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il manifesto 2012.12.06 - 11 CULTURA
INTERVISTE - Parla Wassyla Tamzali, oggi a Napoli per il FestivalStoria
Il femminismo arabo tra rabbia e speranza
INTERVISTA - RENATA PEPICELLI
Nell'autobiografico «Une éducation algérienne», le ragioni di una lotta durata
mezzo secolo
A Napoli, nella cornice dell'ottava edizione del FestivalStoria
(festivalstoria.it">www.festivalstoria.it), quest'anno dedicata al Mediterraneo, Wassyla
Tamzali, storica femminista algerina (classe 1941), discute oggi della condizione delle donne
arabe. Da sempre espressione di un femminismo laico, non disposto a fare concessioni al
revival religioso che attraversa il mondo arabo e tanto meno a quei movimenti che vedono
nell'islam una possibile strada per l'emancipazione, Wassyla Tamzali, con il suo piglio deciso
contesta tutti coloro che vogliono ridurre la sua identità di donna algerina che vive in
Occidente alla semplice e sola identità religiosa, quella musulmana. Ai suoi occhi l'Islam non
può spiegare la pluralità delle sue identità e appartenenze, la sua lunga storia che attraversa il
'900 e le grandi speranze e disillusioni di quel secolo e di questi anni recenti.
Figlia di notabili algerini, abbraccerà ben presto le ragioni della lotta per l'indipendenza come
ha raccontato in Une education algérienne apparso nel 2007. Divenuta avvocato alla corte di
Algeri prima e responsabile di programmi sulla condizione femminile nel Mediterraneo
all'Unesco dopo, Wassyla Tamzali, grazie al suo attivismo e i suoi numerosi libri, è da sempre
una delle voci più eminenti del femminismo arabo. In vista dell'incontro di oggi pomeriggio
abbiamo incominciato a discutere con lei di rivoluzioni, femminismi, islam, Oriente, Occidente,
rabbia e speranze.
L'8 marzo 2012 è stato pubblicato un appello firmato da lei e da altre sette eminenti
esponenti del mondo arabo intitolato L'appel des femmes arabes pour la dignite e
l'égalité (www.lemonde.fr/journee-de-la-femme/article/2012/03/08/l-appeldes-femmes-arabes-pour-la-dignite-et-l-egalite_1653328_1650673.html) in cui
rivendicavate dignità, libertà, uguaglianza per le donne arabe e chiedevate che i nuovi
paesi che stavano emergendo dalle rivoluzioni arabe accordassero uguali diritti agli
uomini e alle donne. A quasi due anni dallo scoppio delle cosiddette rivoluzioni arabe,
quale è oggi la condizione femminile?
Quando si parla di rivoluzioni arabe la questione femminile è centrale. Le donne sono sotto
attacco in Egitto e in Tunisia. Ma fortunatamente, se guardiamo alla Tunisia, sempre più
persone stanno prendendo posizione contro gli attacchi alle donne, al loro stile di vita. Si tratta
di qualcosa di molto positivo. Tuttavia non possiamo concentrarci solo sulle donne, il problema
è più ampio, è quello delle promesse mancate della rivoluzione e in particolare tocca la
questione della libertà. La gente non è scesa in piazza per avere gli islamisti al potere. Le
immagini che in questi giorni vengono da Siliana sono emblematiche a proposito. Nelle strade
sono scese in piazza anche le donne con il velo. Il punto non è semplicemente la laicità, va ben
oltre.
Diversa è la situazione in Egitto: qui siamo in un periodo controrivoluzionario, anche se ci
siamo arrivati attraverso un meccanismo democratico, le elezioni. I partiti islamisti non fanno
politica, vogliono solo prendere il potere, essere egemoni. Ma questo alla fine farà sì che le
persone prenderanno le distanze dai partiti islamisti. Io credo che sarà la fine dell'utopia
islamista.
Il femminismo ha oltre un secolo di storia nel mondo arabo. Le donne hanno
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significativamente partecipato alle lotte di indipendenza e una volta formatisi gli stati
post-coloniali hanno denunciato le ingiustizie e le ineguaglianze di genere. Lei ha
partecipato a diversi movimenti, come il collettivo «Maghreb Egalitè». Quale è
attualmente lo stato dei movimenti femministi nel mondo arabo?
Oggi le femministe stanno affrontando una grande prova. Non potevamo immaginare che la
situazione sarebbe stata così grave. Dall'Egitto alla Tunisia le femministe sono costantemente
chiamate ad agire contro le dittature e gli islamisti.
Da una decina d'anni sulla scena internazionale si è affermato il cosiddetto
femminismo islamico, un movimento che rivendica diritti per le donne da una
prospettiva religiosa. Partendo dall'idea che i testi sacri siano portatori di un
messaggio di uguaglianza di genere diverse donne musulmane che vivono in
«Oriente» e in «Occidente» stanno proponendo nuove esegesi coraniche attente alla
questione di genere e stanno rivendicando la riforma di codici e di istituti patriarcali.
Cosa pensa delle rivendicazioni di genere portate avanti in una cornice religiosa?
Nel femminismo islamico non trovo niente di nuovo. Da cinquant'anni le femministe provano a
riformare l'islam: è stato un fallimento. Le femministe islamiche - uso questo termine, anche se
non mi piace - sono, anche loro malgrado, strumenti nelle mani degli islamisti che
inevitabilmente finiscono per sostenere. Queste donne non potranno mai raggiungere il loro
obiettivo, i movimenti islamisti non vogliono riformarsi; se no che movimenti islamisti
sarebbero? La loro base è la sharia, e la sharia è contro gli uomini e le donne. Non sarà il
femminismo a cambiare l'islam. Tuttavia in questo ambito trovo interessante il movimento Per
l'uguaglianza, Musawah, nato in Malesia. Loro dicono: «siamo musulmane e vogliamo libertà e
diritti», ma non vogliono cambiare le istituzioni islamiche come si propongono di fare gli
organizzatori dei convegni internazionali di femminismo islamico organizzati in Spagna.
Lei vive in Europa da anni. Come le appare la condizione delle donne musulmane in
Occidente? Quali sono le principali sfide che queste donne devono affrontare?
Su questo argomento ho scritto un libro di oltre duecento pagine. Le donne musulmane in
Europa abbracciano l'islam per differenziarsi dagli altri europei. È un meccanismo molto
pericoloso. Basti pensare alla questione del velo, di cui è stata fatta una bandiera identitaria. È
un atteggiamento pericoloso.
Nel suo libro Une femme en colère: Lettre d'Alger aux Européens désabusés
pubblicato nel 2009 lei è molto critica nei confronti di una certa parte dell'élite
intellettuale occidentale. Ci può spiegare la sua posizione?
Gli europei sono incapaci di considerare che le questioni dei paesi del sud obbediscono alle
stesse regole d'intelligenza dei paesi del nord. Per esempio le femministe occidentali possono
lottare contro la chiesa e il cristianesimo, ma noi non possiamo lottare contro l'islam, perché ci
dicono che l'islam può liberare le donne. Quando si tratta del mondo musulmano gli occidentali
perdono la loro capacità di analisi.
[stampa]
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