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8 luglio 2016
Viaggio in Senegal, dove le sale
operatorie hanno teli come porte e gli
interventi sono un miracolo quotidiano
di Giulia Polito
I BLOG MULTIAUTORE
Le persone e la dignità
Riccardo Noury
REPORTAGE DA DAKAR - «La senti? Questa è musica». All’interno della sala
Bielorussia, quelle compagnie telefoniche complici
della repressione
operatoria dell’Ospedale Universitario di Fann c’è solo un leggero brusìo. Il
chirurgo dà istruzioni all’équipe. Intorno le persone assistono. Il personale
medico è dei più eterogenei che si possano immaginare. Sono italiani, rumeni,
siriani, tedeschi. Lì, addormentato sul tavolo operatorio, c’è un bimbo africano
di 10 anni appena.
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E’ lui l’autore di quella musica. E’ il suo cuore che batte, regolare e
vigoroso.
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Lo hai osservato sin dall’inizio dell’intervento. Lo hai visto battere fuori dal
petto del bambino, pompare con forza per poi addormentarsi lentamente. In
sala percepisci la tensione dei medici, ma tu non smetteresti mai di guardarlo.
C’è pace e c’è bellezza nel vedere un cuore aperto, che si spegne per qualche
ora e che torna ad accendersi per continuare a suonare la sua musica.
MORTALITA’ INFANTILE E VITTIME DELLE CARDIOPATIE
Siamo a Dakar e il piccolo paziente si chiama Maguette. Lui è solo uno dei 30
mila bambini senegalesi che soffrono di gravi patologie cardiache. Anche qui,
nella capitale, una città sospesa tra avanguardie e preistoria, dove il futuro delle
tecnologie dell’architettura, dell’economia si scontra quotidianamente con le
tradizioni, gli usi, i costumi la cultura africane. E contro una percezione ancora
lontana anni luce dai canoni occidentali della vita, della salute, della medicina.
«Sono ancora tante le famiglie che di fronte ad un problema di salute si
rivolgono allo sciamano del villaggio invece che ad un medico». Nonostante il
netto miglioramento dal 2006 ad oggi, la mortalità infantile in Senegal si aggira
intorno al 50%.
Ogni anno nascono mille bambini con malformazioni cardiache e
di questi, l’80% muore perché non può essere operato.
BAMBINI CARDIOPATICI E LA «FILIERA DELLA SALUTE»
Ed è a questo esercito silenzioso che Bambini Cardiopatici nel Mondo, onlus
italiana nata da un’intuizione del cardiochirurgo Alessandro Frigiola, dedica
alcune delle proprie missioni chirurgiche. E’ con loro che abbiamo conosciuto
Maguette, già pronto sul lettino, un viso che dimostra qualche anno in più della
sua età, allungato un po’ dalla tensione. A fargli compagnia due piccoli animali di
peluche. Lui sarà il primo intervento della prima giornata di una missione breve
ma intensa. Dopo di lui sarà il turno di Aminata, 12 anni. Il suo è un caso
complicato perché la bambina ha la sindrome di Down. Le prospettive di vita
qui per i bambini come lei si accorciano ulteriormente. E in un Paese come il
Senegal, dove le risorse scarseggiano, a volte le scelte intraprese in ambito
clinico rispondono ad una strategia del lungo termine invece che ai principi di
giustizia sociale. Infine Ahmed di appena 5 anni. Il suo sarà l’intervento più
complicato, il caso che non ti aspetti. Ad assistere l’équipe occidentale nel corso
degli interventi ci saranno anche i medici locali.
Perché la mission dell’organizzazione è soprattutto quella di
formare il personale del luogo, per costruire una filiera della salute
che dagli ospedali si estende a tutta la comunità.
LA SFIDA: COSTRUIRE UNA CULTURA DELLA VITA
Nell’Ospedale di Fann, per i medici è tutt’altro che semplice operare. Quella in
cui ci troviamo è una struttura fatiscente ma che, come viene spiegato, «è forse
chiudere. A coprirli solo una tenda di fortuna senza alcun vetro di mezzo. Le
norme igieniche per garantire la sterilità di alcune aree, come la terapia
intensiva, vengono ignorate. Manca l’organizzazione. Ogni mattina un paio di
ore vengono utilizzate solo per allestire la sala operatoria. Non si trovano gli
attrezzi e il materiale sanitario. Solo l’ultimo giorno scopriremo che uno dei
“magazzini” improvvisati è un vecchio frigorifero inutilizzato e posto in mezzo al
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sono pochissimi posti letto, nelle stanze le finestre non si possono neanche
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la più attrezzata di tutto il Senegal». Per i ricoverati in attesa di intervento ci
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«I paesi in via di sviluppo sono molto differenti l’uno dall’altro». A
parlare è il dottore Tammam Youssef, il cardiochirurgo della
missione. «In molti di questi ci troviamo ad intervenire in
condizioni particolarmente delicate. Non abbiamo strumenti, non
abbiamo materiale, a volte non abbiamo neanche l’acqua».
Ma per il dottore la difficoltà più grande è un’altra:
«E’ riuscire a diffondere la cultura della medicina, della salute,
della chirurgia. E’ riuscire a convincere queste persone che la
salute va curata, non ci si può abbandonare al destino».
Foto Alex Popa (Inima Copiilor)
IL SENEGAL, TRA PASSATO E FUTURO
Il Senegal per il dottore Tammam Youssef è uno dei Paesi più complicati in cui
ha operato. Ad oggi viene considerata un’isola felice se rapportato ad altri
contesti africani. Con una repubblica semipresidenziale guidata da Macky Sall,
eletto democraticamente nel 2012, gode di un’economia ancora da mettere a
sistema ma funzionale nel suo complesso, fatta di piccole imprese e di un
tessuto industriale promettente. Sul comparto agricolo, ancora uno dei motori
commerciali del Paese, è previsto un piano di modernizzazione che punta alla
sostenibilità ambientale e all’export di alcune materie prime, l’introduzione di
nuove tecnologie e importanti investimenti anche sulle energie rinnovabili con
il Plan Senegal Emergent 2035. Il Pil attualmente è in crescita (3-4%).
Ma in alcuni comparti, soprattutto quello sanitario, non è
sufficiente. E’ soprattutto qui che vige ancora una forma di
fatalismo diffuso in cui vale solo la legge della sopravvivenza.
Vale per le famiglie, sorprendentemente calme di fronte alle gravi condizioni dei
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emergere sia la figura di un giovane professionista, più promettente di altri, su
cui vale la pena investire.
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figli come per la buona parte del personale ospedaliero. Ma capita a volte che ad
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Foto Alex Popa (Inima Copiilor)
IL NUOVO REPARTO DI CARDIOCHIRURGIA
In questa prospettiva Bambini Cardiopatici si è impegnata su due fronti diversi.
Da un lato nelle borse di studio, grazie alle quali i medici africani hanno la
possibilità di trascorrere un periodo in Italia per la loro formazione. Poi, a
Dakar, nella costruzione di un nuovo reparto di cardiochirurgia che sorgerà
proprio accanto all’Ospedale di Fann.
Nel cantiere si lavora, tra l’odore di vernice fresca, i teli di plastica a terra e il
rumore dei trapani in sottofondo.
Il progetto è portato avanti con la collaborazione della fondazione
francese La chaine de l’espoir «con cui sono nati i presupposti per
una collaborazione proficua per costruire un polo importante
nell’area dell’Africa subsahariana» racconta il vicepresidente della
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onlus Marco Di Terlizzi. L’inaugurazione del reparto è prevista per
febbraio 2017.
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L’architetto Justine Girard spiega che si tratterà di una struttura di 2200 mq
dotata di due sale operatorie, 10 letti di rianimazione e 9 a reparto dedicata
alle famiglie indigenti. Accanto sorgerà poi una casa mamma-bambino, dove i
piccoli pazienti con le loro mamme potranno soggiornare in attesa
dell’intervento. E dove alle mamme verrà spiegato come prendersi cura dei
bambini, l’importanza di una sana alimentazione, dell’igiene, della puntualità
nelle terapie farmacologiche. Un accordo con il governo del Senegal prevede per
i primi 5 anni l’affidamento della gestione della struttura alla fondazione
francese e l’attività di formazione a Bambini Cardiopatici.
DAKAR, LE CONTRADDIZIONI DA SUPERARE E LA CARDIOPATIA AFRICANA
A Dakar il nuovo reparto costituirà una piccola oasi nel deserto. Nonostante la
promessa di Sall di un incremento notevole dell’assistenza sanitaria nel Paese
(obiettivo 75%) la percentuale attuale è preoccupante: la copertura si aggira
intorno al 35%. Il 40% della popolazione senegalese vive ancora sotto la soglia
di povertà. E nonostante il Senegal rappresenti uno dei Paesi più sviluppati e
sani dell’Africa subsahariana, Dakar rappresenta oggi uno dei contesti più
contraddittori di tutto il continente. Te ne accorgi immediatamente,
osservandola dall’alto del Monumento della Rinascita Africana. Distese di
scheletri di edifici abbandonati, in alcuni i canteri proseguono. Intorno distese di
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terra rossastra, tanto da fare sembrare dorato persino l’oceano.
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Passeggiando per le vie della città il colpo d’occhio è inevitabile. Tra edifici
moderni e palazzoni dalle architetture importanti, le persone continuano a
girare in abiti tradizionali, gli uomini con tuniche lunghe e leggere, le donne
portano la spesa su grandi ceste sospese sulla loro testa. Nel mezzo isole di
«Africa vera», mercati tradizionali sovrastati dai grattacieli, piccole baracche
ai lati del porto dove le donne presiedono le porte di casa e i bambini giocano
con un biliardino che di partite ne ha viste troppe. Nella zona dei pescatori le
barche che ogni mattina escono adesso riposano sulla spiaggia. Intorno ciò che
resta del mercato quotidiano, lische di pesce avariato e rifiuti ammucchiati, da
qualche parte un pescatore sonnecchia al tepore del sole ancora non troppo
caldo. E davanti l’oceano che si apre che da questa prospettiva è blu intenso.
Ti ritrovi a contatto con tutta la ricchezza del continente, la stessa prosperità
che pochi minuti prima avevi toccato con mano al mercato coperto della città,
tra i banchi di manghi maturi e di quintali di pesci che non avevi mai visto. Il
tutto dentro una città che se da un lato è stato protagonista di uno sviluppo
importante nel corso degli anni, dall’altro oggi
combatte contro le carenze strutturali di un territorio che ha
conosciuto un processo di urbanizzazione intenso e troppo veloce.
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Su 13 milioni circa di abitanti in Senegal, circa 4 milioni risiedono nella regione
di Dakar.
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Osservi Dakar che si muove ed è allora che capisci che la grande
cardiopatia africana sta tutta lì, in quel grande potenziale da
mettere a frutto, in una città ancora tutta da costruire e non con il
cemento. In uno sviluppo urbano intelligente da mettere in
pratica, nelle comunità rurali da preservare invece che
incentivarle ad abbandonare l’entroterra per popolare la città.
UN BISTURI PER IL FUTURO DEL CONTINENTE
Ti torna alla mente quello che i medici di Bambini Cardiopatici ti avevano
raccontato poche ore prima. Tra loro c’è chi, diventato ricco, da medico ha
deciso di dedicare tutta la sua vita alle missioni nel terzo mondo. C’è chi, dopo
aver cresciuto due figli, ha deciso di adottare un orfanello e che quando parla di
lui si riferisce alla sua “seconda vita”. C’è chi, nonostante tutto, continua ad
andare e tornare dalla Siria per operare. Chi invece pensa al proprio futuro,
valutando l’ipotesi di prendersi un periodo di aspettativa per star via diversi
mesi. Storie diverse che in missione trovano un centro comune.
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Ti vengono in mente i tre bimbi operati nel giro di 48 ore, tutti con successo,
disposti in fila nella sala di terapia intensiva. Aminata toglie per un attimo la
mascherina dell’ossigeno per mandare un bacio a distanza all’operatrice italiana
con cui aveva giocato fino a poco prima dell’intervento. Immagini che lei, nel
corso dei lunghi anni che ancora le si prospettano, si ricorderà a vita di
quell’operatrice.
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C’è la curiosità professionale che spinge la scoperta e il
superamento dei propri limiti. E c’è la volontà di provare a
seminare qualcosa di buono con le armi a propria disposizione: un
bisturi e qualche competenza.
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E ti sembra quasi di sentirla ancora quella musica. La sinfonia di un cuore che
batte che oggi sorvola l’oceano e veglia i bambini cardiopatici dai grandi cieli
azzurri di Dakar.
@CorriereSociale
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