La verifica della Qualità

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La verifica della Qualità
La verifica della Qualità
La verifica della Qualità è un tema di
grande attualità nel mondo sanitario;
non c’è norma statale o regionale che non
richiami la necessità di assicurare la qualità delle prestazioni erogate, così come
non c’è servizio che dichiari, fra i suoi intenti, la volontà di orientarsi in tal senso.
Esiste la convinzione che il concetto di
Qualità nasca e si consolidi nel mondo
della produzione industriale. In effetti,
prima della seconda guerra mondiale
l’industria manifatturiera approfondisce
il tema del controllo della Qualità dei
prodotti e nel secondo dopoguerra evolve in termini di “assicurazione della qualità” con le tesi sostenute da Deming e
Juran che “anticipano” gli elementi di
controllo dalle ultime fasi della produzione alle prime.
È la nascita del modello di gestione della Qualità Totale che tanto successo ha
avuto non solo nel settore manifatturiero ma anche in quello dei servizi.
Gli strumenti del miglioramento della
Qualità, si affermano nel mondo industriale sulla base di motivazioni economiche, poiché col tempo si è dimostrato
il vantaggio competitivo delle aziende
(sia manifatturiere sia di servizi) che utilizzavano il sistema di gestione della
Qualità Totale.
Nel mondo sanitario, la “nascita” del
concetto di accreditamento di Qualità si
può collocare nel 1919 quando l’American College of Surgeon riconosce e definisce i “minimum standard”, i cinque
requisiti necessari a riconoscere la Qualità delle strutture di chirurgia:
– medici e chirurghi in staff;
– medici laureati;
– lo staff adotta regole e politiche approvate dall’organizzazione;
– cartella clinica completa ed accurata:;
– servizi diagnostici minimi.
È interessante notare come alcuni di
questi requisiti, a distanza di più di 80
anni siano ancora validi; nel mondo sanitario esiste una storia consolidata in
termini di concetti e strumenti per il miglioramento della Qualità, anche se si
tratta spesso di concetti e strumenti “sotto utilizzati”, col risultato di doverne poi
acquisire altri da contesti non sanitari.
Per avvalorare quest’affermazione riporto due definizioni di Qualità, relative alla sanità, collocabili nello stesso periodo
temporale di cui parlavo prima per il
mondo industriale.
Lee e Jones, nel 1933, definiscono la
Qualità come “l’applicazione di tutti i
servizi necessari della moderna medicina
scientifica ai bisogni della popolazione”;
mentre nel 1950, per Blue Cross la
Qualità è “il grado con cui l’assistenza è
disponibile, accettabile, continua e documentata”.
Nel mondo della sanità, la scelta della
Qualità, oltre a generare inevitabilmente
un vantaggio economico, richiama motivazioni di ordine sociale e morale.
Nel 1980 Sackett sostiene che, la Qualità dell’assistenza sanitaria è rappresentata da “la frequenza con cui si compiono interventi sanitari di dimostrata
efficacia (più utili che dannosi) e con
cui si evitano interventi più dannosi che
utili”. È sorprendente l’attualità di tale
affermazione se pensiamo alle sempre
più frequenti polemiche sugli “errori
medici”.
L’etica del comportamento dei professionisti sanitari, opportunamente dimostrata, potrebbe forse concorrere a limitare queste polemiche riducendo “l’americanizzazione” del panorama sanitario.
Terminato questo breve inquadramento
ritengo utile richiamare i concetti di dimensioni della Qualità e di assi di valutazione proposti da Donabedian per soffermarmi su due aspetti:
– dall’incrocio di queste definizioni trovano spiegazione numerosi termini
che sempre più sono presenti in letteratura e su norme: efficacia, efficienza, standard, indicatori, ottimizzazione, soddisfazione ecc.;
– se aggiungiamo a questi concetti
quelli di misurazione, esplicitazione,
condivisione sono, a mio avviso, elementi propri dell’approccio al miglioramento della Qualità, anche le contrapposizioni fra modelli (VRQ,
TQM, ISO ecc.) perdono di significato prevalendo il concetto di Sistema
che deve vedere l’integrazione dei vari
modelli sfruttandone le caratteristiche
e le opportunità.
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Per concludere, allora, vorrei sottolineare
le potenzialità del “vecchio” ciclo di Verifica e Revisione della Qualità. Ritengo,
infatti, che tale tecnologia sia ancora notevolmente “potente” per operare in termini di miglioramento della Qualità.
La VRQ è un processo attraverso il quale si misura e, quando necessario, si migliora la Qualità delle prestazioni sanitarie. Contiene quindi nella stessa definizione la possibilità che le azioni dei professionisti non debbano essere necessariamente oggetto di miglioramento;
questo aspetto, che può rappresentare
un limite, deve essere letto come opportunità di valorizzazione delle professionalità, spesso nelle strutture sanitarie
operano professionisti con grandi competenze, e altrettanto spesso queste sono
misconosciute.
Le fasi principali del ciclo di VRQ sono:
– identificazione dei problemi;
– selezione delle priorità;
– individuare l’approccio valutativo;
– definire l’atteso;
– analisi dell’osservato;
– individuazione delle carenze;
– individuazione delle soluzioni;
– scelta delle soluzioni;
– attivazione degli interventi;
– valutazione dei risultati.
Queste dieci fasi sono simili al processo
logico che un professionista sanitario
adotta nell’affrontare i problemi di salute di un paziente, si tratta quindi di un
processo logico che gli è “famigliare”,
adattabile a problematiche non individuali ma di gruppi organizzati.
In altri termini occorre, anche in questo
caso, sfruttare un patrimonio di competenze che è “naturalmente” presente nell’organizzazione valorizzando i singoli
che la compongono.
Un’ultima osservazione: nel 1988 l’Organizzazione Mondiale della Sanità definiva la Qualità dell’Assistenza come “disponibilità di un mix di servizi sanitari
diagnostici e terapeutici tali da produrre
con la maggiore probabilità, per il paziente, l’esito di un’assistenza sanitaria
ottimale, compatibilmente con le conoscenze raggiunte dalla scienza medica e
in rapporto con fattori biologici quali l’età del paziente, la malattia
da cui è affetto, le diagnosi secondarie
concomitanti, le risposte al regime terapeutico e altri fattori connessi; con il minimo dispendio di risorse per raggiungere questo risultato; con il minor rischio
possibile di ulteriori danni o disabilità in
conseguenza di tale terapia; e con la
massima soddisfazione possibile del paziente riguardo al processo di assistenza,
alla sua personale interazione con il sistema sanitario e ai risultati ottenuti.”
Con quest’ultima definizione, l’OMS
desidera ricordarci che la Qualità dell’assistenza non deve essere composta
solo da alcuni “attori” del Servizio Sanitario, ma non deve mai perdere di vista
la massima soddisfazione del paziente:
deve, cioè, agire per e con i pazienti.
Domenico Tangolo
Presidente Regionale SIQuASS-VRQ
sezione Piemonte e Valle d’Aosta
Le stomie addominali
Le ragioni che inducono al confezionamento di una stomia sono principalmente neoplasie e malattie infiammatorie croniche intestinali, quali la Rettocolite Ulcerosa e il M. di Crohn,
ed in minor misura traumi, infarti intestinali e gravi malformazione congenite gastroenteriche.
Le stomie addominali sono sempre interventi chirurgici obbligatori, gravati da importante disagio relazionale, ma un’adeguata educazione del paziente sulla gestione della stomia rende possibile un reinserimento sociale completo. Per confezionare una stomia, si mobilizza un tratto intestinale e lo si abbocca alla cute creando un orifizio preternaturale sulla parete
addominale, attraverso il quale fuoriesce il contenuto del canale enterico, che viene raccolto in un’apposita sacca fatta
aderire alla cute circostante la stomia. Una persona normalmente riassorbe l’80% dei liquidi presenti nel tubo gastroenterico formando giornalmente 100-150 mg di feci.
Nei pazienti ileo-stomizzati la quantità di materiale eliminato
dalla stomia va dai 500 ai 1000 gr nelle 24 ore, con contenuto di acqua fino al 90% essendo compromesso il normale riassorbimento enterico per riduzione anatomica della superficie
assorbente, in seguito alla resezione di colon.
La dieta nel paziente stomizzato è di fondamentale importanza per evitare deficit di importanti principi nutritivi e fenomeni
di disidratazione, oltre ché per rendere completo il reinserimento sociale.
Nel periodo post-operatorio devono essere evitati gli alimenti
ricchi di scorie che verranno comunque gradualmente reinseriti nell’alimentazione a partire dalla terza settimana. Inoltre
devono essere evitati cibi che producono gas ed in caso di loro assunzione possono essere applicati filtri al carbone attivo,
al fine di evitare cattivo odore, in associazione ad un frequente svuotamento della sacca.
Di seguito elenchiamo cibi consigliati e sconsigliati nei pazienti stomizzati.
Alimenti sconsigliati
cipolle, asparagi, pesce, funghi, uova in quanto provocano
cattivo odore;
aglio, bevande gassate, birra, cavoli, prugne, fichi, cachi, frutta secca, rapi, trippa in quanto provocano meteorismo;
noci, cioccolato, vino rosso, sedano, formaggi secchi in quanto costipanti.
Alimenti consigliati
prezzemolo, succo di mirtilli, spinaci in quanto inibiscono il
cattivo odore;
lattuga, the, semolino, patate, pesce magro, pasta, riso, olio,
carni, carote, biscotti, grana, formaggi freschi, pomodori, banane, mele mature in quanto cibi neutri. Nella stomia del colon-trasverso-discendente è richiesta una riduzione dell’apporto di amidi per ridurre il volume dei pasti e, di conseguenza, delle secrezioni gastro-intestinali mentre nell’ileo-stomia è
richiesto un aumentato apporto idrico con impiego di bevande
idro-saline, specialmente in caso di febbre e nel periodo estivo, per il rischio di disidratazione ed inoltre, in quest’ultimi, la
dieta deve essere ipercalorica, ipolipidica e ricca di sali minerali quali potassio, magnesio, sodio, calcio, fosforo e vitamine.
Una volta esclusi gli alimenti che provocano la formazione di
meteorismo o cattivo odore per il completo reinserimento sociale del paziente stomizzato è cruciale ricreare una nuova continenza. La continenza può essere regolata con la tecnica dell’irrigazione ossia la stomia viene collegata con uno smaltitore
e la si irriga con 1 litro di acqua tiepida ogni 48 ore ottenendo
una evacuazione completa e fornendo un ritmo di 24-48 ore.
Complicanza minore ma estremamente frequente nei pazienti
stomizzati è la dermatite da materiale refluo. La migliore cura
della dermatite è la prevenzione della stessa mediante:
– adeguata applicazione della sacca;
– corretta igiene della stomia con lavaggio quotidiano con acqua e sapone neutro;
– adeguate norme dietetiche ossia assunzione di pasti ad intervalli regolari (3 volte al giorno), buona masticazione del
cibo ed adeguata assunzione di liquidi;
– prevenzione delle carenze vitaminiche e di sali minerali,
identificazione di eventuali intolleranze alimentari;
– mantenimento del peso forma evitando aumenti ponderali
in particolare a livello della circonferenza addominale.
È importante infine ricordare che un mal funzionamento della
stomia può essere dovuto ad intasamento di materiale non digerito, a recrudescenza della malattia o a pinzettamento di un
ansa intestinale a monte pertanto è necessaria sempre una
pronta rivalutazione chirurgica.
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Dott. Costante Fabbroni
Dott.ssa Angiola A. Fabbroni