The walk - Cinema Teatro San Giuseppe Brugherio

Transcript

The walk - Cinema Teatro San Giuseppe Brugherio
CINECIRCOLO “ROBERT BRESSON”
Brugherio
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Mercoledì 1, giovedì 2 e venerdì 3 giugno 2016
Inizio proiezioni ore 21. Giovedì anche alle ore 15
“I limiti esistono solo nell'anima di chi è a corto di sogni”
Philippe Petit
The walk
di Robert Zemeckis con Joseph Gordon-Levitt, Ben Kingsley, Patrick Baby, Marie Turgeon
USA 2015, 100’
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Il fatto accade davvero: il 7 agosto 1974 il funambolo
francese Petit cammina nel vuoto a 110 piani di altezza.
In basso chi cammina osserva incredulo uno spettacolo
irrepetibile. È uno dei casi in cui la realtà si fa beffe della
fantasia. Nel 1974 le Torri non erano ancora state
inaugurate, mentre non molti anni dopo, (2001)
crollarono sotto l'attacco terrorista. In mezzo c'è il
dipanarsi di un sogno sempre più urgente e insistente; il
bisogno di dare concretezza ad una fantasia che ormai
preme poderosa nella mente del giovane francese.
Le fasi che conducono all'epilogo assomigliano ad un
thriller: imprevisti, inciampi, contrattempi, il progetto che
sembra saltare. L'alternanza di entusiasmo, gioia, delusione, sconfitta fa da supporto allo spostarsi della ragione
dall'utopia alla follia. A che serve questa impresa? è la domanda ricorrente, alla quale Petit risponde: 'Io non sono un
funambolo, sono un artista'. La soluzione sarebbe tutta qui (a dire il vero un po' sempliciotta), se non ci fosse necessità
di aggiungere che all'artista tutto è concesso.(…) Oggi Zemeckis ricostruisce quella vicenda ma vi getta sopra uno
sguardo di impensabile magnificenza. L'occhio del regista si mette nella posizione del punto più impossibile e allarga
gli spazi della visione.(…) Con taglio svelto, e mai didascalico, Zemeckis toglie la polvere di tutto le immagini del
passato per restituire un cinema 'rinnovato', lucido, un sogno lungo un giorno, per citare Coppola e la sfida ad un
cinema visionario, l'unico che può mettere insieme sfida e sogno, e gettare le premesse che rappresentano l'essenza del
cinema. Metafora e verità di pari passo(…)
Commissione Nazionale Valutazione Film
Mentre il Philippe Petit interpretato da Joseph Gordon-Levitt cammina sul cavo teso tra le due Torri Gemelle, sospeso a 415 metri
d'altezza dal suolo, The Walk vola. La spinta per il decollo, Robert Zemeckis l'aveva già trovata nelle fasi preparatorie di quell'evento
straordinario e (purtroppo) irripetibile realmente avvenuto nel 1974 e già raccontato in Man on Wire (che il regista americano pare
conoscere piuttosto bene): quando il funambolo e i suoi studiano il piano per intrufolarsi sui tetti del World Trade Center, e quando
lottano contro il tempo per tendere il cavo in sicurezza. Il volo, quello vero e proprio, con la sua ebbrezza e la sua magia, che
ricalcano quelle del coup sognato e inseguito da Petit con folle e artistica, determinazione, avviene nel momento in cui il francese fa
il suo primo passo, inizia la passeggiata del titolo, e la porta avanti per un tempo quasi impossibile, andando avanti e indietro lungo
quei 42 metri e mezzo sospesi nel vuoto per ben otto volte, irridendo la polizia che l'aspettava a un capo come all'altro, come in un
comica di Stanlio e Ollio, annullandosi nella bellezza del gesto e nel brivido placido della conquista.
In quella trentina di minuti, Robert Zemeckis centra momenti di cinema potente e straordinario, che fanno perdonare le goffe
incertezze di una parentesi parigina lontana parente dei toni dolciastri e farseschi di Amélie, e l'invadenza ammiccante del coro dello
stesso Petit/Gordon-Levitt, che racconta la sua storia dall'alto della fiamma della Statua della Libertà fin dalla sequenza iniziale del
film. (…)Eppure Zemeckis, come ha scritto Matt Zoller Seitz in un bellissimo pezzo sul film, “è con Steven Spielberg e Alfred
Hitchcock in una ristretta lista di registi che capiscono come fondere l'audacia con la semplicità”. In The Walk è audace, molto, per il
nostro divertimento e il nostro stupore; semplice, forse, un po' meno. Quando a Philippe Petit venne chiesto il perché del suo gesto,
con sincero candore il francese rispose "Non c'è un perché." Poche, pochissime parole capaci di dire tutto e di più, che Robert
Zemeckis non a caso ha scelto di mettere in bocca anche al suo protagonista, Joseph Gordon-Levitt. (…)Avere la capacità di dire
molto con poco, senza esagerare, né tirare troppo le redini: non sempre è facile, e non sempre ci si riesce.
E se c'è un difetto che mina le potenzialità altissime e vertiginose di The Walk, è proprio il suo essere troppo scritto, troppo esplicito,
troppo parlato. Di fare troppo, di voler spiegare troppo i perché. In fondo, volevamo stare solo lì con Philippe, in equilibrio sul cavo,
senza troppe parole che rischiavano di farci cadere, spezzando la magia.
Federico Gironi – Comingsoon
Ci sono due torri, due paesi e due anime nel film di Zemeckis. C'è la Parigi della prima parte, che pare uscita da
un musical di Stanley Donen apparso fuori tempo massimo(…), dove la finzione scolora la realtà nonostante
costumi e fotografia s'ingegnino per fare l'opposto, dove accade esattamente ciò che non dovrebbe accadere
sulla corda, e cioè che si finge, e questo - Philippe l'ha appreso dal suo mentore Papa Rudy - questo il pubblico
lo sente.
Poi le cose cambiano, attraversato l'oceano la prospettiva si ribalta: qui Zemeckis fa sul serio e anche questo il
pubblico lo sente. Il "colpo" di Petit diventa il colpo del regista; la posta in gioco è ambiziosa e la tecnica è
tutto. Scollati dal suolo, a partire dalla notte sul tetto, il sogno del funambolo francese e il cinema
dell'americano s'incontrano, sono fatti della stessa materia, comandano la temporalità con le loro leggi
particolari, rubano il respiro, gelano le mani per l'emozione
e per la temperatura dell'aria del cielo all'alba.
Se nell'intro del film, Petit/Gordon Levitt rifiutava di trovare
un perché alla sua impresa, facendosi bastare il richiamo
della bellezza e dello spettacolo, in coda, al contrario,
Zemeckis sembra giustificare la sua scelta di girare The
Walk col desiderio di partire da una storia vera per parlare
di un'altra storia vera, fatta anch'essa di ansia e di
vertigine, ma di segno opposto: una storia in cui l'equilibrio
del mondo va in pezzi e i corpi precipitano anziché danzare
sospesi. Quello rivolto all'undici settembre è un pensiero fin
troppo evidente, per quanto reso silenziosamente, ma
anche inevitabile. "La nostra civiltà - scriveva, all'indomani della tragedia, Paolo Lagazzi - è un sogno sospeso a
un filo sottile".
Marianna Cappi – Mymovies
Fare cinema è (anche) una questione di traiettorie. E, dove possibile, in quei rari casi di cineasti consapevoli, anche di sfide. Il
cinema è, da sempre, orizzontale.(…) Il grattacielo, invece, è la cosa verticale più grande che sia mai stata inventata dall’uomo. E
nel 1974, la cosa più grande era in finale di costruzione al World Trade Center. Le due “Torri gemelle”, alte 415 metri, costituivano
all’epoca la sfida più grande che l’uomo avesse mai sperimentato contro la forza di gravità, i due grattacieli più alti di sempre. Da un
lato, dunque, abbiamo questa visione verticale, di due “monoliti” kubrickiani,(…) dall’altra abbiamo il segno che unisce due punti
nello spazio, una linea retta (che ricorre nel film) orizzontale, il luogo preferenziale del funambolo, l’artista della fune. Orizzontale,
verticale, orizzontale. Sono le traiettorie dello sguardo a colpire in questa esperienza visiva. (…)
E’ lo spazio, il vuoto, l’aria, il luogo preferenziale dove il corpo di Petit, ha deciso di vivere. Perché è lì, solo lì sopra che trova il
suo senso di vivere. E perché il cinema è soprattutto una questione di “punti di vista” (dal basso, dall’alto, in soggettiva…).
Ma, come gli grida con forza il suo maestro, “non c’è spettacolo senza pubblico”. Ed ecco che il suo show deve realizzarsi di giorno,
quando tutti possono vederlo esibirsi. Ma, anche, non c’è spettacolo (cinematografico?) senza troupe, senza un’equipe affiatata e
organizzata che lo realizzi. Fin troppo facile intravedere nella complessità dell’operazione “camminare su una fune tra una torre e
l’altra del World Trade Center”, la complessità del fare cinema. Fare cinema è sempre una questione di equilibrio, soprattutto
emozionale. E Robert Zemeckis, consapevole e beffardo, parte proprio da lì. Cosa ci spinge ad affrontare i rischi, per inseguire i
nostri sogni? Quale parte di noi, inevitabilmente collocata nel centro nevralgico della giovinezza, ostinatamente si impone a tutto e a
tutti pur di affermare la nostra volontà di essere “liberi e indipendenti”? Ecco, The Walk è un magnifico film sulla libertà, ma non solo
per la questione del “sovvertire le regole sociali”, ma proprio per questo inseguire un proprio gioco/sogno, che non si sa mai
esattamente qual è, ma che continua ad ossessionarci fino a che non lo abbiamo realizzato. Non è un caso che Zemeckis collochi il
proprio personaggio narratore sulla Statua della libertà, e che questo ragazzo, oggi uomo, venga dalla Francia (proprio come la
Statua, del resto). Perché è da lì che viene l’illuminismo, “l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se
stesso” come diceva Kant, e l’America, dalla sua fondazione, è la “terra della libertà” per antonomasia, anche se spesso più per
dichiarazione d’intenti che nelle pratiche sociali. Ma questa libertà, questo “stato di grazia”, si riesce a provare, a volte, solo per pochi
magici istanti, quelli che ci rendono incredibilmente consapevoli di quanto sia necessaria, proprio come l’aria, la condizione di essere
libero. E per esserlo realmente spesso bisogna scontrarsi con lo status-quo del “mondo reale”, fatto da uomini pigri che hanno
smesso da tempo di sognare(…). “Dovevo solo restare sul filo”, dice Philippe Petit/Joseph Gordon-Lewitt, ad un certo punto della
sua incredibile esibizione. Poliziotti da una parte, Torre Sud, poliziotti dall’altra, Torre Nord. La libertà è nell’aria (ma fate attenzione
agli uccelli….)PS: solo un cineasta “morale” poteva non citare neppure per un secondo l’11/9 in un film sulle Twin Towers.
Complimenti a Bob Zemeckis per il coraggio!
Federico Chiacchiari – Sentieri selvaggi
Finché il cinema continuerà a mostrarci qualcosa di inedito, a commuoverci, meravigliarci, potrà dirsi vivo. La sua avventura non
sarà finita e noi non smetteremo mai di guardarlo. Questo è il cinema che ha sempre desiderato fare Robert Zemeckis,
da Ritorno al futuro a Chi ha incastrato Roger Rabbit,
da Forrest Gump a Cast Away. Un cinema che lasci a bocca
aperta. Gioiosamente infantile, spericolato, pirotecnico,
pionieristico, positivo. Come i personaggi che lo popolano. Un
cinema così concepito non poteva non incontrare uno come
Philippe Petit, il funambolo che camminò su un cavo d’acciaio
tra le due Torri Gemelle, la mattina del 7 agosto 1974. Un
visionario, un folle, un megalomane. O più semplicemente
“L’uomo sul filo”, come lo ha voluto ribattezzare James Marsh
nel suo bel documentario, Man on Wire. Per audacia,
sfrontatezza , bellezza, un’impresa la sua destinata a diventare
il più potente gesto dada del ventesimo secolo. Dove sta la
grandezza del film di Zemeckis rispetto a tutto questo? (…)
Probabilmente nella capacità – tutta cinematografica – di
ribaltare la prospettiva sulla “performance”, di cambiargli verso (come farà più volte Petit sul filo, mentre i poliziotti lo
braccano): il cinema e i suoi prodigi ci portano cioè laddove Petit non riuscì a portare i suoi spettatori, lassù con lui. E’ la vertigine
che sperimentiamo, l’esperienza in apnea di qualcosa che sospende per un tempo (in)definito l’esistenza così come la conosciamo,
con i suoi limiti e le sue regole. Zemeckis intuisce, cattura e rende il tremore e l’estasi del Prometeo che è in noi, addormentato e
sepolto. Ma fa di più. Nel restituire allo Skyline di New York il World Trade Center con le due Torri Gemelle, Zemeckis
riconfigura nuovamente l’immaginario riempiendo il vuoto lasciato dall’ 11 settembre. Se Petit, con la sua “camminata”, aveva dato
un’anima alle Twin Towers, Zemeckis con The Walk gli ridà vita, cancellando di colpo i segni di distruzione e di morte lasciati dai
jihadisti. Perciò si intuisce meglio la costruzione del film come un heist-movie, come un classico film sul “colpo”: con il suo team di
eccentrici terroristi (come agitatori dell’ordine pubblico vengono additati più volte del resto), The Walk raddoppia e ribalta il
9/11 americano nel nome della vita, del potere dell’immaginazione, dell’arte.
Gianluca Arnone – Cinematografo.it