ISPIRAZIONE E VERITÀ

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ISPIRAZIONE E VERITÀ
Cesar Andrade Alves S.I.
ISPIRAZIONE E VERITÀ
Genesi, sintesi e prospettive
della dottrina sull’ispirazione biblica
del concilio Vaticano II (DV 11)
ARMANDO
EDITORE
Sommario
Introduzione
1. La Dei Verbum e Cristo
2. Cristo e la dottrina conciliare sull’ispirazione biblica
3. La Dei Verbum come miniera
4. Il presente studio
Capitolo 1
La dottrina sull’ispirazione alla vigilia del Vaticano II
1. Contesto storico anteriore
2. Il binomio ispirazione e inerranza
2.1. Ispirazione
2.2. Inerranza
2.3. La connessione
2.4. La Divino afflante Spiritu
2.5. Considerazioni
3. Georges Courtade
3.1. Le principali divisioni
3.2. Alcune linee da notare
3.3. Considerazioni
4. Sebastian Tromp
4.1. Le principali divisioni
4.2. Alcune linee da notare
4.3. Considerazioni
5. Altri elementi nell’orizzonte della riflessione sull’ispirazione
5.1. Il senso scritturistico più profondo
5.2. L’enfasi sull’intenzione divina normativa
5.3. Il gran numero di agiografi
6. Conclusione
6.1. L’influsso del contesto sulla dottrina
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6.2. Le premesse della dottrina preconciliare sull’ispirazione
6.3. L’inerranza e i problemi della sua dimostrazione
6.4. Altri elementi nella presentazione dell’inerranza
6.5. L’ispirazione e il problema del tono meccanicistico
6.6. La ripresa della nozione di rivelazione del depositum fidei
6.7. Alcune conseguenze della ripresa delle concezioni
del depositum fidei
Capitolo 2
La dottrina sull’ispirazione nel Vaticano II
§ 1. GLI INIZI
1. Un atteggiamento ortodosso e salutare
2. Il metatesto del concilio Vaticano II
2.1. Il periodo tra il primo annuncio e l’apertura
2.2. Il discorso che ha avviato il concilio
2.3. Il periodo conciliare sotto Paolo VI
2.4. Considerazioni
3. L’avvio dello schema conciliare De divina revelatione
3.1. Gli schemi preconciliari sulla rivelazione
3.2. L’ispirazione e l’inerranza nel De fontibus
3.3. Il ritiro dello schema De fontibus
3.4. Un misto di atteggiamenti
3.5. Quante redazioni dello schema De divina revelatione?
3.6. Sinossi delle redazioni del numero 11 del De divina revelatione
§ 2. DE DIVINA REVELATIONE: IL NUMERO 11 DEL TESTO I
1. Storia della redazione
1.1. La sottocommissione 2
1.2. L’Ordo agendorum
1.3. Il testo I come ripresa del De fontibus
1.4. Un rinnovamento nell’esporre la dottrina?
2. La riflessione teologica dei padri conciliari
2.1. La vera paternità umana della Sacra Scrittura
2.2. L’inerranza della Sacra Scrittura
2.3. L’inerranza e il tema della salvezza
2.4. Le risonanze di un dibattito infuocato
2.5. La Scrittura ispirata non è indirizzata a tutti gli uomini?
3. Considerazioni
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§3. DE DIVINA REVELATIONE: IL NUMERO 11 DEL TESTO II
1. Storia della redazione
1.1. La scomparsa di Giovanni XXIII
1.2. La fine della commissione mista
1.3. Incidenze autorevoli
1.4. La commissione dottrinale rinnovata
1.5. Due altre incidenze importanti
1.6. Gli inizi del rinnovamento nell’esporre la dottrina
2. La riflessione teologica dei padri conciliari
2.1. La vera paternità umana della Sacra Scrittura
2.2. L’inerranza della Sacra Scrittura
2.3. La connessione tra l’intenzione dell’agiografo e quella di Dio
2.4. Ancora le risonanze di un dibattito infuocato
2.5. Altre riflessioni
3. Considerazioni
§4. DE DIVINA REVELATIONE: IL NUMERO 11 DEL TESTO III
1. Storia della redazione
1.1. Dalla sottocommissione al Papa
1.2. Il rinnovamento e i giudizi generali dei padri conciliari
2. La riflessione teologica dei padri conciliari
2.1. La paternità della Sacra Scrittura
2.2. L’inerranza della Sacra Scrittura
2.3. La connessione tra l’intenzione dell’agiografo e quella di Dio
2.4. Di nuovo le risonanze di un dibattito infuocato
2.5. Altre riflessioni
3. L’osservazione di Paolo VI
3.1. Un pontefice interessato allo schema sulla rivelazione
3.2. Il parere del papa sull’espressione “verità salvifica”
4. Considerazioni
§5. INFINE DV 11
1. Storia della redazione
1.1. Il De divina revelatione nella preparazione dell’ultimo periodo
1.2. La votazione del numero 11 del testo III
1.3. Dalla sottocommissione al Papa
1.4. L’ultima modifica del numero 11
1.5. L’approvazione definitiva dello schema sulla rivelazione
2. Conclusione
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2.1. Due giudizi inadeguati e uno giusto
2.2. L’ispirazione nella cornice della rivelazione
2.3. Il frutto della cornice della rivelazione
2.4. Dio-ispiratore ha voluto Cristo nell’intera Scrittura
2.5. Due imperfezioni teologiche
2.6. La paternità della Sacra Scrittura
Capitolo 3
Cenni della riflessione postconciliare sull’ispirazione
1. Richard Smith
1.1. Le principali divisioni
1.2. Alcune linee da notare
2. Raymond Collins
2.1. Le principali divisioni
2.2. Alcune linee da notare
3. Considerazioni
3.1. I pregi
3.2. Le lacune
3.3. Altri elementi
4. Un contributo personale
4.1. Un esempio: la pienezza della rivelazione e Aristotele
4.2. Considerazioni
Conclusione generale
1. L’esposizione della dottrina nel modo che i nostri tempi
richiedono
2. Una sintesi a prima vista sufficiente
2.1. Il primo elemento: la normatività dell’intenzione divina
2.2. Il secondo elemento: la paternità divina
2.3. Il terzo elemento: il tempo apostolico
2.4. Il quarto elemento: la paternità umana
2.5. Il quinto elemento: la testimonianza ecclesiale
2.6. La verità e l’inerranza biblica
2.7. Alcuni limiti
3. Delle prospettive
3.1. Il ruolo di Cristo per il concetto teologico di ispirazione
3.2. Il ruolo di Cristo per la verità della Scrittura
3.3. Il ruolo di Cristo per l’inerranza biblica
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Sigle e abbreviazioni
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Bibliografia
1. Fonti
2. Autori
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Indice dei nomi
423
Introduzione
Che è mai infatti un concilio ecumenico se non il rinnovarsi
di questo incontro della faccia di Gesù risorto […] a salute, a
letizia […] delle genti umane?1.
Giovanni XXIII
L’11 settembre 1962 Giovanni XXIII ha inciso nei cuori dei fedeli
quest’immagine indimenticabile. L’allusione alla faccia di Cristo per descrivere il compito di un concilio ecumenico riassume ciò che noi sembriamo complicare nei nostri studi eruditi sul concilio Vaticano II. Il quale,
infatti, ha voluto rinnovare tale incontro della faccia di Gesù risorto, a
salute, a letizia delle genti umane, con un vigore poche volte verificatosi
nei concili precedenti.
Tale incontro della faccia di Cristo è stato attuato dal Vaticano II in
parecchi dei suoi documenti. Fra questi, uno dei più enfaticamente cristocentrici è la costituzione dogmatica Dei Verbum sulla rivelazione divina.
1. La Dei Verbum e Cristo
Nella costituzione Dei Verbum, il concilio si è riaccostato alla concezione di rivelazione e di verità che avevano Cristo stesso, gli apostoli e la
Chiesa del tempo apostolico. Palesando la consapevolezza di fede della
Chiesa Cattolica che «in Gesù Cristo la rivelazione raggiunge il suo culmine e la sua totalità [, che] la rivelazione è Gesù Cristo in persona»2, la Dei
Verbum ha operato difatti una “svolta cristocentrica”3.
1
GIOVANNI XXIII, «Radiomessaggio dell’11 settembre 1962», 680.
R. LATOURELLE, Comment Dieu se révèle au monde, 22.
3 P. L. FERRARI, La Dei Verbum, 225.
2
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Trattandosi di una comprensione di rivelazione e di verità distinta da
quella usuale alla vigilia del Vaticano II, tale ripresa ha addirittura rappresentato “una sorta di rivoluzione copernicana”4. Tuttavia è stata una rivoluzione salutare perché ha rinsaldato il vincolo della Chiesa Cattolica con
il depositum fidei. Sono state riprese le nozioni di rivelazione e di verità
con le quali la Sacra Scrittura stessa era stata composta. In parole povere,
quell’incontro della faccia di Gesù in quanto manifestazione piena e definitiva di Dio «è apparsa nella teologia […] con la forza e la freschezza
di una riscoperta»5. Nella Dei Verbum, la riscoperta in generale del ruolo
centrale di Cristo ha avuto delle conseguenze sulla dottrina sull’ispirazione
ivi presentata.
2. Cristo e la dottrina conciliare sull’ispirazione biblica
La dottrina del Vaticano II sull’ispirazione della Sacra Scrittura si trova apposta nella costituzione dogmatica Dei Verbum sulla rivelazione. Le
concezioni personali di rivelazione e di verità adoperate da questo documento conciliare plasmano le diverse dottrine complementari presentate
in esso, tra cui quella sull’ispirazione biblica che si trova condensata nel
numero 11 (in seguito, DV 11). Nel quale le concezioni di rivelazione, di
verità (e della forma negativa di essa: inerranza o esenzione da errore)
si fondano sulle medesime nozioni di rivelazione e di verità sviluppate
all’inizio della Dei Verbum. Essendo Cristo la rivelazione, ed essendo il
libro ispirato la manifestazione scritta di tale rivelazione, è Cristo quindi
che si trova al centro della dottrina sull’ispirazione della Sacra Scrittura. Il
fatto che DV 11 non rechi formalmente il nome di Cristo non deve indurci
a dimenticare, nella sua lettura, tali nozioni essenziali della costituzione
sulla rivelazione divina. Pur non essendo Gesù Cristo nominato esplicitamente nel numero 11, Egli va ritenuto sottinteso.
Un importante padre conciliare (quello che fu, almeno da un punto di
vista quantitativo, il principale artefice individuale di DV 11) ci aiuta a
ricordarlo. Esponendo un inciso ormai classico di tale numero, il padre
in questione dichiarò in un suo scritto postconciliare: «in breve, ciò che
la Bibbia insegna fedelmente e senza errore è Cristo e quanto si riferisce
direttamente a lui»6.
4
R. FISICHELLA - R. LATOURELLE, «Dei Verbum», 284.
T. CITRINI, Gesù Cristo rivelazione di Dio, 9.
6 C. BUTLER, «The inspiration of the Bible», 101.
5
14
La comprensione personale e cristocentrica di rivelazione e di verità adoperata dal Vaticano II nella costituzione Dei Verbum ha rappresentato una
manifestazione importante di quell’incontro della faccia di Gesù risorto, a
salute, a letizia delle genti umane, manifestato da Giovanni XXIII l’11 settembre 1962. Riprendendo elementi fondamentali del tempo apostolico e
della riflessione patristica, il concilio ha messo in moto il recupero del legame tra il concetto teologico di ispirazione e Gesù Cristo. Anche in questo
campo dell’origine divina della Bibbia è stato dunque rinnovato dal concilio
quell’incontro della faccia di Cristo.
Nonostante questo, è vero che, per quanto riguarda la dottrina conciliare
sull’ispirazione, il risveglio della sua relazione con Cristo è stato soltanto
iniziato. La consapevolezza del ruolo di Gesù per la dottrina sull’ispirazione è qualche cosa che si trova agli inizi, è ancora come un neonato.
Possiamo paragonare tale condizione a Maria quando fece giacere Gesù a
Betlemme nella mangiatoia, o ai pastori quando vi si affacciarono per vedere il bambino. Pur stando al cospetto del neonato, sia per Maria che per i
pastori l’itinerario del discepolato era ancora assai lungo. Capita qualcosa
di simile riguardo al ruolo di Gesù per la riflessione sull’ispirazione biblica. Il Vaticano II ha fatto giacere nella mangiatoia di Betlemme la dottrina
sull’ispirazione della salvezza, e così facendo ha semplicemente incominciato a fare risplendere in questo campo teologico la faccia di Cristo. C’è
ancora tanto da fare in questo senso.
3. La Dei Verbum come miniera
La costituzione Dei Verbum è quindi gravida di belle conseguenze nonostante il suo testo si trovi alquanto condensato. Infatti, «chiunque prenda
le mosse soltanto dal testo finale della costituzione o del [suo] capitolo
III [dove si trova appunto DV 11] non riesce a cogliere le intenzioni o le
implicazioni di questo»7. Perciò la Dei Verbum rappresenta una miniera
per i teologi, che spiegano e svolgono i suoi parecchi argomenti. Infatti,
opere innumerevoli già esaminarono le sue ricche direttive e spunti dottrinali. Una selezione8 è già in grado di individuarne un mondo di titoli.
D’altronde alcune di queste opere si sono valse anche degli atti del conci-
7 A.
8
GRILLMEIER, «Drittes Kapitel», 557.
Cfr. M.A. TÁBET, «Nel quarantesimo anniversario della Dei Verbum».
15
lio9, pubblicati a partire dal 1970 con il titolo Acta synodalia sacrosancti
concilii oecumenici Vaticani II (d’ora in poi, abbreviatamente AS).
Fra queste innumerevoli opere, alcune si distinguono perché trattano a
fondo parti della Dei Verbum. Il documento conciliare ha già offerto l’occasione propizia perché diversi libri – per lo più tesi dottorali – trattassero
in modo più approfondito i suoi temi specifici. Negli ultimi quarant’anni, infatti, svariati autori hanno dedicato interi libri a capitoli, a numeri
e perfino a singoli passi della costituzione conciliare. Hans Waldenfels
ha esaminato il tema del capitolo I sulla rivelazione10. Alberto Franzini e
Umberto Betti si sono soffermati sul capitolo II della costituzione, quello
che tratta dei rapporti tra Scrittura e Tradizione11. Andrés Ibáñez Arana ha
studiato la formazione del capitolo III, sull’ispirazione e l’interpretazione
della Bibbia12. Stefano Salati si è dedicato alla genesi del capitolo VI, sul
ruolo della Scrittura nella vita della Chiesa13. Diego Cuevas Gámez ha
esaminato la genesi e la teologia dell’intero numero 2 del documento14, e
Gianluca Montaldi quelle dei numeri 5 e 615. Lavorando su passi distinti
del numero 12, Mario Molina Palma ha sviluppato a fondo la storia e la
teologia di uno, mentre Francesco Scaramuzzi ha trattato gli elementi teologici e filosofici di un altro16.
Per ciò che riguarda il numero 11 della costituzione, e oltre all’opera precedentemente citata di Andrés Ibáñez Arana, altri cinque autori già
lo hanno trattato per ragioni diverse prendendo parzialmente in considerazione le osservazioni dei padri conciliari pubblicate negli AS: Thomas
McGovern, Helmut Gabel, Francis Alencherry, Brian Harrison e Joseph
Gile17. Quello meno incompleto a questo riguardo è stato di fatto Ibáñez
9
Sugli atti del Vaticano II, cfr. V. CARBONE, «Genesi e criteri della pubblicazione degli
atti del concilio» e U. BETTI, «A proposito degli Acta synodalia».
10 Apparsa inizialmente come estratto di tesi dottorale, l’opera integrale venne pubblicata
l’anno successivo con un titolo modificato, cfr. H. WALDENFELS, Offenbarung. Dei Verbum,
Kapitel I e ID., Offenbarung. Das Zweite Vatikanische Konzil.
11 Cfr. A. FRANZINI, Tradizione e Scrittura e U. BETTI, La dottrina del concilio Vaticano
II sulla trasmissione della rivelazione.
12 Cfr. A. IBÁÑEZ ARANA, Inspiración, inerrancia e interpretación.
13 Cfr. S. SALATI, La Chiesa e la sua Scrittura.
14 Cfr. D. CUEVAS GÁMEZ, Placuit Deo in sua bonitate seipsum revelare.
15 Cfr. G. MONTALDI, In fide ipsa essentia revelationis completur.
16 Cfr. M. MOLINA PALMA, La interpretación de la Escritura en el Espíritu e F.
SCARAMUZZI, L’indispensabilità della «viva Tradizione di tutta la Chiesa».
17 Cfr. T. MCGOVERN, «The divine origin and the interpretation of the Bible», 124-129,
132-135, 144-157; H. GABEL, Inspirationsverständnis im Wandel, 97-116; F. ALENCHERRY,
The truth of Holy Scripture according to Vatican II, 111-119; B. HARRISON, The teaching
16
Arana, che ha riferito circa la metà di tali osservazioni18. La presente opera, che tratta anche del numero 11 della Dei Verbum, rientra in questa lunga
fila come l’ultimogenito.
4. Il presente studio
La miniera non si è esaurita, anzi. Da una prospettiva meramente materiale e quantitativa, riguardo a DV 11 c’è ancora da esaminare almeno
l’altra metà (quella non presa in considerazione da Andrés Ibáñez Arana)
delle osservazioni dei padri conciliari su questo numero che si trovano
negli AS. In questa sede si intende di averle riferite tutte per la prima volta
(infatti, un solo numero della Dei Verbum porta con sé un volume di osservazioni dei padri conciliari molto più esteso di quanto si immagini). È vero
che, pur essendo un lavoro di pregio, gli AS non sono tuttavia un’opera
perfetta. Menzionando qui esempi già indicati da altri autori19 e che non
riguardano DV 11, ci sono imprecisioni nel contenuto delle osservazioni e nei riferimenti, e mancano addirittura delle osservazioni stesse che
vennero regolarmente consegnate alla segreteria del concilio. Ma, se non
sono come una fotografia perfetta e ad alta definizione delle osservazioni
dei padri conciliari, gli AS sono almeno come un dipinto di gran valore
che ne offre un ritratto fedele. Oltretutto, gli AS rimangono tuttora l’opera
fondamentale per l’accesso all’insieme di tali osservazioni, nonché l’unica
che lo permette in un modo agevole. Poiché di fatto «gli Acta synodalia
ci danno un’immagine fedele di quanto avvenne nel concilio»20, di per sé
l’esposizione complessiva e finora inedita delle osservazioni sul numero
11 ha un valore speciale.
Poi, e più importante, c’è da considerare questo vasto materiale in modo
teologico-sistematico. Siffatta impresa è ben più impegnativa rispetto a
elencare semplicemente in successione ciò che ciascun padre conciliare ha
manifestato. Ma è anche più feconda. Rende possibile che si colga meglio
la reale portata non solo di ciascuna osservazione, ma soprattutto dell’inof pope Paul VI on Sacred Scripture, 166-184; J. GILE, Dei Verbum: theological critiques
from within Vatican II, 214-238.
18 Cfr. A. IBÁÑEZ ARANA, Inspiración, inerrancia e interpretación; una recensione in
M.A. TÁBET, «A. Ibáñez Arana, Inspiración, inerrancia e interpretación».
19 Cfr. U. BETTI, «A proposito degli Acta synodalia», 16-23 e J.O. BEOZZO, A Igreja do
Brasil no concílio Vaticano II, 271.
20 V. CARBONE, «Genesi e criteri della pubblicazione degli atti del concilio», 593.
17
sieme della riflessione dei padri conciliari. Trattandosi di uno studio in
Teologia Fondamentale, tale comprensione approfondita è a dir poco auspicabile.
Quindi tutto ciò va fatto non solo alla luce della dottrina cattolica preconciliare sull’ispirazione, ma anche delle riflessioni teologiche che si svolgevano alla vigilia del Vaticano II. Evidentemente le osservazioni sul tema
dell’ispirazione che i padri conciliari hanno sviluppato nel corso dell’assise non sono spuntate fuori dal nulla, ma si sono inserite in quest’orizzonte dottrinale e teologico allora disponibile. Alla vigilia del concilio, la
dottrina ecclesiale e le riflessioni dei teologi cattolici offrivano difatti un
considerevole volume di spunti rilevanti sul tema dell’ispirazione biblica,
che in questa sede verranno tempestivamente considerati.
Infine, l’insieme della riflessione teologica sull’ispirazione che i padri
conciliari hanno sviluppato durante il Vaticano II va collocato nel suo alveo
naturale. Il quale sarebbe stato evidenziato da Benedetto XVI nel 200521. Si
tratta dello scopo conciliare determinato da Giovanni XXIII nel discorso di
apertura Gaudet Mater Ecclesia. Tale discorso ha palesato subito all’inizio
del Vaticano II lo scopo, la direzione e i limiti dei lavori che stavano allora
per incominciare. Nella presente opera, le osservazioni dei padri conciliari
sul tema dell’ispirazione della Sacra Scrittura vengono inquadrate in tale
cornice essenziale. Nessun altro autore che abbia lavorato su DV 11 e sugli
AS impiegò il discorso Gaudet Mater Ecclesia come chiave della genesi di
questo numero della costituzione conciliare. Insomma, è tenendo presente
lo scopo stabilito da Giovanni XXIII per il Vaticano II che la presente opera
studia l’iter di composizione della dottrina conciliare sull’ispirazione biblica che si trova in DV 11.
La base metodologica dello studio sarà l’analisi delle osservazioni dei
padri conciliari che sono state prese in considerazione, durante il Vaticano
II, per stilare il documento sulla rivelazione (che nel corso dell’assise era
citato come De divina revelatione anziché Dei Verbum). Si tratta di ricostruire, secondo l’adesione o meno dei padri alle direttive fissate nel
summenzionato discorso di apertura, il processo della genesi teologica del
numero 11 svoltosi a concilio avviato. Vengono individuate negli AS tutte
le osservazioni, sia scritte che orali, dei padri conciliari sul numero 11 del
documento sulla rivelazione divina. Sono le osservazioni che sono state effettivamente esaminate, dalla commissione conciliare incaricata, nel
processo di comporre, modificare e arricchire il testo.
21
18
Cfr. BENEDETTO XVI, «Ad Romanam Curiam ob omina natalicia».
Metodologicamente, inoltre, la ricerca ha una netta dimensione storicocronologica, ma è anzitutto teologico-sistematica. L’iter redazionale del
De divina revelatione - Dei Verbum si divide in quattro tappe cronologiche,
che verranno successivamente presentate nel capitolo principale. Di ciascuna tappa sarà mostrata, in un primo tempo, la storia della redazione; in
un secondo tempo – quello principale – saranno quindi presentate in modo
teologico-sistematico le osservazioni attinenti al numero 11 sull’ispirazione della Sacra Scrittura. Per comporre la storia della redazione delle diverse
tappe del numero 11, l’esposizione si basa fondamentalmente sulle abbondanti informazioni contenute negli AS, nonché su altre tre opere di spicco
in questo campo: quelle di Umberto Betti (in seguito, Betti-Cronistoria),
Giovanni Caprile (in seguito, Caprile) e Riccardo Burigana (in seguito,
Burigana)22. Ma il presente studio si serve spesso di opere anche in altre
lingue; qualora sia necessario citarle, lo si fa sempre in italiano per comodità di lettura. Le traduzioni sono senza eccezione del presente autore.
Il capitolo principale è preceduto da un altro che prospetta l’inquadratura
sia storica che teologica della dottrina sull’ispirazione biblica alla vigilia del
concilio Vaticano II. Tale primo capitolo getta le basi per la comprensione
arricchita sia dello scopo stabilito da Giovanni XXIII nel discorso inaugurale dell’assise, sia degli sforzi compiuti dai padri conciliari alla luce di questo, per comporre DV 11. Inoltre, un terzo e ultimo breve capitolo esamina
due presentazioni sul tema dell’ispirazione biblica all’indomani del concilio, e indica sommariamente gli elementi portanti della riflessione teologica
cattolica postconciliare in questo campo. Tale capitolo reca alla fine anche
una riflessione personale.
Questo libro si limita a considerare le osservazioni sul tema dell’ispirazione che riguardano il testo conciliare, vale a dire il De divina revelatione
- Dei Verbum. Anche se fatte nel novembre del 1962, e quindi già a concilio avviato, non verranno considerate le osservazioni attinenti allo schema preconciliare sulla rivelazione denominato De fontibus revelationis.
Tale limite si impone per ragioni sia di ordine metodologico che pratico.
Metodologicamente, perché le osservazioni fatte nel novembre del 1962
sul De fontibus revelationis non sono state considerate dalla commissione
incaricata di comporre il testo che poi sarebbe stato chiamato costituzione
dogmatica Dei Verbum. Praticamente, perché l’analisi di tali osservazioni
estenderebbe le dimensioni di questo libro ben oltre la giusta misura.
22 Cfr. U. BETTI, «Cronistoria della costituzione dogmatica sulla divina rivelazione»;
G. CAPRILE, Il concilio Vaticano II e R. BURIGANA, La Bibbia nel concilio.
19
In questa sede, un altro limite che si fa doveroso è lasciare da parte una
serie di fonti quali:
– gli atti e i documenti che riguardano il periodo preconciliare;
– i verbali della commissione conciliare incaricata di redigere lo schema sulla rivelazione;
– i diversi fondi, diari e relazioni23 provenienti dai membri e dai periti
di tale commissione conciliare.
Tale scelta viene compiuta sia per contenere il numero di pagine, sia
per focalizzare la riflessione teologica sull’ispirazione biblica sviluppata
dai padri conciliari durante il Vaticano II. Quelle fonti così numerose e
particolareggiate vengono lasciate da parte allo scopo di dare il debito peso
all’elemento più importante, e tema vero e proprio del presente studio: la
considerazione teologico-sistematica delle osservazioni dei padri conciliari
sul De divina revelatione. Il che altrimenti si presenterebbe come diluito, o
addirittura smarrito, fra le altre sezioni. Tali osservazioni dei padri conciliari hanno effettivamente costruito la dottrina cattolica sull’ispirazione della
Scrittura presentata dal concilio Vaticano II.
Infine, un altro limite è quello di circoscrivere la considerazione delle
riflessioni teologiche sull’ispirazione all’ambito cattolico, che offre di per
sé un campo di analisi assai considerevole.
***
Il noto biblista Pierre Grelot ha già sottolineato che «il lettore che
ignora il tenore delle discussioni conciliari può avere l’impressione che
il contenuto di [DV 11 e del terzo capitolo della Dei Verbum] sia molto
semplice, forse perfino che non apporti granché di nuovo»24. Ora però incominciamo un percorso nel quale si vedrà il consistente arricchimento
qualitativo raggiunto dalla dottrina cattolica nel campo dell’ispirazione
della Sacra Scrittura. Questo è accadduto quando sono state evidenziate
le nozioni personali di rivelazione e di verità appartenenti al depositum
fidei, che è Cristo stesso. Spronata da Papa Giovanni XXIII, con il Gaudet
Mater Ecclesia, ad abbracciare l’atteggiamento della medicina della misericordia, la Chiesa Cattolica ha potuto riscoprire nella sua dottrina la
centralità di Gesù di Nazareth, attuando così quell’incontro della faccia di
Gesù risorto, a salute, a letizia delle genti umane. Per far questo ha dovuto accantonare il comportamento di controffensiva aggressiva che l’aveva
contraddistinta nei secoli anteriori.
23
24
20
Cfr. l’esteso elenco di tali fondi, diari e relazioni in Burigana, 21-26.
P. GRELOT, «Commentaire du chapitre III», 347.
Capitolo 1
La dottrina sull’ispirazione alla vigilia del Vaticano II
In tempi più recenti, la Chiesa, con ancora maggiore ardore e
cura, ha assunto la protezione e la difesa dei Libri Sacri perché la
loro origine divina e la loro giusta interpretazione erano minacciate da speciali pericoli1.
Pio XII
La frase del primo paragrafo dell’enciclica Divino afflante Spiritu nel
1943 illustra l’atteggiamento generale della teologia cattolica sin dall’Ottocento, e serve pure a descrivere quello prevalente negli anni seguenti
all’enciclica, alla vigilia del concilio Vaticano II.
Gli “speciali pericoli” erano gli attacchi accesi alle fondamenta della
Chiesa che avvenivano ormai da qualche secolo. Per diversi motivi e da
soggetti diversi erano sferrate pesanti cariche all’autorità, la dignità e la verità di Dio, di Cristo, della rivelazione, della Scrittura e della Tradizione.
La Chiesa Cattolica, allora, con tanto di ardore e di cura, ne ha assunto la
protezione e la difesa.
Una parte importante di tali difese cattoliche ha rafforzato appunto l’enunciazione dell’origine divina della Sacra Scrittura. Ne sono stati esempi le tre
encicliche bibliche sorte nell’arco di solo mezzo secolo: Providentissimus
Deus di Leone XIII nel 1893, Spiritus Paraclitus di Benedetto XV nel 1920
e la suddetta Divino afflante Spiritu di Pio XII. Queste encicliche hanno
determinato i lineamenti-guida della riflessione cattolica riguardo all’ispirazione della Bibbia.
In base all’impostazione fissata dalle encicliche, le riflessioni teologiche
più approfondite sull’ispirazione biblica sono stati indubbiamente i trattati.
Questi, in modo assai sistematizzato, svolgevano l’argomento dell’origine
1
PIO XII, «Divino afflante Spiritu», 297-298.
21
divina della Scrittura evidenziandone l’inerranza quale conseguenza logicamente necessaria: poiché Dio non mente, né si sbaglia, non ci sono errori
nella Parola divina messa per iscritto. È stato specie con questi trattati che
la riflessione cattolica sul tema è giunta al decennio antecedente al concilio
Vaticano II. Erano ormai oltre settant’anni che tale studio giaceva sul “letto
di Procuste dell’inerranza”2.
Il risalto dato all’inerranza nella riflessione sull’ispirazione non è stato,
quindi, slegato dalle vicende di carattere storico-teologico vissute dalla
Chiesa Cattolica nei secoli anteriori, bensì ha avuto, con quelle vicende,
stretti rapporti. È sorto, infatti, all’interno di un contesto ecclesiale e teologico molto conflittuale. Esso va considerato se vogliamo comprendere l’atteggiamento teologico che lo ha procurato, e meglio afferrare la riflessione
che si sarebbe svolta durante il concilio Vaticano II. Partendo da questo
spunto, saranno dunque esaminati nel presente capitolo:
– dapprima e per sommi capi, gli elementi più importanti del contesto
storico;
– in un secondo momento, la connessione tra il concetto di ispirazione
e quello di inerranza; nel corso di questa esposizione sommaria ci
limiteremo a delle illustrazioni raccolte dai testi del Magistero;
– saranno in seguito esaminati due trattati sull’ispirazione biblica
pubblicati a partire dal 1949, ossia nel decennio anteriore all’annuncio del concilio Vaticano II; gli autori sono Georges Courtade e
Sebastian Tromp3;
– si vedrà infine lo spuntare di nuove riflessioni sull’ispirazione che
portavano approcci irreperibili nei trattati.
1. Contesto storico anteriore
Da qualche secolo la Chiesa Cattolica si trovava ad essere attaccata su
tre fronti:
2 L’espressione è di M. ADINOLFI, «La problematica dell’ispirazione prima e dopo la Dei
Verbum», 278-279. Procuste fu uno degli avversari che Teseo, eroe mitico greco, dovette
affrontare sulla strada che portava ad Atene. Procuste catturava i viandanti e li stendeva su
un letto al quale pareggiava la loro lunghezza. Da quelli più lunghi, l’eccesso veniva amputato nelle gambe, mentre quelli più corti erano stirati con pesi. La figura del letto di Procuste
appare anche in J. COPPENS, «L’inspiration et l’inerrance bibliques», 56 e W. HARRINGTON,
«The inspiration of Scripture», 3.
3 Cfr. G. COURTADE, «Inspiration et inerrance» e S. TROMP, De Sacrae Scripturae inspiratione.
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– l’opposizione della riforma protestante;
– lo scontro con l’illuminismo;
– gli attacchi allo Stato Pontificio.
I dissensi, tante volte, diventavano accese offensive sia contro il suo potere temporale, sia contro le fondamenta dell’esistenza della Chiesa quali
Dio, il Cristo, la rivelazione, la Scrittura e la Tradizione.
Nell’Ottocento e nel Novecento il conflitto si fece più acuto. Ne è
un’espressione la frase dell’enciclica Mirari vos di Gregorio XVI nel
1832: «non più segretamente e per via sotterranea è attaccata la fede cattolica, ma già apertamente e pubblicamente le si è mossa una guerra orrenda
e nefanda»4.
Oltre alle minacce allo Stato Pontificio – e poi la sua perdita nel 1870
– ci furono aspri attacchi a Dio, a Cristo, alla rivelazione, alla Scrittura
e alla Chiesa fiduciaria del depositum fidei. «Nasce, o forse meglio si
sviluppa un’ostilità aperta e senza quartiere contro la Chiesa; […] molti
[…] vogliono distruggerla del tutto, convinti così di recare un gran bene
all’umanità»5.
Le affermazioni avversarie attaccavano la religione al cuore della sua
autorità e verità: la Chiesa Cattolica non serve, il cristianesimo non è valido, la rivelazione è invenzione. I pastori erano ben consapevoli dell’offensiva che veniva sferrata. Pio IX scrisse già nella sua prima enciclica, Qui
pluribus, nel 1846:
In questa nostra età lamentevole è destata una vigorosissima e
spaventosissima guerra contro tutto ciò che è cattolico da quegli uomini […]
che odiano la verità e la luce, imbroglioni competentissimi [che] tramano
di sovvertire tutti i diritti divini e umani, di smuovere, di danneggiare e
anzi, se mai possono, di annientare sin dalle fondamenta la religione
cattolica e la società civile. Voi, venerabili fratelli, sapete infatti che questi
nemici accaniti del nome cristiano […] non si vergognano di insegnare
palesemente e pubblicamente che i misteri sacrosanti della nostra religione
sono fantasticherie e invenzioni degli uomini, che la dottrina della Chiesa
Cattolica si oppone al bene e all’interesse della società, e che nemmeno
temono di ripudiare Cristo e Dio6.
4
GREGORIO XVI, «Mirari vos», 338.
G. MARTINA, Storia della Chiesa, II, 281.
6 PIO IX, «Qui pluribus», 154, 156.
5
23
L’attacco su tre fronti fece da sfondo all’intera vita ecclesiale. La Chiesa
Cattolica andò sviluppando, in questo contesto, sia un atteggiamento altrettanto aggressivo, sia parecchie difese contro le affermazioni avversarie.
La marea di attacchi subiti lasciò la sua impronta sulla vita della Chiesa
Cattolica in generale. Essa non patì impassibilmente, né stoicamente la valanga di aggressioni, ma passò piuttosto alla controffensiva. Vedendo così
aspramente combattute l’autorità e la verità del depositum fidei, i pastori
non potevano che rimanere allibiti e innanzitutto sforzarsi di proteggere il
gregge contro ciò che, in coscienza, vedevano come pericoloso. Affrontati
duramente, non risparmiarono sforzi nello svolgere tale compito.
La Chiesa fece allora il biasimo del territorio nemico. Contrattaccò frontalmente le linee di coloro che l’affrontavano, criticò radicalmente gli errori
dell’altra parte. Non si può negare il relativo valore di tale controffensiva che
portò avanti una critica radicale. La storia mostrò, infatti, che gli attaccanti,
sia la riforma protestante che le correnti sulla scia dell’illuminismo, portavano con sé degli elementi incompatibili con la rivelazione cristiana. I primi
avevano la pretesa di accedere alla rivelazione separatamente dall’immane
patrimonio che la comunità di fede risalente ai tempi degli scrittori biblici si
faceva carico con difficoltà. Siccome «la Scrittura non è sufficiente a farci
conoscere il suo senso»7, è appunto tale patrimonio vivo – la Tradizione –
che trasmette l’orientamento interpretativo fedele alle esperienze fondanti
di coloro che hanno prodotto la Bibbia. I secondi, a loro volta, pretesero
spesso di fondare un mondo e una società estranea a Dio «che dà a tutti la
vita» (At 17,25) e a «Cristo che è la vostra vita» (Col 3,4).
Il biasimo del Magistero si svolse specie mediante encicliche e decreti papali, e le costituzioni del primo concilio Vaticano. I documenti più
tipici del periodo furono: Mirari vos (1832) di Gregorio XVI, Qui pluribus (1846), Quanta cura e Syllabus (1864) di Pio IX, Dei Filius e Pastor
Aeternus (1870) del concilio, Humanum genus (1884) di Leone XIII,
Lamentabili (1907) del Sant’Uffizio, Pascendi (1907) di Pio X e Humani
generis (1950) di Pio XII.
Oltre a eseguire la controffensiva direttamente sul territorio nemico,
cioè sugli errori degli avversari, gli attacchi subiti rinsaldarono le linee di
difesa dentro il proprio territorio. La Chiesa Cattolica non soltanto contrattaccò l’avversario che affrontava la verità e la dignità del depositum
fidei, ma riaffermò altresì l’autorità al suo interno, verso il proprio greg-
7
24
Y. CONGAR, La Tradition et les traditions, 142.
ge. Le vicende conflittuali generarono l’affermazione intensa dell’autorità,
della verità e della dignità anche verso i propri elementi ecclesiali.
Gli attacchi subiti rafforzarono inoltre un atteggiamento acuto e diffuso
di diffidenza e di controffensiva nei riguardi di tutto ciò che si mostrava
come nuovo e moderno, ritenuto sostanzialmente come proveniente dal
territorio nemico. Per nuovo e moderno si capiva in modo generale tutto
quanto connesso agli ideali della rivoluzione francese, letta soprattutto a
partire dai suoi orrori8. Si considerava a priori come cattivo quanto era
proposto dagli avversari, e chi sposava quegli ideali da combattere e da
biasimare era reputato un nemico. Giacomo Martina commentò:
In realtà le condizioni della Chiesa durante tutto l’Ottocento a prima vista
appaiono tutt’altro che rosee. L’autorità della Santa Sede nella politica
internazionale è quasi del tutto scomparsa […]. Ben più grave, però, è il
solco che si è formato fra la Chiesa e il mondo moderno, che sembrano
procedere per vie del tutto opposte. […] La Chiesa guarda con sospetto
alle nuove correnti della scienza e cerca di difendersi con inefficaci
proibizioni. […] Per buona parte dell’Ottocento il Vaticano e molta parte
dell’episcopato hanno resistito questo adeguamento, non tanto per inerzia,
quanto per le difficoltà intrinseche che esso implicava; non era agevole
fondare teoricamente e praticamente le nuove strutture, soprattutto in un
momento in chi si era attaccati da tutte le parti9.
Ma la vita ecclesiale cattolica era più vasta di una mera cittadella arroccata, di una torre assalita da tutte le parti, di un’isola assediata e sulla
difensiva. L’atteggiamento della Chiesa non si limitò a una mera reazione
di controffensiva a degli attacchi. Oltre alla controffensiva, era presente
anche una dinamica creatività. Elementi vitali spuntavano nella vita ecclesiale. Si realizzavano risposte non primarie agli attacchi subiti. C’erano in
genere parecchie manifestazioni di saggia e ponderata apertura che giungevano a toccare perfino l’orizzonte delle riflessioni teologiche.
Sia la controffensiva che l’apertura agivano insieme nel cuore stesso
del soggetto-Chiesa, e non di rado anche nel cuore dei singoli individui.
Al di là della ristretta divisione tra buoni o cattivi, era presente anche uno
sguardo più approfondito, che porgeva elementi di apertura ai segni dei
tempi. La Chiesa Cattolica si faceva a poco a poco più accogliente di quel8
9
Per quanto segue, cfr. G. MARTINA, Storia della Chiesa, III, 159-188.
G. MARTINA, Storia della Chiesa, III, 102-103.
25
lo che nel moderno era positivo e, in questo senso, si rinnovava. Ne sono
delle testimonianze:
– la liberazione dalle ingerenze dei poteri temporali che, ad esempio,
fino all’Ottocento avevano indetto i concili o erano quantomeno presenze doverose in essi10;
– il fiorire di nuove forme di vita religiosa o secolare che portavano
donne e laici all’azione apostolica;
– il movimento liturgico;
– gli inizi della diffusa istituzione delle gerarchie locali nel Terzo
Mondo;
– la dottrina sociale della Chiesa;
– il rinnovamento biblico e quello patristico;
– gli inizi dell’ecumenismo.
La controffensiva e l’apertura, pur essendo entrambe presenti nel medesimo soggetto ecclesiale e, a volte, in soggetti individuali, furono però
nettamente distinte per quanto riguarda la relativa prevalenza e intensità.
L’atteggiamento ecclesiale cattolico rimase essenzialmente quello del contrattacco, dell’opposizione al territorio nemico, della dicotomia quasi manichea fra il tradizionale e il moderno. Soltanto in modo secondario fu un
atteggiamento di apertura. Così che, in modo particolare nel campo della
Sacra Scrittura e dell’ispirazione biblica, coloro che si credevano in dovere di approfittare dei metodi storico-critici moderni si trovavano «nella
condizione di quelli che, in tempo di guerra, per un buon senso di giustizia
e di verità, sono disposti a riconoscere ciò che di buono ci può essere nel
campo nemico»11.
2. Il binomio ispirazione e inerranza
Quantunque succinta, la considerazione del contesto storico anteriore
al concilio Vaticano II è essenziale in questa sede perché la teologia cattolica in genere, e la riflessione sull’ispirazione biblica in particolar modo,
10
Per esempio, il concilio di Efeso nel 431 fu indetto dall’imperatore Teodosio, e quello di Calcedonia nel 451 dall’imperatore Marziano, cfr. le introduzioni rispettivamente a
DH 250 e 300. Fino a Trento, secondo antichissima consuetudine, si invitavano doverosamente ai concili i capi di Stato, cfr. G. MARTINA, Storia della Chiesa, III, 276. Il Vaticano
I, invece, si approfittò dell’indipendenza ecclesiale riguardo ai poteri temporali. «Nessun
altro concilio, nell’età antica come in quella moderna, si svolse con tanta libertà da parte
delle autorità civili»; G. MARTINA, Storia della Chiesa, III, 281.
11 G. CASTELLINO, «L’inerranza della Sacra Scrittura», 39.
26
si lasciavano pervadere da quel vivo atteggiamento controffensivo12. Le
affermazioni avversarie colpivano il cuore stesso della teologia: la Chiesa
Cattolica non sarebbe stata necessaria, il cristianesimo e la rivelazione cristiana sarebbero stati delle invenzioni. La risposta cattolica rafforzò allora
notevolmente tale nucleo, con argomenti riguardo all’autorità, alla verità e
alla dignità di questo. All’interno della risposta cattolica in generale, toccò
alla riflessione sull’ispirazione biblica un compito molto importante: la
protezione e la difesa dell’origine divina della Sacra Scrittura. L’inerranza
della Bibbia venne parallelamente accentuata con lo scopo di asserirne
l’insuperabile eccellenza.
Essendo un contesto del tutto particolare nella storia della Chiesa, altrettanto particolare fu la conseguenza, quella cioè di dare risalto all’ispirazione e all’inerranza. Infatti, fino a pochi secoli prima, non era questa l’aria
che si respirava in questo campo. Come si vedrà in seguito, i due concetti
non furono espressamente legati dal Magistero se non in epoca tardiva,
allo scopo appunto di proteggere e difendere la Sacra Scrittura dagli speciali pericoli a cui si sarebbe rifatta l’enciclica Divino afflante Spiritu.
2.1. Ispirazione
Il verbo latino inspirare significa soffiare dentro. L’uso ecclesiale dei
termini intorno al suo radicale inspir- è antico. Tale uso era però generico, ossia non esclusivamente vincolato alla composizione della Bibbia. In
questo senso, già il sinodo di Orange nel 529 aveva affermato:
– «Se qualcuno […] assicura che si può, senza l’illuminazione e l’ispirazione [c.m.] dello Spirito Santo, […] pensare […] o scegliere […]
quanto riguarda alla salvezza […]» (DH 377).
Adoperato in senso generico, troviamo il medesimo termine circa nove
secoli dopo, in un’affermazione del concilio di Firenze del 1442:
12 Il titolo di un libro del 1905 illustra quello spirito cattolico di allora: La lotta per la verità della Sacra Scrittura da venticinque anni (cfr. L. FONCK, Der Kampf um die Wahrheit der
Heiligen Schrift seit fünfundzwanzig Jahren). Ha diversi capitoli riguardanti l’ispirazione
biblica e spesso vi ricompare il tema dell’inerranza. Il secondo capitolo considera l’ispirazione dall’età patristica al Vaticano I, il quarto gli insegnamenti sull’ispirazione nell’enciclica
Providentissimus Deus, il sesto tratta dell’aspetto divino dell’ispirazione, e l’ottavo di quello
umano. L’autore, Leopold Fonck, fu un biblista importante e fiero oppositore del domenicano Marie-Joseph Lagrange. Fonck, gesuita e professore ad Innsbruck, Austria, sarebbe stato
poco dopo nominato primo rettore dell’appena creato Pontificio Istituto Biblico.
27
– «i santi di tutti e due i Testamenti parlarono per ispirazione [c.m.]
dello Spirito Santo» (DH 1334).
Il concilio di Trento applicò inspirare per riferirsi all’azione postbiblica
dello Spirito Santo. Riguardo alla formazione della Bibbia, Trento scrisse:
– «sia mantenuta […] la purezza stessa del vangelo che […] Gesù
Cristo […] proclamò […] come fonte di ogni verità salvifica e di
ogni regola di comportamento; tale verità e regola è contenuta nei
libri scritti e nelle tradizioni non scritte, [… ricevute] dagli apostoli
sotto dettatura dello Spirito Santo» (DH 1501).
Il medesimo concilio affermò in due occasioni, per quanto riguarda
l’azione postbiblica dello Spirito Santo:
– «quando Dio tocca il cuore umano con l’illuminazione dello Spirito
Santo, non si può dire che il medesimo uomo, ricevendo quell’ispirazione, [c.m.] non faccia assolutamente nulla» (DH 1525);
– «se qualcuno dice che l’uomo può credere […] senza l’ispirazione
[c.m.] e l’ausilio precedente dello Spirito Santo» (DH 1553).
Secoli dopo, il concilio Vaticano I avrebbe usato inspirare due volte
riguardo alla composizione della Sacra Scrittura:
– «Questi [libri biblici …] scritti per ispirazione [c.m.] dello Spirito
Santo» (DH 3006);
– «Se qualcuno nega che gli interi libri della Sacra Scrittura, con tutte
le loro parti, […] siano divinamente ispirati [c.m.], sia anatema»
(DH 3029).
Il medesimo concilio Vaticano I avrebbe usato inspirare due volte circa
l’azione postbiblica dello Spirito:
– «Nessuno [citando allora il sinodo di Orange] “può consentire […]
senza l’illuminazione e l’ispirazione [c.m.] dello Spirito Santo”»
(DH 3010);
– «Se qualcuno dice […] che gli uomini devono muoversi alla fede
dalla sola esperienza o ispirazione [c.m.] privata, sia anatema» (DH
3033).
2.2. Inerranza
Riguardo alla fede nell’esenzione da errore della Scrittura, si può rilevare qualche riferimento sparso qua e là nel Magistero. Nel 1323, in
una polemica con alcuni francescani, Giovanni XXII scrisse che «è ere28
tica [… una determinata] asserzione […] che suppone palesemente che la
Scrittura Sacra contenga il lievito della menzogna» (DH 930).
Nel 1351, Clemente VI determinò che fosse domandato a ogni membro della gerarchia armena «se hai creduto e credi che il Nuovo e Antico
Testamento, in ogni libro, […] contenga sotto ogni aspetto la verità indubitabile» (DH 1065).
D’altronde queste due dichiarazioni del Trecento sono importanti perché, malgrado la loro semplicità, vi si possono rilevare le due forme essenziali di affermazione dell’inerranza che saranno impiegate fino al concilio
Vaticano II. In un primo momento, nella dichiarazione del 1323, si trova la
forma negativa – o d’ora in poi forma A – in cui l’asserzione dell’esenzione
da errore si fa mediante la negazione di un elemento negativo. Nel caso in
questione, l’elemento negativo è l’analogia del “lievito della menzogna”,
che vuol dire la minima quantità di menzogna o di falsità. Tale elemento
viene negato attraverso la proclamazione di eresia.
In questa prima categoria si annoverano le espressioni stesse inerranza ed esenzione da errore, dove l’elemento negativo è evidentemente la
parola errore, e la sua negazione si compie, rispettivamente, mediante il
prefisso in- e il sostantivo esenzione. La forma A sarà quella predominante
fino alla costituzione Dei Verbum del concilio Vaticano II.
In un secondo momento, nella dichiarazione del 1351, si trova la forma mista, o d’ora in poi forma B. Questa è composta dal termine positivo
verità e da un qualificativo di negazione. Nel caso in questione, tale qualificativo è l’aggettivo indubitabile.
Questa seconda categoria sarà in seguito poco utilizzata, sia dal
Magistero che dai teologi. Durante il concilio Vaticano II, la successione
delle due forme si farà ben evidente nell’iter di elaborazione di DV 11.
Dapprima si adopererà la forma A, poi la forma B, che sarà quella impiegata nel testo finale.
Dopo le due dichiarazioni del Trecento, c’è un periodo vuoto per ciò
che riguarda le direttive del Magistero sull’inerranza biblica. Va fatto
perciò un balzo in avanti fino al 1846. Allora, e utilizzando la forma A,
l’enciclica Qui pluribus di Pio IX avrebbe menzionato il carattere esente
da errore della rivelazione allo scopo di mostrare la superiorità della fede
sulla ragione:
La religione stessa acquista ogni sua forza dall’autorità di Dio stesso
che parla […]. Bisogna di certo che la ragione umana […] consideri
attentamente la rivelazione divina […]. Chi infatti non sa, o non può
29
sapere, che occorre avere fiducia totale nel Dio che parla, e che nulla è più
conforme alla propria ragione quanto – attaccandosi fermamente – fidarsi
di quelle cose come rivelate da Dio, il quale non può né ingannarsi né
ingannare [c.m.]?13.
La medesima espressione verrà ripresa qualche anno dopo dal concilio
Vaticano I. Nella costituzione dogmatica Dei Filius si può infatti leggere
che la Chiesa si fida della rivelazione «a causa di Dio stesso che rivela, il
quale non può né ingannarsi né ingannare [c.m.]» (DH 3008).
2.3. La connessione
I progressi delle attività scientifiche nell’Ottocento avevano cominciato
a mettere in dubbio in particolar modo l’origine divina dei Libri Sacri.
Diverse discipline scientifiche che avevano appena raggiunto un grado ragionevole di affidabilità presentavano allora una gamma di informazioni
scomode a svantaggio del testo biblico:
Dapprima la geologia e la paleontologia screditarono la concezione di
cosmo e la cosmogonia della Genesi. Poi l’archeologia indicò la presenza
di gravi divari storici nelle narrative sacre. Inoltre, man mano che furono
ritrovate opere letterarie orientali parallele, una gran parte della Scrittura fu
accusata di commettere plagio ai danni di fonti pagane. La critica testuale
del testo biblico stesso svelò che gli scrittori avevano alterato i documenti
di cui disponevano, e che avevano spesso promosso mito e leggenda ad
avvenimento storico. Tutto considerato, ci voleva ormai grande destrezza
per i teologi che avessero voluto, al tempo stesso, tenere in considerazione
l’accumulo degli elementi di sfida e ancora difendere la Bibbia quale
classica Parola di Dio esente da errore14.
Come era già accaduto in altre epoche, quando erano sorti nuovi metodi, così anche in quel tempo «si sperimentò [nel campo dell’ispirazione]
una nuova crisi fatta dal travaglio di adeguare il sapere tradizionale alle
nuove esigenze scientifiche»15. Affrontata da tali sfide enormi, la Chiesa
13
PIO IX, «Qui pluribus», 158.
J. BURTCHAELL, Catholic theories of biblical inspiration, 2.
15 G. CASTELLINO, «L’inerranza della Sacra Scrittura», 26.
14
30
Cattolica difese la verità e l’origine divina della Bibbia mediante l’asserzione del binomio ispirazione e inerranza.
Già nel 1870 il concilio Vaticano I affermò l’esenzione da errore della
rivelazione scritturistica, ma presentandola come criterio non sufficiente
per l’affermazione del carattere sacro della Bibbia: «In realtà la Chiesa
considera questi [libri biblici] come sacri e canonici non […] solo perché
contengono la rivelazione senza errore [c.m.], ma perché, scritti per ispirazione [c.m.] dello Spirito Santo, hanno Dio come autore» (DH 3006).
L’affermazione dell’ispirazione biblica si agganciava così con quella
dell’esenzione da errore, benché il Magistero in quel momento soltanto
avesse asserito il carattere relativo, non sufficiente dell’inerranza della
Scrittura. Qualche anno dopo, in compenso, l’enciclica Providentissimus
Deus assegnò un rango notevole a tale componente relativa. Pur di contrastare i pericoli che minacciavano l’origine divina e la giusta interpretazione della Bibbia, la Chiesa ne assunse la protezione e la difesa con ancora
maggiore ardore e cura. Ispirazione e inerranza furono messe in campo e
l’una a fianco dell’altra per il combattimento, proprio al fronte. Stavano
schierate sulla prima linea di difesa che fronteggiava il nemico, incorporate nel reparto che combatteva coloro che sminuivano l’autorità divina
della Sacra Scrittura. Ci troviamo così immersi nel clima di scontro che
dominava l’intera vita ecclesiale.
L’enciclica Providentissimus Deus di Leone XIII nel 1893 divenne
un riferimento magisteriale fondamentale nel campo degli studi biblici.
L’enciclica incitò sia alle ricerche delle scienze bibliche, che alla conoscenza approfondita delle lingue ebraica e greca16. Inoltre, la direttiva
pontificia impose ai docenti di Sacra Scrittura l’eccellenza «nella vera conoscenza dell’arte critica»17 e fece il paragone della Bibbia come l’anima
dell’intera teologia18.
L’enciclica nondimeno rispecchiò e rinsaldò un veemente atteggiamento di difesa dell’autorità, della dignità e della verità della Bibbia, e ostentò
una netta componente di controffensiva a tanti interpreti razionalisti del
Libro Sacro. «Non permettiamo che essa [la rivelazione] sia violata in nessuna parte da coloro che […] si scagliano contro la Sacra Scrittura con
empia audacia»19, affermò il pontefice, aggiungendo poi che «non siamo
capaci di deplorare a sufficienza come tale assalto si fa progressivamente
16
Cfr. LEONE XIII, «Providentissimus Deus», 278-285.
LEONE XIII, «Providentissimus Deus», 285.
18 Cfr. LEONE XIII, «Providentissimus Deus», 283.
19 LEONE XIII, «Providentissimus Deus», 270.
17
31
più esteso e acuto»20. Asserì Leone XIII che, mediante gli esempi di Cristo
e degli apostoli, «tutti comprendono, soprattutto i principianti nell’esercito sacro [c.m.], quanto si devono stimare le Lettere Divine, e con che
cura e devozione devono accostarsi ad esse come a un arsenale [c.m.]»21.
Citando qui le parole posteriori di Pio XII, in quel documento infatti «la
prima e massima preoccupazione di Leone XIII fu quella di esporre la verità dei Libri Sacri e proteggerla dagli attacchi»22.
La Providentissimus Deus impiegò il termine ispirazione nel senso limitato alla composizione biblica, e lo unì all’affermazione dell’esenzione
da errore della Scrittura. Lo fece attribuendo al binomio non un’importanza secondaria, bensì dandogli un posto essenziale in un’enciclica riguardante i Sacri Libri. Nel passo dell’enciclica riportato in seguito, va inoltre
osservato il fondamento logico che giustifica l’inerranza: se il Sacro Libro
è ispirato da Dio, è quindi esente da errore poiché il suo autore è la somma
verità. Tale modo di fondare l’inerranza avrebbe avuto fortuna nell’ambito
cattolico fino al Vaticano II:
Ma non è assolutamente ammissibile né limitare l’ispirazione [c.m.] solo
ad alcune parti della Sacra Scrittura, né concedere che l’autore sacro stesso
abbia errato [c.m.]. Né è di certo accettabile la congettura di coloro che […]
concedono senza esitare [che] l’ispirazione divina si estende ai temi della
fede e dei costumi, e nient’altro […]. Difatti tutti gli interi libri – con ogni
loro parte – che la Chiesa riceve come sacri e canonici, furono scritti sotto
dettatura [c.m.] dello Spirito Santo. In verità, tanto è lontano dall’ispirazione
[c.m.] che vi sia qualche errore, che anzi quella, per se stessa, esclude ogni
errore [c.m.]; li esclude e li rigetta tanto necessariamente quanto è necessario
che Dio – somma verità – non sia assolutamente autore di alcun errore. Tale
è l’antica e costante fede della Chiesa. […] Coloro che fossero dell’opinione
che alcuna falsità [c.m.] possa esser contenuta nei luoghi autentici dei Libri
Sacri, certamente o distruggono la nozione cattolica di ispirazione [c.m.]
divina o fanno diventare Dio stesso autore di errore23.
Del resto, allo scopo di asserire l’inerranza, l’enciclica adoperò la forma
A, vale a dire quella che compie la negazione di un elemento negativo. In
questo caso, l’elemento negativo che viene escluso assolutamente dall’ispi20
LEONE XIII, «Providentissimus Deus», 277.
LEONE XIII, «Providentissimus Deus», 271.
22 PIO XII, «Divino afflante Spiritu», 299.
23 LEONE XIII, «Providentissimus Deus», 288-289.
21
32
razione è tuttavia il termine errore, anziché quello di menzogna presente
nella dichiarazione di Giovanni XXII nel 1323. Anche tale espressione
della Providentissimus Deus adoperante la forma A avrebbe avuto fortuna
nell’ambito cattolico fino al Vaticano II.
Mediante l’asserzione enfatica che l’ispirazione e l’inerranza si estendono
per l’intera Scrittura, la Providentissimus Deus ebbe il netto scopo di proteggere l’autorità della Bibbia. Era un atteggiamento difensivo contro le nuove
tendenze esegetiche24. Il plurisecolare contesto ecclesiale assai conflittuale
spingeva il Magistero a una condotta vigilante ed energica che, non di rado,
dubitava di queste nuove risorse nelle quali ravvisava speciali pericoli.
Una trentina di anni dopo, nel 1920, il Magistero manifestò di nuovo la preoccupazione di proteggere la verità e l’autorità bibliche mediante un’altra enciclica, la Spiritus Paraclitus di Benedetto XV. Valendosi
dell’occasione del 1500° anniversario della scomparsa di San Girolamo, il
pontefice paragonò il suo tempo a quello del santo biblista e aggiunse che,
«se ancora fosse vivo, Girolamo […] lancerebbe quelle acutissime frecce
[c.m.], tipiche del suo stile di espressione, verso coloro che, trascurando il
sentimento e il giudizio della Chiesa, […] pensano delle opinioni sull’origine della Bibbia che minacciano oppure fanno scomparire assolutamente
la sua autorità»25.
Benedetto XV commentò inoltre che il santo dottore, «poiché era così
responsabile nel mantenere l’integrità della fede, combatteva in modo assai
energico coloro che si staccavano dalla Chiesa, i quali teneva come avversari personali [c.m.]». Aggiunse in seguito che, «come mai in nessun’altra
epoca, occorre soprattutto in questa nostra – quando non pochi rifiutano
ostinatamente l’autorità e il potere supremo della rivelazione divina e del
Magistero della Chiesa – che tutto il clero e il popolo cristiano si formino
nello spirito del dottor massimo»26.
Nella Spiritus Paraclitus il Papa ricordò la dedizione di Girolamo alla
Sacra Scrittura, quando allora «faceva valere sia con parole che con esempi
l’autorità eminentissima dei Libri Sacri»27. Benedetto XV quindi affermò:
«a sua volta, Girolamo insegna che l’immunità e l’assenza d’ogni errore
[c.m.] si trovano necessariamente unite all’ispirazione [c.m.] e alla somma
autorità di tali libri»28.
24
Cfr. J. BEUMER, Die katholische Inspirationslehre zwischen Vatikanum I und II, 31.
BENEDETTO XV, «Spiritus Paraclitus», 397.
26 BENEDETTO XV, «Spiritus Paraclitus», 403.
27 BENEDETTO XV, «Spiritus Paraclitus», 390.
28 BENEDETTO XV, «Spiritus Paraclitus», 391.
25
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Mediante le due encicliche, veniva quindi dichiarata dal Magistero
l’estensione dell’ispirazione e dell’inerranza dell’intero Libro Sacro, dalla
prima all’ultima pagina29. Tale rassicurante binomio si rese allora molto
saldo nelle presentazioni e riflessioni cattoliche circa l’origine divina della
Sacra Scrittura.
Adoperando la forma A per asserire l’inerranza biblica, l’espressione
magisteriale preferita a tale riguardo era erroris immunitas: immunità o
esenzione da errore. Curiosamente il Magistero ecclesiale non usò mai
nelle encicliche e nei documenti conciliari il termine singolo e specifico
inerrantia30; il quale, invece, nella sua semplicità, divenne comune nel
linguaggio teologico con l’obiettivo di indicare il medesimo concetto. La
Pontificia Commissione Biblica, per esempio, nel 1915 lo impiegò in una
formulazione che si sarebbe fatta ben conosciuta, quantunque – se ne sarebbe reso conto più tardi – difficile ad accordarsi con il depositum fidei31. Si
tratta di un breve documento nello stile domanda e risposta, nel quale si afferma in modo secondario l’identità pura e semplice tra l’intenzione di ogni
singolo agiografo (sia dell’Antico che del Nuovo Testamento) e quella di
Dio. Sostenendo il «dogma […] cattolico dell’ispirazione e dell’inerranza
[c.m.] della Sacra Scrittura, secondo il quale tutto quanto l’agiografo asserisce, enuncia o insinua deve essere mantenuto saldamente come asserito,
enunciato o insinuato dallo Spirito Santo»32, la Pontificia Commissione
Biblica rispose in modo affermativo alla domanda sull’ignoranza del tempo della parusia negli scritti dell’apostolo Paolo.
E portando addirittura nel titolo il binomio ispirazione e inerranza,
ecco poi alcuni titoli tipici di opere teologiche del periodo:
– De Sacrae Scripturae inspiratione atque inerrantia;
– Ispirazione e inerranza biblica;
– L’inspiration et l’inerrance bibliques33.
29 Cfr. J. BEUMER, Die katholische Inspirationslehre zwischen Vatikanum I und II, 31,
33, 50.
30 Cfr. N. CASSEM, «Inerrancy after seventy years», 189.
31 Per esempio, l’osservanza della legge di Mosè era essenziale nelle intenzioni degli
agiografi che l’avevano redatta, ma non per la Chiesa del tempo apostolico. Nel 1964 il
biblista Norbert Lohfink avrebbe trattato la questione. Se ne parlerà tempestivamente in
questa sede. Cfr. N. LOHFINK, «Über die Irrtumslosigkeit und die Einheit der Schrift», 177.
32 PONTIFICA COMMISSIONE BIBLICA, «De parousia», 357.
33 Cfr. H. van LAAK, De Sacrae Scripturae inspiratione atque inerrantia; E. FLORIT,
Ispirazione e inerranza biblica; J. COPPENS, «L’inspiration et l’inerrance bibliques».
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