Mauro Caselli, “«Bisogna isolare una cosa perché
Transcript
Mauro Caselli, “«Bisogna isolare una cosa perché
Mauro Caselli ”Bisogna isolare una cosa perché diventi una cosa sola”. Saggio sull’ontologia di Svevo Dovetti ripetermi, ciò ch'è noioso perché si ripete male. La scrittura di Italo Svevo, nel suo stile piano, si mostra particolarmente aliena dal coagularsi in frasi isolate, apoftegmi, aforismi, difficile trovare punti ben definiti nei quali il pensiero possa trovare compiuta dimora. A tutto ciò è forse legata la ben nota diffidenza di questo scrittore sia nei confronti della speculazione sistematica, di ogni processo di teorizzazione - la filosofia tradizionalmente intesa - che nei confronti di tutta quella espressività che opera nell’opacità della parola - in termini, certo generali ed imprecisi, verso la poesia. Si tratta di quella riluttanza da parte di Svevo verso gli ”istinti predicatori e didascalici” già notata da Montale (1925, 73). Questo assestamento su di un linguaggio di basso impatto, ad un’attenta analisi appare tutt’altro che concettualmente neutro, soprattutto se l’opera di questo autore viene posta in relazione con quel sentimento di crisi di pensiero che, emerso negli ultimi decenni del XIX secolo, ha condizionato in maniera decisiva la riflessione filosofica successiva, con tale forza da non avere ancora, ai nostri giorni, esaurito il proprio effetto. Nello Svevo dei primi due romanzi, Una vita e Senilità, la struttura speculativa è dominata dalla metafisica, modello radicato di spiegazione del mondo in cui una ferma presenza del soggetto viene posta di fronte ad un mondo da lui nettamente distinto. L’insuccesso di critica di queste due opere induce Svevo a vietarsi alla letteratura. È noto che non si tratta di un silenzio totale. Lo scrittore continua in tutti questi anni saltuariamente a scrivere, ma tanto l’angustia della forma racconto, quanto il bisogno di catarsi, ne condizionano la qualità espressiva. Sono le opere del cosiddetto periodo di silenzio, dove non v’è quasi traccia del rivolgimento sostanziale che in quel torno di tempo avviene effettivamente nell’autore. Infatti, ne La coscienza di Zeno, il terzo romanzo con il quale Svevo riattiva il proprio rapporto con la letteratura, la forma del testo appare decisamente cambiata. Essa è ora governata da una legge che segue una verità plurima, modificabile, molto differente da quella dei due romanzi precedenti. Tutto ciò è reso possibile dal peculiare, straordinariamente profondo, rapporto di Svevo con la parola, con la parola in quanto scrittura. Nel suo terzo romanzo, Svevo si mostra in grado di articolare significativamente quella componente di sfuggimento propria del segno linguistico, che Jacques Derrida definisce ”forza di dislocazione”, capace di sommuovere la Setzung metafisica e mantenere l’apertura del linguaggio (Derrida 1997a, 5 – 6; 2002b, 36). Si tratta di una tendenza decostruttiva che in questo romanzo attiva l’espressione attraverso ”l’impossibilità del sistema”, nella spinta cioè di un superamento che richiama comunque ciò che viene oltrepassato.1 È paradigmatico qui 1 L’indizio di un’apertura connaturata alla struttura della parola sveviana potrebbe essere visto nella problematicità di soluzione narrativa dei suoi tre romanzi. Si tratta di un punto nodale, sviluppato ogni volta differentemente. Il finale di Una vita appare con ogni evidenza affrettato, dove la vicenda precipita improvvisamente, in pochissimi tratti. In Senilità la misura perfetta è raggiunta, la curva conclusiva segue senza scarti quella dell’intero romanzo. Con La coscienza di Zeno si dà l’attraversamento di questo equilibrio, con l’aggiunta fattizia di diverse pagine – si tratta di quasi tutto l’intero ultimo capitolo – ad un testo che presentava invero di per sé un esito letterariamente soddisfacente. l’atteggiamento eversivo nei confronti della psicoanalisi il quale, nel suo evitamento, nella sua critica, mobilizza lo studio nella psiche proprio a partire, e quindi grazie, alla teorizzazione freudiana. Si cercheranno ora di indicare quali sono le soluzioni stilistiche che vengono adottate da Svevo nel procedere sopra indicato. I. Una delle caratteristiche più evidenti dell’opera di Svevo è il tratto di spaesamento dei personaggi attorno ai quali si sviluppano le vicende. La figura è sempre fuori contesto, l’ambiente che lo circonda non gli perviene compiutamente. L’effetto è quello di un accentuarsi della diastasi fra soggetto e mondo. Non c’è relazione comprensibile fra l’uomo e il suo contesto, l’abisso è profondo e - in quella che possiamo definire la prima fase dell’opera di Svevo e che si conclude grosso modo col secolo - il linguaggio non si presenta nella condizione di superare, di eccepire questa distonia. La manifestazione forse più superficiale e vistosa di tutto ciò, può essere vista in una tematica apparentemente anodina e pure molto presente in Svevo, quella del tradimento. Esso viene inteso sostanzialmente come la disattenzione nei confronti di una norma di condotta, come una variazione imprevista e non condivisa della rete relazionale, che si dà in quella zona trascendente tra gli enti, in quel ”non luogo” che li separa. Da qui nelle pagine sveviane la presenza sovrabbondante, di peso non puramente fenomenico, del tema dell’adulterio: Non solo ti tradisco ma ti tradisco con la tua sarta. Tu non ti degnasti di guardare ma ti degni di condannare, di uccidere. Oh! Avessi tu guardato! Avresti visto che quella donna non era e non poteva essere la tua sarta. Né magra, né alta, né elegante. Un piccolo elefante. E non bionda… (La verità, Svevo 2004c, 386) In Svevo tutto questo si compone ontologicamente in una tensione fra qualità differenti, senza che l’intervento di una qualche misura consenta il passaggio da un elemento all’altro. Il suo è un mondo composito, un mosaico, dove il fenomeno relazionale si configura come soluzione aporetica, inspiegata, della continuità, come attraversamento inopinato. II. Nel primo romanzo di Svevo, Una vita, la linea di separazione tra gli enti è molto pronunciata. Lo sviluppo della vicenda va a compiersi in linea con le conseguenze di un autismo esistenziale, con l’invalicabilità della divisione. In Senilità il fronte si fa interno, e va a segnare una partizione nel soggetto stesso. Il passaggio da un ente all’altro è più agevole che nel romanzo precedente, ed anzi viene a porsi come il tema speculativo della vicenda.2 In questo romanzo i collegamenti fra autore ed opera risultano più profondi, il vissuto penetra nella pagina e va a decantarsi lungo le linee di confine tra gli enti, formando un certo chiaroscuro del senso che va a stemperare la freddezza della prospettiva quantizzante. Nella prima fase dell’opera di Svevo, l’uomo si pone quindi come soggetto e oggetto di una impossibilia, dove gli estremi vengono posti in una coniugazione tensiva, e in cui dissidio e distanza, differenza e assenza divengono poli di un dinamismo esistenziale omeostatico. Da un punto di vista speculativo, il rapporto tra essere e significato perde la sua ovvietà e si mostra piuttosto come il manifestarsi di una 2 A questo proposito, forse è l’esatta sovrapposizione di struttura espressiva e senso comune che ha potuto spingere la critica più avveduta nel vedere in questo testo una certa perfezione formale. situazione liminare, l’indicazione di una distanza nella quale, con Nietzsche, si può identificare l’epicentro di un certo pathos (Nietzsche 1992, 112). Il termine ”malattia” viene impiegato dall’autore - in maniera invero alquanto incostante e con eccesso di simbolismo - proprio per definire questa situazione di impasse ontologica, determinata dall’incapacità di risolvere la separazione degli enti, dalla conseguente reclusione in sé del soggetto. III. Nella scrittura, questa percezione desultoria della realtà assume rilievo ontologico per un’attenzione verso l’imminenza, intesa nel suo significato relazionale - che tiene insieme e collega le cose. Ciò che importa è pertanto lo spazio interstiziale e il suo superamento, perché ”la vita non può essere che sforzo, risentimento e attesa di gioia!” (Corto viaggio sentimentale, Svevo 2004b, 505). Questo luogo è ”interesse” - ciò che sta in mezzo - che separa e allo stesso tempo unisce forma e contenuto, ad un livello più concreto, ciò che consente la relazionalità dei qualia. Se è vero che ”tante cose a questo mondo accumulandosi mutano d’aspetto” (Corto viaggio sentimentale, Svevo 2004b, 589) è qui che si mostra ciò che può essere considerata la trascendenza di Svevo, che si espone come mistero, come una forma resistente di inconoscibilità determinante. Da tutto questo procede l’attenzione per la parola, intesa come ente tra gli enti del mondo, ”avvenimento che si riallaccia agli avvenimenti” (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 987), ”l’esperienza stessa della possibilità (impossibile) dell’impossibile” (Derrida 2005, 137), come scrive Derrida, per la capacità illocutiva che la lega al referente e la mobilità del senso che questo spazio consente, all’origine d’ogni fenomeno di connotazione. In seno a tale dinamica ha buon aggio la deviazione della componente dialettale nella lingua di Svevo, tema critico importante e che certo inopportunamente ha tanto angustiato l’autore.3 Tuttavia, se alla consapevolezza di una reale possibilità di rivelazione del linguaggio nel mondo, del suo ingombro, Svevo giunge subito, devono passare degli anni perché egli sia in grado di padroneggiare la potenzialità eversiva che vi si collega. Nell’onomastica di Svevo si segnala il movimento di cui si è detto. A ragione, Roland Barthes sostiene che ”il nome proprio è un nome che rinvia all’incomparabile” (2002, 142). In Svevo è significativo che si verifichi una tendenza contraria, in direzione della contestualizzazione. Basti pensare ai collegamenti che in questo modo vengono costruiti fra alcuni personaggi (Emilio e Amalia), fra un nome e un specifico ruolo (Angiolina, Samigli, Achille, Bianca), o i casi di omonimia tra personaggi di differenti opere, per non citare tutto il complesso lavorio di dissimulazione dell’autore nei propri personaggi. Ma certo questa erotica della distanza fra nome proprio e mondo in Svevo è maggiormente visibile nell’uso dello pseudonimo, su cui non è necessario soffermarsi, data l’evidenza.4 IV. Nella pagina del primo periodo il senso ineffabile, la trascendenza immanente costituita dalla distinzione degli enti, viene resa da Svevo attraverso un uso inflativo 3 “Il romanzo raggiunge la pienezza della propria coscienza creatrice solo nelle condizioni di un plurilinguismo attivo”. (Bachtin 1979, 431). Montale, per questo, parla di “imperfezione positiva” (Montale 1961, 2513). Da parte sua, per questa scrittura, Giacomo Debenedetti parla di “un utensile efficace, per quanto inelegante”. 4 Va ricordato che il nom de plume Italo Svevo fu preceduto da Erode, Ettore Samigli, Ettore Muranese. Jean Starobinski scrive che scegliere uno pseudonimo al posto del nome anagrafico “equivale all’assassinio del padre ed è la forma meno crudele dell’uccisione in effigie” (Starobinski 1975, 161). della negazione. I linguisti Chaïm Perelman e Lucie Olbrecths-Tyteca ne hanno sottolineato la funzione argomentativa, dialettica (2001, 163). L’impiego che il nostro autore fa di essa, si mostra funzionale a quella percezione del mondo di cui si è detto. Il suo è un tentativo di superamento dell’espressione antitetica, in cui una buona parte della forza significativa viene assorbita dalla contrapposizione. Ben lontana dalla teoresi hegeliana, la negazione pare qui avvertire la funzione devastante che presenta in Nietzsche, il quale individua il punto in cui essa diviene permutabile con il suo contrario, con l’affermazione, delineando così - ma in Svevo rimanendone al di qua l’orizzonte mobile e paradossale del nichilismo. Il compito della negazione in Svevo è quindi di indebolire l’affermazione, in un costante formarsi d’una distinzione, di un’obiezione al senso alternativa all’antitesi. Ecco alcuni esempi, desunti da un elenco molto ampio: Non s'era ancora risolto per uno o l'altro motivo di cui avrebbe potuto indicare parecchi, ma nessuno tanto verosimile da venir creduto senza esitazioni. (Una vita, Svevo 2004a, 247 - 8) Non era il dolore per la morte della madre che lo faceva barcollare e che gli offuscava la vista. Egli non vedeva dinanzi a sé il volto della defunta ora illividito, o non richiamava alla mente la voce che non doveva udire più mai, o il gesto che tanto spesso era stato affettuoso per lui. (L’assassinio di via Belpoggio, Svevo 2004b, 43) ed infatti egli non aveva creduto in nessuna delle felicità che gli erano state offerte; non ci aveva creduto e veramente non aveva mai cercato la felicità. (Senilità, Svevo 2004a, 502) Verrà il momento in cui egli non ci sarà ed allora non gl’importerà come non gl’importa mai quando non c’è. (Argo e il suo padrone, Svevo 2004b, 106) Non si era né buoni né cattivi come non si era tante altre cose ancora. (La coscienza di Zeno, Svevo, 2004a, 976) La miglior prova ch’io non ho avuta quella malattia risulta dal fatto che non ne sono guarito. (La coscienza di Zeno, 2004a, 1049) Avevo detto di stimare mia moglie, ma non avevo mica ancora detto di non amarla. Non avevo detto che mi piacesse, ma neppure che non potesse piacermi. (La coscienza di Zeno, 2004a, 836 - 837) Tuttavia non seppe cambiar discorso e non solo perché i vecchi sono un po' come i coccodrilli che non cambiano facilmente direzione, ma anche perché oramai con la giovinetta egli non aveva che un legame. In fondo piú di uno con lei non aveva mai avuto, solo che non era piú lo stesso. (La novella del buon vecchio e della bella fanciulla, Svevo 2004b, 477) Il ladro poteva essere preso in flagrante, ma non c'era una prova così risolutiva per il non ladro. Era come la prova Wassermann. La negativa non era mai sicura.5 (Corto viaggio sentimentale Svevo 2004b, 543) 5 A questo proposito, la prova Wassermann non è un test della verità come qualche critico l’ha definita, ma un test per l’identificazione del morbo della sifilide. Come si vede, si tratta di un modello argomentativo distribuito lungo l’intera opera di Svevo.6 È il fulcro d’una negazione senza replica, un rapporto fondato sulla qualità. Quella di questo autore si pone infatti come l’attivazione di un movimento differenziale rispetto alla Aufhebung hegeliana, che agisce su quella stessa speculazione e la modifica, in ciò per nulla distinguendosi dalla différance di Jacques Derrida. D’altro canto, l’opera di Svevo è orientata su ciò che può essere definito come il resto della misura hegeliana, per il quale l’Anerkennung, il riconoscimento, rimane sempre al di là del compimento, e proprio per questo importa, per questa funzione di apertura.7 Dando un più ampio respiro alla questione, questa peculiarità di negazione consente di porre Svevo all’interno di quel movimento di pensiero che nei primi decenni del secolo si era assunto un compito che a buon diritto può essere definito epocale. Definita, con Nietzsche, la morte di dio, accertata la porosità del senso della metafisica, che da Platone in poi aveva dettato i fondamenti dell’esistenza, il compito è ora quello di rintracciare le articolazioni esistenziali di questo nuovo scenario, indicare le linee di svezzamento dai vecchi valori. Martin Heidegger è il filosofo che affronta la questione nella maniera più convincente.8 E proprio con questo pensatore, la componente speculativa dell’opera di Svevo mostra sensibili analogie. Basti pensare all’idea, fondativa del pensiero del filosofo, di ”differenza ontologica”, per cui l’essere non è l’ente e può apparire solo nella forma della negazione. Più nei particolari, quella negazione non relazionata, che si è visto stabilirsi come sostrato della sua visione del mondo, si trova declinata in maniera decisiva in Heidegger, nella sua idea del Dasein, dell’esserci, come privo di fondamento, come Ab-grund (Heidegger 1952, 77). Anche la posizione particolare del linguaggio per Svevo, quel suo porsi come ente di rivelazione, trova rispondenza nel filosofo tedesco, per il quale esso è ”un utilizzabile ontico (...) che manifesta la struttura ontologica dell’utilizzabilità” (Heidegger 1969, 159). Determinante per entrambi è il tema del raccoglimento, la sospensione dell’assenso agli interessi intramondani in funzione di recupero rispetto a quella parcellizzazione degli enti di cui si è detto, in un movimento di com-prensione, in cui l’ascoltare diventa essenziale quanto il parlare, tema quest’ultimo dell’Erörterung heideggeriana (Heidegger 2010). Il raccoglimento, inteso come Versammlung, è, in questo filosofo, peculiare della memoria – secondo il quale è “il raccogliersi del pensiero” (Heidegger, 1996, 37) - ma soprattutto del logos.9 Similmente accade in Svevo, per il quale è fortemente sentita l’importanza di ciò che Heidegger chiama la Zusammengehörigkeit, 6 In realtà, a partire da un uso molto frequente della negazione, si nota una sua sensibile diminuzione già con Senilità, con un suo netto recupero nelle opere prossime alla Coscienza. Va ricordato che in queste domina la narrazione in prima persona, con una lingua più vicina al parlato, più predisposta ad accogliere le modalità di manifestazione indiretta della realtà. 7 È qui opinione che l’interese di Svevo per il pensiero di Schopenhauer vada essere visto anche come presa di distanza - nella forma di una Verwindung - da quella struttura speculativa a forma chiusa costituita dalla dialettica hegeliana, che aveva decisamente condizionato la cultura ottocentesca, ed anche oltre. Del resto, Fabio Vittorini osserva che “la Coscienza sembra fornire una personalissima versione della dialettica signore-servo teorizzata da Hegel” (Svevo 2004a, 1571). 8 Va ricordato che si tratta di un impulso di uscita che prima di Heidegger era stato del suo maestro, Edmund Husserl, nei due movimenti di Abbau e Aufbau del suo lavoro fenomenologico. Derrida ne riconosce la fondamentale importanza in (2004a, 89 – 90 ; 2002c, 199 – 218). 9 Si veda (Derrida 2010). Il filosofo francese qui in realtà non risolve chiaramente l’opposizione tra la sua idea del pensiero come dispersione e la Versammlung heideggeriana. l'appartenenza di cose diverse ad uno stesso ambito, elaborato nella considerazione del rapporto tra identità e differenza (Heidegger 2009). La permanenza di questa struttura diviene chiara se si considerano le due redazioni di Senilità. Il romanzo, pubblicato nel 1898, nel 1926 viene riveduto da Svevo in vista di una nuova edizione, realizzata l’anno successivo. Nonostante l’autore parli di ”qualche ritocco meramente formale”, l’emendamento in realtà è piuttosto importante, pur non andando ad intaccare il tessuto espressivo di fondo. Per i dati che qui interessano, conta rilevare come l’intervento sia da considerarsi tuttavia trascurabile. Le costruzioni negative vengono solo leggermente ridotte, e i casi di emendamento in esse riguardano la variazione del verbo ausiliare – Svevo impiega di preferenza ”avere” - e della declinazione dall’indicativo al congiuntivo (Cernecca 1961). È significativo che Svevo mantenga invariate quelle strutture che si costituiscono nelle sue pagine quale significante ontologico. Tutto ciò, inoltre, avvalora l’idea di chi vede nell’italiano di Svevo un caso psicologico, più che letterario, dove la maturazione della lingua non avviene attraverso una militanza letteraria, ma sia piuttosto un prodotto esistenziale (Luti 1961). Oltre al diniego assoluto di questa negazione, privo di alternativa, la scrittura sveviana trova una sua articolazione importante in un movimento del senso, meno rilevante ma comunque significativo, imperniato sull’effetto straniante degli avversativi: L'altro fu gentile ma distrattamente. (Una vita, Svevo 2004a, 310) Rideva molto, ma ubbidiva. (Senilità, Svevo 2004a, 450) Non era più abbandonata senza parole; era vilipesa. Ma la forza non era fatta per lei, e durò poco. Emilio giurò: il Balli non gli aveva mai parlato di Amalia in modo da far capire che credesse d'esserne amato. Ella non gli credette, ma il debolissimo dubbio ch'egli le aveva messo nell'animo le tolse la forza, e si mise a piangere: - Perché non viene più in casa nostra? (Senilità, Svevo 2004a, 516) A livello di contenuto, la percezione del mondo sveviana salta all’evidenza nelle sue considerazioni estetiche: Aveva quattordici anni, ma la sua carne abbondante bianca e rosea da bambino e la statura bassotta gli davano l'aspetto di decenne appena. (Una vita, Svevo 2004a, 13) lo si diceva cinquantenne, ma, con la sua figura magra e slanciata, la pelle asciutta e senza rughe, non mostrava di avere più di trent'anni. (Una vita, Svevo 2004a, 64) di qualche anno più giovane di lui, ma più vecchia per carattere o forse per destino. (Senilità, Svevo 2004a, 403) mi ripugnava con quel suo aspetto da vecchia e gli occhi giovanili e mobili come quelli di tutti gli animali deboli. (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 645) In questo autore, il senso del bello, il sorprendente nell’aspetto, scaturisce attraverso la catalisi di un elemento scoordinante, Unheimlich - ciò che ”copre e altera la forma“ (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 804) percepito non tanto nelle sue caratteristiche proprie, quanto per la relazione che instaura con l’ambiente che lo contiene, in una misura del rapporto fra l’oggetto e il contesto, nella ricerca della sua delineazione. l'originalità di quella figura e la sua bellezza erano precisamente formate da ciò ch'egli aveva qualificato per difetti. (Una vita, Svevo 2004a, 123) e tale percezione è resa possibile dalla visione parcellizzata del reale di cui si è parlato: La donna a me non piaceva intera, ma... a pezzi! (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 638) Si tratta di un procedimento che, seguendo Derrida, può essere definito “per innesto”, di disseminazione, dove un elemento disarticolato viene messo in condizione di modificare il contesto (Derrida 1989a). È proprio questa componente merologica - declinazione ontologica di quel tratto peculiare della triestinità che Claudio Magris e Claudio Ara hanno riassunto nel termine nebeneinander (1984) - che sta alla base della visione del mondo sconnesso di Svevo, e che induce all’uso della negazione intransitiva come forma primaria di espressione. V. Nei suoi primi due romanzi, Svevo stilisticamente segue un impianto in cui la parola scorre nella stessa direzione del mondo, e la sua funzione si limita alla resa passiva della ”differenza ontica”, dell’infrazione endemica dell’insieme: Io e le cose e le persone che mi circondano siamo il vero presente (Il mio ozio, Svevo, 2004a, 1197). È una specie, se si vuole, di naturalismo trasversale, questo, che accorda mondo e parola a livello formale. Ma si tratta di un tempo presente già indebolito da una tendenza protenzionale e insieme ritenzionale, tendente all’uscita dalla pura soggettività, a beneficio dell’idea di ulteriorità implicita nell’ex-sistere, nello star fuori.10 Senilità - che raffina lo stile di Una vita, in direzione di una maggiore pulizia strutturale – si orienta quindi verso il superamento della neutra narratività ottocentesca, attestandosi però al compimento di quel modello. Ma la scarsa, quasi inesistente, attenzione del mondo letterario per la sua opera, induce Svevo ad una scelta importante, quella di interrompere l’attività letteraria. Passano poco più di vent’anni di relativo silenzio, in cui l’autore torna a più riprese a scrivere, ma con un’intenzione di corto 10 Svevo fra scrivere a Zeno di sua moglie, Augusta: “il presente per lei era una verità tangibile in cui si poteva segregarsi e starci caldi” (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 787). E poi anche: “il tempo, per me, non è quella cosa impensabile che non s'arresta mai. Da me, solo da me, ritorna.” (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 635). respiro, che rende gli esiti solo in parte significativi.11 Tuttavia non è questo un periodo che passa invano, perché in quella quiete viene a maturazione in Svevo ciò che nelle opere precedenti si era fermato al solo annuncio. Con La coscienza di Zeno, con il quale lo scrittore torna alla propria intonazione letteraria tipica, si dà la risoluzione. Le parole diventano il luogo del loro effetto, l’evidenza del confine, il mezzo e il messaggio, - per sua natura traditore - della discrezione del reale. Uno dei temi dominanti del romanzo, la psicoanalisi, che all’apparenza funge da schema di contrasto, in realtà rappresenta l’occasione di riportare allo scoperto il rapporto problematico fra la teoria e il bios, ciò che Svevo chiama la ”vita orrida vera” (Le confessioni del vegliardo, Svevo 2004a 1116). Zeno, il protagonista del romanzo, è il soggetto che “si sa composto”, ed è con questa consapevolezza che elabora la propria coscienza. Anche tra autore ed opera si gioca con l’effetto di promiscuità, eppure mai si avverte nella pagina una catarsi, mai lo Svevo si riduce all’idioletto. L’importanza della Coscienza, la sua permanente vitalità, sta in questa ”imminenza” della parola letteraria sul mondo, in uno sbilanciamento della compostezza di Senilità ai fini d’un affondo nel piano del referente. Il linguaggio non si limita più a descrivere i chiaroscuri, le forti opposizioni che hanno contrassegnato il gusto culturale del secolo precedente, ma anzi abbandona il ruolo di semplice medium per farsi parte in causa. La scrittura viene qui a porsi in un deciso tentativo di oltranza, di superare l’assoluta alterità nel mondo, la paradossalità d’essere nella verità solo fra sconosciuti - come scrive lo stesso Svevo (Corto viaggio sentimentale, Svevo 2004b 526). La parola si rapporta ora al referente in maniera differenziale, con un movimento di scarto che è declinazione sveviana dello Schritt zurück heideggeriano (Heidegger 2009, 64). Si riduce così l’imminenza trascendente della negazione e compare un elaborato impiego delle figure del discorso, al fine di attraversare la vertenza tra gli enti e dare effetto alla loro relazione. Si tratta di modelli spontanei, legati prevalentemente al parlato, ma consaputi nella loro potenzialità espressiva. Ciò che più importa sottolineare di questa nuova modalità in Svevo è che si tratta sostanzialmente dell’impiego di figure di ripetizione. Gabriel Tarde, intellettuale di ampio respiro vissuto al tempo di Svevo, scrive che la ripetizione È un procedimento di stile ben altrimenti energico e meno faticoso dell’antitesi, ed anche più adatto ad innovare il soggetto (Tarde 1897, 69). La ripetizione può essere vista, in effetti, come il fenomeno differenziale minimo, ed anzi fondativo, laddove l’opposizione diviene il movimento della differenza più completa, come scrive Gilles Deleuze (1997).12 Certo, a questo discorso non sono estranee le considerazioni di Freud sulla coazione a ripetere quale carattere generale delle pulsioni che, nelle sue elaborazioni iniziali, potevano essere in qualche misura note a Svevo (Freud 1975). Con la ripetizione ci si situa all’origine del movimento di 11 La tracciatura di questo sviluppo attribuisce secondaria importanza alle opere composte durante il “periodo di latenza” in Svevo. A differenza dell’analisi psicanalitica, l’indagine ontologica è orientata allo studio del lavorio cosciente dell’autore, nella sua contesa con il principio di realtà, in cui lo sforzo espressivo viene sottoposto alla legge della forma. Elio Gioanola ha giustamente sottolineato il tenore catartico, libero da costrizioni, della produzione sveviana del periodo in questione (1979). In effetti, la confessione non coordinata da una prospettiva di fruizione pubblica, induce la pagina al farsi più inventiva, più variegata, ma alla fin fine anche confusa, risultato di spinte pulsionali, piuttosto che di una loro consapevole “messa in forma” letteraria. 12 Anche Eduardo Saccone ha posto in relazione Svevo e Deleuze, ma su un altro piano, accostando il movimento di differenza e ripetizione di questi al gioco sveviano di verità e menzogna (Saccone 1973). pensiero, nel carattere ricorsivo della parola che si manifesta concettualmente. A livello di contenuto, la ripetizione inerisce al tema della memoria, che in Svevo assume importanza crescente nel tempo. Ne La coscienza di Zeno, il suo porsi come autobiografia, come rimemorazione di sé, ricalca l’idea di scrittura come ripetizione, ma anche come differenza, come lavorio espressivo in absentia (Derrida 2002d). Sempre Derrida osserva opportunamente che iterazione deriva da iter, ”nuovamente”, ma anche dal sanscrito itara, che sta per “altro” (1997b, 403 – 404). La pagina di Svevo segue questa traccia e, ponendosi nella prospettiva dell’espressione, declina la ripetizione come forma minima negativa. Essa va inoltre ad assumere qui anche il ruolo di assorbire la componente di trascendenza che prima aveva espresso lo iato ontologico fra gli enti. 13 Anche l’ironia di Svevo può essere collegata al fenomeno di reiterazione, perché la ripetizione appartiene allo humor e all’ironia; essa è per sua natura trasgressione, eccezione, poiché esibisce sempre una singolarità contro i particolari sottomessi alla legge, un universale contro le generalità che fanno legge (Deleuze 1997, 12).14 Svevo quindi ora procede verso una contesa con il reale attuata attraverso lo stemperarsi della contesa stessa. Come accennato, in lui il discorso rimane al di qua di ogni consapevolezza concettuale, e la sua rimane una ripetizione “vestita”, elaborata attraverso un uso irriflesso delle forme retoriche. Anafora: assentí alla prima malsicura promessa, assentí riconoscente alla seconda e assentí anche al mio terzo proposito, sempre sorridendo. (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 824). Epifora: Avevo perduto un momento favorevole e sapevo benissimo che certe donne ne hanno per una volta sola. A me sarebbe bastata quella sola volta. (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 904). Il vecchio sorrise, con un poco d'amarezza, ma sorrise (La novella del buon vecchio (…), Svevo 2004b, 479). Epanadiplosi: Il vino preso come cura era già di troppo o volevo oramai tutt'altro vino. (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 870) 13 Si ricorda ancora Deleuze, quando scrive che “se la ripetizione è possibile essa inerisce al miracolo piuttosto che alla legge” (Deleuze 1997, 9). 14 Riguardo alla scrittura, va ricordato che “l’origine di una sequenza non è l’osservazione della realtà, ma la necessità di variare e di superare la prima forma che si sia presentata all’uomo, cioè la ripetizione” (Barthes, 1991, 121 - 122). A ciò va aggiunto quanto scrive Eduardo Saccone, il quale sottolinea che per Svevo “l’arte, la letteratura sembra consistere non in una imitazione o un’invenzione, ma in una ripetizione” (Saccone, 38). Anadiplosi: Io rimasi apparentemente lieto anche quando la malattia mi riprese intero. Lieto come se il mio dolore fosse stato sentito da me quale un solletico. (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a,790). Epanadiplosi e anadiplosi: Avevo presa e violentemente abbandonata per ben due volte una donna ed ero ritornato due volte a mia moglie per rinnegare anche lei per due volte. (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 861). Polittoto: Quando si muore si ha ben altro da fare che di pensare alla morte. (La coscienza di Zeno, cit., p. 678). Epanortosi: Io sapevo, io credevo di sapere. (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 726). Antimetabole: La parola aveva rilevato l'atto e l'atto la parola. (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 866). Sillessi: Mio padre, a quell'ora, era piú vicino alla morte che a me. (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 667). È chiaro che un eccesso di anni è piú pericoloso che un eccesso di vino, di cibo e anche di amore (La novella del buon vecchio (…), Svevo 2004b, 457). Polittoto e antitesi: Per la brutta fanciulla che m'amava, avevo tutto il disdegno che non ammettevo avesse per me la sua bella sorella, che io amavo. (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 724). L’”indirezione” del discorso negativo viene mantenuta e il suo impiego si fa più raffinato: A me pareva doloroso, ma molto logico. Perciò non protestai, ma finsi di non sentire. (Vino generoso, Svevo 2004b, 143). Egli credeva d'essere un uomo che desiderava tante cose non permesse e che - visto che non erano permesse - le proibiva a se stesso, lasciandone però vivere intatto il desiderio. Egli poi non ne parlava neppure e stava facendo delle asserzioni che dovevano celare meglio - negandoli - quei desiderii. (Corto viaggio sentimentale, Svevo 2004b, 549 -550). Verrà il momento in cui egli non ci sarà ed allora non gl'importerà come non gl'importa mai quando non c'è. (Argo e il suo padrone, Svevo 2004b, 106) Da me la virtù non fu grande, ma il desiderio ne fu eccessivo. (Confessioni del vegliardo 2004a, 1147) Ciò che pare porsi al centro dell’interesse di Svevo è ora una produzione di senso intesa eminentemente come transazione di fase, come movimento di discontinuità. È questo che, ad esempio, fornisce il fondale di molte scene sveviane, dove a un interno immobile, anche doloroso, si contrappone un mondo che fuori continua ad essere vitale, se non proprio festoso – come nelle ben note scene d’agonia. È anche ciò che dà particolare risalto ai passaggi dal sonno alla veglia, dalla fantasticheria alla realtà di molti personaggi, e che giustifica la frequente riflessione sul rapporto fra parole e cose. E, a ben pensare, lo stesso interesse per la psicanalisi può rientrare in questa attenzione per la comunicazione tra sistemi chiusi, da parte di Svevo. Da un punto di vista ontologico, l’attenzione è ancora rivolta al bordo, al limite. Essa però ora diviene manifestazione dell’aporia, vale a dire di un’impossibilità di passaggio che è condizione stessa di quel movimento. Emerge pertanto in Svevo la situazione derridiana di double bind, che compare non tanto come tensione antitetica fra due opposti, quanto come loro compresenza, se non proprio complicità. Attraverso un significato, Svevo allude ad un altro, il che ha come effetto quello di attivare entrambi. Conta il movimento, la considerazione di un passaggio, di una transazione qualitativa, e quindi la statuizione di quel luogo paradossale che è il confine. Il vuoto, la mancata trasmissione di senso, lascia il posto ad un’azione non oppositiva, quanto piuttosto di temperamento. È questa la base su cui poggia la tonalità ironica di Svevo, molto presente nelle ultime opere. La quale può essere vista come un’eversione misurata, un movimento che prende la strada del nichilismo per attestarsi però alla decostruzione. Con il padroneggiamento del piano inclinato costituito dall’ironia, la “doppiezza” di Svevo si trasforma in atteggiamento idiorritmico, in un rapporto paradossale con la propria opera, di distanziamento e al contempo di prossimità, distacco ed adesione, che consente di mantenere la tensione d’indecidibilità fra due posizioni. In Svevo il cerchio del reale viene così a chiudersi proprio grazie al lavoro di creazione letteraria, grazie alla “possibilità esistentiva” che la scrittura presenta per lui, e che egli stesso identifica nel simulacro della letteraturizzazione. VI. Nell’ironia - si ricorda che in essa György Lukács vede il principio formale del romanzo tout court - si può evidenziare come il linguaggio contenga già in sé una certa teatralità, una finzionalità scoperta, atta a veicolare un senso intenzionalmente malcelato15. non potevo lasciare la città quando non ero ancora certo che nessuno sarebbe venuto a cercarmi. Quale sventura se fossero venuti e non m'avessero trovato! (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 728) Del resto si tratta di un effetto, come è già stato detto, che viene ad esaltarsi nell’oralità, nella pronuntiatio (Lausberg 2001, 107),16 che agisce a livello relazionale 15 Alla luce di tutto ciò andrebbe indagato il motivo per il quale il teatro di Svevo non sia stato in grado di raggiungere il livello delle opere narrative. Va anche ricordato che per un esploratore dell’io come Svevo il fatto che “solo la scrittura è in grado di raccogliere l’estrema soggettività, in quanto nella scrittura si trova l’accordo tra l’indiretto dell’espressione e la verità del soggetto” (Barthes 2002, 178). Del resto, in Svevo è possibile rilevare finanche una distanza ontologica dal teatro. In quanto espressione peculiare della phoné, seguendo Derrida (1989), esso risulta maggiormente legato alla Vorhandenheit heideggeriana, espressione del logocentrismo, e quindi da quella metafisica da cui Svevo si avvia a prendere congedo. 16 Va detto che nel teatro di Svevo questo particolare uso della negazione è poco presente. dell’implicito (Anolli, Ciceri, Giaele Infantino 1999, 97). Anche questa è una caratteristica presente sin dai primi lavori in Svevo, e che nel tempo viene ad assumere sempre più importanza: usciva non appena deposto il libro e dopo quell’ora passata con gl’idealisti tedeschi, gli sembrava che le cose lo salutassero. (Una vita, Svevo 2004a, 71) L’ironia nello scrittore triestino non si presenta mai nel suo aspetto classico, quello d’inversione semantica, essa assume piuttosto il compito di indicare una differenza dal senso proprio, più che un’opposizione ad esso. In questo manifesta un forte carattere dialogico, in una semantizzazione che rimane nella parola stessa, come sottolineato da Marina Mizzau (1984, 68).17 Ed è questa studiosa a dare una definizione del tropo che molto si avvicina al suo uso in Svevo: L’ironia sopperisce alla finitezza qualitativa del repertorio di parole e frasi a nostra disposizione, alle restrizioni orizzontali della lingua, introducendo le variazioni verticali date dalla stratificazione delle intenzioni (Mizzau 1984, 10). Il suo essere in Svevo sostanzialmente un effetto diminuito, attenuato, indebolisce un’altra caratteristica dell’ironia, la sua potenzialità illocutiva, mirando essa piuttosto ad attestare l’uomo in una “zona d’incertezza psicologica” (Almansi, 1984, 22). Ciò consente di vedere nella scelta della prima persona ne La coscienza una declinazione ulteriore della differenzialità di cui si è detto. Il soggetto subisce qui una fortissima delocalizzazione, in quanto vi si trova l’autore e il narratore, il quale a sua volta rivede se stesso, e nel rivedersi si inventa. 18 È il movimento frattale indicato da Svevo stesso quando, per questo romanzo, parla di “un’autobiografia e non la mia”. Non ci sono significati assoluti, il senso certo si pone stabilmente per un tempo determinato, ma prima o poi rovina. E in questo ricomporre la realtà passata si nota quanto l’idea di verità, tema che per Svevo meriterebbe una trattazione a parte, tenda ora a distanziarsi dalla adequatio, dalla conformazione alla cosa, in direzione della heideggeriana aletheia, disvelamento, il cui alfa privativo greco rimanda ancora una volta al valore sorgivo della negazione. Di essa fa parte quella negative capability che John Keats aveva visto come caratteristica suprema in Shakespeare, l’essere in grado di vivere nel caos del reale senza farne una ragione, e che non è più una qualità elettiva per Svevo, ma destino. VII. Per quanto riguarda le opere successive alla Coscienza si nota un sensibile cambiamento di registro. Lo stato d’incompiutezza di questi testi, peraltro non omogenei nel risultato e probabilmente diversi per intenzione, obbligano ad una loro considerazione solo accessoria al fine di rintracciare le linee di tessitura del mondo sveviano. Qui la pagina si fa più sciolta, il periodare si sviluppa in un gioco espressivo in cui un indubbio compiacimento consuma parte della forza della parola. Nei contenuti 17 18 Sull’ironia da un punto di vista retorico si veda (Lausberg 2001, 128 – 129 e 237 – 240). Svevo indica il valore generale di questa impostura nel comportamento di Ada, nel suo ricordo del marito: “Stava ricostruendo la sua relazione col povero morto. Non doveva somigliare affatto a quella ch'essa aveva avuta col vivo.” (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 1032). c’è un’insistenza rilassata nella autodecostruzione, in contrasto con quell’affanno per l’unità dell’opera precedente, e soprattutto in attrito con l’idea di morte, tipicamente associata in Svevo al concetto di “dissoluzione”. Tuttavia, pur mancando il lavorio di revisione, la sanzione della ragione letteraria - che sola consente all’autore di ottenere la propria forma espressiva tipica - vi si possono individuare alcune peculiarità rispetto al tema in questione. La negazione viene a perdere di peso, mentre si raffinano alcune modalità differenziali d’espressione. Interessante è l’uso delle congiunzioni avversative, attenuate sensibilmente della loro funzione, con importante compito proprio dell’epanortosi: Avevo fatto bene baciando la mano di Ada o avevo fatto male di non baciarla anche sulle labbra? (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 715). Presto m’accorsi che con lui non dovevo parlare ma che di lui potevo fidarmi (Un contratto, Svevo 2004a, 1092). Non è indiscreto ma intelligente per cui gli fu possibile di un mio lieve cenno per intendere tutto (Umbertino, Svevo 2004a, 1186). Non si poteva dire ch'egli amasse qualcuno, ma egli amava intensamente tutta la vita, gli uomini le bestie e le piante, tutta roba anonima e perciò tanto amabile (Corto viaggio sentimentale, Svevo 2004b, 530). Anche i fenomeni iterativi vengono ulteriormente elaborati. Le figure retoriche relative tendono nelle ultime opere a svilupparsi al di là del livello di frase, andando a strutturare la pagina in un orizzonte macrostrutturale: Ogni malessere che sentisse il signor Aghios lo diceva vecchiaia, ma pensava che una parte di tale malessere gli venisse dalla famiglia. Sta bene che vecchio come ora non era mai stato, ma mai s'era sentito, oltre che vecchio, anche tanto ruggine. E la ruggine proveniva sicuramente dalla famiglia, l'ambiente chiuso ove c'è muffa e ruggine (Corto viaggio (…), Svevo 2004b, 504). Pare che ricordare non sia una vera azione. Il ricordo lo si subisce immobile. Chi ricorda e chi è ricordato s'immobilizzano (Corto viaggio (…), Svevo 2004b, 535) Di questo ampliamento d’orizzonte risente anche la negazione: La chiamai ed essa venne fino alla porta per dirmi a bassa voce due volte: “No! No!”. Dovetti retrocedere ed i cani ringhiarono perché, non aspettando di vedermi tanto presto, credettero non fossi io. Mi coricai, ma non seppi dormire e alla mattina mi domandai: “Perché non la truffai ancora? Perché non le promisi di sposarla purché mi aprisse quella porta?”. Così m'avviai alla decisione nuova senza saperlo (Corto viaggio (…), Svevo 2004b, 588). In questi ultimi testi, assumono forte rilevanza le costruzioni chiasmatiche, già presenti invero ne la Coscienza, ma ancora non debitamente perfezionate. La funzione è quella di temperare il contrappunto antitetico, la statuizione della separatezza, nel compito di differenziale proprio, di equilibrio semantico degli enti separati, se non proprio degli opposti: Quando a qualcuno è tolta la possibilità di fare all’amore per proprio conto è costretto dall’istinto imperioso a farlo per conto altrui (Umbertino, Svevo 2004a, 1181). Mi pareva insomma ch’egli parlasse ma non ascoltasse se stesso. Era come me che non l’ascoltavo affatto e invece lo guardavo tentando d’intendere proprio quello ch’egli non diceva (Il mio ozio, Svevo, 2004a, 1210). Era abituato da lungo tempo al rimorso dei buoni affari che faceva ed egli continuava a farne ad onta del rimorso (La novella del buon vecchio (…), 2004b, 451). “Io sono un vecchio che non amerebbe nessuno e da nessuno sarebbe amato se non ci fossi io stesso che amo e da cui sono amato” (Corto viaggio (…), Svevo 2004b, 529). Poteva essere che, come essa non l'indovinava in lui, così lui non lo scoprisse da lei (Corto viaggio (…), Svevo 2004b, 523). Corto viaggio sentimentale, fra gli ultimi testi sveviani, è quello che mostra gli sviluppi più interessanti. Il viaggio è qui la metafora di ogni transazione, di ogni azione di legame: Con dolce violenza il signor Aghios si staccò dalla moglie e a passo celere tentò di perdersi nella folla che s'addensava all'ingresso della stazione (Corto viaggio (…), Svevo 2004b, 501).19 Il gioco ironico – certo mai banale in Svevo, ma a volte troppo compiaciuto – fa qui posto a un’elaborazione speculativa di cui la morte improvvisa dell’autore ha lasciato a livello di abbozzo. Rimane inteso che La coscienza di Zeno è l’ultima opera di Svevo in cui possiamo rintracciare interamente la forma primaria del suo mondo, i principi con i quali la sua parola lo abita. Essa è, per la sua pervasiva differenzialità, legata alla scena della scrittura. In questo, e proprio per questo, Svevo è essenzialmente scrittore. VIII. Queste considerazioni consentono di mettere in evidenza quanto l’opinione di Joyce, diventata canonica, di una fondamentale costanza nell’opera di Svevo, l’aver cioè lui scritto tre volte il medesimo romanzo, sia vera solo in parte. Dell’ipotizzata evoluzione dello scrittore da una fase romantica ad una naturalistica rimane solo il movimento, attraverso una decostruzione sul piano dei rapporti formali degli enti. Se la forte coesione del tessuto testuale, contrappunta ad una narrazione di fatti scarsamente incisi, se la ricorrenza di ben precise situazioni rende ragione di una componente invariabile a livello macrostrutturale, il testo sveviano si mostra invero incentrato su di un “soggetto processuale”, attraverso una linea di sviluppo sensibile, e anzi ripida e importante, non solo per l’autore. In effetti, gli oltre due decenni che separano la 19 Si tratta dell’incipit del racconto. composizione di Senilità da La coscienza di Zeno segnano una decisa trasformazione della narratività. La sostanziale differenza tra queste opere mostra una capacità di agire in profondità sull’intero orizzonte del lavoro letterario, dal livello lessicale fino all’architettura del testo. È proprio questo che ha consentito a Svevo sia di portare a compimento la struttura chiusa del romanzo ottocentesco, che garantisce la nondispersione del soggetto che scrive (Morpurgo, 1988, 156), che d’inaugurare poi quello stile d’infrazione che caratterizzerà la gran parte della produzione letteraria del Novecento, in cui l’individuo viene a porsi come la posta in gioco della conoscenza di sé. Bibliografia Almansi Guido 1984 Amica ironia, Milano, Garzanti. Anolli Luigi, Ciceri Rita, Giaele Infantino Maria 1999 Stili della comunicazione ironica in funzione della variabilità indessicale, in “Ricerche di psicologia”, vol. 3. Ara Claudio, Magris Claudio 1982 Trieste: un'identità di frontiera, Torino, Einaudi. Bachtin Michail 1979 Estetica e romanzo, Torino (ed. or.: Voprosy literatury i estetici: issledovanie raznyh let, Moskva, Hudožestvennaja literatura, 1975). Barthes Roland 1966 Elementi di semiologia, Torino, Einaudi, 1966 (ed. or.: Éléments de sémiologie, Éditions du Seuil, Paris). 1991 L’avventura semiologica, Torino, Einaudi (ed. or.: L’aventure sémiologique, Paris, Éditions du Seuil, 1985). 2002 Comment vivre ensemble: Cours et séminaires au Collège de France (1976-1977), Éditions du Seuil, Paris. Cernecca Domenico 1961 Le due redazioni di Senilità di Italo Svevo, in “Studia Romanica et Anglica zagrabiensia”, vol. 11. Deleuze Gilles 1997 Differenza e ripetizione, Milano, Raffaello Cortina (ed. or. Différence et répétition, Paris, Presses Universitaires de France, 1968). Derrida Jacques 1989a La farmacia di Platone in Derrida (1989b) (ed. or.: La Pharmacie de Platon, in “Tel Quel”, vol. 28, 1968). 1989b La disseminazione, Milano, Jaca Book, 1989 (ed. or.: La dissémination, Paris, Seuil, 1972). 1997a Ho il gusto del segreto, in Jacques Derrida, Maurizio Ferraris, Il gusto del segreto, Roma-Bari, Laterza, 1997. 1997b Firma evento contesto, in Derrida (1997c) (ed. or.: La communications, Congrès international des Sociétés de philosophie de langue française, Montréal, 1971). 1997c Margini della filosofia, Einaudi, Torino (ed. or.: Marges – de la philosophie, Paris, Minuit,1972). 2002a La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino (ed. or.: L’écriture et la différence, Paris, Seuil, 1967). 2002b Forza e significazione, in Derrida (2002a) (ed. or.: Force et signification, in “Critique”, vol. 193-4, 1963). 2002c “Genesi e struttura” e la fenomenologia, in Derrida (2002a) (ed. or.: “Genèse et structure” et la phénoménologie, Paris, Mouton, 1964). 2002d Freud e la scena della scrittura, in Derrida (2002a) (ed. or.: Freud et la scéne de l’écriture, in “Tel Quel”, vol. 26, 1966). 2004a Della fenomenologia, in Derrida (2004b) 2004b Sulla parola: istantanee filosofiche, Roma, Nottetempo (ed. or.: in De la phénoménologie, in Sur parole, Instantanés philosophiques, Paris, Éditions de l'Aube, 1999). 2005 Salvo il nome (post-scriptum), in Id., Il segreto del nome, Milano, Jaca Book (ed. or.: Sauf le nom, Paris, Galilée, 1993). 2010 Dello spirito: Heidegger e la questione, Milano, SE (ed. or.: De l’esprit. Heidegger et la question, Paris, Galilée, 1987). Devoto Giacomo 1950 Decenni per Svevo, in Studi di Stilistica, Firenze, Le Monnier. Freud Sigmund 1975 Al di là del principio di piacere, Torino, Boringhieri (ed. or.: Jenseits des Lustprinzips, Leipzig, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, 1920). Gioanola Elio 1979 Un killer dolcissimo. Indagine psicanalitica sull’opera di Italo Svevo, Genova, Il Melangolo/Università. Heidegger Martin 1952 L’essenza del fondamento, Milano, Bocca (ed. or.: Vom wesen des Grundes, Halle, Niemeyer, 1929). 1969 Essere e tempo, Torino, Utet (ed. or.: Sein und Zeit, Halle, Niemeyer, 1927). 1996 Che cosa significa pensare?, Milano, Sugar, 1978 - 9 (ed. or.: Was heisst Denken?, Tübingen, Niemeyer, 1954). 2009 Identità e differenza, Milano, Adelphi (ed. or.: Identität und Differenz, Pfullingen, Neske, 1957). 2010 Il linguaggio della poesia. Il luogo del poema di Georg Trakl, in In cammino verso il linguaggio, Milano, Mursia, (ed. or.: Unterwegs zur Sprache, Pfullingen, Neske,1959). Lausberg Heinrich 2001 Elementi di retorica, Bologna, Il Mulino, (ed. or.: Elemente der literarischen Rhetorik, München, Max Hueber Verlag, 1949). Luti Giorgio 1961 Italo Svevo e altri studi sulla letteratura italiana del primo Novecento, Milano, Lerici. Mizzau Marina 1984 L’ironia: la contraddizione consentita, Milano, Feltrinelli. Montale Eugenio 1925 Omaggio a Italo Svevo, in ‘L’Esame’, a. IV, fasc. XI-XII, Milano, novembre-dicembre 1925, pp. 804-13; poi in Id., Il secondo mestiere, Prose 1920-1979, a cura di Giorgio Zampa, tomo primo, 1996. 1961 Italo Svevo nel centenario della nascita, discorso pronunciato il 10 novembre 1961 in occasione del I centenario della nascita, Trieste, Circolo della Cultura e delle arti; in Id., Il secondo mestiere, Prose 1920-1979, a cura di Giorgio Zampa, tomo secondo, 1996. Morpurgo Enzo 1988 Parola letteraria e parola analitica, in Fra tempo e parola. Figure del dialogo psicoanalitico, Milano, Franco Angeli. Nietzsche Friedrich 1992 Il crepuscolo degli idoli. Come si filosofa col martello. Scorribande di un inattuale. (ed. or.: Götzen-Dämmerung oder Wie man mit dem Hammer philosophirt, Leipzig, Naumann, 1888). Perelman Chaïm, Olbrechts-Tyteca Lucie 2001 Trattato dell’argomentazione: la nuova retorica, Torino, Einaudi (ed. or.: Traité de l'argumentation : la nouvelle réthorique, Paris, Presses universitaires de France, 1958). Saccone Eduardo 1973 Commento a “Zeno”. Saggio sul testo di Svevo, Il Mulino, Bologna. Starobinski Jean 1975 L’occhio vivente, Einaudi, Torino (ed. or.: L’Œil vivant, Gallimard, Paris, 1961). Svevo Italo 2004a Romanzi e “continuazioni”, Milano, Mondadori. 2004b Racconti e scritti autobiografici, Milano, Mondadori. 2004c Teatro e saggi, Milano, Mondadori. Vittorini Fabio 2004 Commento a Svevo 2004a Tarde Gabriel 1897 L’opposition universelle. Essai d’une théorie des contraire, Alcan, Paris.