SPECIALE SIRIA L`Occidente entra in scena
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SPECIALE SIRIA L`Occidente entra in scena
POLITICA Scende in campo l’altra sinistra INCHIESTA Università al capolinea DI P. GRECO SCIENZA Emergenza Alzheimer DI S. GARATTINI N. 34 | 31 AGOSTO 2013 LEFT+L’UNITÀ 2 € (0,80+1,20) Da vendersi obbligatoriamente insieme al numero del 31 agosto de l’Unità. Nei giorni successivi euro 0,80 + il prezzo del quotidiano SPECIALE SIRIA L’Occidente entra in scena TEATRO DI GUERRA di Emanuele Bompan, Paola Mirenda, Ennio Remondino, Cecilia Tosi SETTIMANALE LEFT AVVENIMENTI POSTE ITALIANE SPA - SPED. ABB. POST. D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1 DCB ROMA ANN0 XXV - ISSN 1594-123X AV V E N I M E N T I left.it AV V E N I M E N T I DIRETTORE RESPONSABILE Maurizio Torrealta [email protected] DIRETTORE EDITORIALE Donatella Coccoli [email protected] CAPOREDATTORE Cecilia Tosi [email protected] CAPOREDATTORE CULTURA E SCIENZA Simona Maggiorelli [email protected] REDAZIONE Via Luigi Turchi 17, 00153 - Roma Sofia Basso (inviato) sofi[email protected], Manuele Bonaccorsi (inviato, responsabile sviluppo web) [email protected] Paola Mirenda [email protected], Rocco Vazzana [email protected] Tiziana Barillà (segreteria di redazione) [email protected] PROGETTO GRAFICO Newton21 Roma Lorenzo Tamaro [email protected] GRAFICA Andrea Canfora leftgrafi[email protected] PHOTOEDITOR Arianna Catania leftfotografi[email protected] INFORMATION DESIGNER Martina Fiore leftgrafi[email protected] EDITRICE DELL’ALTRITALIA soc. coop. Presidente CdA: Ilaria Bonaccorsi Gardini Consiglieri: Manuele Bonaccorsi, Donatella Coccoli Via Luigi Turchi 17, 00153 - Roma Tel. 06 57289406 - Fax 06 44267008 www.left.it [email protected] PUBBLICITÀ Net1, Via Colico 21, 20158 - Milano [email protected] STAMPA PuntoWeb srl Via Var. di Cancelliera snc 00040 - Ariccia (RM) DISTRIBUZIONE SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A. Via Bettola 18, 20092 - Cinisello Balsamo (MI) Registrazione al Tribunale di Roma n. 357/88 del 13/6/88 LA TESTATA FRUISCE DEI CONTRIBUTI DI CUI LA LEGGE AGOSTO 1990, N. 250 left 31 agosto 2013 LA NOTA DI Maurizio Torrealta Teatro di guerra sempre lo stesso copione I l copione ormai è ben rodato. Prima fase: si grida alla mancanza di democrazia e di diritti umani. Seconda fase: si inviano consiglieri, che sostengono i militanti della libertà e si inventa un aggettivo per la rivoluzione in atto, può essere arancione, rosa, dei cedri, dei gelsomini, ecc. I consiglieri partecipano alle proteste e poi agli scontri: aumentando di numero e intensificando il loro coinvolgimento. Nel Vietnam arrivarono a 25mila prima della dichiarazione di guerra. Terza fase: il casus belli. È successo con il famoso incidente del golfo del Tonchino quando il cacciatorpediniere degli Stati Uniti, Maddox, fu attaccato in acque internazionali da tre cannonieri del Vietnam del nord e fu salvato dagli aerei Usa. Fu il via all’intervento americano. In realtà l’incidente non sembra essere mai avvenuto, almeno secondo le 400 pagine scritte nel 2001 da Robert Hanyok, storico della National security agency, e l’agente Matthew Aid, intervistato dal New York Times. Il Vietnam venne così martoriato da ben 7 milioni di tonnellate di bombe, circa tre volte l’esplosivo utilizzato durante la Seconda guerra mondiale. Il casus belli talvolta può essere aiutato, come nel 1991 quando Saddam avvertì l’ambasciata americana che avrebbe invaso il Kuwait e non ottenne commento di alcun genere. Ma chi tace non sempre acconsente: il Kuwait fu occupato dall’Iraq e qualche mese dopo, l’esercito di una larga coalizione di Paesi, questa volta sostenuta dalle Nazioni unite, liberarono il Kuwait e per l’abbrivio invasero anche il sud dell’Iraq. Successe anche nel 1999 per la guerra in Kossovo e in Serbia, quando senza alcun sostegno dell’Onu, Stati Uniti e Inghilter- ra bombardarono un Paese del continente europeo. Il pretesto fu l’uccisione di 45 albanesi a Racak nel Kosovo il 16 gennaio 1999, ma in realtà furono ammazzati da altre parti e trasportati di notte nello stesso posto per creare l’immagine della strage, come racconta Ennio Remondino nel suo articolo. In conseguenza della decisione della Nato, il governo D’Alema autorizzò l’utilizzo dello spazio aereo italiano. Il numero delle vittime fu nell’ordine di 10-20mila. Successe di nuovo nel 2001: un gruppo di terroristi, in maggioranza sauditi, distrussero in diretta televisiva mondiale le Torri gemelle di New York, per ritorsione fu attaccato l’Afghanistan dove si supponeva vivesse Bin Laden, il capo dei terroristi. Fu trovato e ucciso anni più tardi in Pakistan, Paese alleato degli Stati Uniti. Sempre come ritorsione all’attacco alle Torri gemelle fu invaso l’Iraq che sta all’Arabia Saudita come l’Austria all’Italia. Allora la stampa occidentale, guidata da un noto settimanale italiano, accusò Saddam di importare uranio dalla Nigeria per le armi di sterminio di massa. Notizie poi risultate basate su documenti falsi. La guerra iniziò il 20 marzo 2003 e in tre settimane gli Stati Uniti occuparono l’Iraq, Saddam venne catturato e poi condannato a morte. Dunque finalmente pace e democrazia? Non proprio. Il terrorismo etnico e religioso scatenato dall’intervento occidentale non trova da allora ancora pace. Spero non vi meraviglierete se per la Siria non partecipiamo alla messa in scena, troppo prevedibile, troppo scontata, troppo banale. Quello che rattrista è la mancanza anche solo di un’ombra di dubbio nello sguardo dei colleghi che ne parlano. Spengo il televisore, non me ne abbiate. 3 [email protected] Il presidente contro i giudici Caro direttore, è strano che i tanti critici della discussa Dichiarazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dello scorso 13 agosto abbiano concentrato la loro attenzione su due aspetti gravi (l’insistenza sulla necessità che continui il Governo Letta e lo spiraglio lasciato ad un’eventuale richiesta di grazia) ma molto meno gravi di un altro aspetto, l’assicurazione cioè che Berlusconi non andrà in carcere. Insistendo sulla necessità che continui l’esperienza di governo col Pdl, Napolitano è andato oltre le sue prerogative ma ha lasciato alle forze politiche la li- la settimanaccia 4 left.it bertà di decidere sulle future alleanze. Lasciando aperto uno spiraglio alla domanda di grazia da parte di Berlusconi, Napolitano ha suscitato aspettative che avrebbe potuto benissimo non suscitare spiegando i motivi per i quali non ci sono le condizioni per accogliere un’eventuale domanda ma, anche in questo caso, non ha fatto alcun errore formale perché non ha anticipato alcun giudizio. L’errore grave, invece, Napolitano l’ha fatto quando ha assicurato che Berlusconi non andrà in carcere perché in tal modo è intervenuto su una decisione che è di esclusiva prerogativa della magistratura. Cordiali saluti . Franco PelellaPagani(Sa) Un sindaco in regola Cara redazione, left ha sostenuto la causa dell’acqua pubblica e della ripubblicizazione della gestione dei servizi idrici. Volevo segnalare che il sindaco di Pistoia è uno dei pochissimi (forse 2 o 3) sindaci del Pd nei Comuni capoluoghi di provincia (che sono decisivi nelle sede decisionali a livello di Conferenze di Sindaci degli ex Ato) sinceramente e coerentemente impegnati nel difficilissimo percorso che è necessario per dare attuazione all’esito referendario (un altro è il sindaco di Reggio Emilia). E lo è in quella metà d’Italia dove la gestione dei servizi idrici, da oltre un decennio, è stata affida- ta a Spa Publi/private (come Publiacqua Spa) con dentro almeno il 40 per cento di capitale privato. Si potrebbero aggiungere anche il sindaco di Napoli (che non è del Pd) e altri ma fanno parte della metà d’Italia dove un percorso di ripubblicizzazione è più facile, perché la gestione dei servizi idrici era affidata a Spa con il 100 per cento di capitale pubblico (e avevano mantenuto le tariffe del Cipe, senza la remunerazione del capitale investito) e quindi non hanno il problema di cacciare il capitale privato in presenza di affidamenti contrattuali che scadono nel 2021 e oltre. Il 96 per cento di Sì sul secondo quesito referendario (quello che proponeva di abrogare il profitto negli investimenti sui servizi idrici) ha dato un un’indicazione politica precisa: la gestione dei servizi idrici deve essere affidata ad aziende consortili interamente pubbliche e controllate dai Consigli comunali e dai cittadini. Questa indicazione politica degli italiani è attuabile solo dal Parlamento (tramite una legge nazionale di sostegno a questa prospettiva) e dagli oltre 8mila Comuni: per questo penso sia una grande notizia che il sindaco di Pistoia abbia inviato una lettera al Forum italiano dei movimenti per l’acqua ribadendo il proprio impegno e la propria determinazione a dare attuazione all’esito referendario. Giuliano Ciampolini 31 agosto 2013 left left.it sommario IANNO XXV, NUOVA SERIE N. 34 / 31 AGOSTO 2013 SIRIA POLITICA ARTE BOMBE DEMOCRATICHE L’INELUTTABILE DECADENZA MUNCH DA URLO Gli americani intervengono in Siria seguendo il modello Kosovo: prima le bombe, poi la legittimazione. A spingere Obama in Medio Oriente ci sono questioni interne (le pressioni dei repubblicani) e internazionali (il coinvolgimento britannico a fianco dei ribelli). Luigi Ferrajoli spiega perché non c’è alcuno spazio per salvare lo scranno parlamentare di Berlusconi. Nonostante i ricatti alle istituzioni del centrodestra e gli stranissimi dubbi di alcuni giuristi di sinistra. «Un ricorso sulla legge Severino non avrebbe senso». Per i 150 anni della nascita di Edvard Munch, Oslo presenta la più ampia retrospettiva mai dedicata all’autore dell’Urlo. In mostra 300 opere del maestro norvegese, cultore di Kierkegaard e Nietzsche e che anticipò l’espressionismo. Mentre cresce l’attesa per la monografica a Genova. 16 LA SETTIMANA 03 04 04 06 LA NOTA LETTERE LA SETTIMANACCIA FOTONOTIZIA COPERTINA 16 Le bombe democratiche di Ennio Remondino 20 Mezzoriente di fuoco di Paola Mirenda 22 Fronte orientale di Cecilia Tosi 23 I dubbi del Congresso di Emanuele Bompan 24 Mini: la verità sulla guerra di c.t. SOCIETÀ 26 L’altra sinistra di Manuele Bonaccorsi 30 Il Porcellum non vuole morire di Sofia Basso e Rocco Vazzana 32 Università al capolinea di Pietro Greco 36 L’ineluttabile decadenzai di Luigi Ferrajoli MONDO 40 Born to run foto di Tim Clayton left 31 agosto 2013 36 IDEE 12 ALTRAPOLITICA di Andrea Ranieri 12 L’OPINIONE di Carlo Patrignani 13 L’OSSERVATORIO di Francesco Sylos Labini 14 KEYNES BLOG di Daniela Palma e Guido Iodice 14 IN FONDO A SINISTRA di Fabio Magnasciutti 15 IN PUNTA DI PENNA di Alberto Cisterna 52 TRASFORMAZIONE 54 RUBRICHE 08 COSE DELL’ALTRO MONDO a cura della redazione Esteri 10 COSE DELL’ALTRITALIA a cura della redazione Interni 38 LA SCUOLA CHE NON C’È di Giuseppe Benedetti 56 PUNTOCRITICO ARTE di Simona Maggiorelli CINEMA di Morando Morandini LIBRI di Filippo La Porta 58 BAZAR DOCUFILM, TENDENZE, JUNIOR 59 IN FONDO di Bebo Storti di Massimo Fagioli 60 TI RICONOSCO di Francesca Merloni CULTURA E SCIENZA 46 Invecchiamento cerebrale di Silvio Garattini 50 Il dolce suono degli scrittori neogreci di Filippo La Porta 54 Gli spettri di Munch di S. Maggiorelli Chiuso in tipografia il 28 agosto 2013 Foto di copertina: Brabo/Ap/Lapresse 5 fotonotizia La protesta di Rio Rio de Janeiro, 27 agosto 2013. La polizia circonda un manifestante dopo le cariche al corteo indetto per protestare contro il governatore dello Stato, Sergio Cabral. I manifestanti, appartenenti ai diversi movimenti che da mesi lottano per i trasporti pubblici e gratuiti, hanno circondato Guanabara Palace - sede del governo - chiedendo le dimissioni di Cabral, accusato di scorretta gestione dei fondi pubblici. (Dana/Ap/Lapresse) 6 31 agosto 2013 left left 31 agosto 2013 7 cose dell’altromondo left.it LA RIVOLTA DELLE CIPOLLE In India il partito nazionalista Bharatiya janata party (Bjp) ha organizzato cortei di protesta contro l’aumento dei prezzi nel settore alimentare. Il simbolo dei manifestanti è la cipolla, un tubero fondamentale nella dieta dei cittadini di ogni classe sociale, il cui costo è aumentato di cinque volte in un mese. Le oscillazioni del prezzo della cipolla hanno un’influenza pesante sulla politica indiana e in passato hanno provocato la caduta di più di un governo. © TOPGJAL/AP/LAPRESSE © SCHREIBER/AP/LAPRESSE CROAZIA-UE La prima lite Appena uniti e già divisi. La Croazia, membro della Unione europea dal primo luglio, è entrata in rotta di collisione con Vivianne Reding, commissario Ue agli Affari interni. Oggetto «È giunto il momento di lanciare un allarme su alcune delle conseguenze negative della libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione europea» del contendere, il mandato di arresto europeo, che Zagabria non intende applicare per i reati commessi prima del 2002. Il 28 giugno, tre giorni prima dell’ingresso nella Ue, il Parlamento croato aveva approvato la legge Perkovic, che pone un limite temporale al mandato. La Reding aveva formalmente chiesto spiegazioni al ministro della Giustizia, la cui risposta doveva arrivare entro il 23 agosto. Ma dalla Croazia silenzio. «Risponderemo, ma non adesso», ha fatto sapere il premier Zoran Milanovic. L Lodewijk Asscher, vicepremier vice olandese e ministro de del Lavoro LA CRISI DELLA SETTIMANA A due anni dallo tsunami, il rischio nucleare in Giappone tocca il suo apice. L’autorità nazionale per le centrali atomiche ha dichiarato che la pericolosità dei reattori di Fukushima è aumentata tanto da dover alzare il livello di minaccia a “serio” e chiede all’Autorità internazionale per l’energia nucleare (Iaea) di esprimere il suo parere. L’autorità ha anche annunciato di essere preoccupato dalla possibilità di sversamenti da altri depositi di acqua contaminata all’interno della centrale. Ma la Iaea per ora temporeggia, lodando i progressi fatti nella sicurezza atomica nell’arcipelago.. 8 31 agosto 2013 left left.it ECONOMIA L’Africa è di moda 150mld La catena di abbigliamento low cost H&M ha deciso di cambiare fornitori. Niente più Paesi asiatici, meglio puntare su quelli africani. Dietro la scelta non ci sono motivi umanitari: la maison svedese non lascia il Bangladesh a causa delle dure condizioni di lavoro, ma semplicemente perché non le conviene economicamente. L’Etio- guenza della politica adottata nel 2007 dal governo per attirare gli investitori esteri. Se l’ordinazione test voluta da H&M darà i risultati attesi, a dicembre 2013 dovrebbe cominciare la produzione nelle due fabbriche che il marchio farà costruire nei pressi della capitale. © LENNIHAN/AP/LAPRESSE pia, Paese in cui H&M potrebbe trasferire parte della produzione, offre salari più bassi e vantaggi fiscali più alti, come conse- Il prezzo pagato dalla Germania per il salvataggio dei Paesi europei in crisi. La stima è stata fatta dal quotidiano economico tedesco Handelsblatt, che precisa: i 42 miliardi saranno restituiti presto. La Merkel, dal canto suo, ha dichiarato che il costo per il contribuente tedesco «è impossibile da quantificare» LA CURIOSITÀ Chi cucca al Drive-in No car no sex. In Svizzera aprono i drive in del sesso. Garage di legno, accessoriati con lavatrice e doccia, già ribattezzati scatole del sesso, apriranno presto per i clienti delle prostitute, che nella Confederazione possono esercitare liberamente il loro mestiere. Le lavoratrici del sesso si disporranno in una piccola rotonda per essere scelti dagli automobilisti, che poi si infileranno nei garage. La maggior parte degli svizzeri è contenta dei nuovi drive in perché porteranno i luoghi di prostituzione lontano dal centro. UN FUTURO DA ALLUVIONATI left 31 agosto 2013 L’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economico (Ocse) ha ipotizzato quali saranno, nel 2050 le 20 città in cui un’eventuale alluvione potrebbe causare i danni più ingenti. Confrontato con quello del 2005, il maggior aumento di rischio - se gli standard di protezione del territorio restano quelli attuali - lo corre Alessandria d’Egitto (+154%). In termini assoluti, la stima dei danni complessivi potrebbe passare dai 6 miliardi di dollari del 2005 ai 52 miliardi di dollari del 2050. 9 cose dell’altritalia left.it FULMINI E SAETTE SULLA CAPITALE © LAPRESSE Il colpo di coda di quest’estate è stato violento su Roma. Il bollettino del nubifragio di martedì scorso è impietoso: allagamenti nel centro storico, metropolitane bloccate, alberi caduti e disagi in tutta la provincia. Inclusa Fiumicino, dove all’aeroporto sono stati sospesi i voli per mezzora e dirottati all’aeroporto napoletano di Capodichino. DOVE L’ACQUA È UN LUSSO LE 10 CITTÀ PIÙ CARE LE 10 CITTÀ PIÙ ECONOMICHE Secondo il dossier annuale di Cittadinanzattiva negli ultimi 6 anni il costo dell’acqua non ha fatto che aumentare: +33% in media. Con un’impennata nell’ultimo anno (+6,9%). Gli aumenti più consistenti a Reggio Calabria (+164,5%), Lecco (+126%) e Benevento (+100%). Ma è la Toscana la regione più cara. BOLOGNA Fate largo alla Lamborghini L’AQUILA Crocetta contro i terremotati Nonostante la crisi la Lamborghini progetta un’espansione degli stabilimenti di Sant’Agata Bolognese. L’investimento servirà per il lancio della nuova supercar della Casa del Toro. L’ampliamento, già autorizzato dalla Provincia di Bologna in aprile, ha incassato anche l’approvazione della variante al Piano regolatore da parte del Comune emiliano che prevede l’espansione della superficie produttiva di 4-5 ettari. Aumentano anche i posti di lavoro: si giungerà a quasi mille dipendenti, tutti a tempo indeterminato, contando le circa 60 assunzioni previste entro il 2013. La storica casa automobilistica potrebbe trarre giovamento dal bando sulla ricerca per le zone del sisma - Sant’Agata è un Comune terremotato - che la Regione sta per pubblicare, con un appetitoso fondo di 50 milioni di euro. Il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta ha presentato un ricorso alla Corte costituzionale contro il finanziamento della ricostruzione de L’Aquila. La legge è quella del 24 giugno 2013 e il ricorso di Crocetta riguarda l’articolo 7 bis che rifinanzia la ricostruzione privata nei Comuni abruzzesi colpiti dal terremoto del 2009 aumentando l’imposta di bollo: 98,6 milioni di euro nel 2013 e 197,2 milioni di euro dal 2014 in poi. Per Crocetta l’imposta di bollo è, secondo lo Statuto della Regione Sicilia, «un tributo erariale di spettanza regionale», dunque quei soldi vanno spesi in Sicilia e non altrove. Dure le reazioni in Abruzzo, il coordinatore Pdl Alfonso Magliocco ha definito il ricorso «un atto di sciacallaggio». 10 31 agosto 2013 left left.it MEGLIO TERRONI CHE EUROPEISTI «Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. Il Sud non è solo malaffare e mafia, e il Nord non è sempre virtuoso e immune dal malaffare. Bisogna giudicare caso per caso, realtà per realtà. La gente vuole buona amministrazione e buongoverno e questo vale a Reggio come a Verona» Flavio Tosi dal 2007 sindaco di Verona, esponente di spicco della Lega nord e segretario della Liga veneta, non è alla sua prima uscita “meridionalista”. L’anno scorso si schierò difendendo il governatore ernatore calabrese Giuseppe Scopelliti elliti dalle grinfie di Legambiente: nte: «Invito tutti i veronesi a godere delle bellezze e delle qualità lità ambientali calabresi». L’uomo uomo dell’«antieuropeismo maturo» turo» si fa avanti in vista delle primarie marie del centrodestra. Ma il primo e secco no è arrivato proprio da Umberto Bossi: «Meglio Marina Berlusconi», ha detto il Senatùr NISCEMI Muos, lavori ad alta tensione Dopo gli scontri della scorsa settimana, ricominciano a pieno ritmo le operazioni per ultimare l’impianto satellitare di Niscemi. Lo annunciano su facebook i militanti NoMuos, che da mesi si battono contro la costruzione dell’impianto satellitare Usa, documentando l’avanzamento con foto e video. Le immagini mostrano operai al lavoro e gru in movimento vicino alle torrette su cui dovranno essere innalzate le parabole del Muos. Intanto alcuni manifestanti presidiano il cantiere e il team legale ha depositato la diffida alla continuazione dei lavori per mancanza delle certificazioni ambientali. Nel frattempo, gli attivisti chiamano a raccolta i NoMuos da tutta la regione. Dopo la grande manifestazione del 9 agosto di certo gli attivisti non hanno intenzione di restare con le mani in mano. left 31 agosto 2013 CATTURATO IL BOSS. GALEOTTO FU FACEBOOK La fidanzata del boss non resiste e, presa dalla foga delle vacanze, scrive su facebook: «Finalmente in ferie, se me le rovinano li divoro». Peccato che il boss, Michele Di Nardo, era latitante e che i carabinieri, grazie al social network, agli sms e alle telefonate, lo hanno raggiunto mentre sorseggiava un drink con la sua compagna nella piazzetta di Palinuro, centro turistico del Cilento. Di Nardo, 34 anni, ritenuto l’attuale reggente del potente clan napoletano Mallardo di Giugliano, era ricercato dallo scorso anno in tutta Europa perché destinatario di due mandati di cattura. Secondo i carabinieri, al momento dell’arresto il boss non ha opposto resistenza, né ha tentato di fuggire. Il malavitoso è stato catturato e rinchiuso nel carcere di Vallo della Lucania, mentre la sua compagna, anche lei di Giugliano, è stata denunciata per favoreggiamento. 62% Le aziende italiane irregolari secondo i controlli degli ispettori del lavoro nei primi 6 mesi del 2013. Cresce l’evasione contributiva (+117%). E aumentano gli abusi di lavoro precario: +39% i contratti flessibili che mascherano lavoro subordinato, come le collaborazioni a progetto e le finte partite Iva. Stabili i lavoratori “totalmente in nero”: 22.992 11 idee left.it altrapolitica di Andrea Ranieri Una guerra inutile e assurda L’ L’intervento militare aggraverà le tensioni in Medio Oriente. È lo stesso copione visto in Libia intervento militare è destinato ad aggravare la crisi della Siria e le tensioni nel Medio Oriente. Sarebbe una sciagura se si ripetesse l’infausto copione delle spedizioni in Afghanistan, Iraq, Libia, che hanno provocato esiti rovinosi per le popolazioni e per la pace. Le armi non hanno mai messo fine agli orrori. Ma quel che è più grave è che la guerra non appare più, come diceva von Clausewitz, «la prosecuzione della politica con altri mezzi», ma il surrogato di una clamorosa assenza di una politica capace di affrontare le contraddizioni che lacerano il Mediterraneo. Una battuta del protagonista de Il fondamentalista riluttante, un film uscito lo scorso anno, ci dà una chiave di lettura non banale di queste contraddizioni. Un giovane pachistano tornato fra la sua gente dopo anni impiegati a far soldi coi soldi a Wall street, sospettato di terrorismo, spiega così perché non è diventato un fondamentalista: «Perché ho sentito nei loro richiami ai “fondamentali” della fede un’eco di quei fondamentali dell’economia di cui mi avevano riempito la testa a Wall street, e in nome dei quali mi avevano educato a fregarmene delle persone, dei loro dolori e delle loro speranze». Uscire da questi due fondamentalismi è stata la grande speranza del- le Primavere araba. Ma dopo la vittoria il fronte si è inesorabilmente diviso su due faglie. Da un lato gran parte del popolo delle città, la parte più benestante e colta della popolazione, disponibile a coniugare i temi delle libertà democratiche con i dettami del libero mercato; dall’altra la parte più povera della popolazione, che ha trovato nelle diverse correnti dell’islamismo il terreno su cui dare espressione alla rivolta contro miseria e sottosviluppo. Una contraddizione superabile coniugando istanze democratiche e istanze di rinnovamento sociale, tagliando i legami di dipendenza neocoloniale che sono all’origine del sottosviluppo. È difficile che i popoli di quei Paesi possano aspettarsi questo dagli Usa, dalla Gran Bretagna e dalla stessa Francia, che hanno sempre anteposto i propri interessi geopolitici al grado di democrazia e di progresso sociale dei diversi Paesi del Medio Oriente. Il dramma dei protagonisti delle primavere arabe, che ci hanno provato, è che non hanno trovato sponde internazionali credibili. Dovrebbe essere il compito di una sinistra degna di questo nome, un punto fondativo della sua idea d’Europa. Prendendo intanto posizione apertamente contro una guerra inutile e assurda. l’opinione Insieme a Gramsci 12 I l Pd ha paura della volontà popolare che conta sempre meno come la sovranità mentre crescono populismo e astensionismo. Meglio il “sacrificio” di dover reggere il governo delle larghe intese di Enrico Letta con il Pdl di Silvio Berlusconi, l’alleato condannato a quattro anni per frode fiscale e in odor di decadenza da senatore, in nome del bene del Paese. Anche nel 2011 fu obbligato a reggere con il Pdl il governo tecnocratico di Mario Monti rivelatosi tutt’altro che il “Salva Italia”. Un ruolo decisivo al varo dei due governi, l’ha avuto il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Subisce perché non ha identità, come denunciato dal suo leader Guglielmo Epifani né un progetto di società da contrapporre al modello neoliberista della “ragion dei mercati finanziari”. Gli sono estranei i valori base, libertà, uguaglianza, giustizia sociale, laicità, sui quali il Pse vuol costruire “le società progressiste” per le elezioni europee di maggio 2014. Più che applicare le droit d’inventaire, il diritto d’inventario sulle promesse fatte e mantenute, il Pd è avvinghiato alla prassi togliattiana del compromesso utile da giustificare ogni volta con una ragione superiore. Un gioco caro a Palmiro Togliat- 31 agosto 2013 left idee left.it l’osservatorio di Francesco Sylos Labini Pseudo-intellettuali del XXI secolo S e l’economia fosse una scienza, i politici e l’opinione pubblica si potrebbero sentire confortati seguendo i consigli che gli economisti forniscono a ritmo continuo dai maggiori quotidiani italiani. Sono gli “intellettuali” del XXI secolo, quelli che discutono di qualsiasi aspetto della vita umana, dalla politica economica a quella universitaria, dalla relazione del ciclo mestruale con i più bassi salari delle donne all’influenza del testosterone nella propensione al rischio finanziario, alle differenze dell’integrazione culturale dei musulmani: risultati basati su analisi statistiche che fornirebbero risultati “scientifici”. Se l’economia fosse una scienza basterebbe leggere il giornale per sapere come orientarsi. Chi sono questi moderni oracoli? Basta vedere quante citazioni hanno ricevuto i loro articoli “scientifici” e subito si avrà una misura della loro eccellenza. Molti insegnano in università americane, o sono stati per un periodo in Usa: il loro mondo è semplicemente americano-centrico. Dunque i migliori cervelli, col bollino dalle università Usa, studiano economia e diventano opinionisti, consiglieri o ministri e, se proprio sono scadenti, vanno a insegnare nella provincia dell’impero perché non abbastanza bravi da trovare un po- sto in Usa. Rimarranno però tutta la vita con questo cruccio che sfogheranno sui maggiori quotidiani cercando di propagandare metodi “scientifici” per importare qualità, eccellenza, efficienza come avviene Oltreoceano. Nei loro editoriali si ritrova sempre la stessa ricetta ideologica della destra americana: abbassare le tasse e tagliare la spesa pubblica. Mai un accenno al fatto che il successo scientifico e tecnologico degli Usa è avvenuto grazie al sistematico e ingente investimento dello Stato. Se l’economia fosse una scienza, però, non potrebbe accadere che due tra i più “importanti” economisti di una delle “migliori” università americane sbaglino a fare i conti alla base delle politiche di austerità perché non sanno usare i rudimenti informatici di un foglio Excel. Ci sarebbe solo da ridere se gli autoproclamatosi eccellenti non fossero presi sul serio non solo da quella classe imprenditoriale che si piazza agli ultimi posti per investimento in ricerca e sviluppo, ma anche da quello pseudo-centrosinistra che non perde occasione, si veda il documento di Boccia, per sottolineare la sua subalternità culturale rispetto al vuoto pneumatico neoliberista, causa prima della devastante crisi attuale. Economisti e opinionisti, laureati negli Usa, proclamano la scientificità delle loro ricette. Ma collezionano strafalcioni di Carlo Patrignani ti. Usò “pacificazione nazionale e religiosa” per imporre la svolta di Salerno del ’44, il governissimo con Pietro Badoglio, il decreto di amnistia del ’46 per i reati commessi dai fascisti, il voto favorevole all’art. 7 della Costituzione nel ’47 sui Patti Lateranensi. Quel Concordato che per Antonio Gramsci era «la capitolazione dello Stato moderno» perché «[…] si realizza una interferenza di sovranità in un solo territorio statale». Gramsci studiò a fondo l’Azione Cattolica e i gesuiti, che operavano attivamente nel sociale. «La Chiesa è uno Shylok anche più implacabile dello Shylok shakespeariano: left 31 agosto 2013 essa vorrà la sua libbra di carne anche a costo di dissanguare la sua vittima». Nel ’64 con il “tintinnar delle sciabole” Pietro Nenni impose i governi di centrosinistra e Enrico Berlinguer con “il rischio cileno” i governi di solidarietà nazionale nel ’76-’79. Per il bene del Paese deve vivere il governo Letta che, nonostante le minacce del Pdl, non ha, per il Pd, le ore contate. Semmai sono i “professionisti del conflitto”, come li ha chiamati Letta, quelli iscritti a “culture ostili ad ogni responsabilità di governo” che giocherebbero allo sfascio. Ma si è in buona compagnia, di Gramsci cui piaceva il conflitto. Sbagliato avvinghiarsi alla prassi togliattiana 13 idee left.it di Daniela Palma e Guido Iodice keynes blog Scivolati sulla “banana blu” I Il Nord non fa più parte delle cento regioni più competitive d’Europa n un’Europa che con fatica cerca la via d’uscita dalla crisi, ogni piccolo passo in avanti si riempie di attese. Il periodo estivo ha in effetti portato alla ribalta segnali importanti relativi al miglioramento del Pil, confermati da quelli dell’attività industriale. Ma le verifiche necessarie perché si possa parlare di ripresa e gridare allo scampato pericolo sono ancora molte. Questo perché non è chiaro in che misura la ripresa sia ancora sostenuta da una robusta messa in moto della domanda interna dei diversi Paesi, e non è chiaro in che misura gli squilibri che alimentano le tensioni interne all’area euro siano destinati a peggiorare. L’incertezza del quadro è, come noto, appesantita dalle performance delle “economie periferiche” (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo), talvolta con segnali non del tutto incoraggianti provenienti dalla Francia. Nel complesso però il quadro è assai più variegato. Per parlare di potenzialità di uscita dalla crisi, è necessario dunque valutare i “pilastri” strutturali di ciascun singolo Paese, tra i quali vanno annoverati non solo gli “equilibri macroeconomici”, ma anche lo stato delle infrastrutture, il sistema dell’educazione-formazione e il grado di inno- vazione del sistema produttivo (questi due ultimi particolarmente rilevanti per le economie più progredite). E sono proprio questi i fattori che recentemente - per la seconda volta dopo il 2010 - la Commissione europea ha rilevato, fornendo un “indice di competitività” delle regioni dell’area al fine di testarne l’effettivo stato di salute. Lo scenario è netto: l’analisi ci dice infatti che dalla fascia della cosiddetta “banana blu”, che va dal Nord Europa fino al Nord Italia, passando per Francia e Germania, e che comprende le cento regioni più competitive, scompaiono i territori del nostro Paese. Il messaggio che questo dato ci consegna sembra dunque essere privo di qualsiasi ambiguità: l’Italia, diversamente dagli altri Paesi periferici, aveva un cuore pulsante industriale capace di creare sviluppo, che ora ha cessato di battere. E questo spiega perché gli attuali segnali di ripresa sono tutti decisamente inferiori a quelli dei paesi rimasti nel tracciato della “banana”, e decisamente insufficienti per prefigurare un rilancio dell’economia ai livelli pre crisi. Un monito severo, che non lascia dubbi sull’urgenza di politiche industriali per l’innovazione e la riqualificazione del nostro sistema produttivo. in fondo a sinistra 14 31 agosto 2013 left idee left.it in punta di penna di Alberto Cisterna Amnistia per tutti o grazia per uno? N el 1999 la riforma Bassanini soppresse la parola “grazia” dal nome del ministero della Giustizia. In fondo, si pensò, era solo un retaggio monarchico Nel 2005, si aprì un durissimo scontro tra il Presidente Ciampi e il ministro Castelli per la concessione della grazia a Ovidio Bompressi, condannato per l’omicidio del commissario Calabresi. Si scoprì così che la questione, lungi dall’essere finita nella soffitta della Repubblica, era ancora causa di un delicato “regolamento di conti” tra poteri dello Stato, tanto aspro da costringere la Corte costituzionale a separare i contendenti. Nel 1990 e nel 2006, invece, vennero alla luce gli ultimi due provvedimenti “di grazia” del Parlamento. Tecnicamente si tratta di una imprecisione, ma nella sostanza le Camere, approvando l’ultima amnistia (1990) e l’ultimo indulto (2006), distribuirono un bel po’ di benefici a decine di migliaia di cittadini. Oggi si ridiscute, insieme, di grazia e di amnistia in relazione alla condanna che ha raggiunto Silvio Berlusconi. Per toglierlo definitivamente dagli impicci servirebbe o l’una o l’altra. Ma, per gli equilibri politici e costituzionali, non è cosa da poco che il salvagente al cavaliere sia dato dal Parlamento o dal Presidente della Repubblica. Se davvero la questione in gioco è quella dell’agibilità politica dell’ex premier, nessuno può dubitare che competa alle Camere discutere del problema. Assegnare al Quirinale questo compito farebbe tornare pericolosamente indietro le lancette della democrazia rappresentativa, concependo la legittimazione politica come un atto proveniente dall’alto (il Presidente), anziché dal basso (le assemblee elettive). Aver posto in questi termini la questione è stato, probabilmente, un errore e una sgrammaticatura dal punto di vista costituzionale. Altro sarebbe stato se si fosse invocata la clemenza di Napolitano per l’anziano leader. Molte ragioni politiche ostavano a questo percorso. Ma il fatto che il Quirinale abbia adoperato, in altri frangenti, il potere di grazia per ragioni di più generale opportunità politica (il caso Sallusti o il caso del colonnello americano J.Romano condannato per l’affaire Abu Omar), ha forse consegnato alla grazia presidenziale un volto che prima non aveva, dotandola di un’inedita valenza politica. La grazia sarebbe l’ennesimo provvedimento ad personam che il Paese, forse, non comprenderebbe. Meglio un generale atto di clemenza che svuoti gli armadi polverosi e stracolmi degli uffici giudiziari e dia fiato alle carceri esauste di dolore. Il Quirinale ha già usato la clemenza per ragioni politiche. Meglio dare la parola alle Camere di Fabio Magnasciutti left 31 agosto 2013 15 copertina left.it LE BOMBE DEMOCRATICHE di Ennio Remondino 16 31 agosto 2013 left copertina left.it © KASTER/AP/LAPRESSE I In Siria come in Kosovo. Gli americani hanno studiato la guerra del 1999 per l’operazione in Medio Oriente. Come allora, usano pretesti umanitari per attaccare. Senza il via libera dell’Onu left 31 agosto 2013 n Kosovo la legalità internazionale arrivò “a babbo morto”, eredità Onu del dopo bombardamenti Nato. Prima ti bombardo poi te lo motivo. “Unoduequattroquattro” fu la litania recitata da universali bugiardi che cantavano la legalità del giorno dopo: Risoluzione numero tal dei tali per una guerra da nobilitare il giorno dopo. Fu semplicemente l’atto formale delle impotenti Nazioni unite che certificava l’antica ragione barbara “chi vince ha ragione”. Mostri giuridici nati da un caricaturale Consiglio di sicurezza che sopravvive alla storia dai tempi della seconda guerra mondiale. A sancire la convenienza dei grandi rispetto alle ragioni degli altri. Ora ci dicono che «Gli Stati Uniti vedono nella guerra aerea della Nato in Kosovo del 1999 il modello per l’intervento militare in Siria per rispondere agli attacchi con armi chimiche». A riferirlo è stato il New York Times, secondo il quale l’amministrazione Obama sta studiando la missione voluta da Clinton 14 anni fa contro la Serbia come precedente su cui fondare un’azione senza il mandato delle Nazioni unite. Oggi, se la Siria è una tragedia ancora incompiuta, il Kosovo da imitare è l’inganno storico che ci raccontano. Promemoria. In Kosovo c’ero, e fu la strage di Racak a far decollare i caccia bombardieri Nato. Ma anche a essere testimoni sul campo, davvero la verità è più vicina? Mi appello alle prudenti cronache del Corriere della sera del dopo “bombe umanitarie”. Scriveva allora Massimo Nava: «Non è la morte, ma la modalità del morire a smuovere politica, diplomazia e giudizi su una guerra. Non è un massacro in sé, ma le responsabilità che i media gli Ci vollero 45 morti albanesi per giustificare l’intervento Usa nei Balcani attribuiscono a modificare il corso degli avvenimenti». Valutazione in grado di spiegare qualsiasi guerra, se leggiamo bene. Anche quegli spaventosi morti da forse-armi-chimiche che incombono sulla tragedia siriana. Ed ecco perché torniamo in Kosovo 13 anni dopo. Racak è il villaggio del Kosovo in cui, il 16 gennaio 1999, vennero trovati i cadaveri di 45 albanesi, in parte ammassati lungo un sentiero, molti di loro apparentemente mutilati. «Un crimine contro l’ umanità», tuonò William Walker, il diplomatico Usa a capo della mis- Il presidente statunitense Barack Obama assieme all’ex inquilino della Casa Bianca Bill Clinton. Clinton, democratico come Obama, è stato protagonista della guerra in Kosovo, così come Obama si appresta a esserlo di quella in Siria 17 copertina © KRYEZIU/AP/LAPRESSE left.it I dubbi sul massacro non fermarono Washington Giugno 1999: soldati della 82esima divisione aerea americana arrivano all’aeroporto di Skopje, situato nella vicina città di Petrovac 18 sione Osce che ci condusse per mano a mostrare l’orrore al mondo. Sempre per ridurre la ancora presente rabbia del testimone ingannato, vado oltre i miei ricordi e cito fonti terze. Ancora il Corriere su Racak. «A nulla servirono i dubbi emersi già all’indomani del massacro, testimonianze di diversi giornalisti arrivati sul posto, i rapporti mai definitivi e mai resi pubblici dei funzionari dell’Osce», scrive Nava il 16 aprile 2000. In realtà, la grande bugia che dava sostegno alla “Ideal politik” antiserba, già nei mesi successivi alle “bombe umanitarie” era di fatto svelata. Per chi avesse voluto leggerla. Sintetizzo anche parte della testimonianza sul campo della collega e allora funzionario Onu a Pristina Tiziana Boari. Quei 45 morti esibiti allora in Kosovo all’indignazione del mondo erano morti veri, prodotti dalla mostruosità degli scontri, ma proposti alle telecamere in formato inganno. Il frutto impietoso di due giorni di combattimenti, dove gli oppositori albanesi non in divisa furono proposti come poveri civili, uccisi con modalità naziste dalle forze di sicurezza di Miloševic che qualcuno aveva deciso di colpire. E il dubbio è oggi l’obbligo morale. Partendo dai Balcani per ragionare di Siria. La somma delle complessità concentrate nella sintesi dell’inganno. Cosa «ho visto» che - secondo la storia oggi ufficiale - non c’era? Un elenco di incubi a caso. Ho visto un regime dispotico e traballante, quello di Miloševic, trarre forza e sostegno interno dall’accerchiamento internazionale e dalle bombe Nato. Le catene umane sui ponti su Sava e Danubio formate dagli ex oppositori che non capivano quella guerra. Ho visto i giovanotti di Otpor - Resistenza - smuovere le piazze dopo corsi organizzati da Usaid e Soros. Per poi dedicarsi a «rivoluzioni arancioni» altrove. Ho visto un Kosovo sofferente e la sua maggioranza albanese amalgamata sino ad allora dalla pratica dell’opposizione non violenta di Rugova. Poi ho visto la sua gente più giovane e sospettata di attività criminali, venire armata e organizzata per la guerra dietro la sigla Uck. Ho memoria della definizione di “terroristi” data dall’allora ambasciatore Usa Hill e la successiva, repentina trasformazione degli stessi in «patrioti» e guerriglieri. Nessuno coglie qualche eco siriana? Ho visto i carichi di armi gestiti dal governo albanese di Berisha passare la frontiera con la Serbia. Ho visto e fatto finta di contrattare sul prezzo delle armi nelle mani della criminalità a Tirana. Ho ritrovato le stesse armi e gli stessi armati a Tetovo, in Macedonia. Ho visto gli ultras nazionalisti kosovari battersi in piazza e ho ritrovato i loro feriti oltre confine. Ho visto, con la missio- 31 agosto 2013 left copertina © AP/LAPRESSE left.it ne Kdom, spie e istruttori militari (124 giovanotti americani tra loro) diventare diplomatici e la diplomazia col pennacchio fare da palo. Ho visto e ho riso con i sei «diplomatici» italiani spediti in Kosovo dalla Bosnia su di uno “Scarafone” semiblindato, ridipinto male di bianco. Ricordi comuni di guerre passare tra parà, carabinieri e note “barbe finte” del vecchio Sismi. Diplomatic service. Ho visto l’Osce dell’ex-ambasciatore Usa Walker ottenere il miracolo di Lazzaro a Racak, dove i morti di due giorni di combattimenti, nella notte camminano e si espongono all’indignazione televisiva nel massacro modello Fosse Ardeatine. Ho visto a fine bombardamenti le perizie necroscopiche finlandesi che ci dicevano che quei morti non erano stati uccisi lì, poveri strumenti di una messinscena per dare l’ordine d’attacco. Il problema sembra essere quello di capire di quale comunità internazionale e di quali regole parliamo, se ci sono delle regole condivise e se valgono in maniera eguale per tutti. Nei Balcani ho visto di tutto e di più. Ho visto il naufragio della credibilità dei caschi blu dell’Onu a Srebrenica, e ho visto l’indignazione internazionale a intensità variabile fra quello che sembra essere un «sonno» quadriennale nei confronti della Bosnia, e la frenesia umanitaria per il Kosovo. L’impressione - allora come oggi - è di assistere alla accurata composizione di un puzzle le cui singole tesse- left 31 agosto 2013 In Serbia il regime di Milosevic trasse sostegno dall’accerchiamento re erano state predisposte da tempo a realizzare il disegno della guerra. E ho visto in Serbia un regime dispotico e traballante, quello di Miloševic, trarre forza e sostegno interno da quello che era percepito come un accerchiamento internazionale. I dubbi sulla Siria del despota Assad a questo punto si moltiplicano. Torna a colpirmi l’uso disinvolto dei media nel creare consenso o riprovazione, a comando. Con la Siria vista oggi attraverso i teleschermi tornano plateali le sofferenze «buone», quelle da esaltare nei telegiornali, e le sofferenze da nascondere. Questione da sempre irrisolta: ciò che vedi o ciò che ti lasciano vedere? Il dubbio come regola e la ricerca di fatti e testimoni sul campo come tentativo nobile a non fare sempre coro. Esattamente lo stesso quesito siriano che tormenta oggi il mondo più consapevole. Ed ecco che anche sulla tragedia siriana, l’etica giornalistica manipolata dai grandi network ci confonde nella eterna lotta tra trombettieri che suonano la carica e cronisti onesti che raccontano ciò che vedono. Perché la realtà sul campo, anche in Siria, vista dall’altezza di un cacciabombardiere, viene certamente deformata. E la democrazia sganciata dall’alto può provocare terribili e incontrollabili effetti collaterali. Kafr Nabil, Siria del nord. A maggio manifestanti anti Assad protestano contro l’indifferenza del presidente americano 19 copertina left.it LA VERITÀ SULLA GUERRA di Cecilia Tosi Due milioni di profughi e quotidiani massacri non sono serviti agli occidentali per mobilitarsi. Le armi chimiche sì. «Obama ha subìto le pressioni dei repubblicani Usa e del governo inglese», spiega il generale Mini L a Siria come terreno di scontro delle ambizioni internazionali. È un’altra delle disgrazie capitate a un popolo che non voleva né guerra, né jihadisti, né stranieri e invece se li è beccati tutti. E ora l’Occidente si mobilita grazie alle armi chimiche e non alle reciproche pulizie etniche che gli alawiti pro Assad e i sunniti ribelli stanno realizzando gli uni contro gli altri. I siriani costretti a scappare dalla morte e dalla vendetta sono 2 milioni. Ammassata nei Paesi confinanti che da tempo non la vogliono più, c’è un’intera umanità in fu- ga che rischia di fomentare altri conflitti in tutto il Medio Oriente. Eppure gli americani hanno preferito appellarsi all’uso di armi chimiche da parte del regime per dire basta. «All’inizio la comunità internazionale ha favorito l’esodo dei profughi, perché erano soprattutto alawiti», spiega il generale Fabio Mini, già comandante delle forze Nato in Kosovo. «Facevano spazio ai ribelli sunniti e potevano essere usati in un secondo momento come pretesto per un eventuale operazione militare. Poi sono arrivate le armi chimiche». © NGAN/AP/LAPRESSE 20 31 agosto 2013 left copertina left.it Generale, perché gli Usa hanno deciso di intervenire adesso in Siria? Soprattutto per questioni di carattere interno: Obama è stato accusato dai repubblicani di non avere un atteggiamento abbastanza fermo contro Bashar al Assad e deve dimostrare che sa essere un vero condottiero. La sua speranza è di evitare stragi di popolazione e colpire direttamente il presidente, come è successo con Saddam Hussein. Gli Usa hanno bisogno di esporre un trofeo, più che di vincere una guerra. E le ragioni di carattere internazionale? Ci sono anche quelle, ma sono meno importanti. Gli Usa subiscono le pressioni del Regno Unito, che da tempo si è impegnato in una battaglia personale contro Bashar al Assad. Londra è molto presente nell’area da quando Obama, nel 2012, ha inaugurato la sua politica di disimpegno in Medo Oriente per concentrarsi sul Pacifico orientale e la Cina. Gli inglesi sostengono i ribelli e le Forze speciali britanniche, insieme a quelle del Qatar, addestrano le reclute dell’Esercito libero. Il tempo però è passato e adesso vogliono chiudere la faccenda. Qual è il ruolo della Russia? Negli ultimi anni Mosca ha ripreso un ruolo attivo sullo scacchiere internazionale e difende a spada tratta Iran e Siria. Con l’intervento occidentale, i russi potrebbero decidere di mettere in sicurezza i porti e di convincere Assad a passare il potere a qualcuno del suo entourage. Ma la Russia potrebbe fare anche molto di più. Insieme all’Iran potrebbe mettere in discussione i confini di tutto il Medio Oriente: dall’Iraq al Kurdistan e perfino a Israele. E la Cina? Pechino tiene un basso profilo, perché ha meno interessi in Siria, ma conduce comunque una campagna mediatica contro l’opposizione siriana. In questi giorni ha mostrato in televisione che le vittime delle armi chimiche sono i soldati regolari e non i ribelli e che le sostanze chimiche sono state utilizzate tramite ordigni fatti in casa, non con armi dell’esercito. Se davvero le prove fossero fabbricate, chi sarebbe stato? Le frange più moderate o quelle più radicali tra i ribelli? Non c’è una distinzione così netta all’interno left 31 agosto 2013 della galassia ribelle. Sicuramente i jihadisti stranieri hanno interesse ad attirare gli americani nell’area perché, come in Afghanistan, al Qeda si nutre delle missioni occidentali per legittimare la propria presenza e per drenare le risorse che si portano dietro le operazioni armate. E attualmente i radicali sono anche i più forti, perché sono loro ad aver conseguito le principali vittorie militari. È difficile pensare che in futuro, destituito Assad, loro rinuncino ad avere un ruolo. Gli americani hanno una strategia? Gli americani ancora non ci hanno capito niente. È dimostrato dal loro enorme fallimento diplomatico e dal bisogno di creare una “bomba umanitaria” per giustificare l’intervento. Da tempo, ormai, l’aggressione da sola non giustifica un intervento internazionale. Adesso si cerca un elemento scatenante. Si può trattare della disparità di trattamento umanitario tra le due parti in conflitto, della mole dei profughi, oppure, come in questo caso, dell’uso di armi chimiche. «I russi potrebbero mettere in discussione i confini di tutto il Medio Oriente» Gli Usa impiegheranno anche forze di terra? No. Cercheranno di intervenire con il minimo impegno e il minimo rischio. Potrebbero non voler usare i missili fin dall’inizio, utili per colpire edifici o obiettivi strutturali. Lo scopo è quello di eliminare gli uomini chiave del regime e per quello servono i droni, che permettono di colpire obbiettivi molto mirati. Solo se questi non funzioneranno useranno i missili. E sul terreno si affideranno ai ribelli e alle forze speciali, soprattutto inglesi e francesi, che sono già presenti nell’area. E magari anche agli israeliani. Ci sono altri Paesi interessati a intervenirein Siria? I turchi da tempo stanno conducendo un gioco al massacro, facendo di tutto per eliminare Assad per poi estendere il loro controllo sul Kurdistan siriano, che diventando autonomo rischia di fomentare l’indipendentismo dei curdi in Turchia. Ma nonostante tutti questi alleati, senza una strategia politica gli Usa non vanno da nessuna parte. In apertura, un campo profughi siriano in Giordania. Sopra, il generale Fabio Mini 21 copertina left.it MEZZORIENTE DI FUOCO di Paola Mirenda Due anni di bombardamenti e di massacri hanno decimato i non violenti e rafforzato i jihadisti. Storia di un Paese che si è autodistrutto P otrebbe essere un bombardamento breve e mirato, una guerra infinita o la fine a uno stillicidio di cadaveri che dura da 31 mesi, esattamente dal febbraio 2011, quando un gruppo di ragazzi creava una pagina su facebook per invitare la gioventù siriana alla ribellione, sull’esempio di quella tunisina ed egiziana. In 31 mesi sono cambiate molte cose: i giovani blogger sono stati sostituiti da combattenti armati e l’opposizione laica e di sinistra è diventata minoritaria. A sostituire al Assad, se cadrà, ci saranno i rappresentanti di decine di milizie alcuni dei quali strettamente legati alla galassia alqaedista. 2011 Al primo appello alla rivolta del 4 e 5 febbraio rispondono poche decine di siriani, scoraggiati dall’imponente apparato di sicurezza messo in piedi dal regime. La cacciata del presidente egiziano, unita alle proteste scoppiate in Yemen, Bahrain e Libia, rompe gli indugi anche in Siria. Le manifestazioni iniziano a Dera’a, ma la forte repressione (100 morti in un giorno, secondo gli attivisti) porta agli imponenti cortei del 25 marzo. Assad ribatte con le manifestazioni ddei suoi sostenitori, scioglie il governo e promette maggiori libertà. Ma intanto spara sui siriani. Arrivano le denunce di Amnesty international e Onu per violazione dei diritti umani e con le denunce iniziano le sanzioni Ue e Usa. A maggio l’Europa avvia il congelamento dei beni della famiglia al Assad. La Russia di Putin, invece, resta a fianco di Damasco. A luglio, mentre perdurano gli scontri nel sud della Siria, si costituisce l’Esercito libero siriano, fondato da un ex comandante delle forze lealiste. È il segnale del passaggio dalla rivolta al- © BUCCIARELLI/AP/LAPRESSE 22 31 agosto 2013 left copertina left.it la guerra interna, ben accolto da alcuni Stati arabi che in Siria vogliono giocare quello che Ban Kimoon definirà «un conflitto per interposta persona». Gli scontri intanto si estendono lungo il confine con il Libano e al centro della Siria. Le città di Hama e Homs vengono poste sotto assedio. A novembre la Lega araba sospende la Siria dall’organizzazione. Il 29 novembre l’Esercito libero riconosce l’autorità del Consiglio nazionale siriano (Cns), organo di rappresentanza dei ribelli creato in Turchia, riconosciuto a dicembre anche da Francia e Usa. Secondo l’Onu, il 2011 si chiude con un bilancio di oltre 5mila morti. 2012 Il 6 gennaio il presidente siriano annuncia un referendum sulla nuova Costituzione, che viene approvata il 26 febbraio con una maggioranza, secondo fonti governative, dell’89,4 per cento. Intanto al Assad attacca Homs, al confine con il Libano, che all’inizio del 2012 diventa la città martire per eccellenza, con centinaia di morti. L’afflusso di miliziani stranieri, iniziato l’anno precedente, diventa consistente. Fanno la loro comparsa le brigate islamiche, circola la voce che al Qaeda abbia stabilito delle basi in Siria con l’aiuto del Qatar. Attentati contro i quartieri cristiani colpiscono Aleppo e Damasco. Il 12 febbraio la Lega araba chiede all’Onu l’invio di Caschi blu, ma la proposta viene respinta. Qatar, Arabia Saudita e Turchia forniscono armi, per via ufficiale e informale, ai ribelli. Le Nazioni unite designano l’ex segretario generale Kofi Annan come mediatore nel conflitto, ma ad agosto Annan rinuncia al suo mandato «a causa di divisioni in seno alla comunità internazionale». La guerra civile, evocata da Ban Ki-moon, arriva a Damasco. Il 18 luglio un attentato colpisce la sede della Sicurezza nazionale: nell’esplosione muoiono il ministro e il vice ministro della Difesa, quest’ultimo cognato del presidente siriano. Durante l’estate, mentre infuria la battaglia a Damasco e Aleppo, diventa alta la tensione al confine con la Turchia. 2013 A gennaio i ribelli conquistano la base aerea di Taftanaz, con l’apporto decisivo delle Brigate al Nusra, formazione legata ad al Qaeda. Al Nusra è considerata responsabile di massacri nel left 31 agosto 2013 nord della Siria, soprattutto contro i civili curdi. Si calcola che siano circa un centinaio le brigate di fondamentalisti che sfuggono al controllo dell’Esercito libero siriano, saccheggiando le aree “liberate” e imponendo la legge islamica nei territorio sotto il loro controllo. Per preservare l’immagine di una ribellione moderata e democratica, anche l’Onu a maggio 2013 inserirà al Nusra nella lista delle organizzazioni terroristiche, al pari di quanto già avevano fatto gli Usa. Nel dicembre del 2012 si costituisce il Fronte islamico siriano, composto da 11 formazioni islamiste, capeggiate dai salafiti di Ahrar alSham. Il fronte islamico siriano non si riconosce nel Cns, pur collaborando con l’Els. La presenza di formazioni estremiste ha consigliato agli Stati occidentali prudenza nell’armare i ribelli: fino a maggio 2013 le nazioni che partecipano al Club degli amici della Siria escludono la possibilità di fornire attrezzature militari all’Els. A partire da aprile, quando la controffensiva di al Assad si fa più insistente e i ribelli perdono terre- Nel 2012 Annan rinuncia al negoziato e la guerra arriva a Damasco no, la richiesta viene più volte reiterata. L’esercito lealista a poco a poco riconquista buona parte delle città in mano all’opposizione. Anche se il 13 maggio la Ue toglie l’embargo sulle armi destinate alla Siria, tra aprile e luglio Assad può vantare i successi conseguiti nella provincia di Homs, da più di un anno governata dai ribelli. Ad aiutare il presidente siriano ci pensano i libanesi di Hezbollah. In diverse località si intensificano scontri tra al Nusra e l’Esercito libero siriano. A maggio gli ispettori dell’Onu segnalano l’uso di armi chimiche da parte dei ribelli: la denuncia è di Carla dal Ponte, ma viene presto archiviata. L’utilizzo di queste armi diventa la linea rossa che secondo gli Usa non deve essere superata e ad agosto i ribelli accusano il governo di averle sganciate. Le parole del portavoce della Casa Bianca non lasciano spazio a dubbi: un intervento ci sarà, ci deve essere. E l’Arabia Saudita, che a luglio ha scavalcato il Qatar imponendo il suo candidato, Ahmad Djarba, alla presidenza del Consiglio nazionale siriano, ha vinto la guerra senza giocarla. Aleppo, distretto di Sulemain Halabi, 10 ottobre 2012. Un soldato dell’Esercito libero siriano si apposta durante gli scontri con le forze lealiste. La foto di Fabio Bucciarelli ha vinto il secondo premio del World press photo, spot news stories 23 copertina © SALMAN/AP/LAPRESSE left.it FRONTE ORIENTALE di Cecilia Tosi La versione russa del conflitto in Siria è opposta a quella che domina in Occidente. Ce la spiega l’analista Fyodor Lyukanov B Una manifestazione a Damasco nel 2012 a favore del presidente Bashar al Assad e dell’alleato Putin 24 asta qualche ora di volo o una parabola satellitare per scoprire che in Siria c’è un’altra guerra. Una guerra dove il regime al potere è una vittima e i ribelli dei sanguinosi assassini, dove gli americani complottano con gli islamisti e i libanesi di Hezbollah sono eroi buoni. Basta sentire la versione dei russi. Che al contrario degli italiani, degli inglesi e degli americani non ascoltano i giornalisti entrati in Siria a fianco dei ribelli, perché i loro reporter vanno insieme all’esercito regolare. E i loro servizi sono speculari ai nostri. Le dirette da Aleppo o da Damasco mostrano reporter nerboruti che schivano una pioggia di granate e missili lanciati dai ribelli. Una prospettiva che ci spiega Fyodor Lyukanov, direttore del Consiglio russo per la politica estera e di difesa. Cosa pensano oggi i russi della crisi siriana? È semplice. Pensano che quest’attacco chimico addebitato ad Assad sia una provocazione, costruita ad arte per scatenare l’intervento americano. Perché il regime stava avendo la meglio sui ribelli e non avrebbe avuto alcuna ragione di usare queste armi, e rischiare che l’Occidente si mobilitasse. Mentre l’opposizione aveva tutto l’interesse a impiegarle per attirare gli Usa. I russi hanno prove della contraffazione? Non ce n’è bisogno. Per dimostrare la cattiva fede degli occidentali basta vedere come si sono comportati: hanno deciso l’intervento imme- «L’incubo del Cremlino è il modello Libia» diatamente, senza nemmeno aspettare che gli ispettori Onu si pronunciassero. Come reagirà il Cremlino all’intervento Usa? Di sicuro negativamente. Non interverrà con le armi, perché formalmente non c’è nessuna alleanza militare con la Siria, ma politicamente tenterà di orchestrare una forte resistenza internazionale alle operazioni occidentali. Il Cremlino avrà presto occasione di perorare la sua causa di fronte alle potenze mondiali: all’inizio di settembre ci sarà il G20 a San Pietroburgo e anche un incontro informale dei Paesi Brics. Inoltre il 13, in Kirghizistan, si riunirà l’organizzazione di Shangai, che riunisce buona parte dei Paesi asiatici. I russi potranno incontrare lì sia i cinesi che gli iraniani e creare un fronte anti occidentale. Stiamo parlando di posizioni ufficiali, ma dietro le quinte cosa si muove? La Russia potrebbe intensificare la sua cooperazione con l’Iran, anche militare. La popolazione russa condivide le posizioni del Cremlino? La maggioranza della popolazione è contraria all’intervento occidentale in Siria. I russi sono culturalmente contrari all’uso della forza al di fuori dei propri confini. Ritengono che gli Usa bombardino chiunque non stia al loro fianco. Quali interessi difende la Russia in Siria? Tanti sottolineano l’importanza del porto siriano di Tartus, l’unico delle forze armate russe al di fuori dell’ex Urss, ma in realtà la sua importanza è solo simbolica, perché non è una base navale ma solo una stazione di rifornimento. I russi non lottano per avere un posto in Medio Oriente, ma per impedire che il modello Libia si imponga come regola nella comunità internazionale. E cioè che gli Usa e i suoi alleati europei decidano di intervenire in Paesi strategicamente importanti senza l’approvazione dell’Onu. E siccome in Medio Oriente la Russia non ha buoni rapporti con i sunniti, gli unici alleati che possono coltivare sono i Paesi sciiti: Siria e Iran. 31 agosto 2013 left copertina left.it I DUBBI DEL CONGRESSO © APPLEWHITE/AP/LAPRESSE di Emanuele Bompan Repubblicani e base democratica non vogliono che Obama decida da solo l’attacco alla Siria N on sarà un’altra Libia. A Capitol Hill un numero crescente di parlamentari sta agitando le acque per avere una verifica sull’intervento americano in Siria. Questa volta a fare pressione sul presidente non sono solo le frange più liberali e pacifiste dei democratici, ma anche molti repubblicani. left ha contattato Devin Nunes, deputato californiano conservatore. «Non dobbiamo prendere in considerazione alcuna azione militare in Siria finché non avremo informazioni più dettagliate sulle armi chimiche impiegate da Assad», spiega. Le prove in mano al Pentagono non sono ancora sufficienti. «Dobbiamo essere certi su chi abbia lanciato l’attacco, quali armi chimiche siano state impiegate, e se anche l’opposizione siriana abbia accesso ad arsenali chimici». I repubblicani odiano Assad, temono le forze di al Qaeda nelle file della resistenza anti-governativa, ma più di tutto detestano l’ingerenza del presidente Obama nei confron- ti del Congresso, che almeno fino a fine 2014 sarà in mano repubblicana. «Il presidente Obama deve consultarsi con il Parlamento per ogni azione militare e assicurare, in caso di attacco, obiettivi chiari e una strategia efficace», aggiunge Nunes. Secondo la legge sui poteri presidenziali in stato di guerra (War powers resolution), «senza un attacco nei confronti degli Stati Uniti, il Congresso deve approvare ogni azione militare». I piani di Obama dunque potrebbero essere ostacolati da una coalizione bipartisan? Al momento, oltre 33 parlamentari, in maggioranza repubblicani, hanno firmato una lettera al presidente per riconsiderare l’attacco alla Siria. «Sebbene molti democratici siano favorevoli, la loro base è contraria», spiega un membro dello staff di Capitol Hill che chiede l’anonimato. «Se la pressione sui politici aumenta, potrebbe allungarsi la lista dei firmatari della lettera». Il dilemma democratico è: «Appoggiare Obama o perdere consensi?». Washington, la sede del Congresso americano. Sotto, Devin Nunes, deputato repubblicano SE VUOI LA PACE, PREPARA LA PACE. APPELLO AL GOVERNO ITALIANO Il popolo siriano è vittima quotidiana delle peggiori atrocità in una guerra civile che - secondo le Nazioni unite - ha già fatto 100mila morti e milioni di sfollati. La situazione in Siria è drammatica, ma un intervento militare non servirà a pacificare il Paese. L’ultimo decennio ha mostrato che le guerre alimentano ed esasperano violenza e fondamentalismi di ogni tipo. È sufficiente guardare la Libia, l’Afghanistan o l’Iraq “pacificato”, dove attentati e vittime civili continuano a essere all’ordine del giorno nell’indifferenza generale. La guerra causa sempre vittime innocenti: più del 90 per cento left 31 agosto 2013 civili inermi. Per questi motivi l’Italia ripudia la guerra. E la Costituzione non dice che l’Italia può cedere sovranità per fare guerre ma, anzi, afferma che il nostro Paese pur di assicurare pace e giustizia tra le nazioni è disposta a «cedere parte della sua sovranità». Nessuno lavora sulla prevenzione dei conflitti e sul rispetto dei diritti umani. Sarà il popolo siriano a fare le spese del prossimo intervento militare. Quel popolo ha bisogno della comunità internazionale, ma non dall’alto di un bombardiere: ha bisogno che sia la diplomazia, in tutte le sue facce, a farsi avanti. Ha bisogno che la comunità internazionale smetta di considerare la guerra come opzione possibile. Un intervento armato non porterà soluzioni, ma un crescendo di lutti e disastri. L’Italia si metta a lavorare per costruire nel mondo pace e diritti e si chiami fuori da questa guerra. Firma su: www.change.org/it/petizioni/siria-se-vuoi-la-pace-preparala-pace Primi firmatari: Maso Notarianni, Stefano Rodotà, Maurizio Landini, Cecilia Strada, Fiorella Mannoia, Guido Viale, Marco Revelli, Frankie Hi-Nrg Mc 25 società left.it L’ALTRASINISTRA di Manuele Bonaccorsi Stefano Rodotà, Maurizio Landini, Gustavo Zagrebelsky, Luigi Ciotti e centinaia di associazioni. Scendono in campo per cambiare la politica. Agitando le acque stantie dei partiti. Parole d’ordine: Costituzione, lavoro, diritti. Appuntamento a Roma l’8 settembre 26 31 agosto 2013 left società © MERLINI / LAPRESSE © BUCCIARELLI / LAPRESSE © MONALDO / LAPRESSE left.it M anca ancora un nome. E anche un orario e un indirizzo. C’è, per adesso, solo una data: l’8 settembre. Ma non è un armistizio. È piuttosto l’inizio della resistenza. Stefano Rodotà, Maurizio Landini, Gustavo Zagrebelsky, e ancora Luigi Ciotti, Gino Strada, e dietro loro centinaia di associazioni, che in questi anni non si sono adeguate alla crisi della politica. E che, nonostante la sordità dei partiti, hanno continuato a proporre un’Italia diversa. left, lo scorso 6 aprile, nel bel mezzo dello stallo post elettorale, li aveva messi in copertina, chiamandoli “i nostri saggi”, left 31 agosto 2013 in contrapposizione con altri saggi, quelli nominati da Napolitano per aprire le porte al governo di larghe intese. Adesso scendono in campo. Per riannodare quel filo ideale che dalla primavera dei sindaci del 2011, passando per la vittoria dei sì al referendum sull’acqua pubblica, arriva all’entusiasmo suscitato dalla candidatura di Rodotà come Presidente della Repubblica, passando per il corteo della Fiom di maggio e la piazza del 2 giugno di Libertà e giustizia in difesa della Costituzione. Per «porre una diversa agenda politica», per creare nel «vuoto della politica», «uno spazio agibile da tutti i cittadi- Da sinistra in senso orario: Maurizio Landini, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky 27 società © ARIANNA CATANIA left.it Civati (Pd) scrive a Rodotà: «Stefano, c’è davvero bisogno di un nuovo partito?» ni», come ha detto Stefano Rodotà in una conferenza stampa convocata il 6 agosto. In alto, festeggiamenti per la vittoria del Sì al referendum sull’acqua pubblica 28 Calendario: l’8 settembre un’assemblea aperta, a Roma. Poi, il 5 ottobre, una manifestazione nazionale, con tre parole d’ordine - lavoro, Costituzione, diritti - e una precisa collocazione politica, contraria al governo di larghe intese. Poi, la costruzione di coordinamenti territoriali, in tutto il Paese. E dopo? Dopo si vedrà. Per ora i diretti interessati smentiscono di voler presentare liste elettorali, alle europee o alle probabili politiche anticipate. Di un nuovo partito non si parla nemmeno. Non è questo il tema all’ordine del giorno. Ma nessuno può escludere che ci si arrivi, prima o poi. Specie se i partiti, il Pd in particolare, non sapranno aprire una interlocuzione col nuovo soggetto politico. Politico, esatto. Lo dice chiaro e tondo Maurizio Landini: «Il problema non è fare un nuovo partito, ma dare voce e spazio a chi vuole costruire una politica diversa. E facendo così noi certo che facciamo politica». Il tabù è rotto. Resta una domanda: saranno capaci i partiti di ascoltare quella voce, di dialogare in autonomia con lo spazio politico aperto dai “partigiani dell’8 settembre 2013”? L’intenzione dei promotori è di togliere la sordina: «Vogliamo imporre una nuova agenda politica», ha affermato Rodotà. La nuova agenda non ha solo pagine bianche. Al numero uno c’è il lavoro, come spiegano i sindacalisti della Fiom, in queste settimane alle prese con la fuga estiva di molte aziende e con la testardaggine di Marchionne, che non vuole dare seguito alle sentenze che hanno dato torto alla Fiat. Spiega Michele De Palma, giovane componente della segreteria nazionale della Fiom: «Noi possiamo confinarci nel perimetro della contrattazione sindacale. Ma se la Fiat continua a fare ciò che vuole, rifiutandosi persino di applicare le sentenze della magistratura, nel silenzio della politica, allora a noi non resta che mettere in campo una iniziativa politica». È una causa di forza maggiore: «Noi saremmo contenti di fare ognuno il proprio mestiere, ma se chi ha la responsabilità politica non fa nulla, allora tocca a noi colmare questo vuoto». Senza costruire, però, castelli di sabbia: «Non si può partire dall’idea di un soggetto, non si possono anteporre gli strumenti agli obiettivi. Oggi la crisi mette le persone una contro l’altra. Noi dobbiamo ricostruire una coalizione sociale». Dello stesso avviso è anche Sandra Bonsanti, presidente di Libertà e giustizia: «Non è detto che ogni movimento di idee sfoci necessariamente in un partito politico. Oggi non mancano i partiti, ma la rappresentanza», spiega. Non è da escludere, insomma, che singoli esponenti delle forze politiche possano dialogare con “quelli dell’8 settembre”, o che possano firmare documenti o preparare mozioni e progetti di legge ispirati dall’elaborazione del gruppo parto- 31 agosto 2013 left società left.it rito da Rodotà, Landini e Zagrebelsky. «L’obiettivo è di mettere al centro dello spazio politico l’applicazione della Costituzione. Le forze politiche saranno giudicate anche su questo», spiega la giornalista, tra le organizzatrici della manifestazione bolognese del 2 giugno, quando oltre 100 associazioni scesero in piazza per un’assemblea convocata in difesa della Carta fondamentale. Ed è proprio su questo tema che i “partigiani dell’8 settembre” tengono a caratterizzarsi: questo Parlamento non può modificare la Costituzione, perché eletto con una legge elettorale incostituzionale.«La priorità oggi è cancellare il porcellum», ha affermato Stefano Rodotà. E i partiti? Per ora restano a guardare. Per l’eccessiva distanza, come nel caso di Letta e Renzi. O con trepidazione, come fa Pippo Civati, candidato alla segreteria del Pd, tra i pochi democratici da sempre contrari alle larghe intese. «Ho seguito la conferenza stampa tua, di Maurizio Landini e Gustavo Zagrebelsky», scrive il deputato lombardo sul suo blog, rivolgendosi direttamente a Stefano Rodotà. «Ne ho apprezzato toni e contenuti e mi è sembrato uno dei pochi momenti nei quali si sia fatta politica, nelle ultime stravolte settimane». Continua Civati: «Come sai, penso che l’unico luogo di dibattito sia il Congresso del Pd. L’unica speranza - che certo appare paradossale - di cambiare le cose in profondità». Un tentativo di seduzione, per nulla velato: «Te lo dico spudoratamente, vorrei contare su di te. Sarebbe un peccato disperdere e disperderci, proprio ora, senza trovare una chiave comune per cambiare. E riscattare il presente, il passato e anche il futuro». Emblematico il titolo del post: «Caro Stefano, c’è davvero bisogno di un nuovo partito?». Sulla rete non si trova traccia di una risposta del Costituzionalista. Alla domanda ha risposto su twitter Nicola Fratoianni, deputato di Sel, tra i più ascoltati consiglieri di Nichi Vendola. Chiaro e netto, come impone il social network dei 140 caratteri: «Caro Pippo, sì. Di certo c’è n’è bisogno, perché un dibattito nelle larghe intese non è un granché in tema di speranze». E qui le divergenze politiche tornano in campo, troppo nette per non farci i conti. «Il Pd è intento in una discussione tutta interna, clamorosamente interna: non so se tra i democratici ci siano le condizioni per ascolta- left 31 agosto 2013 re i contenuti di questo progetto», spiega Fratoianni. Il problema è scottante. Perché se da un lato Sel è molto sensibile ai richiami di personalità come Rodotà e Landini, dall’altro nel dibattito del Pd fa spesso capolino l’ipotesi di rimettere in campo l’allenza “Italia bene comune”, quella della gloriosa macchina da guerra bersaniana. Non solo nell’elaborazione di Pippo Civati, da sempre contrario alle larghe intese. Ma anche nei documenti di esponenti della vecchia guardia democratica, come Cuperlo e Bettini. Il braccio destro di Veltroni, ad esempio, il 6 settembre sarà la guest star della festa di Tilt, organizzazione giovanile vendoliana, insieme al vicepresidente della Regione Lazio Massimiliano Smeriglio, di Sel. Il rapporto tra Sel e Pd, insomma, non si è mai del tutto chiuso, come tra due Fratoianni (Sel): «Serve un nuovo soggetto politico della sinistra» ex fidanzati che continuino a frequentarsi. E in questo difficile rapporto di coppia, l’iniziativa di Rodotà e Landini precipita come un fulmine. Dentro Sel Fratoianni è tra i più duri. Per lui il tema del rapporto tra Sel e il Pd è attualmente «indicibile». «È impossibile immaginare che Sel, anche con la propria autonomia, possa stare dentro un soggetto che si colloca all’interno le larghe intese». Porte aperte, invece, a “quelli dell’8 settembre”: «Parteciperemo a questo percorso, per noi è un appuntamento importante. La sinistra di questo Paese ha bisogno di un nuovo soggetto capace di ricostruire l’efficacia della politica. Questo non vuol dire che domani si apra l’ennesimo rassemblement della sinistra italiana. Ma certamente serve un campo più largo per una prospettiva che non affondi nelle sabbie mobili delle larghe intese». La nascita dello “spazio politico” di Landini, Rodotà e Zagrebelsky avverrà in contemporanea al percorso congressuale di Sel, che si aprirà questo settembre. Spiega Fratoianni: «Vogliamo realizzare un congresso aperto, fino in fondo, trovando meccanismi che consentano la partecipazione anche di chi non è iscritto, a partire dai promotori dell’8 settembre». Il cantiere è aperto. E i promotori lo giurano: non finirà come la sinistra Arcobaleno, né come Rivoluzione civile. Questa volta si scende in campo per restarci. 29 copertina © LAPRESSE left.it IL PORCELLUM NON VUOLE MORIRE di Sofia Basso e Rocco Vazzana Cambiarlo era nei programmi di tutti gli schieramenti. Ma ancora una volta si rischia di andare a votare con la vecchia legge elettorale. Tra i mal di pancia dei parlamentari M5s per la giravolta di Grillo e le occasioni perse del Pd C hi ammazzerà il Porcellum? Forse nessuno. Cambiare la legge elettorale era nei programmi di tutti gli schieramenti, ma dopo 4 mesi di governo la “porcata” è ancora lì. E per l’ennesima volta si rischia di tornare alle urne con l’odiata Calderoli. Persino Beppe Grillo - da sempre aspirante macellaio dell’attuale sistema elettorale - si è detto pronto a tornare al voto senza neanche l’introduzione delle preferenze, creando diversi mal di pancia all’interno del Movimento 5 stelle. «Solo qualche “anima bella” pensa di poter correggere 30 ora il Porcellum», ha scritto l’ex comico nel suo blog il 26 agosto. Ma le “anime belle”, a quanto pare, tra i 5 stelle ci sono e sono pure convinte che non cambiare la legge elettorale equivarrebbe a tradire la volontà dei cittadini. «Non so perché Grillo abbia scritto quel post, non parlo con lui da tempo», dice il senatore M5s Francesco Molinari. «Ho paura che anche noi stiamo diventando tattici alla D’Alema. Il paradosso è che chi sta fuori dal Parlamento è più tattico di chi sta dentro». In altre parole, la faccia davanti agli elettori la mettono gli eletti e Grillo farebbe bene a mi- 31 agosto 2013 left copertina left.it surare i suoi interventi. «Abbiamo sempre detto che eravamo contro il Porcellum, per questo sono nati i V-day», continua Molinari. «Se adesso facessimo un passo indietro sarebbe come tradire noi stessi. Grillo fa il suo lavoro come ha sempre fatto, noi non gli diciamo cosa deve scrivere e lui non dice a noi quello che dobbiamo fare». Prova a gettare acqua sul fuoco, invece, Vito Crimi, ex capogruppo al Senato del partito stellato e membro della commissione Affari costituzionali. «I malumori interni non nascono per i contenuti dei post di Beppe ma dalle modalità con cui vengono espressi», spiega Crimi. «Noi siamo contro il Porcellum e l’abbiamo sempre detto. Però dopo la condanna di Silvio Berlusconi è scattato l’allarme perché Pd e Pdl hanno attivato una procedura d’urgenza per cambiare la legge elettorale. Il loro obiettivo in realtà è di portare a casa presidenzialismo e doppio turno. Se queste sono le condizioni, allora andiamo a votare subito». A costo di rimanere impantanati al Senato anche nella prossima legislatura. «A maggio abbiamo presentato una mozione che è stata bocciata», ribatte Crimi, «prevedeva quattro semplici cose che sarebbero servite a correggere il Porcellum: ripristino della preferenza, premi di maggioranza analoghi tra Camera e Senato, limite dei due mandati e incandidabilità in più di una circoscrizione». E dopo le aperture di Violante a Berlusconi, alcuni 5 stelle temono di rimanere “fregati” da un eventuale accordo tra i due partiti di maggioranza che punterebbe a tagliar fuori il Movimento alle prossime elezioni. «Il Pd sta già offrendo una stampella al Pdl», dice il deputato Stefano Vignaroli, «gli inciuci non li fanno in Aula ma in altre stanze in cui noi non ci sogniamo nemmeno di entrare. Perché dovremmo provare a cambiare la legge elettorale con chi già si è accordato con Berlusconi?». I democratici, invece, rivendicano di essere l’unico partito con una posizione «storicamente determinata negli atti parlamentari». Già nella scorsa legislatura, infatti, il Pd aveva presentato la sua proposta di sistema a doppio turno di collegio con una correzione proporzionale. Ma quale riforma sia possibile con questo Parlamento, non lo sa neppure Gianclaudio Bressa, presidente del Forum Pd riforme dello Stato: «Il nostro impegno è per una legge che sciolga i nodi evidenziati dalla Corte costituzionale, cioè il premio di left 31 agosto 2013 maggioranza senza soglia e la diversità di premi tra Camera e Senato. Per Bressa, membro della commissione Affari istituzionali di Montecitorio, bisognerebbe lavorare anche sui meccanismi di scelta dei candidati: «Si devono introdurre collegi uninominali o preferenze». Tra le varie ipotesi, il deputato Pd cita anche quella ventilata da Luciano Violante, con un secondo turno di coalizione. «Se c’è la volontà politica si può cambiare la legge elettorale in 30 giorni, altrimenti non si farà nulla», riassume, «il Pd è l’unico partito che ha una posizione chiara e che vuole cambiare il Porcellum. Negli altri vedo grande ipocrisia e grande tattica». Bressa si dice disponibile anche a un ritorno al Mattarellum nel caso ci fosse una maggioranza, ma ci tiene a precisare che non ci sarebbe una legge pronta, visto che si dovrebbero «ri- Molinari (M5s): «Siamo nati con i V-day, ora rischiamo di diventare tattici, alla D’Alema» definire tutti i collegi, fermi al censimento 2001, e correggere le storture che permettevano le liste civetta». Rimane però il fatto che a fine maggio, quando M5s e Sel erano pronti a votare la mozione del renziano Giacchetti, il Pd costrinse i suoi a fare marcia indietro. Un’occasione persa? «Non era il momento per fare la riforma», spiega Bressa, «perché si stava discutendo se avviare un percorso costituzionale. Prima si delineano le regole del cambiamento, poi si varano i provvedimenti puntuali». Una lettura che non convince Pippo Civati, che chiede la cancellazione del Porcellum sin dai primi giorni del governo Letta. Il candidato alla segreteria Pd incalza i suoi: «Se continuiamo così, la cosa migliore è fare una legge elettorale e andare al voto. Dobbiamo proporre ai Cinque stelle di tornare al Mattarellum. L’hanno già sostenuto con la mozione Giacchetti, non so come potrebbero votare contro. Se lo facessero, lo dovrebbero spiegare agli elettori». Anche Felice Casson, senatore democratico che già nel 2006 presentò un disegno di legge per tornare all’uninominale, ribadisce l’intenzione del suo partito di cambiare la legge elettorale: «Se dovesse cadere il governo, dovremmo trovare lo spiraglio per fare la riforma con qualsiasi maggioranza. Credo che sia possibile, ma bisogna ragionare passo passo». Per non morire di Porcellum. Dall’alto in basso: Pippo Civati, candidato segretario Pd; Vito Crimi, senatore M5s; Gianclaudio Bressa, deputato Pd; Francesco Molinari, senatore M5s 31 società left.it Università al capolinea di Pietro Greco Non è vero, come diceva l’ex ministro Fornero, che «in Italia ci sono troppi laureati». Al contrario, sono pochi. Gli iscritti continuano a calare e la forbice col resto del mondo aumenta L Università di Roma La Sapienza, statua della Minerva 32 a disoccupazione giovanile in Italia ha superato il 40 per cento. Che vuole, signora mia - diceva il ministro del Welfare di un recente governo - ci sono troppi laureati. Anche i figli degli operai vogliono fare i dottori. Così non trovano lavoro. E poi, aggiungeva un noto economista, in Italia si spende troppo per l’università. Ogni studente ci costa il doppio che in Francia o in Germania. Bisogna tagliare le spese, alzare le rette, cacciare i fannulloni. I dati recenti ci dicono, ahinoi, che questo programma è stato realizzato. Peccato che le premesse fossero del tutto sbagliate. E che per questo l’Italia sta uccidendo nella culla il proprio futuro. Che il programma sia stato realizzato è un fatto. Come denuncia la Conferenza nazionale dei rettori in un suo recente rapporto, le spese per l’università sono state tagliate del 14 per cento rispetto al 2008 (all’incirca 1,5 miliardi). Intanto i presunti fannulloni sono stati mandati a casa: il corpo docente è infatti diminuito del 22 per cento negli ultimi dieci anni. I corsi della medesima percentuale. E gli studenti iscritti al primo anno sono diminuiti del 17 per cento: erano 338.482 nell’anno accademico 2003/04 si sono ridotti a 280.144 nel 2012/13. Nel medesimo periodo le tasse di iscrizione sono aumentate in media del 50 per cento, passando, in media, da 632 a 948 euro per anno. Per la felicità del ministro, i figli degli operai non si iscrivono più all’università. Vero è che il numero di laureati è rimasto sostanzialmente costante in questo decennio. Ma è probabile che gli effetti del crollo degli iscritti si farà sentire sulle lauree nei prossimi anni. Insomma, la campagna contro l’università in Italia ha prodotto i suoi frutti. Il guaio è - per i giovani italiani e per il Paese - che il mondo va in assoluta controtendenza. E che le premesse dell’idea «in Italia ci sono troppi laureati» siano tutte sbagliate lo dimostra Education at a Glance 2013, il rapporto sui sistemi formativi nel mondo pubblicato nelle scorse settimane dall’Ocse. Primo dato: i giovani laureati aumentano di numero in tutto il mondo. Costituiscono, ormai, il 40 per cento della popolazione nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni nei Paesi che aderiscono all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. In Corea del Sud hanno raggiunto il 64 per cento nel 2011: record planetario. Erano appena (si fa per dire) il 37 per cento nell’anno 2000 e meno del 10 nel 1980. Seul non è un’anomalia, ma la punta di un iceberg. In Giappone i giovani laureati sono il 59 per cento, in Canada e in Russia sono il 57, in Gran Bretagna il 47, in Francia il 43. In Italia sono appena il 21. Una buona crescita rispetto al 2000, quando i giovani italiani con la laurea non superavano l’11 per cento. Ma in termini assoluti, siamo alla metà della media Ocse. A un terzo rispetto dalle punte dell’iceberg. Non è dunque vero che in Italia ci sono troppi laureati. La verità è specularmente opposta: ce ne sono troppo pochi. E se gli iscritti calano, la forbice col resto del mondo tende ad aumentare, non a diminuire. Secondo dato: non è vero che l’università italiana costa troppo. È vero il contrario. Costa troppo poco. Dice l’Ocse che la spesa procapite per studente in Italia ogni anno è di 9.580 dollari. Confrontatela con queste altre: Stati Uniti, 25.576 dollari; Canada, 22.475; Svizzera, 21.893; Svezia, 19.562; Giappone, 16.015; Gran Bretagna, 15.860; Francia, 15.067; Corea del Sud, 9580. La media, nei Paesi Ocse è di 17.665 dollari. La media nell’Unione europea è di 12.865. La verità, dunque, è che per ogni nostro studente noi spendiamo il 26 per cento in meno della media europea e il 46 in meno della media Ocse. Anche in termini relativi il confronto è impietoso. Lasciamo stare il confronto con Stati Uniti, dove la spesa per l’università è pari al 2,8 per cento del Prodotto interno lordo (Pil), o il Canada (2,7) e la Corea del Sud (2,6). Ma il fatto è che noi spendiamo meno della metà del- 31 agosto 2013 left © MERLINI / LAPRESSE left 31 agosto 2013 33 società left.it Siamo l’unico Paese ad aver considerato l’istruzione un bene di lusso la media Ocse (2,1) e il 33 in meno rispetto alla media dell’Unione europea. Di più, tra il 2008 e il 2012 l’Italia è, tra i grandi Paesi Ocse, uno dei pochi ad aver tagliato la spesa per l’università e l’unico in cui i tagli sono stati, in percentuale, superiori alla diminuzione del Pil. Gli altri Paesi hanno, per la gran parte, aumentato gli investimenti, sebbene il Pil scendesse. E quei pochi che hanno tagliato le spese, lo hanno fatto comunque in misura minore del tasso di recessione. Siamo gli unici ad aver considerato l’università un lusso da eliminare. Terzo dato: non è vero che le università italiane sono troppe. In Italia abbiamo 61 università statali, 6 scuole superiori e 26 università non statali. Totale: 93 istituti di educazione terziaria. In Gran Bretagna ne hanno 141, in Germania quasi 400, in Francia oltre 500, negli Stati Uniti 4.314. Giusep- 34 pe De Nicolao, dell’università di Pavia, ha fatto i conti: in Italia ci sono 1,6 centri di educazione terziaria ogni milioni di abitanti; in Spagna 1,7; nel Regno Unito 2,3; in Germania 3,9; in Francia 8,4 e negli Stati Uniti, addirittura, 14,5 milioni. Allora sono troppi i corsi? Nel 2008, prima della crisi, l’intensità era di 101 corsi per milione di abitanti, contro i 154 della Germania e i 610 del Regno Unito. Ma in questi ultimi anni, secondo il sito Università.it Istruzioni per l’uso c’è stato un taglio feroce: i corsi sono passati dai 5.519 del 2007 ai 4.324 del 2013, con un taglio del 21 per cento. Allora sono troppi i professori? Niente affatto, dice l’Ocse, in Italia c’è un docente quasi ogni 20 studenti. Negli altri paesi Ocse la media è di un docente ogni 10 studenti o poco più. Insomma, l’offerta formativa in Italia è largamente sottodimensionata rispetto a quella degli altri Paesi. Allora è scarsa la qualità? Niente affatto: in tutti i (discutibili) ranking internazionali il numero di università italiane che rientrano tra le prime 500 del mondo è superiore, in termini 31 agosto 2013 left società left.it © CORNER/LAPRESSE Per l’Ocse la laurea è il primo antidoto contro la disoccupazione giovanile assoluti e relativi, a quelle della Spagna, sostanzialmente pari a quelle della Francia; non molto inferiori a quelle di regno Unito e Germania. Quarto dato: non è vero che la laurea è un lusso che non possiamo più permetterci. È vero che la disoccupazione giovanile cresce un po’ in tutto il mondo, anche se in modo variegato. Nei paesi Ocse il 20 per cento dei giovani è, ormai, un Neet: non lavora e non studia. Ed è vero che la disoccupazione cresce anche tra i giovani laureati (fascia d’età compresa tra 25 e 34 anni). Nel 2008 i giovani con laurea e senza lavoro nei paesi Ocse erano il 4,6 per cento dei laureati, nel 2011 erano passati al 6,8. Ma, ciò nonostante, la laurea è il primo antidoto, sostiene l’Ocse, contro la disoccupazione giovanile. Nel 2008, infatti, il tasso di disoccupazione tra i giovani senza laurea era del 13,6 per cento (9,0 punti percentuali in più rispetto ai laureati), nel 2011 la disoccupazione era salita al 18,1 (ben 11,3 punti in più rispetto ai laureati). In media, nei Paesi Ocse, hanno un’occupazione il 60 per cento dei giovani con titolo left 31 agosto 2013 non superiore a quello della media inferiore, il 70 per cento dei diplomati e l’80 dei laureati. Non molto diversamente vanno le cose in Italia. È vero che tra i giovani con la laurea lavorano solo 68 su cento, ma tra quelli con un titolo non superiore alla licenza media è occupato solo il 58 per cento. Dunque, ovunque nel mondo, Italia compresa, chi ha una laurea ha una chance in più di trovare lavoro. Cosa ci dice, l’insieme di questi numeri? Che in termini di politica dell’università stiamo sbagliando tutto. Se continuiamo così fra trent’anni un plotone di Paesi avrà una popolazione in età da lavoro composta per i due terzi da persone con alle spalle circa venti anni di studio. La gran parte dei Paesi avrà una popolazione adulta composta quasi per la metà da persone laureate. E solo in Italia i laureati saranno un’eccezione (non più del 20 per cento della popolazione). Ci saranno, dunque, due universi cognitivi. E noi stazioneremo in quello marginale. In un sua recente indagine sulla trasformazione dell’industria manifatturiera negli Stati Uniti, la rivista Time paragonava l’operaio del 1960 a quello di oggi. Mezzo secolo fa l’operaio non aveva bisogno di un titolo di studio, assemblava a mano i prodotti in fabbrica, lavorava nel settore delle auto, dei macchinari e del tessile, aveva una paga oraria di 2,57 dollari. Indossava una tuta blu. Oggi anche un semplice operaio in una fabbrica americana ha per il 53 per cento un diploma e per il 10 per cento un laurea, lavora col computer in linee automatizzate, lavoro nel settore dell’alimentazione, della chimica e delle macchine hi-tech, guadagna 24,11 dollari l’ora. Indossa il camice bianco. In definitiva, viviamo nella società della conoscenza. E la formazione, insieme alla ricerca scientifica e all’industria creativa, è uno dei tre vertici del triangolo entro cui si muove, a velocità crescente, l’economia della conoscenza. Il rapporto Ocse dimostra che tutto il mondo sta puntando sulla formazione. Solo l’Italia sta tagliando sistematicamente il vertice dell’educazione superiore. E, con esso, il proprio futuro. Una studentessa alle prese con l’esame di ammissione alla facoltà di Medicina all’università statale di Milano 35 società left.it L’ineluttabile decadenza di Luigi Ferrajoli* Ecco perché non c’è alcuno spazio per salvare lo scranno parlamentare di Berlusconi. Nonostante i ricatti alle istituzioni del centrodestra e gli stranissimi dubbi di alcuni giuristi di sinistra I l dibattito sulla decadenza da parlamentare di Silvio Berlusconi sta diventando sempre più penoso. All’analfabetismo istituzionale della destra si sono infatti aggiunte le opinioni di giuristi e commentatori anche di sinistra i quali, di fronte al ricatto di far cadere il governo, hanno sollevato dubbi stranissimi sulle ragioni della decadenza. Queste ragioni sono ben due, tra loro distinte e assolutamente chiare: l’inidoneità a ricoprire la carica di parlamentare per almeno sei anni, stabilita dalla legge Severino, e la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici comminata con la condanna per frode fiscale, divenuta definitiva dopo la pronuncia della Cassazione. La prima ragione di decadenza, cioè l’inidoneità prevista dalla legge alla carica di senatore, è del tutto indipendente dalla seconda: come dice l’art. 15 comma 2, essa «produce i suoi effetti indipendentemente» dalla concomitante «pena accessoria dell’interdizione». La legge Severino, infatti, non è una legge penale, ma elettorale. La decadenza da essa disposta non è perciò una sanzione, ma semplicemente l’effetto di un’incompatibilità: «Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore - dice l’art. 1 lett. c - coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni». L’assenza di simili condanne è insomma un requisito dell’ufficio di parlamentare. Quali sono, allora, i poteri del Parlamento in merito alla decadenza da senatore di Silvio Berlusconi? Nessuno, se per potere s’intende una potestà dotata di una qualche discrezionalità. Ciò che il Senato può e deve fare, in base all’art. 3 della legge e all’art. 66 della Costituzione, è solo 36 prendere atto «delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità» previste dal già ricordato art. 1. Né d’altro canto ha alcun senso e fondamento l’idea, ipotizzata da più parti, che il Parlamento possa eccepire l’incostituzionalità della legge di fronte alla Corte costituzionale. Infondata nel merito, una simile eccezione non può essere sollevata dal Parlamento per assoluta mancanza di competenza. Nel merito la Corte costituzionale si è già pronunciata, dichiarando legittima, con la sentenza n. 118 del 1994, una norma analoga (l’art. 1 della legge n. 16 del 1992) in materia di elezioni amministrative. In quella sentenza la Corte dichiarò infondato l’argomento, anche allora sollevato, dell’irretroattività delle pene, non essendo una pena l’inidoneità alle cariche elettive conseguente a gravi condanne penali. Ma soprattutto la questione non può essere sollevata dal Parlamento. Le questioni di legittimità costituzionale delle leggi, come dovrebbe esser noto, possono essere sollevate solo nel corso di un giudizio da un organo giurisdizionale. Ed è un non senso che il Parlamento, che non è un organo giurisdizionale ma un organo politico, possa eccepire l’illegittimità di una legge da esso stesso emanata. Altro che Parlamento divenuto «occasionalmente giudice terzo», come è stato detto da Piero Alberto Capotosti! La decisione di sollevare l’eccezione sarebbe tutta politica, presa unicamente dall’attuale maggioranza che sostiene il governo sotto il ricatto che il condannato ad essa interessato ne provochi la caduta. Né si dimentichi che la legge Severino fu votata pochi mesi fa da tutto il Pdl, che oggi ne scopre l’incostituzionalità solo perché danneggia Berlusconi: il quale, a questo punto, dovrebbe prendersela soprattutto con i suoi avvocati, che pure siedono in Parlamento, e con tutta la sua schiera di cortigiani parlamentari che oggi gri- 31 agosto 2013 left società left.it © SAMBUCETTI/AP/LAPRESSE Tutt’altra questione, del tutto indipendente dalla prima, è l’interdizione dai pubblici uffici disposta dalla sentenza di condanna confermata in Cassazione. Per questa pena la destra chiede al Presidente della Repubblica la grazia oppure la sua commutazione in una pena pecuniaria. Ammesso e non concesso che la grazia possa travolgere la pena accessoria dell’interdizione, un simile provvedimento è del tutto inconcepibile. Sul piano politico - proprio perché sarebbe motivato da ragioni puramente politiche, e non certo dalle “ragioni umanitarie” che per giurisprudenza costante giustificano la grazia - esso equivarrebbe a una vistosa violazione della separazione dei poteri e del principio di uguaglianza. Ma soprattutto la grazia è inammissibile per più motivi: 1) perché l’interessato si rifiuta di farne domanda; 2) perché dei 4 anni di reclusione inflitti già tre sono stati condonati per indulto; 3) perché Berlusconi ha in corso altri procedimenti penali e la grazia è in tali casi esclusa dalla prassi; 4) perché non risulta che Berlusconi si sia ravveduto e neppure - ammes- left 31 agosto 2013 Una sentenza della Consulta del 1994 dimostra che un ricorso sulla legge Severino non avrebbe senso so, come ha sostenuto, che non era a conoscenza della frode - che abbia restituito i 270 milioni di euro da lui frodati allo Stato. Aggiungo che il governo non può sottrarsi alla responsabilità della decisione sulla grazia. È pur vero che una sentenza del 2006 della Corte costituzionale ha affermato il carattere presidenziale di tale decisione. Ma resta pur sempre il principio, stabilito dall’articolo 89 della Costituzione, che «nessun atto del Presidente è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità». La grazia è perciò un atto complesso, cui concorrono il Presidente della Repubblica i ministri «che ne assumono la responsabilità», in questo caso totalmente politica. E sarebbe francamente la fine del Partito Democratico se un governo presieduto da un suo esponente si assumesse la responsabilità di un atto così palesemente lesivo dello stato di diritto, come la grazia a un condannato per frode fiscale, solo per cedere al suo esplicito ricatto. * docente di Filosofia del diritto all’università Roma tre © MOSCIALAPRESSE dano all’attentato alla democrazia e che evidentemente non si accorsero di votare una legge che avrebbe sanzionato la decadenza del loro capo a seguito di un processo già allora giunto alla fase conclusiva. In alto, un interno della Corte Costituzionale. In basso, l’ex ministro della Giustizia Paola Severino 37 la scuola che non c’è società left.it Diminuiscono le iscrizioni alle università ma anche al Liceo umanistico. Soprattutto a Nord Il Classico divario di Giuseppe Benedetti 38 © SPADA/LAPRESSE N el corso degli ultimi sei anni le ragazze e i ragazzi che hanno scelto di iscriversi al liceo classico sono diminuiti di oltre la metà. Contemporaneamente le immatricolazioni universitarie sono calate del 20 per cento. Lo scorso anno, dopo un lungo periodo di crescita, la spesa impegnata dagli italiani nella cultura è diminuita di tre miliardi di euro. Sono dati che fotografano impietosamente il declino del nostro Paese. Relativamente al primo dato, il dimezzamento degli iscritti al classico, da diversi anni si potevano riconoscere due tendenze: la femminilizzazione e la meridionalizzazione di questo percorso di studi. Le ragazze, in genere, sono più disponibili dei maschi a impegnarsi nello studio, come schiacciate in un ruolo sociale definito. Anche perché continuano a trovare un’organizzazione del lavoro più esigente nei loro confronti, e pensano di poterla soddisfare con una solida formazione. La seconda tendenza si spiega con il cronico divario nord-sud. In un contesto socio-economico dinamico, è molto più facile che proprio nelle scuole del nord del Paese i giovani motivati allo studio intraprendano percorsi di formazione tecnica e professionale di qualità e con reali sbocchi occupazionali. Al sud, invece, lo stato di abbandono in cui è lasciata la scuola tecnica e professionale - dall’assenza o dall’obsolescenza dei laboratori al disinteresse delle imprese - non lascia alternative a chi intende investire tanto nell’impegno scolastico. Se in altri Paesi, per esempio negli Usa e in Francia, l’abbandono degli studi umanistici nelle università è una questione presa in carico dai rispettivi governi, in Italia tutto tace. Qui non si tratta di stabilire un primato tra le due culture, umanisti- Sono soprattutto le ragazze meridionali a iscriversi al ginnasio ca e scientifica, sia perché la cultura umanistica non è contro la cultura scientifica sia perché oggi si tende spesso a confondere scienza e tecnologia. Il netto calo delle iscrizioni al liceo classico preoccupa perché, per ragioni dipendenti dalle scelte politiche degli ultimi vent’anni, questo percorso di studi raccoglie i giovani più disponibili a farsi trascinare nello studio e nella ricerca. È gravissimo che questo patrimonio non venga tutelato e, anzi, sia stato e continui a essere il bersaglio prediletto di un fronte politicamente trasversale che riduce gli studi umanistici a un vano culto del passato. Probabilmente il modo migliore per difendere questo patrimonio non è quello di lasciare tutto così com’è, ma di sicuro si è rivelata sbagliata la strategia egualitaria del livellamento degli studi verso il basso. In questo ha avuto buon gioco il “donmilanismo degli stenterelli” che, da destra e da sinistra, ha lavorato per demolire quel- la che dagli anni Settanta non era più scuola d’élite e per raggiungere l’obiettivo di una formazione azzoppata che fa diventare tutti ugualmente ignoranti. Inseguendo l’eliminazione dell’elitarismo nella formazione, i nuovi conservatori, travestiti da riformisti, hanno consolidato nuove e durature ingiustizie e calpestato un diritto fondamentale: il diritto all’istruzione di qualità. Ora sono pronti a sferrare l’ultimo assalto alla scuola pubblica di qualità, presentata come un lusso che uno Stato virtuoso, divenuto buon amministratore di se stesso, non può permettersi. Perciò hanno tirato fuori la formula demagogica della vicinanza ai cittadini, la sussidiarietà, che nasconde la volontà di privatizzare. La fuga dai classici perciò va letta non solo come un tentativo di difesa da un destino di disoccupazione in un Paese privo di progettualità e incapace di valorizzare il proprio patrimonio culturale, ma anche come un’impennata dell’indice di sfiducia dei cittadini nei confronti di un istruzione di qualità capace di determinare il proprio futuro, al riparo da raccomandazioni e altre ingiustizie. [email protected] 31 agosto 2013 left mondo left.it Un campo di softball sotto il ponte di Manhattan Sabato pomeriggio a Central park Ginnastica a Central park BORN TO RUN 40 foto di Tim Clayton Lapresse 31 agosto 2013 left left.it mondo Campi di basket all’angolo della West 4th street Una jogger fa stretching contro un muro del Greenwich Village di prima mattina Joggers lungo la 11th Avenue West Side A New York è boom di sport da strada. Dalla corsa allo skateboard, dal golf al basket. Nei parchi o sui marciapiedi. L’importante è muoversi a costo zero left 31 agosto 2013 41 mondo left.it Ciclisti al Greenwich Village Una donna fa ginnastica in una palestra dell’Upper East Side Driving range (un tipo di golf) al molo di Chelsea N ella città degli opposti, popolata da salutisti ossessivi e divoratori di junk food, vive un popolo di sportivi. Soprattutto corridori e pattinatori. Mentre il traffico congestiona le vie della Grande Me- 42 la, i newyorkesi (più di otto milioni di abitanti) si dedicano con sempre maggiore convinzione agli sport di strada. Ovviamente il luogo eletto è Central park, l’enorme parco pubblico al centro di Manhattan (840 acri), completamente 31 agosto 2013 left mondo left.it Giocatori di pallamano nei campi del West 4th street durante una partita pomeridiana Pattinatori a rotelle a Central park Uno skateboard lungo Chelsea street fotografato da un taxi di New York chiuso al traffico nei weekend, con i suoi prati sconfinati, le piste da pattinaggio, le rocce da scalare, la sua piscina all’aperto e i bunker per golfisti. Il suo Park drive (9,7 km di perimetro) è ideale per joggers e ciclisti. A correre si va an- left 31 agosto 2013 che a Prospect park a Brooklyn o sui Chelsea Piers, i moli del fiume Hudson, attrezzati con strutture sia coperte che all’aperto, che permettono di spaziare dall’hockey sul ghiaccio al beach volley. Non manca chi preferisce in- 43 mondo left.it Un pattinatore sfreccia nel Midtown Manhattan Boccie nel parco di Washington Square I riflessi della pista di ghiaccio nel molo di Chelsea forcare la bicicletta per sfrecciare col suo caschetto sulle tante piste ciclabili o chi sfida i vicini di casa nei campetti di basket del quartiere. In realtà, ogni angolo è buono per l’attività fisica: dall’alba al tramonto, newyorkesi d’ogni 44 età e di ogni colore infilano scarpe e vestiti sportivi e si allenano all’ombra dei grattacieli o degli alberi cittadini. Che sia jogging, skateboard, bicicletta, pattini a rotelle, stretching o baseball. L’importante è muoversi. A costo zero. 31 agosto 2013 left cultura © WILL/AP/LAPRESSE 46 Quando il cervello invecchia 50 Letteratura. Onda neogreca 54 Munch da urlo Il 70esimo Festival del cinema di Venezia il 31 agosto festeggia il talento di un divo “contro corrente” come James Franco. L’attore, regista e scrittore (Minimun Fax ha pubblicato il suo In stato di ebbrezza) è presente alla Mostra con ben due film Child of God, tratto dal duro romanzo di Cormac Mc Carthy di cui firma la regia e con Palo Alto dell’esordiente Gia Coppola. scienza 46 left.it 31 agosto 2013 left scienza left.it Invecchiamento cerebrale di Silvio Garattini Alzheimer e altre malattie neurodegenerative sono tra le emergenze del III millennio. Il direttore dell’Istituto Mario Negri ne parlerà in una lectio magistralis al Festival della mente di Sarzana. Eccone un’anticipazione L a durata di vita dell’uomo, maschi e femmine, è aumentata in tutto il globo, sia nei Paesi industrializzati, sia nei Paesi emergenti, anche se in senso assoluto la differenza fra i due gruppi di Paesi è largamente a vantaggio dei primi. Sono molti i fattori che hanno contribuito a questo aumento ed è molto difficile assegnare priorità anche se indubbiamente la quantità e la qualità dell’alimentazione, l’adozione di migliori norme igieniche, la diminuzione della povertà hanno avuto un ruolo importante insieme ai progressi della medicina che ha praticamente annullato la mortalità indotta da malattie infettive e ha permesso di convivere, grazie ad alcuni farmaci, con le malattie croniche. Un neonato maschio che all’inizio del 1900 aveva una speranza di vita di 42,6 anni è passato ad averne 63,7 nel 1950, a 74,6 nel 1995 e oggi è intorno ai 78 anni. La speranza di vita che è attualmente ancora in aumento è più generosa con le donne, perché attraverso una continua crescita è passata dai 43 anni del 1900 ai circa 84 del periodo attuale. Tutto ciò comporta un aumento delle persone anziane. Questo fenomeno, peraltro, è accompagnato da un altro importante cambiamento, cioè dalla diminuzione della natalità, ridottasi praticamente in tutto il mondo da una media di 5 figli per donna del 1950 a 2,5 figli nel 2010. La situazione in Italia è ancora più significativa, perché a partire dal 1980 i nati vivi riescono a mala pena a rimpiazzare i morti. Per questa ragione l’aumento della popolazione anziana non dipende solo dall’aumento della durata di vita, ma riceve un forte impulso dalla diminuzione delle nascite. Così la rappresentazione classica della demografia della popolazione italiana costituita da una piramide con una larga base di neonati che si restringe sempre più con l’aumento dell’età si è trasformata in un parallelepipedo che, secondo le previsioni, nel futuro left 31 agosto 2013 pare destinata a trasformarsi in una piramide rovesciata. In altre parole assistiamo a un costante aumento nella popolazione dell’indice di vecchiaia, inteso come il rapporto fra chi ha 65 o più anni e chi ha meno di 14 anni: nel 1950 era intorno a 20, nel 2000 era intorno a 125. Le previsioni per il futuro sono preoccupanti perché si ritiene che nel 2050 l’indice di vecchiaia possa avvicinarsi a 300. Se tutti accettano ovviamente con soddisfazione l’aumento della durata di vita e sperano di superare i 100 anni, un privilegio oggi limitato a pochi, più difficile accettare che l’aumento della durata di vita si accompagni necessariamente a un “indebolimento” dell’organismo e inevitabilmente alla morte. Prima o poi tutti gli organi vengono compromessi e purtroppo il cervello che rappresenta la parte più nobi- Si stima che in Italia gli anziani con demenza siano più di un milione e 300mila le dell’uomo non fa eccezioni. Infatti, molte sono le variazioni a cui va incontro il cervello a partire dalla nascita con la crescita del volume e del contenuto cerebrale, cui segue inevitabilmente, dal punto di vista statistico, una riduzione a partire dall’età adulta: dall’età di 20 anni all’età di 90 anni il volume cerebrale si riduce di circa il 30 per cento, una riduzione molto importante che riguarda soprattutto l’ippocampo e la corteccia prefrontale, cioè le parti del cervello che hanno a che fare con la memoria e le funzioni cognitive. Per fortuna c’è un’ampia variabilità individuale per cui persone di 90 anni possono avere un volume cerebrale non diverso da soggetti che ne hanno 60. A questo importante cambiamento corrispondono significative modifiche morfologiche e biochimiche. Per dare un’idea della comples- Uno scanner ai raggi X del cervello 47 scienza left.it Con l’avanzare dell’età diminuisce il numero dei neuroni, delle connessioni e delle “spine” sità del cervello umano occorre ricordare che contiene circa 100 miliardi di neuroni che sono catalogabili in oltre 1.000 tipologie differenti. Ogni neurone ha circa 1.000 connessioni con altri neuroni cosicché si hanno circa 10 trilioni di connessioni che rappresentano il cosiddetto “connectoma”, cioè l’insieme della straordinaria rete da cui dipendono il pensiero, le emozioni, gli affetti nonché, attraverso il sistema nervoso periferico, il controllo della circolazione e praticamente di tutti gli organi. Per quanto se ne sa oggi, l’invecchiamento cerebrale si riflette a molti livelli diversi. Diminuisce il numero di neuroni. Ma non solo: per i neuroni che rimangono, diminuisce il numero di connessioni e sulle diramazioni neuronali (dendriti) si riduce notevolmente il numero delle spine che rappresentano i punti di contatto fra le varie terminazioni nervose con conseguente impoverimento della concentrazione e dell’attività dei neurotrasmettitori chimici. Contemporaneamente anche le cellule di supporto ai neuroni, come gli astrociti, invecchiano e quindi si deteriora la rete che trasmette i segnali. 48 Se passa certi limiti, l’invecchiamento cerebrale può diventare patologico. I sottili cambiamenti già descritti si accompagnano ad una maggiore vulnerabilità dei neuroni. Lo stress, i traumi, l’eccessivo carico metabolico possono determinare un deficit cognitivo e una vasta degenerazione neuronale. Non va trascurato l’apporto circolatorio che pure subisce il peso dell’invecchiamento sia per l’arteriosclerosi sia per l’occlusione capillare dovuta alla formazione di piccoli trombi. L’insieme di tutte queste situazioni viene normalmente semplificato anche nel linguaggio popolare con il nome di malattia di Alzheimer il cui esordio è spesso caratterizzato da deficit di memoria e il punto d’arrivo è rappresentato dalla demenza. Va comunque sottolineato che ciò che chiamiamo con lo stesso nome - demenza - è costituito da molti fattori di tipo genetico ed ambientale. Un passo avanti nelle conoscenze è stato determinato dalle moderne tecnologie che permettono di seguire in vivo i test di memoria, l’aumento delle placche neuritiche, costituite principalmente dall’aggregazione della proteina amiloide-beta nello spazio extraneuronale (la proteina tau è presente nei grovigli neurofibrillari, l’altra lesione “alzheimeriana” all’interno del neurone) e infine anche dalla diminuzione dell’utilizzo del glu- 31 agosto 2013 left scienza left.it cosio cerebrale che è un indice molto importante della funzionalità dei neuroni. Queste informazioni hanno importanza perché possono dare indicazioni circa la possibilità di mettere a punto farmaci capaci di prevenire, rallentare o curare la demenza. Da questo punto di vista, grazie anche alla sperimentazione animale, l’attenzione è molto concentrata sulla amiloide-beta, perché si ritiene che la deposizione di questa proteina possa essere alla base della degenerazione neuronale. Tuttavia, si è osservato che non tutti i soggetti in cui si è verificato un forte aumento dell’amiloide-beta nel cervello sono necessariamente portatori della malattia d’Alzheimer. Così si è potuto osservare in varie linee di topi “Alzheimer”, che cioè hanno deficit cognitivi, che la neurotossicità non dipende solo dalle placche di amiloide, ma da alcuni composti detti oligomeri, che sono i precursori della placca amiloide. In studi di tipo comportamentale si è osservato che gli oligomeri riducono la memoria nel topo e quindi possono rappresentare un test per studiare farmaci che contrastano il deficit di memoria. Che il cervello tema l’azione degli oligomeri è probabilmente dimostrato dalla presenza nel cervello di sostanze dette “chaperonine” che inattivano gli oligomeri dell’amiloide. Una di queste proteine, la clusterina è in grado in piccolissime concentrazioni di bloccare la tossicità degli oligomeri. Queste osservazioni condotte da vari ricercatori all’Istituto Mario Negri aprono la possibilità di nuove prospettive terapeutiche. Riprendendo le considerazioni iniziali, l’aumento della popolazione anziana non può che determinare un aumento della demenza nella popolazione. Infatti, in uno studio condotto su circa 2.500 anziani con più di 80 anni - la fascia di popolazione che in proporzione tende a crescere più rapidamente - si è potuto stabilire che circa il 18,6 per cento dei maschi e il 28,5 delle femmine soffre di demenza, una percentuale che sale rispettivamente al 33,9 e al 49,2 per cento nella popolazione di 90 anni o più. Attualmente si stima che in Italia vi sia oltre un milione e trecentomila persone con demenza fra la popolazione anziana (65 o più anni di età), cifra destinata ad aumentare nei prossimi anni. Si tratta di un’emergenza di cui nessuno si rende conto. Politici-amministratori ma l’insieme della classe dirigente dovrebbe mettere fra le priorità l’attenzione a questo grave problema promuovendo competenze, strutture, servizi e ricerca in grado di farvi fronte. © SPADA/LAPRESSE APPUNTAMENTO A SARZANA left 31 agosto 2013 L’eminente farmacologo Silvio Garattini è tra i protagonisti della X edizione del Festival della mente, a Sarzana, dal 30 agosto al 1 settembre. Proprio il primo settembre, alle ore 10:30, nel Chiostro di S. Francesco, il direttore dell’Istituto Negri parlerà di invecchiamento cerebrale e di nuove ricerche per la cura della demenza. Quest’anno il Festival conta ben 90 eventi tra incontri, spettacoli e workshop. Fra gli ospiti, lo scrittore Jonathan Coe che interverrà sull’importanza dello humour e presenterà il suo nuovo romanzo Expo 58 (Feltrinelli). E poi, tra molti altri, Alessandro Barbero, Stefano Bartezzaghi, Ulrich Beck, Edoardo Boncinelli, Umberto Curi (autore di Passione edito da Raffaello Cortina), Nicola Gardini e Nicla Vassallo. 49 cultura © DOMTURNER/FLICKR left.it Il dolce suono degli scrittori neogreci di Filippo La Porta Nonostante la crisi e la chiusura di molti enti culturali la letteratura continua a fiorire ad Atene e dintorni . E nell’anno del centenario di Kavafis è soprattutto la poesia a conoscere uno straordinario e imprevisto successo E siste oggi una più ampia cultura mediterranea che abbraccia anche il nostro Sud? Il risveglio letterario e artistico della Puglia, che può essere datato dalla caduta del Muro e dalla grande migrazione degli anni 90, tende a proiettarsi verso il Mediterraneo, alla ricerca di una possibile identità comune con Paesi vicini. A Grottaglie, in provincia di Taranto, il Presidio del libro ha organizzato alcuni incontri per verificare analogie e punti di contatto con la letteratura neogreca. Se i pugliesi si sentono europei e al tempo stesso levantini («dolce 50 ansietà d’Oriente», diceva Giovanni Macchia, nato a Trani), i greci si sentono europei e balcanici, in bilico tra Est e Ovest. Di quel Paese tendiamo ad avere un’immagine distorta, fatta di stereotipi vacanzieri. Ne ignoriamo la storia e la letteratura a parte Zorba il greco e Kavafis. E ne studiamo solo la lingua antica. Ci piace pensare che è il fanalino di coda della Ue, molto più arretrato di noi, ma in realtà un libro di poesie può vendere in Grecia, che ha un quinto della nostra popolazione, fino a 15mila copie, mentre da noi non arriva a 150! Per approfondire questi 31 agosto 2013 left cultura left.it VIAGGI DI CARTA NELLA TERRA DI OMERO temi abbiamo incontrato Caterina Carpinato, che insegna letteratura neogreca all’università veneziana di Ca’ Foscari. Facendo una veloce ricerca in Rete scopro che la collana Aristea di Crocetti ha pubblicato ben 84 romanzi greci, però nessuno ne parla. Come mai? Negli ultimi vent’anni i titoli di narrativa neogreca pubblicata in Italia hanno raggiunto una quantità considerevole: però sono rimasti ai margini, conosciuti da pochi a causa di una “politica editoriale” che non condivido. Non rende un buon servizio alla letteratura neogreca essere pubblicata da editori minori, perché questo significa non essere distribuiti. Diverso è il caso di un editore come Bompiani che ha pubblicato Apostolos Doxiadis e Petros Markaris riuscendo a far arrivare su tutti i banchi dei librai due importanti scrittori greci. Davvero i greci amano la poesia? In Grecia la parola “poesia”, non solo è nata in stretta connessione con la radice del verbo “poeio” che significa “fare, ma è ancora oggi un fenomeno di massa, diffuso, multimendiale e di consumo. La poesia è strettissima connessione con l’espressione musicale: non solo autori come Theodorakis hanno messo in musica i grandi poeti del ’900, ma anche un poema tardocinquecentesco cretese, come l’Erotokritos, è ben noto grazie al fatto che alcuni suoi versi sono tuttora cantati e conosciuti oralmente dalla maggior parte della popolazione. Cantanti famose, come Elefteria Arvanitakis, cantano in greco moderno i versi di Saffo; le poesie di Michalis Ganàs sono cantate da molti cantanti greci, così come ancor oggi i versi di Seferis ed Elitis (premi Nobel per la poesia) sono nel repertorio più diffuso fra i greci da almeno 40 anni (come Battisti o De Gregori, per intenderci). Noi traduciamo molto, ma cosa traduciamo della letteratura neogreca? In Grecia ci traducono? Conoscono la nostra narrativa recente? In Grecia fino a qualche anno fa tutti i titoli di narrativa italiana venivano immediatamente tradotti: Isabella Santacroce, Niccolò Ammaniti, Silvana La Spina, Sandro Veronesi ma anche molti altri nostri autori nati poco gli anni 50 del ’900 hanno avuto un loro pubblico in Grecia. Adesso, con la chiusura del Centro nazionale left 31 agosto 2013 Con il suo Le catene del mare pubblicato dalle Edizioni e/o la scrittrice Ioanna Kiaristiani si è segnalata anche in Italia come una delle più voci più importanti della letteratura greca contemporanea. Nata a Chià, sull’isola di Creta, Kiaristiani è un’autrice schiva e dalla prosa fortemente evocativa, che sa ricreare in chiave moderna il fascino dell’epos antico. E per merito della casa editrice diretta da Sandro Ferri - che per prima in Italia ha proposto letteratura neogreca d’autore - più di recente si sono fatti conoscere anche da noi libri affascinanti, fra noir e storia, come “Il sacrificio di Polissena” di Marta Guzowka, ricercatrice presso l’Istituto di archeologia dell’università di Varsavia e che ha partecipato a importanti scavi a Troia. Proprio in questa gloriosa città dell’attuale Anatolia è ambientata l’intrigante vicenda di questo romanzo edito da e/o che parte dall’immaginario ritrovamento delle spoglie della figlia di Priamo, Polissena, cosparse di foglie d’oro. Racconta invece la Grecia di oggi, in lotta contro la crisi e alla tenace ricerca di una via d’uscita, l’appassionato reportage di Giuseppe Ciulla Un’estate in Grecia (Chiarelettere). Fra inchiesta e racconto di viaggio un ritratto dei mille volti della Grecia dei nostri giorni in cui - da Atene alla Tracia orientale a Edirne - la cultura turca e quella bulgara s’intrecciano a quella “autoctona”. s.m. L’amore per la propria lingua traspare anche dai gialli del popolare Petros Markaris per la Traduzione letteraria e del Centro nazionale del Libro Greco, con le saracinesche abbassate della più antica libreria ateniese Estia, che il 30 marzo 2013 ha chiuso dopo 128 anni di attività, temo che solo i mattoni da best seller hanno forse la speranza di continuare a essere tradotti. Non amo il neonoir italiano, e dunque mi immalinconisce pensare che anche in Grecia il noir ha successo e viene considerato il genere più attrezzato a raccontare il presente. Il noir in Grecia ha un successo relativo. Ma ha un grande successo all’estero, grazie soprattutto a un autore straordinario come Petros Markaris, che è riuscito con il suo commissario Charitos, a far conoscere più da vicino la realtà socio-culturale della Grecia attuale al grande pubblico. Ma vorrei far notare anche che il commissario Charitos è un gran lettore del Dimitrakos, il più grande vocabolario greco. Questo particolare non è rilevante: Markaris non ha sottolineato un vezzo del suo eroe, ma ha voluto farci sapere quanto importante, anche in senso patriottico, sia il rispetto e l’amore nei confronti della loro lingua. 51 trasformazione Massimo Fagioli, psichiatra La “morte dell’anima” sarebbe la scomparsa dell’immaginazione e del pensiero non cosciente OLTRE l’immagine, nel silenzio del corpo S i avvicinava il cielo sereno del tempo che nominarono Ferragosto ed io bevevo con tutti i pori della pelle i raggi del sole. Era già diventata nocciola ed ora volgeva verso l’essere nera, come se una donna avesse disteso il velo di retìna con cui si copriva la metà inferiore del volto, sul mio corpo nudo. Gli occhi, che erano aperti, avevano una luminosità che mi confondeva perché credevo che fosse la luce del sole. Il velo scendeva, ondulato come le onde del mare, a nascondere la bocca silenziosa. Come se fosse tornata la memoria del connubio tra Tifone ed Echidna che generò la Sfinge, dietro le palpebre, chiuse per proteggere la rètina, emergono le parole: energia che giunge alla materia genera il pensiero. E la penna scrive il termine verbale: reazione. Ed io penso la verità imparata che dice: la pelle secerne melanina. E le parole, uscite dal corpo, vanno nell’aria e si perdono. Ma vengono i ricordi di quando udii le parole: nel feto, prima della nascita, non c’è reazione perché non ci sono stimoli. Il feto, immerso nel liquido amniotico, è in una realtà di omeostasi. Ed i ricordi chiamano altre parole che sono pensieri nuovi. Reazione, nascita, movimento. E subito la memoria mi dice che, alla nascita, il movimento del corpo non c’è. Ma sono certo che c’è un movimento che non è spostamento di una realtà materiale nello spazio perché, cinquanta anni fa, vennero i termini verbali, fantasia di sparizione. Non c’era nessuna uguaglianza con altri due termini che davano un nome a realtà mentali diverse, cui diedi i nomi di vitalità e pulsione di annullamento. Poi dissi: movimento, suono, tempo, pulsione. Tutto in un attimo senza tempo. Ed avevo detto, inconscio mare calmo che è memoria fantasia dell’esperienza avuta. Poi aggiunsi che aveva un tempo che prima, con la fantasia di sparizione, non c’era. Il tempo dell’essere umano inizia con la fantasia di sparizione, poi, si ha la memoria. Nella mente si realizza l’esistenza della realtà biologica del proprio essere. Agosto è ormai svanito ed io ho la memoria del 13, quando lessi il solito articolo culturale de la Repubblica. Tante volte l’avevo gettato, infastidito dalle stupidissime ricerche sulla realtà mentale umana che dicevano dei sogni dei feti di pecora o di Cadillac bianche che risolvevano l’incubo del sogno di Cadillac nere o che Omero aveva scoperto l’inconscio. Il 13 agosto sentii alcune righe come stimolo che mi fece allontanare dai raggi del sole. “Alla mistica medievale si deve la riscoperta di quel «fondo dell’anima» che costruisce la scintilla divina di ogni essere umano”. “Il fondo dell’anima non sopporta, infatti, immagine alcuna, neppure un dio comunque pensato… la mistica medievale insegna a cercare l’universale dell’umano.” Tolgo, come fossero insetti nocivi che hanno sempre tentato di distruggere la pianta di un pensiero che può conoscere anche la realtà non materiale della mente umana, i termini verbali: dio e anima. Così lo «stridor di denti» di menti che amano dio e non l’essere umano, si trasforma in una sinfonia pastorale che fa ricordare Beethoven e Debussy, e mi fa tornare ai raggi del sole che, similmente alle foglie che diventano verdi, mi fanno vivere perché la vitalità reagisce e secerne melanina come fosse clorofilla. Ma la memoria delle parole scritte durante tanti anni dice che sono diverse. Il “fondo dell’anima” è l’origine della realtà mentale umana che sorge dalla realtà biologica. E dissi: fantasia di sparizione ed inconscio mare calmo. Ancora forse nascosta ed incomprensibile perché non ha immagine, c’era la parola: trasformazione. Vennero due termini di uso quotidiano che dicevano di una misura del tempo. Alcuni anni fa, non so come, si trasformarono rivelando una ricerca che non si era mai limitata alla percezione cosciente che era la misura del tempo condotto nello spazio. Venti secondi. Fu un pensiero che, forse, mise paura a se stesso perché lo dissi prima di elaborare il senso profondo che aveva sempre nascosto. Era l’osservazione del fatto percepi- perché le immagini sarebbero il male della carne 52 31 agosto 2013 left left.it bile, ovvero che il neonato, uscito dal liquido amniotico e venuto all’aria, non respira subito ma dopo un certo tempo che chiamai: venti secondi. Ed il pensiero verbale muore di fronte all’inconoscibile chiamato dall’articolazione delle parole che domandano: come è possibile che la mente umana non abbia mai portato al pensiero verbale un’osservazione ovvia, ovvero che non può essere l’aria, con la sua pressione, a determinare l’espansione dei polmoni. Anche perché la pressione violenta è stata esercitata, sul feto, nel canale del parto. È necessaria la contrazione dei muscoli del torace e del diaframma. È necessaria l’attivazione della sostanza cerebrale che si ha soltanto con lo stimolo della luce che giunge sulla rètina. Non si forma un’immagine di questa assenza ed il pensiero verbale non è in grado, unendo le lettere e separando le parole, di “concettualizzare”. E viene il ricordo della formazione del logos occidentale quando fu abbandonata la mente che pensava per immagini per stabilire che il pensiero umano era soltanto quello del linguaggio articolato. Hanno pensato che “la menzogna che facciamo a noi stessi per esorcizzare il nulla che ogni intelligenza onesta intravede e che fa orrore… l’immaginazione ha il fine preciso di esorcizzare il vuoto, evitare la dolorosa «morte dell’anima» da cui invece bisogna passare per rinascere nello spirito.” E lo “spirito” è senza immagine e nella “creatura” ci sarebbe l’anaffettività. “Se l’uomo perde l’anima nella Bibbia”: non comprendo. Io ho pensato: l’essere umano, ricreando i «venti secondi», lascia l’immagine e pensa con la capacità di fare la linea che fa la scrittura. Ed essa è fantasia di sparizione che è rifiuto del mondo non umano che gli animali non hanno, come non hanno la scrittura. E l’articolo, oltre a costringermi a ripetere le realtà invisibili della nascita umana, ha stimolato un movimento del pensiero che ha guardato di nuovo la comparsa del concetto, rispetto a pensare la natura con le immagini di enti non materiali, gli dei, che erano ricordi coscienti degli esseri umani. Con il cristianesimo compaiono di nuovo le favole rispetto al monoteismo mosaico che “comandò il massacro degli adoratori del vitello d’oro”. E, con esse compare «la creatura». Ed io pensai alla memoria-fantasia dell’esperienza avuta. Ed è tutto diverso perché il creato non ha immagine interiore che fa il rapporto interumano. È soltanto realtà biologica che, siccome è biologicamente viva, ha in sé soltanto l’anaffettività e la pulsione di annullamento. «Il mondo non esiste» è una realtà mentale senza fantasia, come se la “creatura” non fosse mai nata, o è nata con il peccato originale, ovvero con il male dentro di sé: l’anaffettività. Pensare il silenzio del neonato è vedere il movimento e la pulsione. Prima dell’immagine non c’è il vuoto ma la biologia che esiste senza essere vita umana. Poi il rapporto con la luce che è trasformazione La retìna nera non rendeva inesistente la bocca perché l’odore del corpo passava attraverso i fori minuti che erano come i pori della pelle e gli occhi parlavano. Ho rubato la figura, vista dalla coscienza, dal bambino che si riconosce allo specchio. Ed è venuta la memoria che inventò l’immagine, che non era ricordo di quando mi vidi la prima volta allo specchio. Era l’immagine della mia nascita che aveva aperto gli occhi sulla realtà della natura non umana che era diversa da me stesso. Poi giunsi al linguaggio articolato e dimenticai quello che non avevo mai pensato. Dopo i trent’anni pensai le parole fantasia di sparizione ed ora so che fu perché avevo ricreato il tempo prima dell’immagine interiore che mi faceva riconoscere me stesso. Poi scrissi e dissi altre ed altre parole che, alla percezione, erano sempre le stesse. Ma, con me dicevano la realtà da sempre sconosciuta. Forse fu, certamente, il silenzio di Ferragosto che erano pagine bianche su cui caddero alcuni semi secchi portati dal vento. Furono i suoni inarticolati che mossero la ricreazione dell’altro silenzio del corpo inerte. La capacità di immaginare è, e non “ha il fine di calmare il vuoto, evitare la dolorosa «morte dell’anima» necessaria per rinascere nello spirito”. ...guardare soltanto la realtà materiale non fa “vedere” oltre la percezione... left 31 agosto 2013 53 cultura left.it «C amminavo lungo la strada con due amici, il sole tramontava, il cielo si tinse d’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un parapetto. Sul fiordo nerazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco quando sentii un grande urlo infinito che attraversava la natura». Così Edvard Munch descrive sul suo diario l’episodio che avrebbe poi cercato di rappresentare con L’urlo (1893) condensandolo in un volto deformato dall’angoscia. Un primo piano straniante senza tratti riconoscibili, avvolto in striature ondeggianti di colore dalle tonalità violente, quasi espressionistiche. In pochi tratti, una scena che sembra racchiudere tutta la disperazione del pittore, che a trent’anni scriveva di sé: «Ho ricevuto in eredità due dei più terribili nemici dell’umanità: la tubercolosi e la malattia mentale. La malattia, la follia e la morte erano gli angeli neri che si affacciavano sulla mia culla». Cultore del filosofo esistenzialista Kierkegaard e di Nietzsche, e soprattutto sodale di Strindberg, Munch in una pagina del diario dice di aver sentito parlare di Freud, ma di fatto il pittore non si interessò mai di psicoanalisi. Piuttosto preferiva cercare nell’arte un modo per riuscire a rappresentare quel dolore psichico che altrimenti, scrive in un passaggio del diario, «non sapevo esprimere a parole». A partire da questo stretto rapporto fra arte e vita e intorno al celeberrimo L’urlo, Oslo ricorda i 150 anni dalla nascita di Munch con la più vasta retrospettiva che gli sia mai stata dedicata. Gli spettri di Munch di Simona Maggiorelli da Oslo La Norvegia festeggia i 150 anni dalla nascita dell’autore de L’urlo con una vasta retrospettiva: un percorso di 300 opere e articolato in più sedi museali. Mentre si annuncia una monografica anche a Genova 54 31 agosto 2013 left cultura left.it Intitolata semplicemente Edvard Munch 18631944 e accompagnata da un denso catalogo Skira, la mostra al Nasjonalgalleriet e al Munch-museet di Oslo fino al 13 ottobre presenta 220 dipinti e 50 opere su carta che permettono di ripercorrere tutti i 60 anni di carriera di Munch attraverso una straordinaria scelta di ritratti e autoritratti (alcuni poco noti) di paesaggi visionari, di claustrofobiche scene familiari ma anche di feste di società in cui, come fossero marionette, gli esponenti della borghesia norvegese, consumano vacui riti sociali. Nel Fregio della vita, in particolare, Munch rappresentava quella borghesia, di cui lui stesso faceva parte, come puritana e chiusa nell’asfittico e provinciale mondo di Kristiania (oggi Oslo). Ed è uno spietato teatrino di ibseniani spettri quello che Munch tratteggia in feste notturne al mare e passeggiate in città in cui le atmosfere glaciali non sono solo dovute alla neve. Proprio in occasione di questa importante antologica è stato ricostruito filologicamente l’allestimento del Fregio della vita così come Munch lo aveva pensato per la Secessione di Berlino nel 1902. Così sulle pareti colorate della Nasjonalgalleriet, dove sono esposti i lavori eseguiti tra il 1882 e il 1903, scorre un nastro di potenti visioni incorniciate di bianco, sono immagini che tratteggiano un’infanzia malata e soffocante, che rievocano i primi turbamenti adolescenziali e soprattutto che parlano del suo sanguinoso rapporto con la donna. Al Munch-museet (dove sono esposti i quadri datati dal 1904 al 1944) spicca- no intere sequenze di quadri che raccontano una mortale guerra dei sessi, dove la donna appare come femme fatale, una sorta di vampiro che lascia l’uomo cadaverico ed esangue, imprigionandolo nella sua rete tentatrice. Qui e alla Nasjonalgalleriet ritornano anche rappresentazioni di baci che Munch immagina come angoscianti incontri fusionali in cui entrambi i partner finiscono per perdere la propria identità. Il rapporto con il femminile è visto dall’artista come lotta e sofferenza, passione e gelosia, tensione e violenza. Solo nei quadri dell’ultimo periodo in cui Munch rilegge il topos del pittore e la modella le giovani figure femminili appaiono belle e idealizzate, anche se rappresentate sempre in contrapposizione al pittore anziano che, nel quadro, le osserva con sguardo rapace. La sua pittura intanto si è fatta più sintetica, più essenziale. La figurazione appare più sfrangiata ed evocativa, ed esplode il colore. Nonostante questo però i quadri di Munch in questa ultima fase finiscono per assomigliare ad un’ossessiva ripetizione di varianti sugli stessi temi. Ma il percorso esplorativo della sua opera non si ferma qui (il programma completo è sul sito www.munch150.no) e si annunciano interessanti occasioni di approfondimento anche in Italia: dal 6 novembre in Palazzo Ducale a Genova Marc Restellini, direttore della Pinacotheque de Parigi e già ideatore di una importante retrospettiva su Munch presenta una nuova monografica realizzata con Arthemisia group e 24 Ore Cultura. Edvard Munch, “Madonna” (1894), al centro “L’Urlo” (1893), “Amore e Psiche” (1907), Nella pagina a sinistra in apertura “Autoritratto” (1886) left 31 agosto 2013 55 puntocritico cultura ARTE di Simona Maggiorelli Lo sguardo liberato R aramente capita di leggere pagine di critica che abbiano la “leggerezza” e la capacità di “far vedere” che caratterizza quelle di David Arasse (1944 - 2003), fine conoscitore d’arte e studioso eclettico che, per quanto facesse parte dell’establishment intellettuale francese ai più alti livelli (avendo diretto l’École des hautes études en sciences sociales di Parigi e l’Istituto francese di Firenze) aveva saputo mantenere la curiosità, l’immediatezza e la passione contagiosa di un giovane ricercatore. Memorabili le sue conferenze, vivaci, imprevedibili, mai paludate. Ma anche certi suoi saggi scritti in forma dialogica e talora proprio come lettera indirizzata ad amici oppure a colleghi con i quali amava polemizzare con piglio giocoso ma senza rinunciare ad argomentazioni serrate. Alcuni di questi scritti sono ora raccolti nel volume Non si vede niente pubblicato da Einaudi. Un libro sorprendente per come Arasse riesce, con freschezza, a mettere in crisi e addirittura a ribaltare interpretazioni sedimentate, date ormai per scontate. È questo il caso di un’insolita opera di tema mitologico come Marte e Venere sorpresi da Vulcano che Tintoretto dipinse nel 1550 e che è sempre stata letta come una condanna dell’adulterio. Attraverso una ficcante indagi- Tintoretto, Marte e Venere sorpresi da Vulcano (1550) 56 left.it ne indiziaria sui dettagli (alla Morelli), senza lasciarsi irretire dai fiumi di inchiostro che sono stati spesi su questo quadro, Arasse ce ne offre una lettura inedita, mettendone in luce la vena ironica e corrosiva che avrebbe come bersaglio proprio il matrimonio: tomba dell’eros secondo Tintoretto che qui ci mostra un Eros dalle frecce spuntate che addirittura dorme alla grossa. Un particolare su cui nessuno prima aveva posto l’accento. Così come era fin qui sfuggito ai più il dettaglio del cane che ringhiando verso il malcapitato Marte ne svela il maldestro tentativo di nascondersi sotto una panca (per quanto sia un dio e indossi elmo e armatura!). Una scena da vaudeville, insomma. Tanto più che Vulcano, il marito tradito, neanche se ne accorge mentre si getta su Venere con la brama di un vecchio e ridicolo fauno. L’acutezza e l’intelligenza dello sguardo di Arasse qui sopravanza d’un balzo il polveroso apparato di citazioni squadernato dalla critica accademica. Una messe di testi e riferimenti esterni al quadro che, nota Arasse, «diventa una sorta di filtro solare per proteggersi dal bagliore dell’opera e preservare le abitudini acquisite». Segnalando come a volte la tradizione critica rischi così di diventare schermo protettivo che raffredda il rapporto emotivo e diretto con l’opera. Diventando un paravento dietro cui nascondersi. Come quei giudizi moralistici di Mark Twain che hanno a lungo impedito di cogliere il gesto esplicito della Venere di Urbino che, nel quadro di Tiziano destinato alla camera privata di Guidobaldo della Rovere, allunga la mano verso il proprio sesso. Senza questo precedente non si capirebbe la scandalosa Olympia di Manet sottolinea Aresse. Come ognuno può vedere da sé in Palazzo Ducale a Venezia dove, fino al primo settembre, nell’ambito della bella retrospettiva dedicata al pittore francese, si può approfondire dal vivo il confronto fra i due capolavori. John Ford sul set CINEMA di Morando Morandini Western che passione S ul Venerdì di Repubblica è apparsa una pagina pubblicitaria della Fondazione Ant con la scritta: «Molti lasciano un vuoto. Qualcuno sceglie di lasciare un esempio». Non voglio lasciare nemmeno un esempio e per l’ultima volta mi impegno, prima di entrare nel 2014 e scrivere di me stesso in forma autobiografica. Sul Sole 24 ore, invece, ho letto un articolo di Emanuela Martini su Sean Aloysius O’ Fearna, nato nel Maine nel 1894 da genitori irlandesi, morto in California nel 1973, 40 anni fa. Per dirla con le sue parole: «Mi chiamo John Ford e faccio western», frase entrata nella leggenda. Era il 22 ottobre del 1950 ed a Hollywood infuriava la “caccia alle streghe”, maccartiste e moltissimi cineasti erano stati accusati di simpatie comuniste e invitati a comparire davanti alla Commissione per le attività antiamericane. Nella Screen directors guild si distinse il potente Cecil B. De Mille, fautore della delazione, che cercava di far cacciare il presidente in carica, il democratico Joseph Leo Mankiewicz. Lui e i suoi parlavano da ore. A quel punto John Ford, noto conservatore e “animale politicamente imprevedibile” alzò la mano e disse: «Mi chiamo John Ford e faccio western. Credo che non ci sia nessuno in questa stanza che sappia meglio di Cecil B. De Mille quello che il pubblico americano vuole e sappia accontentarlo meglio. Ma...tu non mi piaci, C.B., e non mi piace nulla di 31 agosto 2013 left cultura left.it LIBRI di Filippo La Porta Variazioni mitteleuropee I Un fotogramma di Ombre rosse quello che hai detto stasera. Perciò propongo che rinnoviamo il nostro voto di fiducia a Joe e ce ne andiamo finalmente tutti a dormire». L’assemblea votò con John Ford e se ne andarono tutti a dormire. Conosco da molti anni la mia collega Martini e la stimo molto. Fin da ragazzo sono un professionista del cinema western, deliziato dalla notizia che nella prossima stagione 2013-14 ne saranno distribuiti parecchi di nuovi. Nonostante tutto, in un passato più o meno recente, il western “all’italiana” ha fatto in modo che il genere non fosse più veleno per il botteghino. A margine. Negli ultimi dieci anni sono diventato il cine critico italiano più filmato dell’area mediterranea, mi hanno dedicato quattro ritratti, documentari. Dopo il luglio 2003 in cui morì mia moglie Laura venne a trovarmi la regista Piovano che conosceva bene anche lei. Voleva fare un breve documentario sulla casa in cui allora si abitava, in piazzale Biancamano, la casa di Laura. Nel 2009 seguì Morando Morandini - non sono che un critico, diretto da una coppia di documentaristi milanesi, Tonino Curagi e sua moglie Anna Brosio. Il terzo Je m’appelle Morando Alfabeto Morandini (2010) di Daniele Segre. Il titolo francese rimanda a una frase di Arletty (Je m’appelle Garance) in Les enfants du Paradis (1945) da me molto amato. Segre mi aveva chiesto di indicargli, decennio per decennio, i miei film preferiti. Il quarto e ultimo Morando’s music (2012), firmato da Marina Pioerno e Luigi M. (M sta per Monardo) Faccini. È il più personale dei 4, frutto di un’amicizia nata nel 1969 segnata da un centinaio di lettere scambiate in 43 anni. left 31 agosto 2013 quattro racconti dell’87 di Ginevra Bompiani, rivisitati oggi (L’incantato, Et al edizioni), sono movimenti di una sinfonia, attraversati da uno stesso tema variamente modulato: l’educazione. Ma soprattutto potrebbero disegnare una fenomenologia del perturbante, di ciò che è angoscioso nel quotidiano. Hanno tutti un aroma mitteleuropeo: atmosfere straniate, i grandi interrogativi sull’esistenza, una prosa spesso meticolosa, apparentemente sobria, ma venata di risonanze e suggestioni (quasi un’infiltrazione naturalistica nel racconto allegorico), una musica di fondo autunnale, da “apréslude” di Benn, che dà al lettore un senso di apprensione. Echi di Walser, o Kafka, ma anche della narrativa yiddish di Singer e Malamud. Mi soffermo su: «La ricerca della forma e la spazzatura», anche perché il tema torna in altre storie. Qui è rappresentata da un immondezzaio del quartiere, che «ci pone il vero volto del destino», dietro e non davanti a noi, come ogni vero destino. Un aspirante poeta va a trovare un vecchio poeta in un ospizio tenuto da suore dispotiche, sopra una collina con vista sulla città (e sull’immondezzaio). Dialogano tra loro sulla vocazione poetica, che sempre implica uno strappo con quanto ci è più caro. C’è un brano che vorrei commentare. Lì dove il vecchio poeta, rievocando un episodio doloroso, dice che « le parole non ingannano mai, l’immaginazione sempre». Ora, bisogna distinguere. Un conto è l’immaginazione che sottende le grandi creazioni letterarie e che ci serve a “rivelare” la realtà, a mostrarne il groviglio nascosto, al di là dei nostri schemi convenzionali (in questo senso tutta la poesia è “realistica”, quasi oggettiva, impersonale). Un conto l’immaginazione che si riempie in modo parassitario delle nostre nevrosi. Prendiamo la Commedia. Mi scuso per la velocità con cui espongo una tesi che richiederebbe ben altra argomentazione. Anche per Dante il male viene dall’immaginazione, o se volete da una cattiva immaginazione: l’invidioso immagina che il prossimo sia più felice di lui, il superbo immagina di essere superiore, l’avaro immagina che i soldi si possano possedere una volta per tutte. Tutti abitano una nebbiosa irrealtà. Solo la realtà invece, se sappiamo accostarvisi, non inganna mai. SCAFFALE COME DIVENTARE RICCHI SFONDATI NELL’ASIA di Moshin Hamid, Einaudi,160 pagine, 17,50 euro Dopo Il fondamentalista riluttante,(Einaudi) il folgorante romanzo su un immigrato della City che, a causa dell’11 settembre, si unisce ai fondamentalisti, l’anglo pakistamo Hamid torna con un nuovo, atteso, romanzo Come diventare ricchi sfondati nell’Asia emergente. L’autore sarà al Festivaletteratura il 6 settembre per presentarlo CARTA CARBONE di Julio Cortàzar, edizioni Sur, a cura di Giulia Zavagna, 279 pagine, 16 euro Vargas Llosa, García Márquez, Paz ,Borges e Soriano sono alcuni degli scrittori con cui Julio Cortázar (19141984) tenne un rapporto epistolario appassionato, ricco di riflessioni letterarie ma anche di accenti personali, di profonda e vibrante sensibilità. Imperdibile dunque questo primo volume edito da Sur a cui seguiranno altri due. SAK di Joakim Garff, Castelvecchi, 790 pagine, 49 euro Una monumentale opera sul filosofo danese. Scritta come un “atto d’amore”. E che si legge come un romanzo benché sia costruita su un’imponente documentazione. Nel bicentenario della nascita del padre dell’esistenzialismo un libro da cui emergono le sue ansie e discrasie ma anche la sua rivendicazione dell’ interiorità negata dall’idealismo. 57 bazar cultura left.it TENDENZE di Sara Fanelli Sguardi oltre la cronaca Disney in passerella N S DOCUFILM di Camilla Bernacchioni on esiste potere che non abbia effetti collaterali, talora davvero devastanti. Abusi, violazioni dei diritti umani, eccidi. Come abbiamo visto in Somalia, in Indonesia e nella Palestina occupata dagli israeliani, solo per citare tre casi fra i tanti che saranno al centro del prossimo Milano film festival. Una rassegna da sempre impegnata a raccontare quelle versioni dei fatti, che non appaiono nelle cronache ufficiali. Proprio per “guardare’”oltre e più a fondo dal 5 al 15 settembre l’appuntamento è a Milano con la nona edizione della rassegna intitolata “Colpe di Stato” che in nove documentari e altrettanti registi racconta il presente attraverso la realtà complessa del sistema di potere nel mondo. Tra questi The act of killing (2012) di Joshua Oppenheimer, a ottobre nelle sale in Italia, coprodotto da Werner Herzog che lo ha definito «il più spaventoso e surreale del decennio». Oppenheimer ci riporta agli anni 60, all’eccidio di oltre mezzo milione di oppositori da parte degli squadroni della morte indonesiani, con una pellicola sconcertante, fra realtà e finzione, in cui gli assassini rimettono in scena i loro crimini per le telecamere, in una sorta di incubo tra storia, vanità e senso di colpa. In programma anche Camp 14 di Marc Wiese, un viaggio attraverso la Korea alla scoperta di un mondo sconosciuto, già vincitore di numerosi premi internazionali, e Dirty Wars di Rick Rowley, scomoda inchiesta giornalistica per immagini sull’uso dei droni che inchioda la politica estera dell’amministrazione Obama. Dare voce agli invisibili, poi, è il titolo dell’imperdibile omaggio a Sylvain George premiato autore di cinema politico e sperimentale di cui il Milano film festival numero 18, presenta tutti i cortometraggi e, tra i lunghi, Les Eclats -ma gueule, ma révolte, mon nom (2011) per una cartografia della violenza inflitta alle persone migranti, e Vers Madrid - The Burning Bright! (2013) cinegiornale sperimentale che mostra alcune vedute, scene e momenti della lotta di classe e rivolta di Madrid nel 2011 e 2012. Non solo abusi e contro politica al festival che va in scena al Teatro Strehler: con il concorso “Lungometraggi” rivolto a opere prime e seconde di registi provenienti da ogni parte del mondo e un concorso “Cortometraggi”, per gli under 40. ono 10, gli abiti esclusivi ispirati alle principesse Disney disegnati dai più grandi stilisti. Lo scorso dicembre sono stati esposti nelle vetrine di Harrods a Londra. Bozzetti e foto andranno all’asta il prossimo 13 novembre per raccogliere fondi da devolvere all’ospedale pediatrico Great Ormond street hospital children’s charity. La sirenetta Ariel è stata disegnata da Marchesa, la Bella addormentata da Elie Saab, Belle di La bella e la bestia da Valentino, Cenerentola da Versace, Jasmin di Aladdin da Escada, Mulan da Missoni, Pocahontas da Roberto Cavalli, Rapunzel da Jenny Packham, Biancaneve da Oscar De La Renta, Tiana de La principessa e il ranocchio da Ralph & Russo. [email protected] VIAREGGIO Il festival della salute Un’immagine di The act of killing 58 Al Caffè de la Versiliana il 31 agosto una importante anteprima del Festival della Salute: con il titolo “La conquista della felicità in tempo di crisi” una serata dedicata al viceministro dell’Economia e delle Finanze Stefano Fassina, a cui partecipano anche Francesco Tagliente, prefetto di Pisa e Pietro Pietrini dell’ Azienda ospedaliero universitaria pisana. Il festival della Salute entrerà nel vivo, con un fitto programma, dal 26 al 29 settembre a Pietrasanta. PADOVA Talenti ebraici e femminili Intorno a una protagonista come Antonietta Raphaël, altre 7 importanti artiste ebree del ’900 :Eva Fischer, Alis Levi, Adriana Pincherle (autrice di questo quadro), Gabriella Oreffice, Lotte Frumi, Paola Consolo e Silvana Weiller. Al Centro culturale Altinate San Gaetano dal 31 agosto un percorso d’arte al femminile. 31 agosto 2013 left cultura left.it JUNIOR di Martina Fotia di Bebo Storti Riciclo a gonfie vele L’ 8 settembre torna a Roma la Re Boat Race, la prima regata in Italia di imbarcazioni costruite con materiali riciclati. Lo splendido specchio d’acqua del parco centrale del Lago dell’Eur sarà lo scenario per la manifestazione che giunge alla sua quarta edizione: un evento sportivo, educativo ed ecologico che la scorsa stagione si è trasformato in una vera e propria Eco Festa. Sono già tante le imbarcazioni iscritte che si sfideranno nella “regata sportiva” più pazza e colorata di fine estate: una gara in cui si sfideranno per il miglior design, per la più originale e colorata personalizzazione e per l’idea più geniale sulla trazione a impatto zero. Le più veloci, le più belle, le più innovative imbarcazioni costruite con “componenti” di recupero e riciclo riceveranno gli ambiti trofei. Fino al 18 settembre sarà possibile iscriversi online (www.reboatrace.it) e partecipare alla gara, dove giovani e meno giovani potranno riciclare e modellare bottiglie vuote, cartoni del latte, lattine, legno e altri materiali di scarto, per realizzare una barca alternativa e sostenibile, colorata, innovativa, e in grado di galleggiare in acqua. Un’iniziativa particolarmente innovativa e dall’intento didattico, per dimostrare che attraverso il riciclo di vec- chi materiali si può perseguire la rotta dell’energia pulita e dell’impatto zero. La manifestazione è aperta a tutti, esperti e principianti, sul sito si possono scaricare utili tutorials e chi lo volesse potrà cimentarsi nella costruzione della propria imbarcazione anche presentandosi presso lo spazio “Paddock Re Boat Race” che sarà allestito dal 31 agosto al 6 settembre nel contesto della manifestazione “La città in tasca”, ventennale e storico evento dell’estate romana dedicato alle famiglie, che si svolgerà a Roma presso il parco degli Scipioni. Qui si potrà usufruire dei materiali messi a disposizione dall’organizzazione della regata. L’evento si concluderà il 23 settembre, alle ore 11:00, con la premiazione della squadra che avrà realizzato la migliore imbarcazione. Buon vento! MARSIGLIA MAREMMA CHIANCIANO Danza corale Grande Vukotich Tre Agorà Marseille è il primo esito del progetto quadriennale Arte del gesto nel Mediterraneo di Virgilio Sieni. Che il 31 agosto porta 3-400 danzatori, in gran parte non professionisti, in un grande spettacolo corale nella città capitale europea della cultura. A una straordinaria attrice di teatro e di cinema come Milena Vukotich (in foto) va il Premio Terre di Siena, che le sarà assegnato all’interno di Attorstudio, a Chianciano Terme nella tradizionale manifestazione che si svolgerà il 31 agosto e primo settembre. left 31 agosto 2013 I luoghi del tempo Talamone, Manciano, Magliano si fanno teatro di spettacoli e incontri dal 6 al 9 settembre, con il festival luoghi del tempo,Suoni, Storie e Sapori in Maremma. Tanti gli ospiti, a cominciare da Daniela Morozzi (in foto) ad Albertazzi, a Staino. In fondo. ...è lampante come servano nuove regole per favorire un clima di collaborazione fra forze politiche, per quanto avverse e distinte nei programmi, un terreno comune di distensione e di dialogo che, superando le barriere linguistiche della politica più spiccia e tutelando il futuro del Paese, crei, ristrutturando l’assetto interno del sistema giudiziario e limitando, per il bene della giustizia stessa, il potere della magistrature, crei un vero e proprio campo di coltura democratica, con grande sollievo per l’economia e vibrante soddisfazione per i settori più importanti dell’industria e del commercio. Fermo restando che un atteggiamento non persecutorio e fine a se stesso, ricattatorio nella sua, in ultima analisi, prassi giustizialista fine a se stessa anch’essa non può essere giustificata nei confronti di chi, con vibrante impegno da tanti anni cerca di risolvere i problemi del Paese. E fermo restando un atteggiamento da parte nostra condiscendente anche di fronte a una decisione presa in troppa fretta dalla magistratura. Da parte nostra il saper leggere i tempi e le modalità politiche più consone al momento, ma che i ministri ci assicurano durerà ancora poco, sta attraversando, e proprio per questo urge, o se urge, una soluzione non belligerante, non che divida, ma che ci unisca in un atto che sia di clemenza sì ma di responsabilità democratica anche. (a questo punto il relatore viene interrotto) «Senti un po’, non ho capito un belino!». «Liberate il nano e non ci scassate o cazz!». 59 ti riconosco di Francesca Merloni Parole per dire R ipartirei da “gioia”. Nel vortice di parole dette, scambiate, immaginate in questi giorni di mancanze e ritorni. Di profondissime sere. Di tempo lento e soste nei pensieri. In questi giorni, pensando al linguaggio, se qualcuno mi chiedesse, sceglierei gioia. Perché nessuno la pronuncia più. È la parola che direi oggi. La prima che arriva di poche e nude, in una promessa di linguaggio che non ci trovi mai più di schiena. Rispetto a noi, all’altro, alle cose. Mai più. Ho fatto notte ad aspettare parole. A lavarle per bene. Liberarle dal troppo, dal troppo poco. Ci sono andata dentro, sotto. Ne ho fatto a meno del tutto. Per poi ritrovarle, salvando quelle che riconosco. Promettendomi fedeltà rispetto ad esse. Pensandole per la prima volta come le impronte digitali del mio pensiero, del mio desiderio, sul reale. Come parti di me che incidono e prendono strada in questo gran progetto di restituzione all’essere che oggi mi pare la vita. Sì, mi appare da nominare quest’onda che non promette che a se stessa e non prende che da sé. Mi sembra di farne parte in un movimento di dedizione piuttosto che di richiesta, di offerta più che di aspettativa, di attesa più che di impazienza. Allora scelgo parole. Senza giudizio le vedo arrivare. Parole per dire. Per guardare più lontano. Prive di polvere, prive di peso. Alcune ne scarto. Getto via “enfasi”. C’è un volo freddo lì dentro che non riesce a prendere quota e ripiega. Ma gioia, invece. È così vera. Senza pretesa. Apre all’improvviso lì dove avevamo messo tutto a posto. Spalanca di bellezza la stanza, fra le cose di sempre. Il giorno, o la notte, pare girino in andamenti più luminosi, più sostenuti, più morbidi. Con ampiezza, con più colore. E il movimento è ad includere, a non dimenticare. A non rimandare. E qualcosa sale agli occhi, come una stretta che si fa vibratile tra le ciglia. Tutto comincia dalla gioia. Cartina di tornasole, reagente alla verità delle cose. Proviamo a chiuderla a chiave. Proviamo a non pronunciarla, ma ci invita. Non siamo noi, pensiamo, non è noi che chiama. Non per noi quella cosa lì, spericolata. Ma ci pretende. Il suono in essa si posa, regge e si incava nelle vocali. Il suono resta, finalmente. Ripartirei da “gioia”. Nel vortice di cose dette [email protected] Una mano che s’arrischia, anelante, nei vortici di un’acqua sia chiara sia cupa, la sua immagine si sbriciola, si potrebbe credere che non abbia più la forza di trattenere. E quest’altra, nello specchio? Si avvicina alla tua, che le va incontro, le loro dita si toccano quasi, ma nel nulla di questa distanza s’apre l’abisso tra essere e apparenza. Queste dita, almeno, che scuotono corde un’altra mano salirà, dal fondo dei suoni, a prenderli nei suoi, per guidarli? Ma verso cosa? Io non so se è amore o miraggio e nient’altro che sogno, le parole che non hanno che acqua o specchio o suono per tentare d’essere. Yves Bonnefoy, “Il pianista (II)” da L’ora presente, 2013 60 31 agosto 2013 left $"?$"$# ! $#$($& ($'* +#'"$%'." ($."-'2'+*$$&'./-+),-$.$$, -/'/ '1 0)$-+33."-'2'+*$(!+#$(($++,$- /'1$ #"' ""&$ #$$ !$" >$$& "$&"## "&"#$&%$ *8:.02>82,12*4*:* *8:.56582,12*4*:* $ $"$&"# # !"&"#$ &%$ ((( ((($" <*368.368-6 *4468:*4.5:29<*3;:*=2652 $ $ ''' $" ((($" <*368.368-6 *4468:*4.5:29<*3;:*=2652 $ $ ''' $" ((((" $ $ ''' $$&"$ "( "$ .9202+232.5:86.9.8,2=269;,,.992<6 .9202+23263:8..9.8,2=269;,,.992<6 $ $"$ $$&$("#$$%#((( &# $!% $ $$$& " $ "$"#$ 29*00269;78.9:2:2 "*:.2.829,65:2*::2<2 $ $"$"# $ $ $$$& #$$ !$" >!##& $"$$ *72:*3. 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