È ANCORA GRANDE LA PAURA DI VOLARE PER ERICA JONG LE

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È ANCORA GRANDE LA PAURA DI VOLARE PER ERICA JONG LE
A000427
FONDAZIONE INSIEME onlus.
Da L'ESPRESSONLINE del 4/3/04 <<È ANCORA GRANDE LA PAURA DI VOLARE PER
ERICA JONG LE CRITICHE AL MOVIMENTO DELLE DONNE SONO SBAGLIATE.>> di
Alessandro Cassin.
Per la lettura completa del pezzo si rimanda al periodico citato.
Di Erica Jong si ricorda soprattutto il suo romanzo d'esordio 'Paura di volare', uscito nel 1973,
manifesto della liberazione sessuale femminile, tradotto in 27 lingue (oltre 12 milioni di copie
vendute). Ma il suo vero obiettivo è sempre stato raccontare gioie e dolori delle donne di
tutte le età. Missione che ha perseguito con romanzi, poesie, saggi e interventi giornalistici,
sempre all'insegna della spregiudicatezza.
L'abbiamo incontrata nella sua casa di Manhattan, dove vive felicemente con il quarto marito,
e le abbiamo chiesto di commentare accuse e contraddizioni che stanno animando il dibattito
dell'altra metà del cielo.
Signora Jong, le nuove generazioni che hanno ereditato il femminismo come fatto compiuto, e
che ora lo contestano, lo stanno rinnegando?
"No. Gloria Steinhem ha scritto: 'Le donne diventano più radicali con l'età'. È un'osservazione
giustissima. Quando si hanno vent'anni, capelli lunghi e minigonna, si può ottenere tutto ciò
che si desidera dal mondo degli uomini. Più tardi si scopre la discriminazione e l'ingiustizia
sessuale".
La contestazione del femminismo è dunque solo una rivolta generazionale?
"Certo, ogni generazione di donne ha bisogno di ripudiare le proprie madri, ma il paradigma
del femminismo resta: le donne sono discriminate dagli uomini".
Però, c'è chi sostiene che la donna in carriera sfrutta le colf e le bambinaie del Terzo mondo.
Insomma, non le è sorella...
"Indubbiamente ci sono delle donne agiate che sfruttano altre donne, ma non
scandalizziamoci, noi americani e voi europei, siamo 'il mondo del consumo', un mondo che
presuppone la presenza di manodopera non specializzata in tutti i campi non più reperibile sul
posto".
Dunque non vede ipocrisia nelle donne che, per affermarsi professionalmente, affidano i loro
figli alle cure di altre donne le quali, a loro volta, per adempiere a questo compito rinunciano a
vivere la propria maternità?
"Ne parli con le donne dei Caraibi, del Bangladesh, dell'India o delle Filippine che lavorano nelle
nostre case, e sentirà una storia molto più complicata. Per loro poter mandare soldi a casa è
un primo passo verso l'emancipazione, uno spiraglio verso un futuro migliore.
Vede, Hillary Clinton sostiene che per crescere un figlio occorre un intero villaggio.
Ha ragione.
Le bambinaie caraibiche sanno questo per patrimonio culturale: sanno che per
crescere figli occorrono, figure ancillari, che non abbiamo più.
Abbiamo bisogno di loro e della loro esperienza di famiglia allargata.
Faccio un esempio.
Da voi in Italia le donne hanno in media un solo figlio. Lo sa perché?
Perché non vivono più vicino alle proprie madri e queste, le nonne, non aspirano a esserlo a
tempo pieno.
Così avete una popolazione in calo e un'immigrazione in crescita".
Per lei la maternità è tutt'oggi uno dei paradigmi centrali del femminismo?
"Non ho mai ipotizzato che fare figli sia una scelta obbligata. Ma aver avuto una figlia,
vederla crescere forte, autonoma e intelligente, e adesso, sette settimane fa, dare alla luce
una nipote continua a essere una delle più grandi soddisfazioni della mia vita personale e di
femminista. E poi la consapevolezza della discriminazione sessuale, e quindi l'esigenza di
istanze femministe, è molto più evidente quando si hanno figli.
Le post- femministe che dicono 'il femminismo è antiquariato degli anni '70, mi piace portare il
rossetto, i tacchi alti e fare sesso', appena hanno dei figli si accorgono che gli uomini
spariscono e che asili e scuole materne sono del tutto inadeguati.
Non a caso le femministe che oggi hanno 40 anni, come Naomi Wolf, mi stanno rivalutando.
Dicono: guardate la Jong, una donna che dice che possiamo tenere le nostre idee femministe e
spassarcela al tempo stesso con gli uomini".
Lei ha scritto che il femminismo è una rivoluzione incompiuta
"La strada è ancora lunga, e il percorso non è lineare. Ma mi faccia scommettere: tra 15 anni,
le donne torneranno a marciare su Washington: esigeranno vere riforme nella scuola, nei
servizi sociali e nella sanità".