Tommaso | di Kim Rossi Stuart | recensione di Enrico Carli

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Tommaso | di Kim Rossi Stuart | recensione di Enrico Carli
Tommaso | di Kim Rossi Stuart
| recensione di Enrico Carli
Genere: Commedia
Durata: 97 min.
Cast: Kim Rossi Stuart, Jasmine Trinca, Cristina Capotondi,
Renato Scarpa, Camilla Diana
Paese: Italia
Anno: 2016
Tommaso è, come il suo interprete, un attore di successo che
può permettersi di abbozzare soggetti per poi avviarne la
realizzazione (anche quando, nella fattispecie, l’idea è
fragile e potrebbe portare a un nulla di fatto). Il suo
background psicologico viene dal precedente film da regista di
Stuart, Anche libero va bene: lì Tommaso era un adolescente
abbandonato dalla madre e in balia di un padre violento. In
ogni modo Tommaso è un film a sé, non un seguito.
Questo figlio che assomiglia come una goccia d’acqua al padre
(Rossi Stuart interpretava là il genitore qui Tommaso adulto)
è però un uomo non violento, che non smette di ribadirci la
sua fragilità. È ipocrita, spigoloso, pignolo. Kim Rossi
Stuart ha il coraggio di non buttarla in commedia, e di
rendere il suo protagonista piuttosto antipatico. Se davvero
si dovesse attribuirgli una qualche qualità si faticherebbe a
trovarla (per quello che ci viene mostrato non sembra neanche
particolarmente dedito alla carriera, anzi fa di tutto per
sabotarla), non di meno questa caratteristica che per alcuni è
la parte debole del film trovo sia deliberata e centrale: non
ci viene mostrato tutto l’uomo – se è arrivato a quel punto
della sua professione qualcosa di buono deve aver pur
combinato – ma il suo tracollo: un individuo in analisi che
mentre ricerca le origini del suo malessere nell’infanzia
torna ad essere puerile.
La ricerca del bambino è un ripetersi bambini, via gli
orpelli, le sovrastrutture dei rapporti con gli altri, in
maniera più pratica però: ecco che l’ipocrisia è in un certo
senso un farla breve, un chiudere con la controparte evitando
lunghi e tormentati chiarimenti. Il bambino vuole o non vuole
per istintivo capriccio, non saprebbe dare conto né dell’una
né dell’altra volontà. Tommaso non è, come in molte
rappresentazioni dell’uomo che ha un debole per le belle
donne, né particolarmente affascinante (tra i tipi mi viene in
mente il regista Guido Anselmi di Otto e mezzo), né gentile
fino al servilismo (il Gianni De Gregorio di Gianni e le
donne), né tantomeno un intellettuale libertino che se ne
fugge ululando alla luna piuttosto che rinchiudersi nelle
maglie di una relazione (l’Apicella di Moretti in Sogni
d’oro); è piuttosto un uomo bello e di successo cui queste
qualità non facilitano la promiscuità che va cercando.
Questo è un po’ forzato: com’è possibile che nessuna lo
riconosca? (non lo riconosce la ragazza del libro, quella dei
giardini, non sembra riconoscerlo nemmeno la cameriera per cui
Tommaso si prende una sbandata). Ma il discorso è un altro, e
pare vero anche nella misura in cui Stuart dichiara che questo
è il suo film più personale: il successo non è sempre veicolo
di irresistibilità, specie quando non viene riconosciuto.
Al di là delle derive freudiane presenti fin dalla locandina,
Tommaso è ossessionato dalla civiltà delle immagini, non solo
dalla bellezza che piace a tutti, ma dall’elemento di
provocazione che scatena un immaginario più pornografico che
erotico (il pompino, la pecorina: fantasie dominanti che lo
sorprendono davanti alla farmacista). Tutto diventa
spersonalizzato, dettaglio di corpo femminile: provocante,
ossessivo, irraggiungibile mercanzia di un’emancipazione che
mette in mostra con estrema consapevolezza. Si pensi alla
giovane cameriera interpretata da Camilla Diana, una donna che
già sa tutto, è scritto nel DNA della sua avvenenza, e allora
si intrattiene coi propri attendenti grazie all’esuberanza
della gioventù e alla noia di una relazione che pure sa che
finirà in matrimonio, perché in fondo le sta bene il suo
Giuliano, capace di amarla per quello che è (o forse di
venerarla) e non solo di volersela portare a letto. Curioso
che questo personaggio sia quello più verace, quello che piace
di più: sarà ancora una volta perché è giovane, bella,
procace, pane al pane?
Eppure è anche lei vittima del gioco delle parti: è quella che
se la tira perché tutti la vogliono, ma se la tira alla
maniera della borgatara, non della snob, lei vuole giocare,
tendere i nervi dei maschi con cui ha a che fare per renderli
sue marionette. Neanche qui Tommaso ha un moto di rivalsa (ce
lo ha, ma piccolo: lei sa come quietarlo), e questo perché è
un uomo che subisce l’irresistibile ascendente del sesso,
soprattutto quando sembra a portata di mano. La psicanalisi è
quasi accessoria in questo film, basterebbero tutte le
lamentazioni del caso, i piccoli difetti fisici sui quali
Tommaso si fissa che sono inconfessabili, l’eterna storia che
ci raccontiamo dell’uomo che non vuole crescere, tutto ciò è
sufficiente a motivare l’esasperazione
l’influsso della carne.
di
chi
patisce
Non vuole crescere, oppure il mondo intorno a lui si è
allestito, propedeuticamente alle fantasie indotte, come il
grande set di un film pornografico? Mettiamola così: per ogni
uomo che non vuole crescere c’è almeno una giovane ninfetta
che guarda film solo per adulti. Magari l’equazione non è
scientifica, ma l’elemento perturbante e simbolico del film,
il nido di processionarie che Tommaso trova in cima a un pino
della sua tenuta (insetto pericoloso e distruttivo, oltre che
repellente), fa un po’ da cassa di risonanza all’ossessione
del nostro antieroe: questa è l’origine di una nuova mandata
di farfalle notturne.
In questo senso Tommaso è una vittima del desiderio, della
moltiplicazione delle ninfe/crisalidi e del loro ascendente su
questa parte di mondo. Nel finale si sceglie la via più
facile: quando si ha l’acqua alla gola, imbattersi in fortuite
coincidenze è di buon auspicio per cominciare di nuovo. Si
finisce sempre col parlare delle proprie ossessioni private,
anche quando l’inconscio dal quale attingono ha del
collettivo. Del resto il collettivo non è sempre includente,
quindi è bene non allargarsi troppo.