La metafora e la poetica del Barocco

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La metafora e la poetica del Barocco
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Beato in sogno e di languir contento,
d’abbracciar l’ombre e seguir l’aura estiva,
nuoto per mar che non ha fondo o riva,
solco onde, e ’n rena fondo, e scrivo in vento;
e ’l sol vagheggio, sì ch’elli ha già spento
col suo splendor la mia vertù visiva,
ed una cerva errante e fugitiva
caccio con un bue zoppo e ’nfermo e lento.
Nel sonetto CCXII del suo Canzoniere, di cui abbiamo qui riportato le prime due strofe, Petrarca esprime la sua
condizione dolorosa di amante non corrisposto. In realtà nessuna delle espressioni utilizzate dal poeta la illustra
direttamente, eppure noi intuiamo con relativa facilità che il poeta sta esprimendo prima il senso di vanità, di incertezza e di instabilità su cui ha fondato la sua vita (abbracciar l’ombre ... seguir l’aura ... ’n rena fondo, e scrivo
in vento), quindi l’irraggiungibilità dell’oggetto amato, non disgiunta dalla condizione di languore e di accidia che
lo attanaglia (una cerva errante e fugitiva / caccio con un bue zoppo e ’nfermo e lento).
In effetti il poeta si è espresso unicamente sotto forma di metafore, ma le associazioni che egli ha stabilito tra
le immagini e la sua condizione appartengono a un ambito culturale e comunicativo condiviso con il lettore, che,
pertanto, ne comprende il senso.
L’uso della metafora risale a tempi antichissimi: secondo alcuni studiosi esso è addirittura insito nella creazione
stessa del linguaggio umano. Non si deve, peraltro, credere che la metafora sia utilizzata in ambito puramente
letterario: al contrario, molte metafore fanno parte dell’uso comune di una lingua. Se diciamo, ad esempio, “questo ragazzo è un asino”, a tutti risulta evidente che non intendiamo alludere a nessun tipo di somiglianza fisica tra
lui e l’animale, ma intendiamo semplicemente dire che egli è ignorante o sciocco.
Nell’ambito delle figure retoriche la metafora si colloca tra quelle figure che sono dette tropi (dal greco trépō:
«volgere, mutar direzione»), tutte caratterizzate dal trasferimento di un termine dal suo significato letterale a un
significato “altro”. In tal senso si possono considerare dei tropi la sineddoche, la metonimia, ma anche l’iperbole,
l’ironia, l’antifrasi e altre ancora.
In particolare la metafora costituisce uno spostamento di senso per somiglianza, da cui anche la definizione di
similitudine abbreviata. Olivier Reboul (in Introduzione alla retorica, Bologna, 2002) ricostruisce in questo modo
tutti i passaggi logici che portano dalla similitudine alla metafora:
1.
2.
3.
4.
similitudine esplicita;
similitudine implicita (che non esplicita le ragioni del paragone);
metafora “in praesentia” (in cui sono presenti entrambi i termini, senza però la congiunzione comparativa);
metafora “in absentia” (in cui il primo termine è omesso).
Utlizzando l’esempio di cui sopra, ai quattro momenti corrisponderebbero pressappoco le espressioni:
1.
2.
3.
4.
L’ignoranza di questo ragazzo è pari a quella di un asino.
Questo ragazzo è simile a un asino.
Questo ragazzo è un asino.
Quest’asino ... (riferito al ragazzo).
L’importanza della metafora nel linguaggio della letteratura è attestata sin dall’antichità. Aristotele, nella Poetica
(XXXVIII, 1459, 5), ne individua la peculiarità nella capacità di rinvenire associazioni tra aspetti della realtà: «saper
trovare belle metafore significa saper vedere e cogliere la somiglianza delle cose tra loro» .
In questo modo il filosofo greco sembra precorrere le poetiche moderne, nell’attribuire alla metafora una funzione
non solo di ornamento, ma anche euristica (dal greco eurìsco: «trovare»), quella cioè di rinvenire relazioni insite
nella realtà, ma nascoste alla comprensione ordinaria, in altre parole di “vedere” le cose in modo diverso da quello
con cui sono comunemente percepite.
È per questa via che si perviene alla centralità della metafora nelle poetiche del Barocco. “Trovare” le metafore
più ardite equivale a realizzare la “poetica della meraviglia”, che è tipica dell’arte barocca, esercitando al massimo
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grado quella facoltà specifica dell’ingegno poetico che è definita “acutezza”. Con essa si identificano totalmente
la capacità poetica e il linguaggio della poesia, distinto da quello scientifico, che tende, al contrario, a un’asettica
precisione.
Emanuele Tesauro, che fu, in Italia, il massimo teorizzatore della centralità della metafora nella poesia, giunse ad
accostare il linguaggio metaforico all’attività creatrice: «Tesauro elabora una teoria della Metafora come principio
universale della coscienza sia umana sia divina. Alla sua base c’è l’Acutezza, il pensiero fondato sull’accostamento
di ciò che è dissimile, sull’unificazione dell’inunificabile. La coscienza metaforica è eguagliata a quella creativa, e
perfino l’atto della creazione divina appare a Tesauro come una sorta di Acutezza suprema che crea il mondo
mediante metafore, analogie e concetti. Tesauro obietta contro chi nelle figure retoriche vede degli ornamenti: tali
figure sono per lui il fondamento del meccanismo del pensiero, di quella Genialità suprema che anima l’uomo e
l’universo» (P. Fabbri e G. Marrone: Semiotica in nuce, Roma, 2001).
Un’identificazione così totale di una poetica con una figura retorica non può ridursi a scelte di “gusto”, ma deve
necessariamente risalire a motivi più profondi. Possiamo, in sintesi, individuarne tre:
1) la metafora diviene, nel Barocco, espressione di quel senso di una realtà mutevole, inafferrabile, ingannevole,
che è tipico della civiltà del Seicento;
2) la sperimentazione delle più ardite metafore corrisponde, sul piano linguistico, a quella tendenza all’esplorazione di
una natura infinita che caratterizza la “scienza nuova” del Seicento, successiva alla rivoluzione copernicana;
3) nello stesso tempo, la smisurata operazione dell’immaginazione che sta alla base della metafora rappresenta
una sorta di reazione al tentativo di riduzione della realtà a pure “forme matematiche”, verso cui tende il nuovo
metodo di indagine.
Della varietà straordinaria di immagini metaforiche di cui fa uso il poeta e lo scrittore barocco lo studente troverà
esempi innumerevoli in pressoché tutti i brani antologizzati, relativi a questo periodo. Vogliamo proporre, tuttavia,
a conclusione di queste note, un sonetto di Marino, probabilmente la figura di poeta che in Italia meglio seppe
interpretare la poetica della meraviglia, in cui il procedimento risulta addirittura emblematico: da un’immagine
metaforica di fondo, infatti, prende corpo tutta una serie di altre metafore derivate, di cui è possibile, quindi, percepire, pur nell’estrema libertà e soggettività dell’invenzione, la coerenza del processo di associazione.
Il poeta sta descrivendo un gesto ordinario, quello di una donna dai capelli biondi che si sta pettinando; ma,
metaforicamente, quei capelli biondi diventano «onde dorate» e, per estensione, il pettine si trasforma in una
navicella d’avorio che le solca:
Onde dorate, e l’onde eran capelli,
navicella d’avorio un dì fendea;
una man pur d’avorio la reggea
per questi errori preziosi e quelli ...
In che altro modo, allora, avrebbe potuto essere definito il sentimento del poeta, che si perde estasiato nella
contemplazione di tale bellezza, se non come un dolce «naufragio»?
Per l’aureo mar, che rincrespando apria
il procelloso suo biondo tesoro,
agitato il mio core a morte gìa.
Ricco naufragio, in cui sommerso io moro,
poich’almen fur ne la tempesta mia
di diamante lo scoglio e ’l golfo d’oro.
Qui la capacità trasfiguratrice dell’immaginazione poetica, il cui strumento di elezione è la metafora, interviene
sull’evento in sé, trasportandolo da una realtà ordinaria e banale a una dimensione “altra”, di puro sogno.
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