare. L’oggetto costruito riesce a parlare da solo. Martino Ghermandi REPRINt Tratto da / taken from: Juliet n. 32, 1987, p. 25 INTERVISTA A mario botta In ogni caso rispetto alla modernità lei come si pone? La modernità sono i miei genitori e come ogni figlio nutro verso di lei sentimenti di odio-amore. Io mi sono formato alla scuola del movimento moderno, ho vissuto la morte di tutti i maestri del movimento moderno, sono grato a questo straordinario movimento, che ha posto sul tavolo del vivere di oggi taluni problemi essenziali. Il moderno è il territorio, è l’eredità culturale sulla quale noi dobbiano agire. è un patrimonio che ci è dato e che dev’essere interpretato, almeno per tutto quanto riguarda i suoi aspetti positivi. Evidentemente ci sono state delle degenerazioni al moderno, ma sarebbe un po’ ipocrita e storicamente ingiusto attribuire tutti i demeriti dell’attuale disordine, dell’attuale confusione, agli insegnamenti del movimento moderno. Quale ritiene che siano, in architettura, il valore e la funzione della citazione? Sono critico. Io non credo che in architettura convenga fare della citazione. C’è qualcuno che poeticamente può permetterselo, ma quando c’è poesia ci si può permettere tutto. Però la citazione in pietra mi fa paura. L’alibi degli architetti che citano il passato, che trattano il linguaggio della pietra come un linguaggio parlato, per cui fanno dei riferimenti con l’ironia, con il gioco, secondo me non regge, non mi sembra che la casa si presti a queste cose. Vede, l’architettura ha delle sue leggi etiche all’interno, che non è possibile tradire. Innanzitutto bisogna rispettarle. Poi, se qualcuno ha qualcosa in più, può anche citare, può anche fare il verso all’antico, non è certo un delitto. Però assumere la citazione come parametro di giustificazione progettuale mi sembra per lo meno azzardato. Qualcuno l’ha definita architetto-artigiano. Lei come interpreta questo binomio? A me non fa male. Mi farebbe più male se mi dicessero che sono un architetto-industriale. Il fatto che mi dicano che sono un architetto-artigiano mi fa semmai piacere, perché conosco nella natura del lavoro dell’architetto una struttura mentale artigiana, per cui si deve provar piacere a far bene le cose, come succedeva agli artigiani, al di là dei problemi di produzione, dei tempi, dei costi. Si deve ritrovare quell’umiltà del lavoro, quel piacere del lavoro, che è implicito al lavoro Martino Ghermandi stesso. Mario Botta “Shogun terra” 1986, prod. Artemide – Pregnana Milanese (MI) Aria mite, lampo di genio negli occhi, quarantaquattro anni che sembrano il doppio o la metà. Mario Botta parla del suo lavoro con calma, con fede, con risolutezza carismatica, illustrando alchimie di cui non svelerò mai il segreto. è l’architetto del momento, la nuova star della progettazione. In lui scorgiamo l’ansia di ritrovare l’archetipo, la tensione all’inesplorato; alle sue spalle resta però il richiamo dei maestri: i fantasmi di Carlo Scarpa, di Le Corbusier, di Louis Kahn. Architetto, una volta lei si è definito “post-antico”. Cosa vuol dire? Era una battuta polemica contro il post-moderno, perché io credo che l’architetto viva sì un momento dopo il moderno, ma anche un momento dopo l’antico, dato che prima del moderno c’è l’antico. Il fatto di aver detto, con una battuta, di sentirmi ‘post-antico’ è perché mi sento più vicino ai debiti culturali dell’antichità che non a quelli della modernità. 87 SPRAY l La Galleria Fragile di Milano con Alessandro Padoan, in collaborazione con la Brian Kish Gallery di New York ha prodotto, con pezzi di Mario Catizone e propri, una retrospettiva sul design di Franco Albini e Franca Helg, che spazia dalla ricostruzione delle balestre della struttura del letto della VII Triennale (“Criteri per la casa d’oggi”) fino alla ciottola in argento della San Lorenzo (1970). L’operazione, sull’ala della qualità dei prodotti, frammenti e prototipi, supera il semplice intento celebrativo dell’occasione dell’ultimo Salone del Mobile, per divenire vera e propria indagine sull’interlocuzione finale con il produttore per le possibili varianti. Nel catalogo il testo di Daniel Sherer approfondisce e aggiorna la tesi di Manfredo Tafuri del “surrealismo così acuto nel suo realizzarsi in un vocabolario tecnicamente impeccabile”, con risultati alterni nell’estensione del tentativo di ricostruzione ambientale alle architetture, ma complessivamente positivi nell’intendere la definizione albiniana degli “ambienti in ambienti” quale sintesi del rapporto ragioneimmaginazione. Le foto di Stefano Galuzzi restituiscono, attraverso il gioco delle ombre, la “raffinatezza e persino sensualità” evocata da Vittoriano Viganò, “l’aura” femminile di Luisa, Margherita e Fiorenza, esito di un “magistero accademico e professionale unitario”, testimoniato da Aurelio Cortesi, allora giovane disegnatore del carrello portavivande CR20. La dimensione di preparazione “domestica” all’architettura, riferita nella precedente lettura di Maurizio Fagiolo ai piccoli oggetti da tavolo dell’anteguerra, lascia così il posto a un’unica ricerca di forme vitali attraverso l’industria post-bellica, “nell’analogia tra lo spazio domestico e quello della mostra” (Federico Bucci), dove attraverso la diversificazione delle specifiche destinazioni, la ricorrente distinzione dei ruoli, tra strutture in elevazione e piani di contenimento del corpo, si riafferma la necessità per il progetto moderno, più che di una, a torto, celebrata ricerca sull’assenza di gravità, di una primaria indagine sulla presenza della ragione nel confronto con le condizioni tecniche e produttive del presente: il Razionalismo, appunto. Stefano Cusatelli l In occasione del convegno “Turismo 2.010 – Il posizionamento del turismo industriale nel progetto paese Italia” organizzato da Confindustria di Udine è stata presentata la nuova edizione della guida Touring Turismo industriale in Italia, realizzata su progetto e con la collaborazione dell’Associazione Museimpresa. La creazione e l’apertura al pubblico in Italia di archivi storici aziendali e musei d’impresa costituisce un fenomeno che dal secondo dopoguerra in poi ha assunto una rilevanza sempre maggiore nell’ambito di una storia comparata della cultura. Sono infatti in continua crescita su tutto il territorio nazionale le strutture archivistico-museali così classificabili, che hanno per oggetto documenti cartacei, materiali pubblicitari, fotografie, video, manufatti, macchinari, attrezzi per produrre. La Guida permette di conoscere i più celebri patrimoni di questa memoria collettiva che conservano, valorizzano, comunicano ed espongono le testimonianze materiali dell’attività economica di un’impresa, di un distretto, di una tradizione produttiva. Da Alessi a Barilla, da Ducati e Ferrari ad Alfa Romeo, dall’Archivio Pirelli a quello dei Fratelli Alinari, da Olivetti alla Fondazione Dalmine, 41 esposizioni sono descritte dettagliatamente; aggiungono una gradevole nota turistica 64 itinerari proposti nei dintorni, con informazioni di argomento artistico, paesaggistico, culturale ed enogastronomico. l La collezione delle porcelane firmate dalla ex-manifattura Jugokeramika/Inker in Croazia è una dalle poche produzioni sopravvisute alla recente amnesia collettiva e inaugura il rispetto per la storia culturale del periodo socialista nella ex-Yugoslavia. La mostra, ospitata nel Museo delle arti applicate di Zagabria 88 (www.muo.hr), mette in luce gli oggetti in porcellana di uso quotidiano ideati e prodotti nel periodo 1953-1991. Un allestimento molto ben articolato e composto dall’archivio dei bozzetti, degli esecutivi e delle fotografie di alto interesse documentaristico. Questa posizione acquisisce ancora più valore ricordando la partecipazione della Yugoslavia alla XI Triennnale di Milano dove le due designer Marta Sribar e Stella Skopal hanno ricevuto il Premio d’argento. L’iniziativa espositiva ci fa scoprire il lato estetico dei vasi, delle caffettiere, delle ciottole monocromi dalla forma ancora molto attuale. Inoltre recuperano la memoria collettiva evocata dai piatti e dalle coppe con la striscia blu usati da tutti gli enti pubblici, dalle scuole, dagli ospedali, come trademark della uniformità e ugualianza trasmesso dall’ideale socialista negli anni 70. Branka Benčić l Due buone notizie dal Friuli Venezia Giulia. Primo: il Comune di Monfalcone (GO) ha siglato un accordo tra la Galleria d’Arte Contemporanea e l’industria Moroso. La collaborazione in oggetto si delinea come un innovativo progetto di cooperazione fra pubblico e privato: non più un modello di sponsorizzazione secondo il quale investire in cultura vuol dire azioni fine a se stesse, ma bensì un programma strutturato, che vuole essere una risorsa competitiva in grado di costruire un’identità forte e riconoscibile, di produrre benefici per il territorio e la collettività. Un “salto culturale” che intende dare risultati di alto livello formativo. Il progetto prevede un intervento fattivo che si sviluppa attraverso tre momenti: la realizzazione della mostra A Basic Human Impulse art & design a cura di Andrea Bruciati; l’assegnazione del PREMIO MOROSO per l’arte contemporanea concepito per documentare, valorizzare e sostenere gli artisti emergenti under 45 che vivono e lavorano in Italia, dando la possibilità ai tre artisti vincitori di realizzare un progetto site specific con residenza presso gli showroom Moroso a New York, Londra e Milano; la reiterarazione della rassegna VIDEOREPORT ITALIA. Secondo: corale è stata la partecipazione raccolta anche quest’anno dal concorso internazionale di Design ONLY FOR WOMEN per la regia di Anna Lombardi: infatti ben 448 sono stati i progetti sottoposti alla giuria. Moltissimi dall’estero. Il titolo “Una sedia nel verde”, indicava la doppia sfida colta da Area Declic di Manzano: richiamare al verde della natura per trovare progetti originali inerenti al contract da esterni, ma anche promuovere una riflessione sul “green” dell’impegno ambientale, stimolando a disegnare delle sedute da esterno con caratteristiche sostenibili. l Durante la Food and Art Week di Doha, lo Chef Bellodi e lo Chef Vigotti hanno presentato un menù ‘influenzato’ dalle opere dell’artista Fabrizio Trabucco. L’evento si è svolto nell’ambito dei festeggiamenti per il quinto anniversario del Four Seasons Hotel di Doha e per celebrare la città, designata come Capitale della Cultura Araba 2010 (iniziativa promossa dall’Unesco per promuove la cultura e incoraggiare la cooperazione negli Stati). Trabucco famoso per l’uso di materiali insoliti, racconta attraverso i suoi quadri una storia da assaporare come in Campi Arabesque, dove su un pannello di legno combina farine italiane e spezie mediorientali, acciaio invecchiato e resina, ricreando l’incontro tra le due culture. In passato Trabucco e Vigotti avevano già collaborato realizzando una ‘gustosa’ proposta espositiva ospitata al ristorante Novecento di Meina (NO). l In un mondo sempre più interconnesso e veloce, una rivista può imporre di rallentare i ritmi e diventare uno spazio di riflessione e di approfondimento. È la scelta che illycaffè ha fatto con illywords, che da alcuni anni ferma sulla carta dialoghi, opinioni e punti di vista su temi che stanno a cuore a un’impresa che vive con curiosità, partecipazione e responsabilità nel mondo contemporaneo: il valore della conoscenza, il concetto di azienda civile, lo spazio, il coraggio, il sogno, la multiculturalità, la consapevolezza, il caos, il nomadismo del sapere. Le parole di illywords sono di persone che appartengono a differenti paesi, culture, professioni, e che fanno parte della rete umana e professionale di illycaffè in tutto il mondo. Tanti sguardi, opinioni e punti di vista che non spiegano e non riducono la complessità, ma la raccontano attraverso il linguaggio e le esperienze di lavoro e di vita di ciascun autore. Ogni numero (direttore responsabile Ariella Risch, direttore artistico Carlo Bach, progetto grafico Piero Corraini / corrainiStudio) è illustrato dalle immagini di studenti di scuole d’arte e design di tutto il mondo, che ne fanno il loro laboratorio di creatività personale e collettiva. Il numero 29, dedicato al tema “Di che colore sei?”, è stato realizzato con le immagini della Bilgi University di Istanbul. Il periodico di informazione aziendale viene distribuito durante gli eventi, nei principali book shop del mondo a cura della Maurizio Corraini e nei luoghi che illycaffè progetta e sostiene con la stessa passione con cui produce il caffè. Dopo il successo al department store KaDeWe di Berlino, illycaffè ha portato la nuova edizione di Galleria illy a Istanbul, città crocevia e punto di incontro tra diverse culture, come la Trieste di inizio secolo in cui è nata l’azienda. Come location per Istanbul è stata scelta la Galleria Işık Teşvikiye della Fondazione Feyziye Mektepleri nel quartiere di Nişantaşı, centro della vita culturale ed economica della città che quest’anno è “Capitale Europea della Cultura”. All’interno di Galleria illy è stata realizzata un’area bar in cui artisti internazionali creeranno un salotto culturale, alternando performance a momenti di dialogo con il pubblico. Tra i protagonisti il designer e architetto Aldo Cibic, il food designer spagnolo Martí Guixé, il producer Ali Yorgancioglu, il fotografo Harry Cruyaert e il designer Erdem Akan. Sarà possibile seguire l’evento via web su facebook.com/ illy che riporterà le novità del programma, il making of, le interviste ai protagonisti e un live report in diretta dalla città. l Ines Kaag e Désirée Heiss sono BLESS, un binomio operante dal 1997 tra Berlino e Parigi sulla scena del design e della moda. Superando di gran lunga i rigidi concetti di stile e di moda, le due artiste hanno perseguito piuttosto che il branding di oggetti quotidiani un “de-branding”, per disegnare ‘a dovere’ capi e oggetti sulla spinta di una motivazione di durabilità. Cose della vita quotidiana come un cavo per computer vengono testate quanto a resistenza e ricompaiono successivamente con effetto ornamentale dopo essere state ridefinite in forme chiare e autonome. La loro opera tematizza le metamorfosi e gli adattamenti di oggetti quotidiani per usi non convenzionali e di oggetti particolari per uso quotidiano. Incoraggiati dai buoni risultati conseguiti in passato con mostre in tema di design (Living in Motion e Joe Colombo) la Kunsthaus Graz, ospitando i lavori delle due autrici per la curatela di Katrin Bucher Trantow, ha voluto per la prima volta dare vita ad una produzione propria, che faccia riferimento direttamente all’edificio e al suo contesto museale. Le due artiste hanno infatti utilizzato l’intero spazio del piano superiore e le risorse di tutte le collezioni dell’Universalmuseum Joanneum per dare un’interpretazione dei propri lavori. L’iniziativa espositiva rientrava nel ricco calendario degli appuntamenti di Designmonat Graz 2010. A seguire SOGNI DI ROBOT in coproduzione con il Museo Tinguely di Basilea e in collaborazione con steirischer herbst. l Architetto, designer e artista, Alessandro Mendini è nato a Milano nel 1931. L’architettura non era un suo sogno di ragazzo. In realtà desiderava fare il cartoonist o forse anche il pittore, fatto sta che nel 1959 si ritrova laureato in architettura. Lo Studio Nizzoli Associati è il suo primo luogo di lavoro. Nel 1970 abbandona la progettazione architettonica per dedicarsi al giornalismo specializzato in architettura e design. Dirige la rivista Casabella dal 1970 al 1976 e l’anno successivo fonda Modo che guida fino al 1979. È Giò Ponti, quello stesso anno, a consegnargli la direzione di Domus incarico che prosegue sino al 1985. A distanza di 25 anni, da aprile 2010 riprende la direzione della rivista. Nel 1979 gli viene assegnato il Compasso d’Oro per la sua attività di approfondimento teorico. Nel 1981 vince con Alchimia un altro Compasso d’Oro per la realizzazione del Mobile Infinito. Nel 1989 apre, con il fratello Francesco, l’Atelier Mendini a Milano operando in diversi paesi progettando, tra l’altro, le fabbriche Alessi a Omegna, la nuova piscina olimpionica a Trieste, alcune stazioni della metropolitana e il restauro della Villa Comunale a Napoli, il Byblos Art Hotel-Villa Amistà a Verona, il Museo di Groningen in Olanda. Attualmente, in Corea, sta coordinando il progetto Milan Design City, con vari edifici fra i quali la nuova Fiera di Incheon e la sede della Triennale di Milano. Intensa è dunque l’attività del celebre creativo e così fioccano antologiche a lui dedicate oppure è Mendini stesso a celebrare aziende con le quali ha collaborato. Per esempio il MARCA di Catanzaro apre le porte al design e all’architettura organizzando un’ampia retrospettiva dedicata a Mendini. “Alchimie. Dal Controdesign alle Nuove Utopie” è il titolo della rassegna curata da Alberto Fiz, direttore artistico del istituzione museale. Sono oltre 70 le opere esposte in un percorso che comprende dipinti, sculture, mobili, oggetti, schizzi e progetti con alcune testimonianze inedite o mai viste prima d’ora in Italia. Il progetto, poi, ha tra le sue peculiarità quella di sottolineare le collaborazioni tra Mendini e gli altri protagonisti del mondo dell’arte, in particolare Bruno Munari, Gio Ponti, Luigi Veronesi, Denis Santachiara, Bob Wilson, Peter Halley e tutti gli artisti della Transavanguardia. Divisa in quattro sezioni, la rassegna propone le tappe salienti di un’indagine iniziata nella prima metà degli anni Settanta quando Mendini è stato tra gli artefici di una contestazione radicale nei confronti del funzionalismo che lo ha condotto nel 1973 a fondare Global Tools, scuola di architettura e design controcorrente avvicinabile all’esperienza dell’arte povera. In seguito al Controdesign, la mostra si concentra sulla determinante fase del Redesign che nasce dalla rielaborazione semiologica di oggetti già noti di cui viene stravolto il significato e la finalità. Nel 1979 Mendini entra nello studio Alchimia per sviluppare una delle esperienze più significative e intense della sua carriera. Nell’ultima sezione della mostra dedicata alle Nuove Utopie Mendini esprime in maniera compiuta l’idea di una trasformazione permanente delle cose allargando l’orizzonte di riferimento creativo. Alla Neue Sammlung di Monaco di Baviera (una seconda tappa è prevista al Philadelphia Art Museum) viene proposta invece la mostra ideata e curata da Mendini “Oggetti e progetti. Alessi: storia e futuro di una fabbrica del design italiano”. È un invito a percorrere i trent’anni di storia di una delle più importanti aziende che hanno saputo influenzare il mondo del design a livello internazionale. Nella foto, di sin verso dx: A. Mendini, A. Alessi e F. Hufnagl, Direttore del Museo Arti applicate di Monaco. Antica Azienda Agraria CURTO Viticultori dal 1670 Via Galilei 4 - 97014 Ispica (RG) - www.curto.it Un successo italiano in Europa Air Dolomiti è oggi la più importante realtà di trasporto aereo regionale in Italia ed è parte del Gruppo Lufthansa. Una storia importante che da tre Dash 8 300 iniziali è arrivata ai giorni nostri con una crescita intelligente e ponderata, in modo da riuscire a rafforzarsi nel mercato di competenza e ad essere un brand conosciuto e riconosciuto dagli ormai molti passeggeri che la scelgono. Fondata nel 1989 dal Gruppo Leali, Air Dolomiti ha fatto della qualità il suo valore principale: qualità per Air Dolomiti significa grande attenzione alla puntualità, all’affidabilità e naturalmente al servizio a bordo, da sempre fiore all’occhiello della Compagnia. A proposito di servizio ai passeggeri, Air Dolomiti ha voluto sottolineare quanto conti il rapporto col passeggero creando un vero e proprio brand di accoglienza dal nome “Settimocielo” che dal 1996 colora l’atmosfera a bordo e ricerca eccellenza nell’ospitare. Ma qualità significa anche poter offrire un servizio mirato ed attento alle esigenze dei passeggeri ed è per questo che uno dei punti forza del vettore sono oggi le frequenze plurigiornaliere dagli scali serviti e l’attenzione alla puntualità e alla regolarità operativa. Nel 2005 Air Dolomiti riceve la certificazione IOSA (International Operations Standard Audit), confermata a luglio 2007, che rappresenta la più importante attestazione di qualità nel campo operativo di una Compagnia: Air Dolomiti, promossa a pieni voti, è riuscita a dimostrare di possedere una struttura capace di assicurare elevati standard nella sicurezza. Nel gennaio 2007 la certificazione UNI EN ISO 9001:2000 è stata estesa alla manutenzione aeromobili da parte di DNV: un’ulteriore conferma dell’impegno di Air Dolomiti nella ricerca di eccellenza in tutti gli aspetti che la compongono. La certificazione è stata confermata a luglio 2009. A testimonianza della qualità globale sono oggi moltissimi i premi e riconoscimenti internazionali ricevuti dal vettore. In questi anni di attività Air Dolomiti ha costantemente rinnovato e potenziato la propria flotta. Da febbraio 2009 Air Dolomiti opera con l’Embraer 195 di cui è launch customer per l’Italia: Air Dolomiti rag- 90 giunge così la storica evoluzione dei 100 posti. L’E195 è un gioiello della tecnologia, un aeromobile all’avanguardia estremamente flessibile e dinamico, dal design innovativo. I 5 nuovi Embraer si affiancano alla flotta ATR 72 -212a composta da 14 macchine. Attualmente Air Dolomiti serve 22 destinazioni di cui 16 in Italia: Milano Malpensa – Perugia, Milano Malpensa-Salerno, RiminiMonaco, Rimini Vienna e Verona-Salerno sono i voli introdotti lo scorso anno e confermati anche nel time-table estivo del 2010. La Compagnia offre così ai propri passeggeri collegamenti regionali creati su misura seguendo l’impostazione storica del vettore orientata alla strategia di marketing territoriale. All’estero Air Dolomiti vola a Monaco di Baviera, Francoforte e Vienna, importanti hub di Star Alliance in Europa e collega lo scalo bavarese con alcune importanti città europee. Air Dolomiti, consapevole dell’importanza di internet come strumento di interazione con i propri utenti, vanta una presenza articolata sul web composta da tre siti: www.airdolomitit.it, www.spazioitalia.it, www. aeroportodimonaco.it. Il nuovo www.airdolomiti.it nasce nel 2007: novità principale riguarda il concetto di ‘Catchment Area’: per ogni destinazione scelta viene visualizzata non solo la città ma tutta l’area circostante per avere informazioni utili del territorio. Regional assume così il significato di realtà radicata sul territorio. Nello stesso anno si rinnova www.spazioitalia.com: il restyling della home page permette di navigare facilmente tra le sezioni del sito; nel 2008 viene aggiornata la sezione Shopping, il negozio virtuale del sito grazie al quale i visitatori possono acquistare facilmente i prodotti. Sempre nel 2008 nasce www.aeroportodimonaco.it, il portale dell’aeroporto di Monaco, un sito in lingua italiana che fornisce informazioni utili sui servizi offerti dalla struttura aeroportuale. Piero Zecchini English version on page 92 ENGLISH tEXt THE ARTIST Painter, sculptor, designer and architect: certainly the most legendary artist who ever lived, the most admired, respected and feared. And yet very few people know his name and even less can recognize his masterpieces. His works are found all over the world and there are so many that they cannot be kept in museums, and although museums own plenty of them, there are many more outside, in the cities, pubic and private buildings, gardens and countryside. It is easier to find them in simple, humble and poor places, where nobody expects to keep everything clean and shiny, intact and unchanging, all the time. He is a reserved character, not very often seen in public, who never attends meetings and assemblies and is absolutely never to be found at parties and celebrations. He arrives afterwards, apparently late, but in actual fact on time and more reliable than anybody else in the world: never an excuse, an absence, a failure to turn up or an illness. He works untiringly, all the time. Nobody has ever seen him at a loose end: he spends all the hours of the day and night scraping, etching, colouring and creating, and not necessarily in silence, at times even to the accompaniment of deafening bangs, volcanic eruptions, thunder and lightning. He draws on the help of the most amazing atmospheric agents: under his majestic guidance, dampness, rain, wind, snow, ice, dryness and heat all work at absolute levels of perfection, most definitely in control of themselves and their own talent, incapable of making mistakes. He is not afraid of being criticized, judged or attacked by anybody. He is humble and tolerant, more patient than anything else in the world: he knows how to wait calmly and meticulously, persistent but not insistent, his genius is inscrutable and unpredictable and he is well aware of his power over people and nature. It is Time passing. If you meet it, admire it and be dazzled by its splendour. Michele De Lucchi Angera, 5thAugust 2005 SEIZING THE MARKET CHALLENGES AND TURNING THEM INTO SUCCESS by Alessandro Calligaris, President Calligaris spa and President Confindustria Friuli Venezia Giulia Region From a small craft carpentry workshop, founded in 1923 in Manzano (Udine province) in the heart of the “chair triangle”, to leading company in the world of the furniture. The history of Calligaris is a success story, made of capacity to innovate and courage to invest. With that same inclination for innovation that in the sixties led the company of my family to design the first straw machine for chairs, today through innovative strategies that over the years have revolutionized the functions of marketing and logistics, Calligaris has succeeded to overcome even these months of general difficulty closing the year 2009 with a consolidated turnover at a level of about 150 million Euro. After all when things go well, you work a lot, when they go relatively bad - as they do now - you have to work much more.” The crisis is affecting the whole economic system, particularly the manufacturing sector, sometimes unevenly distributed but, in general, everyone is involved. In recent years a relativly ease in transferring money has created a very sharp increase in consumption, leading to overproduction in the market, followed then by a reduction in the amount of consumption and thus of the production inputted in the market. For this I am convinced that the more structured and capitalized companies will resist, or even those with less economic resources, but with human capital, design and product. The experience of our industry can and should set an example to the territory, because despite the difficulties still under way, employers will be able to hook up to the re-launch if they are able to aim at new management strategies, all round innovation, but also on increased confidence in the future. Calligaris, and the whole district, grew up with wood that has long been the only raw material 92 used for each piece. The design of the nineties started to use other materials such as plastic, metal, leather and glass. All materials brought together by one common denominator: innovation. Innovation is the main factor that led us to success. Innovation of product and materials, but also of management and logistics, leaving back in the years the idea of a verticalised company to acquire that of a reality that designs, produces and manages the production logistics of components in outsourcing. We decided to focus all our attention on two important fronts: the logistics of production and the distribution. For production, the use of different materials and different lines requires internal specialization and it is not possible to be competent in all technologies of different materials. So we have given an identity of assembling of metal and plastic components to each plant. At present three hundred and sixty are the people working in Manzano’s factory and in the head office over 50% are white collars. The company’s features have changed from the past: today at Calligaris we design, produce, plan marketing and sell. The second strong point is the distribution policy meant as proximity to markets. This is a fundamental aspect for our company: today a store buyer wants to have at once what purchased. An Italian store has an average of four hundred square metres of space and needs to hand over a table and four chairs as soon as possible. Thus warehouses were created in such a way to distribute products quickly. There is also the conviction that the added value of the Made in Italy lies both in the creation, design and production phases, while allowing the relocation of certain phases of production, without affecting the Italian identity of the product. It is also essential to place a strong focus on communication: one must be present at trade exhibitions, give consumer the opportunity to know what the company does. One has to work hard on the website by providing an electronic catalogue with business information and product’s technical characteristics; it is an important tool because the consumer needs to know the producer and have information to choose with awareness. In the last year Calligaris is going through an important period of change: looking to the future by investing in an important project for the value and positioning of their brand. The universe of Calligaris brand wants to be a living, warm universe and, in short, an accessible one. The first Calligaris brand was born spontaneously almost forty years ago: with the development of products, catalogue and distribution we understood that the “brand name” was absolutely necessary. Today we want to take it, through a carefully thought out action, to a precise role: we want to express, with its sheer force, contents and values of our company. We want people to know that behind this symbol there is passion for work, that is, for things done well, there is the expertise gained in eighty-five years of history, there is research, all Italian one, beautiful and harmonious shapes, without ever overdoing, there is the principle, all Friulian, of parsimony and balanced approach to market. Access is the value we want to pursue not only with reference to the price (the “affordable luxury” as a goal, because an affordable product must still make a consumer dream), but broadly as close to everyday life, with an extensive distribution network, an accessible website, a clear and understandable offer in terms of style, price, beautiful but functional design: in a phrase “design to live for today’s house” This means becoming the reference brand of accessible Italian design for those who love quality decor and design but also smart purchases, for those who love to create their own universe of life, contemporary and alive, mixing styles and colors. We renewed the coordinated image that on one hand will give greater recognition to the universe of Calligaris brand made of products, services, communication activities, web presence and retail, on the other hand will help to convey the identity of our brand and its values. The new logo, which maintains the historic Calligaris red, develops into a more modern lettering and a new payoff: “Italian Home Design since 1923”. Next to the logo a winning symbol has been introduced, a stylized woodpecker, to enhance the impact and distinctiveness of the brand name, making it more visible and memorable especially in those international markets, where it does not necessary need to be read to be recognized and remembered. If on one side the new payoff represents attention to colors, styles and trends, the comprehensive offer of the day and night house offer, underlines the value of its own past (producer since 1923, with a specific history related to wood and chairs) on the other side the woodpecker recalls the values of reliability (in terms of products and services), intellectual ability (for instance functionality of its tables) and the hard work, typical also of Calligaris. AIR DOLOMITI: AN ITALIAN SUCCESS STORY IN EUROPE Air Dolomiti was founded in 1989 by the Leali steel group and it started business in 1991 in the regional air transport segment with three Dash 8-300 and the objective of developing direct flight services in Europe from airports in business or tourism oriented towns and cities with mediumsized populations. From the start, a customer-oriented approach was the kingpin of the vision of Air Dolomiti. Attention to excellence has been the added value in the decision to be different made by the Company from the start and it thus forms an integral part of its mission “Settmocielo by Air Dolomiti”, the registered trademark denoting the airline’s inboard hospitality and a range of exclusive products. The total quality of the service offered by Air Dolomiti is confirmed by the main recognitions won in the course of its activity; the latest is the ‘Travelchannel.de award’ which is the result of an inquire on German passengers (January 2008). During these twenty years of business Air Dolomiti has constantly renewed and increased its fleet. Since 2009 it has been introducing the new Embraer 195 for which it is the launch customer in Italy: the Company undertakes the historic evolution of 100-seater range. The E195 is a vanguard, extremely flexible, dynamic aircraft with innovative design. It was designed from scratch using virtual reality technology and optimized specifically for the 70 to 120-seat equipment segment. The new E195 will operate together the ATR fleet made by 14 ATR 72 -212a. Air Dolomiti flies from/to 22 destinations, 16 within Italy. Abroad the Company flies to Munich, Frankfurt and Wien, important Star Alliance hubs in Italy. In 2005 Air Dolomiti received the IOSA certification (International Operations Standard Audit) which represents one of the highest certification in the world for airline operational safety; IOSA was confirmed in July 2007. With Air Dolomiti achieving IOSA Registration it positively positions itself amongst the world’s leading airlines, demonstrating that it provides an operation that can deliver operational safety and efficiency. In 2000 Air Dolomiti obtained the fullest Quality Certification UNI EN ISO 9001 issued by Det Norske Veritas; it concerns the whole chain of the planning and provision of the service. In January 2007 the certification was expanded to the maintenance: an important goal for Air Dolomiti that proves to operate regards the strong standard of Det Norske Veritas. It was confirmed on July 2009. Air Dolomiti is deeply present on the web by offering three websites to catch all targets: www. airdolomiti.it which was completely renewed in February 2007 to make customer service even more efficient: the revision of the structure and the new graphic frame makes surfing simple and intuitive. Thanks to the new catchment areas passengers can have further information regarding destinations and their surroundings. In the same year www.spazioitalia.com was also renewed: the new portal structure allows customers to surf easily among web sections. In 2008 the shopping page, the virtual shop of the site, was restyled and new prestigious products have been included in the selection list. www.aeroportodimonaco.it was born in 2008: this is the Munich Airport portal for Italian customer, a web site in Italian language which gives all information and services offered by the most modern European hub. Piero Zecchini SERRALUNGA In the history of Italian enterprise, Serralunga is a rare example of long-life and capacity for ongoing evolution. When the Eiffel Tower was unveiled in 1889 the Biella-based company was already 64 years old. This family-run firm has now come to its third century in business, the V-generation of entrepreneurs and is living a second youth. After its establishment in 1825 as a tannery, in line with the diffusion of machinery, it started manufacturing leather items for industrial purposes, such as driving belts and similar products. In the 1900s, it starter processing guttapercha and later plastic, specialising in the manufacture of industrial articles. In the 1980s, the company imported a rotating plastic injection moulding system from the U.S.A. and was the first in Italy to install a pilot system, with which it started to manufacture flower vases. The rotating system boasts highly innovative technology, making it possibile to manufacture hollow articles with sizes of up to 2000 litres. The first vases took on the classic forms of the Italian gardening tradition and the colour was similar to terracotta. However, these feature an innovative hollow space that improves soil insulation, they can be manufactured in extra large formats and because of their lightness, they are also ideal for use on balconies and terraces. Serralunga understood that the oversize dimension was the ace up its sleeve. The next step was to make them beautiful, intriguing and surprising. The key step was the creative encounter between two Biella-born friends: Marco Serralunga an economics graduate and young businessman, who inherited the company from his father and Luisa Bocchietto, designer and architect and disciple of Marco Zanuso. The passion and business courage of the former combined with the creative flair of the latter revolutionised the company over a 15-year period, projecting it towards the dimension of cutting-edge modern language and lifestyle. The first steps in the new direction originated from the workshops organised in universities and the dialogue established with Paolo Rizzato, Alberto Meda and Denis Santachiara, three very different designers who share the same spirit of research and passion for technology. In the ten years that followed, Marco Serralunga and Luisa Bocchietto, staunch upholders of the cultural fertility that characterises Italian design, worked with twenty or so international designers to create a collection with spectacular shapes and new purposes that has become a benchmark and trendsetter in its sector. The flower vase has been reworked to become a sculpture, a lamp, a landmark, a meeting point between the plant kingdom, furniture and technology. The increasingly fragile and vital divide between indoor and outdoor has become the area of research explored by Serralunga, which, as an independent and verticalised business, owns its own technology, which allows it to experiment, innovate and choose the way forward. The company’s research combines with the talent of its designers to create new product types: flower vase-lamp, lamp-flower vases, sculpture lamps, flower vase-seats, forest-like flower vases, indoor-outdoor sofas that are rigid yet padded. Since 1825, the company has manufactured all its products in Italy, at the same address: Via Serralunga 9, Biella in a 12,000-square metre site with 65 direct employees and involves about double in related. Here over 1,200 tonnes of plastic are processed every year to make about 200,000 product pieces. The company is constantly growing. Serralunga the mark becomes an unmistakable brand distributed throughout the world. Virginio Briatore BACINO DI UtENZA ADI Associazione per il Disegno Industriale Via Bramante, 29 20154 Milano T +39 33103083 www.adi-design.org [email protected] ADI – Delegazione territoriale del FVG T +39 3459279851 www.adifvg.org [email protected] AGENZIA TURISMO FRIULI VENEZIA GIULIA Piazza 1° Maggio, 7 33100 Udine T +39 0432295972 www.turismofvg.it [email protected] www.industriaeturismofvg.it [email protected] AIR DOLOMITI Via Paolo Bembo, 70 37062 Dossobuono di Villafranca (VR) T +39 0458605211 www.airdolomiti.it customer-relations@ airdolomiti.it Spazio Italia Terminal 2 dell’aeroporto di Monaco di Baviera www.spazioitalia.com ALESSI Via Privata Alessi, 6 28882 Crusinallo (VB) T +39 0323868611 www.alessi.com [email protected] ANTICA AZIENDA AGRARIA CURTO Via Galilei, 4 97014 Ispica (RG) T +39 0323868611 www.curto.it [email protected] AREA DECLIC Via A. Volta, 8 33044 Manzano (UD) T +39 0432937065 www.areadeclic.com ASDI SEDIA Agenzia per lo Sviluppo del Distretto Industriale della Sedia Via Trieste, 9/6 33044 Manzano (UD) T +39 0432755550 www.asdisedia.com [email protected] BLAST Via Compagnoni, 13 20129 Milano T +39 0289655650 www.blastarchitetti.com [email protected] BRAUN COLLECTION Westerbachstrasse 23C D 61476 Kronberg T +49 (0)6173302244 www.braun.com [email protected] CAPPELLINI CAP DESIGN Via Milano, 28 22066 Mariano Comense CO) T +39 031759111 www.cappellini.it [email protected] FLEXFORM Via L. Einaudi, 23/25 20036 Meda (MB) T +39 03623991 www.flexform.it [email protected] ILLYCAFFÈ Via Flavia, 110 34147 Trieste T +39 0403890111 www.illy.com [email protected] MUSEO MARCA Via Alessandro Turco, 63 88100 Catanzaro T +39 0961746797 www.museomarca.com [email protected] SERRALUNGA Via Serralunga, 9 13900 Biella T +39 0152435711 www.serralunga.com [email protected] CLASSIC RADIO COLLECTION Viale della Stazione, 35 35013 Cittadella (PD) T +39 0499404432 www.classicradiocollection.com [email protected] FLOS Via A. Faini, 2 25073 Bovezzo (BS) T +39 03024381 www.flos.com [email protected] INSTITUT FÜR NEUE TECHNISCHE FORM Friedensplatz 10 D – 64283 Darmstadt T +49 (0)6151 48008 www.intef.de [email protected] MUSEO “UGO CARÀ” Via Roma, 9 34015 Muggia (TS) T +39 0403360340 ufficio.cultura@ comunedimuggia.ts.it SPAZIO CUMINI CASA Via San Daniele, 1 33013 Gemona del Friuli (UD) T +39 0432982546 www.cumini.it [email protected] INSTITUT MATHILDENHÖHE Olbrichweg 13 D – 64287 Darmstadt T +49 (0)6151 132778 www.mathildenhoehe.info/ [email protected] MUSEUM FÜR ANGEWANDTE KUNST Schaumainkai 17 D – 60594 Frankfurt T +49 69 212 31 286 www.angewandtekunstfrankfurt.de [email protected] SPAZIO900 MODERNARIATO & DESIGN Via Campania, 51 (interno) 20133 Milano T +39 0270125737 Corso Garibaldi, 42 20121 Milano T +39 0272001775 www.spazio900.com [email protected] CONFINDUSTRIA UDINE Largo Carlo Melzi, 2 33100 Udine T +39 0432276259 www.confindustria.ud.it [email protected] CONCILIO EUROPEO DELL’ARTE S. Polo, 2964 30125 Venezia T +39 0415236728 concilioeuropeodellarte @gmail.com www.concilioeuropeodellarte.org Paradiso Gallery Giardini della Biennale, Venezia T +39 0412413972 www.inparadiso.net MAURIZIO CORRAINI Via Ippolito Nievo, 7/a 46100 Mantova T +39 0376322753 www.corraini.com [email protected] COWORKING UDINE Centro Città Fiera – Area direzionale Via Antonio Bardelli, 4 33035 Torreano di Martignacco (UD) T +39 0432544660 www.coworkingudine.it [email protected] DEGUSSA DIV. PLEXIGLAS www.plexiglas.de [email protected] distributore per l’Italia Röhm Italia Via XX Settembre, 38 20024 Garbagnate Milanese (MI) T +39 02990705 www.roehmitalia.it [email protected] DEL FABRO Via Nazionale, 11 33019 Tricesimo (UD) T +39 0432851170 www.delfabro.com [email protected] DIREZIONE REGIONALE PER I BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI DEL FRIULI VENEZIA GIULIA Piazza della Libertà, 7 34135 Trieste T +39 0404194811 www.friuliveneziagiulia. beniculturali.it [email protected] FONDAZIONE EMILIO E ANNABIANCA VEDOVA Dorsoduro, 42 30123 Venezia T +39 0415226626 www.fondazionevedova.org [email protected] FOUR SEASONS HOTEL DOHA The Corniche Doha - Qatar T +974 4494 8888 www.fourseasons.com/doha/ FRAGILE Via Rutilia, 11 20141 Milano T +39 0236661161 www.fragilemilano.com [email protected] FRATELLI GUZZINI C.da da Mattonata, 60 62019 Recanati (MC) T +39 0719891 www.fratelliguzzini.com [email protected] GALERIJA ULUPUH Tkalciceva 14 Zagreb - Croatia T +385 (0)1 4813746 www.ulupuh.hr [email protected] GC.AC Galleria d’Arte Contemporanea Piazza Cavour, 44 34074 Monfalcone (GO) T +39 0481494360 www.galleriamonfalcone.it [email protected] GOETHE-INSTITUT TRIEST Via Beccaria, 6 34133 Trieste T +39 040635763 www.goethe.de/trieste [email protected] GRAPHART Via Josip Ressel, 5 34018 San Dorligo della Valle +39 0408325150 www.graphart.it [email protected] GRUPPO CAMPARI Via Sacchetti. 20 20099 Sesto San Giovanni (MI) T +39 0262251 www.camparigroup.com H2OPEN SPACE contemporaneamente centro federale trieste Passeggio Sant’Andrea, 8 34143 Trieste T +39 040306024 DISTILLERIE FRANCOLI C.so Romagnano, 20 28074 Ghemme (NO) T +39 0163844711 www.francoli.it [email protected] HANSGROHE S. Statale 10 km 24,400 14019 Villanova d’Asti (AT) T +39 0141931111 www.hansgrohe.it [email protected] CALLIGARIS Via Trieste, 12 33044 Manzano (UD) T +39 0432748211 www.calligaris.it [email protected] DRIADE Via Padana Inferiore, 12 29012 Fossadello di Corso (PC) T +39 0523818618 www.driade.com [email protected] HOTEL CLOCCHIATTI & NEXT Via Cividale, 29 33100 Udine T +39 0432505047 www.hotelclocchiatti.it [email protected] CEI Central European Initiative Via Genova, 9 34121 Trieste T +39 0407786777 www.ceinet.org ENNEZERO Via delle Crede, 8 33170 Pordenone T +39 0434571482 www.ennezero.it [email protected] IL PROGETTO Via Ponchielli, 3 34122 Trieste T +39 040364510 www.ilprogetto.it [email protected] BRW FILMLAND Via Savona, 97 20144 Milano T +39 02424121 www.brwfilmland.com [email protected] 94 ITALESSE Via dei Templari, 6 34015 Muggia (TS) T +39 0409235555 www.italesse.it [email protected] KARTELL Via delle Industrie, 1 20082 Noviglio (MI) T +39 0290012.1 www.kartell.it [email protected] Museo Kartell [email protected] KUNSTHAUS GRAZ Lendkai 1 A - 8020 Graz T +43 316 8017-9200 www.museum-joanneum.at [email protected] LACIE ITALY Milano Business Park – Edificio B1 Via dei Missaglia, 97 20142 Milano www.lacie.com [email protected] LAGOSTINA Via IV Novembre, 45 28887 Omegna (VB) T +39 03236521 www.lagostina.it [email protected] LAST MINUTE MARKET Viale G. Fanin, 50 40127 Bologna T +39 0512096150 www.lastminutemarket.it [email protected] LAURETANA Frazione Campiglie, 56 13895 Graglia (BI) T +39 0152442811 www.lauretana.com [email protected] MORGANS HOTEL GROUP ST MARTINS LANE 45 St. Martin’s Lane London WC2N 4HX T +44 (0)2073005500 www.stmartinslane.com MOROSO Via Nazionale, 60 33010 Cavalicco (UD) T +39 0432577111 www.moroso.it [email protected] MUSEIMPRESA Via Pantano, 9 20122 Milano T +39 0258370502 www.museimpresa.com [email protected] MUSEO DELLA CALZATURA VILLA FOSCARINI ROSSI Via Doge Pisani, 1/2 30039 Stra (VE) T +39 0499801091 www.villafoscarini.it [email protected] MUZEJ ZA UMJETNOST I OBRT Trg maršala Tita 10 1000 Zagreb - Hrvatska T +385 (0)1/4882-111 www.muo.hr [email protected] NADLER LARIMER & MARTINELLI Via Boccaccia, 39 20123 Milano T +39 0248194857 www.nadler.it [email protected] OLIVARI Via Matteotti, 140 28021 Borgomanero (NO) T +39 0322835080 www.olivari.it [email protected] ONFALÓS Smartech Italia Via Alessandro Volta, 11 33082 Azzano Decimo (PN) T +39 0434423111 www.onfalos.com www.smartechitalia.com [email protected] PALAZZINA GRASSI San Marco, 3247 30124 Venezia T +39 0415284644 www.palazzinagrassi.it [email protected] PINAKOTHEK DER MODERNE Barer Strasse 40 D – 80333 München T +49 89 2 38 05-360 www.pinakothek.de [email protected] Die Neue Sammlung www.die-neue-sammlung.de [email protected] PORSCHE DESIGN Flugplatzstrasse 29 A – 5700 Zell am See T +43 (0)6542-57227-0 www.porsche-design.com [email protected] PRAMAC Località II Piano 53031 Casole d’Elsa (SI) T +39 05779651 www.revolutionair-pramac.com [email protected] PUNTA DELLA DOGANA François Pinault Foundation Dorsoduro, 2 30123 Venezia T +39 0415231680 www.palazzograssi.it [email protected] SAMBONET PADERNO INDUSTRIE S.R. 11 – km 84 28060 Orfengo (NO) T +39 0321879711 www.sambonet.it [email protected] TASCHEN Hohenzollernring 53 D – 50672 Köln T +49 221201800 www.taschen.com [email protected] TONON & C. Via Diaz, 22 33044 Manzano (UD) T +39 0432740740 www.tononitalia.com [email protected] TOURING EDITORE Milanofiori 20090 Assago (MI) T +39 02575471 www.touringclub.com iniziative.speciali @touringclub.it TRIESTE CONTEMPORANEA Via del Monte, 2/1 34121 Trieste T +39 040639187 www.triestecontemporanea.it [email protected] UDINÈDESIGN Centro Città Fiera Area direzionale Via Antonio Bardelli, 4 33035 Torreano di Martignacco (UD) T +39 0432544660 www.udinedesign.it [email protected] VITRA INTERNATIONAL Klünenfeldstrasse 22 CH – 4127 Birsfelden T +41 (0)613770000 www.vitra.com [email protected] distributore per l’Italia Molteni&C. Via Rossini, 50 20034 Giussano (MB) T +39 03623591 www.molteni.it [email protected] VITRA DESIGN MUSEUM Charles-Eames-Str. 1 D – 79576 Weil am Rhein T +49 (0)7621 7023200 www.design-museum.de [email protected] VLM Via dei Lavoratori, 14 20090 Buccinasco (MI) T +39 02488551 www.vlm.it [email protected] ZANI & ZANI Via del Porto, 51/53 Toscolano Maderno (BS) T +39 0365641006 www.zaniezani.it [email protected] MASSINI Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Friuli Venezia Giulia ASSOCIAZIONE J U L I E T Salone Piemontese di Palazzo Economo Trieste presentazione del libro d’arte “Massini Trieste” Massimiliano Forza Marzia Vidulli Torlo Pietro Valle Roberto Vidali relatori: TRIESTE 96 Disegno di Serginho Cartoons - Sergio Cascavilla, 2001 TESTO, DISEGNO E FOTO TRATTI DAL LIBRO “12 RACCONTI CON CASETTE” DI MICHELE DE LUCCHI (PH. PICO DE LUCCHI). COURTESY CORRAINI EDIZIONI - MANTOVA JULIET design magazine GARAVELLO EDITORE vol. 3/4 ] xHRTHRCy036777zv!:!