26.1: Introduzione 26.2: L`offerta di lavoro

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26.1: Introduzione 26.2: L`offerta di lavoro
Capitolo 26: Il mercato del lavoro
26.1: Introduzione
In questo capitolo applichiamo l’analisi della domanda e dell’offerta ad un mercato che riveste
particolare importanza: il mercato del lavoro. Utilizziamo la teoria del capitolo 6 per definire
l’offerta di lavoro, assumendo che l’individuo disponga di una dotazione giornaliera di tempo da
impiegare alternativamente in ore lavoro o tempo libero. Questa ipotesi di lavoro ci consente di
studiare il lato dell’offerta del mercato. Abbiamo già discusso il lato della domanda, definendo la
combinazione ottima dei fattori produttivi dell’impresa. Ritorniamo ora su questa tematica per
discuterne in maggior dettaglio le implicazioni.
26.2: L’offerta di lavoro
Gli individui offrono lavoro alle imprese al fine di ricevere un reddito da spendere nel consumo dei
beni. Nell’ambito dell’apparato teorico del capitolo 6, l’individuo disponeva di una dotazione
iniziale di reddito in forma di dotazioni di due beni generici. Ora specifichiamo una natura
particolare per tali beni. Nell’analisi grafica dell’offerta rappresentiamo il tempo libero sull’asse
delle ascisse e la moneta su quello delle ordinate. Assumiamo che l’individuo disponga di una
dotazione giornaliera di 24 ore di tempo libero e di un dato ammontare di moneta. Abbiamo
rappresentato nella figura 26.1 le ore di tempo libero sull’asse delle ascisse e l’ammontare di
moneta spesa nel consumo di altri beni sull’asse delle ordinate. Per ipotesi, l’utilità è crescente sia
nelle ore di tempo libero che nella quantità di moneta. Inoltre, assumiamo che il costo unitario della
moneta sia 1.
All’aumentare delle ore di lavoro, il tempo libero diminuisce ma aumenta l’ammontare di moneta
disponibile per il consumo in tutti gli altri beni. Come disegniamo il vincolo di bilancio? Se il
salario orario è w, per ogni ora di lavoro addizionale l’individuo ha un’ora in meno di tempo libero
e w in più di moneta. Di conseguenza, l’inclinazione del vincolo di bilancio è pari a –w e w
rappresenta il costo opportunità di un’ora di tempo libero. Se chiamiamo l le ore di tempo libero e m
la quantità di moneta, il vincolo di bilancio viene definito dalla seguente espressione:
m = M + w(L –l)
(26.1)
dove L definisce la dotazione iniziale di tempo libero (24 ore) e M la dotazione iniziale di moneta
(che in generale può essere anche nulla). Il vincolo di bilancio passa per il punto di dotazione
iniziale (L, M) ed ha inclinazione negativa –w.
Naturalmente, la scelta ottima dell’individuo dipende dalle preferenze sulle combinazioni (tempo
libero, moneta). Assumiamo che tali preferenze siano quasi lineari e che l’individuo disponga
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inizialmente di 24 ore di tempo libero e di 10 unità di moneta. La dotazione iniziale (24,10) è stata
indicata con X nella figura 26.1. Per ogni valore del salario orario, il vincolo di bilancio passa
attraverso la dotazione iniziale X ed ha inclinazione –w. All’aumentare del salario orario, aumenta
anche la grandezza dell’inclinazione del vincolo di bilancio; w è uguale a 0.4 nel nostro esempio
grafico. Per tale valore del salario orario, se l’individuo impiega per intero le 24 ore di dotazione
iniziale in tempo libero, può spendere solo le 10 unità di moneta inizialmente disponibili in altri
beni. Se, viceverva, tutte le 24 ore di dotazione iniziale vengono impiegate in ore lavoro,
l’individuo ha 0 di tempo libero (perche lavora tutto il giorno) e può spendere in altri beni le 10
unità di moneta di dotazione iniziale più un salario totale pari a 0.4 x 24 = 19.6. Date queste due
situazioni estreme, l’individuo può scegliere ogni altra combinazione intermedia di tempo libero e
moneta.
Sebbene il vincolo di bilancio sia stato tracciato anche per combinazioni (tempo libero, moneta) con
L>24, è chiaro che tali combinazioni non sono raggiungibili. Di conseguenza, anche se la
condizione di tangenza tra il vincolo di bilancio e la curva di indifferenza è soddisfatta in un punto
alla destra della dotazione iniziale X, tale punto non può essere raggiunto e la scelta ottima si
identifica con la dotazione iniziale stessa. Concludiamo che all’individuo non conviene offrire
nessuna ora lavoro al salario orario di 0.4, ma impiegare le 24 ore in tempo libero. In altri termini, il
salario orario di 0.4 è troppo basso date le preferenze dell’individuo.
Tuttavia, per valori maggiori del salario orario, la scelta ottima si sposta progressivamente a sinistra
della dotazione iniziale. Ad esempio, per un salario orario di 2.0, la scelta ottima è (12.25, 33.4):
l’individuo dedica 12.25 ore al tempo libero e offre (24 – 12.25) = 11.75 ore lavoro, le quali gli
permettono di aggiungere 23.5 unità di moneta alla dotazione iniziale di 10, per un reddito totale di
33.5. L’offerta ottima di lavoro, ovvero, le ore di lavoro che l’individuo preferisce offrire ad un dato
salario orario, è rappresentata dalla differenza orizzontale tra l’allocazione iniziale e il punto di
scelta ottima. Se ripetiamo lo stesso esercizio per valori alternativi di salario orario, otteniamo la
seguente tabella 26.1.
Tabella 26.1
Salario orario w
0.4
0.8
1.2
1.6
2.0
2.4
2.8
3.2
3.6
4.0
Domanda ottima di Domanda ottima di Offerta
tempo libero
moneta
lavoro
24.00
0
0
22.75
1
1.25
17.25
8
6.75
14.25
16
9.75
12.25
23
11.75
10.90
31
13.10
9.80
40
14.20
9.00
48
15.00
8.30
56
15.70
7.80
65
16.20
ottima
di
Dai dati presentati in tabella è chiaro che l’offerta di lavoro aumenta al crescere del salario orario.
In generale, tuttavia, in seguito ad un aumento del salario orario, l’offerta di lavoro potrebbe anche
diminuire. Ciò è dovuto al fatto che un aumento del salario orario provoca un miglioramento del
benessere dell’individuo che potrebbe decidere di avvantaggiarsene nella forma di un numero
maggiore di ore di tempo libero. Non dimentichiamo, infatti, che l’utilità dell’individuo aumenta sia
all’aumentare del tempo libero che del reddito.
312
Utilizzando i dati esposti nella prima e nell’ultima colonna della tabella, possiamo rappresentare
graficamente la relazione esistente tra offerta di lavoro e salario reale. Tale relazione può essere
espressa in forma diretta, figura 26.2, (rappresentando il salario orario sull’asse delle ascisse) o in
forma inversa, figura 26.3, (rappresentando il salario orario sull’asse delle ordinate)88.
Naturalmente, le due funzioni contengono le stesse informazioni, ma la seconda si rivelerà più utile
all’analisi contenuta nel prosieguo del capitolo. E’ da notare che l’area compresa tra il salario orario
e la curva di offerta di lavoro misura il surplus individuale.
88
La prima viene definita offerta di lavoro “Walrasiana”, dal nome di Walras; la seconda è conosciuta con il nome di
offerta di lavoro “Marshalliana”, dal nome di Marshall.
313
La forma della curva di offerta di lavoro dipende dal tipo di preferenze individuali. Ad esempio, nel
caso di preferenze Stone-Geary, otteniamo le curve di offerta rappresentate nelle figure 26.6 e 26.7.
Provate ad immaginare che tipo di preferenze bisognerebbe assumere per ottenere una curva di
offerta di lavoro “backward-bending” tale da assumere un’inclinazione negativa per valori maggiori
di un certo livello di salario orario.
26.3: La Domanda di Lavoro
La domanda di lavoro è stata derivata, sia pure implicitamente, nei capitoli 11 e 13 nei quali
abbiamo studiato rispettivamente la domanda ottima di lavoro e il livello ottimo di output
dell’impresa. La domanda ottima di lavoro potrebbe essere calcolata semplicemente dalla
considerazione congiunta di questi due concetti. Tuttavia, per semplicità di esposizione, seguiremo
un approccio diverso. Riferiamo la nostra analisi al breve periodo, per cui le uniche variabili
decisionali dell’impresa sono la domanda di lavoro e il livello di produzione. Essendo interessati
alla domanda di lavoro, rappresentiamo questa variabile sull’asse delle ascisse. Il nostro obiettivo è
discutere la relazione esistente tra domanda di lavoro da un lato e ricavi totali, costi totali, profitti
totali, ricavi e costi marginali dell’impresa dall’altro. A tal fine, ripetiamo l’analisi grafica contenuta
nel capitolo 13, con l’unica differenza che la variabile rappresentata sull’asse delle ascisse non è
l’output, ma la domanda di lavoro dell’impresa.
In primo luogo, definiamo i costi totali dell’impresa in funzione della domanda di lavoro. Nel breve
periodo, se il lavoro è retribuito al salario orario w e l è la quantità totale domandata di lavoro, i
costi totali vengono definiti come segue:
Costi totali = wl + rK
(26.2)
314
dove K rappresenta il fattore fisso impiegato dall’impresa al costo unitario r. Se K è il capitale, i
costi fissi totali sono rK. In un grafico con l sull’asse delle ascisse, l’espressione (26.2) rappresenta
l’equazione della retta con intercetta rK e inclinazione w.
La definizione dei ricavi totali dell’impresa in funzione della domanda di lavoro e più complessa.
Nel breve periodo, la funzione di produzione è data da:
y = f(q, K)
(26.3)
dove y indica l’output. Se indichiamo con p il prezzo unitario del bene prodotto dall’impresa i ricavi
totali sono uguali a:
ricavi totali = py = p f(l,K)
(26.4)
K è fisso e, all’aumentare di l, l’output y aumenta e, di conseguenza, aumentano anche i ricavi totali
dell’impresa. Il tasso al quale y aumenta all’aumentare di l è (per definizione) il prodotto marginale
del lavoro, per cui il prodotto marginale del lavoro per p rappresenta il valore dell’inclinazione della
curva dei ricavi totali in funzione di l. Data l’ipotesi di rendimenti decrescenti dell’input lavoro, la
curva dei ricavi totali è crescente e concava in l.
La linea retta rappresentata nella figura 26.9 è la funzione dei costi totali. La curva concava
disegnata nella stessa figura rappresenta la funzione dei ricavi totali. Confrontate questa figura con
la figura 13.2 osservando differenze e somiglianze.
Notiamo che per valori bassi di l, i costi totali sono maggiori dei ricavi totali e, di conseguenza, il
profitto dell’impresa è negativo; per valori di l compresi tra 0.5 e 7.0, il profitto diventa positivo,
mentre per valori di l maggiori di 7.0 torna ad essere negativo. La funzione dei profitti (ovvero, la
differenza tra ricavi e costi) viene rappresentata nella figura 26.11.
315
La quantità di lavoro che massimizza i profitti è pari a circa 2.7. Per individuare con maggiore
precisione la domanda ottima di lavoro, notiamo che i profitti sono massimi quando è massima la
differenza tra ricavi e costi totali, ovvero, quando l’inclinazione della funzione dei ricavi totali è
uguale all’inclinazione della funzione dei costi totali. L’inclinazione della funzione dei ricavi totali
è pari al prezzo dell’output per il prodotto marginale del lavoro; l’inclinazione della funzione dei
costi totali è data dal prezzo del lavoro, w. Di conseguenza, la condizione di profitto massimo89 è la
seguente:
prezzo dell’output per prodotto marginale del lavoro = prezzo del lavoro = salario orario
Dividendo per p la condizione di massimo profitto, otteniamo:
prodotto marginale del lavoro = w/p = salario reale orario
Analogamente a quanto fatto nel capitolo 13, possiamo ricavare le curve di ricavo e costo
marginale in funzione di l a partire dalle curve di ricavi, costi e profitti totali. Sappiamo che
l’inclinazione della curva dei costi totali è costante e pari a w. Di conseguenza, la relazione tra costi
marginali ed l è rappresentata da una retta orizzontale con intercetta w. L’inclinazione della curva
dei ricavi totali decresce all’aumentare di l ed è uguale a p per il prodotto marginale del lavoro. Ne
consegue che la relazione tra ricavi marginali ed l è rappresentata da una curva decrescente ed è
definita dal prodotto tra p e il prodotto marginale del lavoro. Così facendo, abbiamo ottenuto la
figura 26.12, nella quale w = 1 (lo stesso valore che abbiamo assunto nella figura precedente).
89
La dimostrazione formale di questa proposizione è contenuta nell’appendice matematica di questo capitolo.
316
Se definiamo il prodotto tra p e il prodotto marginale del lavoro come “prodotto marginale del
lavoro in valore”, la domanda ottima di lavoro, ovvero, la quantità di lavoro che massimizza il
profitto, si colloca nel punto di uguaglianza tra prodotto marginale del lavoro in valore e salario
orario. Quando questa condizione è soddisfatta la domanda di lavoro è pari a circa 2.7 (lo stesso
valore dell’esempio grafico precedente).
A questo punto siamo in grado di caratterizzare in maggior dettaglio il concetto di profitto (o
surplus) dell’impresa. Dalla figura 26.12, risulta che il costo totale del lavoro è pari semplicemente
al prodotto tra salario orario e quantità totale di lavoro domandata dall’impresa. Dato il salario
orario, il costo totale del lavoro viene misurato dall’area compresa tra il salario orario stesso e la
domanda di lavoro. I ricavi totali sono rappresentati dall’area sottostante il prodotto marginale del
lavoro fino al punto di domanda ottima di lavoro (2.7). Di conseguenza, la differenza tra queste due
aree misura il profitto, ovvero l’area compresa tra il salario orario e la curva del prodotto marginale
del lavoro in valore. Tra breve identificheremo quest’ultima con la curva di domanda del lavoro, per
cui otteniamo il seguente risultato: il surplus dell’impresa (del produttore che domanda lavoro) è
misurato dall’area compresa tra il prezzo pagato e la curva di domanda.
Dall’analisi condotta finora risulta che l’impresa domanda la quantità di lavoro alla quale il prodotto
marginale del lavoro in valore eguaglia il salario orario: al variare del salario orario, la domanda di
lavoro varia lungo la curva del prodotto marginale del lavoro in valore. Di conseguenza, la curva
del prodotto marginale del lavoro in valore è la curva di domanda di lavoro.
317
Nella figura 26.13, abbiamo rappresentato la curva di domanda di lavoro per un salario orario di
0.4. Per tale livello del salario, il profitto o surplus è dato dall’area compresa tra il salario stesso e la
domanda di lavoro.
26.4: Il mercato del lavoro
Considerando congiuntamente offerta e domanda di lavoro siamo in grado di identificare
l’equilibrio concorrenziale illustrato nella figura 26.15.
In equilibrio, il surplus totale (surplus del compratore più surplus del venditore) è massimizzato. In
altri termini, l’equilibrio di concorrenza perfetta è efficiente nel senso che il surplus viene
massimizzato in aggregato. D’altra parte, nulla si può concludere sull’equità della distribuzione del
surplus (Notiamo che nel nostro esempio grafico l’impresa ottiene un surplus maggiore del surplus
ottenuto dai lavoratori).
26.5: Legislazione del salario minimo
Domandiamoci cosa accade se il governo decide di fissare per legge un salario minimo in un
mercato del lavoro di concorrenza perfetta. Se il salario minimo viene fissato ad un livello inferiore
al salario di equilibrio, non cambia nulla rispetto all’analisi precedente. Se, viceversa, il salario
minimo viene fissato al di sopra del salario di equilibrio, l’occupazione si riduce, il salario degli
occupati aumenta e la disoccupazione cresce.
26.6: Riassunto
In questo capitolo abbiamo analizzato il mercato del lavoro utilizzando gli elementi di teoria
sviluppati nei capitoli precedenti. L’analisi della curva dell’offerta di lavoro si è servita della teoria
economica contenuta nel capitolo 6.
La curva dell’offerta di lavoro dipende dalle preferenze individuali su tempo libero e consumo.
La curva dell’offerta di lavoro può essere “backward bending”.
Abbiamo utilizzato la teoria dell’impresa per derivare la curva di domanda di lavoro.
La curva della domanda di lavoro è la curva del prodotto marginale del lavoro in valore.
Infine, abbiamo definito l’equilibrio di concorrenza perfetta nel mercato del lavoro, in
corrispondenza del quale il salario di equilibrio consente alla domanda di lavoro di eguagliare
l’offerta di lavoro.
318
In un mercato del lavoro di concorrenza perfetta, il lavoro viene retribuito al proprio prodotto
marginale.
In un mercato del lavoro di concorrenza perfetta, la legislazione del salario minimo provoca una
diminuzione del surplus e un aumento della disoccupazione.
26.7: Domande di verifica
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
Un aumento del salario provoca sempre un aumento dell’offerta di lavoro?
Utilizzando la teoria esposta nel Capitolo 11, verificate se la domanda di lavoro è
sempre una funzione decrescente del salario.
Come viene influenzata l’occupazione da un provvedimento governativo che fissa il
salario minimo al di sopra del salario di equilibrio in un mercato del lavoro di
concorrenza perfetta? E se invece il salario minimo viene fissato al di sotto del salario di
equilibrio?
Il livello ottimo di occupazione si raggiunge quando il prodotto marginale del lavoro è
uguale al salario reale (il salario orario diviso il prezzo dell’output prodotto
dall’impresa). Come vengono influenzati i profitti se l’impresa innalza l’occupazione al
di sopra del livello di ottimo? E come vengono influenzati i profitti se l’impresa riduce
l’occupazione al di sotto di tale livello? (Assumendo che il salario sia fissato e che non
possa essere cambiato dall’impresa).
Che influenza hanno le ore di lavoro straordinario sull’offerta di lavoro?
26.9: Appendice Matematica
Dimostriamo la condizione di domanda ottima di lavoro per l’impresa. Sappiamo che il profitto
dell’impresa è definito da:
profitto = ricavi totali – costi totali = py – (wl + rK)
(A26.1)
e che la relazione tra l’output y e i fattori produttivi impiegati dall’impresa è definita dalla seguente
funzione di produzione (A26.2):
y = f(l,K)
(A26.2)
Sostituendo la definizione del profitto nella funzione di produzione, otteniamo:
profitto = p f(l,K) – (wl + rK)
(A26.3)
Applicando la condizione di massimo del primo ordine (d profitto/ dl = 0), otteniamo la funzione
(A26.4):
p df(l,K)/l = w
(A26.4)
Ovvero,
df(l,K)/dl = w/p
(A26.5)
Concludendo, l’impresa massimizza i propri profitti se il prodotto marginale del lavoro eguaglia il
salario reale.
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