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Cultivo la rosa blanca
En junio como en enero
Cultivo la rosa blanca
En junio como en enero
Para el amigo sincero
Que me da su mano franca...
José MARTI, Poesia.
“ pas d’égalité réelle sans égalité de culture”.
José Marti.
America Latina: da una Letteratura “d’urgence” a una Letteratura volta al recupero
dell’identità e delle culture nazionali.
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Il mio vuole essere una sorta di racconto di un viaggio immaginario nell’America Latina.
Perché l’America Latina?
Perché grazie all’arte, all’estro e alla qualità dell’opera letteraria dello scrittore peruviano Mario
Vargas Llosa (premio Nobel 2010 per la Letteratura) tutta tesa al riscatto della sua gente e alla
prosa fantastica e poetica del colombiano Gabriel Garcìa
Marquez, premio Nobel per la Letteratura 1982, ho potuto
arricchire la mia cultura e conoscere meglio questo
variegato e contraddittorio continente. Entrando nella mia
vita,G.G.MARQUEZ e Mario VARGAS LLOSA mi hanno
insegnato a sentire il tempo, la storia, a comprendere le cose
e a fare i conti con le difficoltà della ricerca avventurosa di
una nuova utopia.
Entrambi gli scrittori mi hanno trasmesso la forza della loro
passione per gli ideali più nobili e la loro avversione per la
mediocrità, la menzogna e l’impostura.
L’America del sud è il Mondo nuovo dove l’Europa ha cercato il Paradiso in terra, la libertà, la
pace, la ricchezza, la realizzazione dei desideri. Da tempi remoti l’uomo ha sempre cercato
un’Atlantide, una terra d’Utopia e l’America è stata scoperta rincorrendo questo sogno. Poi si sono
succeduti i viaggi di conquista, di esplorazione, di nuovi insediamenti. Così l’America Latina, in
modo sempre diverso, ha risposto al bisogno europeo di rispecchiamento e di rinascita. Fino
all’ultimo grande sogno, quello degli anni ’60: con Fidel Castro, con Che Guevara, con Marquez, la
speranza di un mondo libero e felice.
L’America Latina è un mondo che può essere scoperto seguendo parecchi percorsi. Noi cercheremo
di attraversarlo lasciandoci guidare da romanzi ambientati in queste lontane terre che ci permettono
di conoscere questo continente di là dai luoghi comuni. Attraverso i dubbi e le sofferenze degli
autori e dei personaggi, cercheremo di comprendere, in un cammino di ricerca abbastanza allargato,
i problemi, le angosce, le paure della gente comune, il bisogno di esprimersi.
L’intera area latino-americana sta attraversando un interessante processo evolutivo dal punto di
vista politico-economico che sembra per il momento garantire il rafforzamento sia dei regimi
democratici nei singoli Paesi, sia le dinamiche d’integrazione regionale. Tutto questo avviene
1
all’interno di un quadro instabile, dovuto alle peculiarità del subcontinente e alle sue molteplici
variabili. Anche la letteratura contemporanea dell’America Latina sta vivendo un positivo momento
di sviluppo e di grande interesse riconosciuti non solo dall’attribuzione dal 1945 al 2010 di ben sei
premi Nobel per la Letteratura1 ma soprattutto dalla qualità di una scrittura che non dimenticando lo
spagnolo, la lingua dei sogni e degli incubi, dell’invenzione e delle follie, permette alle civiltà
sudamericane di vincere anni di mutismo e di dipendenza. L’esempio più chiaro è rappresentato dal
Messico che dal 1512 al 1810 è stato un paese muto. Compito della Letteratura contemporanea è di
recuperare le voci della sua gente, più manifeste nelle sculture e nell’architettura che nella scrittura.
Tutta colpa della conquista spagnola e della colonizzazione che hanno costretto il popolo messicano
a rinchiudersi in sé, rifiutando quello che Mario Vargas LLOSA definisce “métissage” e Juan
GOYTISOLO chiama la “melée urbaine”, cioé l’incontro con culture diverse, accentuando il
problema dell’identità culturale.
Fortunatamente dopo anni di atroci dittature militari che hanno provocato massicce migrazioni in
Uruguay, Argentina e Cile, assistiamo a un cambiamento di rotta in paesi come il Messico, il
Venezuela e soprattutto in Perù in cui è in atto un’ascesa sociale della popolazione nel mondo delle
lettere, della comunicazione e dell’informazione.
Le case editrici denominate “cartoneras”sono in fermento e i premi nazionali sono molto più
numerosi che in passato. L’industria letteraria latino-americana è in pieno sviluppo e questo sembra
un fenomeno inarrestabile. Piccole case editrici indipendenti nascono ogni giorno dal Messico
all’Argentina. Il loro intento è di abbassare il costo dei libri e di promuovere l’accesso alla lettura
per le giovani generazioni. Ciò rappresenta una volontà di affermazione dell’identità culturale e
letteraria del continente. Un fenomeno che sembra avere sempre più successo e seguito perché dà
spazio alla letteratura popolare e agli autori che sono emarginati dai circuiti ufficiali. Vale per tutti
il caso del Messico che ha conosciuto negli anni ’20 i “muraux” a Orozco, a Ribeira, a Siquieros e
che si appresta ad aprirsi ad altre forme artistiche quali la danza, la fotografia e il cinema.
Lo scrittore è più di tutti, attraverso il dono della parola, delle immagini e dei suoni, in grado di
evocare il passato, di renderlo presente e di dirigerlo verso l’avvenire.
Carlos Fuentes ebbe a dire che senza rivoluzione del linguaggio non c’è cambiamento. Nel senso
che se non c’è dapprima una rivoluzione del linguaggio che sia capace di allargare il territorio
dell’umana conoscenza, ogni tipo di cambiamento è nullo e la Storia sembra essere una fatalità. Un
suo personaggio di nome Branly di ottantatré anni afferma che le civiltà non scompaiono del tutto e
che sopravvivono almeno quelle alle quali si è impedito di progredire. “Le Mexique a des ruines et
les USA des piles d’ordures”, aggiunge l’autore di “Mort d’Artemio Cruz” (1966). Il Messico non
ha immondizie da riciclare ma rovine, resti di una civiltà da recuperare il cui progresso è stato
interrotto a metà strada.
Questa idea-guida ricorre spesso nella letteratura contemporanea sudamericana come un modo di
vivere i due grandi valori della vita: la memoria e l’immaginazione che molti scrittori trovano
minacciate da una informazione prefabbricata che esclude ogni possibilità di esercitare
l’immaginazione. La fiction permette alla memoria e all’immaginazione di esercitarsi con pienezza,
essa permette alla Storia di passare da un narratore a un altro e per questo non finisce mai. Fuentes
crede che la memoria individuale non basta. Quella collettiva è più interessante perché ha bisogno
degli altri per essere trasmessa.
L’America iberica è portatrice di una cultura multirazziale, indigena, europea, nera e soprattutto
meticcia. Le popolazioni indigene sono gli eredi di una cultura che affonda le sue radici
1
1945- Gabriela MISTRAL (Cilena); 1967- Miguel Angel ASTURIAS (Guatemalteco); 1971-Pablo NERUDA
(Cileno); 1982- Gabriel GARCIA MARQUEZ (Colombiano); 1990- Octavio PAZ ( Messicano); 2010- Mario
VARGAS LLOSA ( Peruviano)
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nell’America precolombiana. La presenza spagnola e portoghese nel Nouveau Monde è stata
portatrice di civiltà mediterranea, greca e romana, araba ed ebrea ma forme di dittature crudeli
hanno impedito la creazione di quella cultura identitaria solida e continua ed è forse per questo che
in ambito politico ed economico si fa fatica a riconoscere il valore culturale di queste comunità.
C’è da rilevare che l’esplosione di particolarismi etnici, religiosi, culturali e territoriali ha, di fatto,
rallentato il processo d’integrazione tra i popoli, invece di potenziare l’unità e il confronto si sono
acuite le diversità e le differenze. Non C’è stato rispetto per le civiltà indigene.
Nella “Relation des choses du Yucatan” il padre Diego de Lauda racconta che al loro arrivo
trovarono un grande numero di libri che contenevano solo superstizione e menzogna del demonio
sicché furono costretti a bruciarli tutti. Nel regno chibcha i religiosi bruciavano ogni settimana
cataste d’idoli che gli indigeni avevano scolpito nel legno. Nel Messico decisero di seppellire le
pietre e ciò che restava della costruzione di templi, di luoghi pubblici, rendendo così difficile lo
studio di popoli, di comunità intere dedite alla fabbricazione di porcellane e di vasellame. Eppure in
alcuni insediamenti le donne avevano persino scoperto una vernice permanente che permetteva di
lavare con facilità giare e brocche.
Con l’arrivo dei”conquistadores” spagnoli intere popolazioni indigene scomparvero e le rive del
fiume Amazzone, un tempo molto popolose, divennero inabitate, le città quasi deserte.
Dopo anni di silenzio furono gli scrittori “indigénistes” che per primi descrissero le terribili
condizioni di vita dei contadini della serra, sfruttati e maltrattati dai latifondisti, padroni assoluti,
che, dopo averli cacciati, li vendevano a miglior mercato. Questo movimento letterario denunciava
le ingiustizie rivendicando nello stesso tempo le tradizioni indigene ed é impossibile comprendere il
destino tragico delle popolazioni andine senza ricorrere al romanzo “indigéniste”. La vecchia
polemica tra “indigénistes” e “hispanistes” riprende negli anni ’20 e ’30 con maggiore vigore tanto
che uno storico arrivò ad affermare che si dovevano distruggere persino le chiese e le
rappresentazioni coloniali perche esse erano l’anti - Perù.
La verità è che non sono tanto le crudeltà che gli indigeni hanno subito al tempo della conquista
spagnola che costituiscono il problema, ma le forme di razzismo intellettuale, di vera
discriminazione che subiscono ancora oggi alcune comunità.
Crimini, distruzioni e altri orrori sono stati commessi da chi ha attraversato il mare alla ricerca di
avventure e di metalli preziosi. Ciò che è certo è che una simile avventura ha cambiato la Storia
dell’Europa e dell’America. Nel 1492 non è il continente americano che è diventato meticcio: è il
mondo. Europei e indigeni si sono incontrati e ne è seguita una trasformazione profonda della
realtà. L’anno 1492 è il momento in cui gli abitanti del Nouveau Monde e del vecchio cessano di
essere distanti per condividere nostalgie e progetti.
Questo stesso fenomeno si presenta oggi su scala mondiale con la speranza che l’emigrante
moderno possa contare su di un Bartolomeo de Las Casas2 e su un José Marti3 per la realizzazione
2
Molti uomini lottarono in favore degli indigeni per la conservazione dei loro valori spirituali. Fra i tanti il frate
domenicano Bartolomeo de Las Casas merita una particolare menzione. Difese con ostinazione e con ardente impegno
missionario gli indigeni e lottò in loro favore in nome di una religione che considerava sacra la condizione umana. Non
bisogna altresì dimenticare che furono i figli di spagnoli e persino gli spagnoli che lottarono contro l’assolutismo del
loro proprio paese, che si sollevarono contro la Spagna da Bolivar nel nord a San Martin nel sud.
Figlio di “conquistadores” e “conquistador” egli stesso, Bartolomeo de Las Casas partecipò all’impresa di Diego
Velasquez a Cuba. Fu tormentato dalla sua situazione di “encomendero” e dai problemi che gli poneva la sua coscienza
nei confronti degli indigeni. Dopo che ebbe udito il tremendo sermone che il domenicano frate Antonio Montesinos
pronunciò contro gli” encomenderos” Las Casas si fa sacerdote rinunciando ai suoi beni,entra nell’ordine dei
domenicani e concorre alla crociata che lo condurrà a difendere davanti a Carlo V e al Consiglio delle Indie gli indigeni.
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di un comune ideale: la comprensione reciproca e l’integrazione. Il pensiero critico ha finito per
scalfire le pretese egemoniche occidentali alimentando nello stesso tempo la nostalgia di mondi
totalmente altri e una sorta di “primitivismo”.
Sostenuto da una religiosità combattiva e da un messianico senso di giustizia sempre sincero e generoso, Bartolomeo de
Las Casas fu chiamato “Apostolo de los indios”. Un suo scritto edito nel 1552 dal titolo Brevisima relation de la
destruction de las Indias suscitò molto scalpore e interesse. In questo libro sono denunciati i delitti commessi dagli
spagnoli sugli indigeni e raccontati nella forma più violenta tanto che questa pubblicazione fu ritenuta il fondamento
della”leyenda negra” sulle atrocità spagnole in America. Ma è nella sua Historia de las Indias che Las Casas mostra la
sua serietà e preparazione di storico. Las Casas vi scrive con meticolosità che si accompagna alla passione, all’esattezza
di molti giudizi, anche se l’autore mostra la sua ossessiva avversione per i “conquistadores”. Per lui gli Spagnoli sono
l’incarnazione dello spirito del male, mentre gli indigeni rappresentano l’innocenza e la bontà insidiate.
La conquista e scoperta del Messico ampliano il panorama geografico e umano dell’America. Il compito di raccontare
viene assegnato non più ad un letterato di professione ma al soldato, al condottiero. Hernàn Cortés (1485-1547) fu il
primo descrittore nelle cinque Cartas de relation delle meraviglie che risvegliano in lui le civiltà scoperte. Cortès le
osserva dall’esterno ed è per questo che è stato tacciato di freddezza nella sua opera anche se un senso di stupore
permea le varie lettere davanti alla grandezza delle costruzioni azteche. Per la sua mancanza di sensibilità Cortès non
capì l’intimo dramma che quelle popolazioni stavano vivendo, la loro passività di fronte agli invasori scambiati in un
primo tempo per dei. Nonostante la sua freddezza, la figura di Cortès è una delle più luminose della conquista. Di fronte
alla rozzezza di Francesco Pizarro, conquistatore del Perù, risalta la sua cultura di uomo del rinascimento. Un uomo non
di eccezionale sapere ma certo notevole per i tempi.
Per l’umanista Juan Ginés Sepulveda (1490-1573) gli indios sono dei selvaggi, incivili, ignoranti in fatto di religione,
inclini ai sacrifici umani. Le sue tesi andranno a costituire il mito del cattivo selvaggio, dell’incivile del tutto privo di
cultura e nemico della fede. Tutto ciò rendeva giustificabili le stragi compiute dagli spagnoli. Questo voleva dire che gli
spagnoli, mostrando doti di prudenza, ingegno, magnanimità, senso religioso, erano autorizzati ad intervenire su quelle
barbare popolazioni, talmente prive di cultura che non conoscevano l’uso delle lettere e non conservavano alcun
documento sulla loro storia. Se Cortés per molti giorni terrorizzò, con l’aiuto di un piccolo numero di soldati
un’immensa moltitudine di indios, ciò provò che alcuni uomini sono superiori ad altri e che gli indigeni sono servi per
natura. Per Sepulveda la maggior parte della rozzezza, della barbaria e della loro innata servitù è costituita dalle loro
istituzioni pubbliche che sono per la maggior parte servili. E che dire ancora dell’empia religione e dei sacrifici di gente
che venerano il demonio come Dio e che non trovano per meglio placarlo che offrirgli in sacrificio cuori umani?
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José Julián Martí Pérez (L'Avana, 28 gennaio 1853 – Rio Cauto, 19 maggio 1895) è stato un politico, scrittore e
rivoluzionario cubano. Fu un leader del movimento per l'indipendenza cubana; a Cuba è considerato il più grande eroe
nazionale. Oltre ad essere stato un grande scrittore, poeta e giornalista, Martí fu anche pittore e filosofo. Nel 1867 si
iscrisse alla Scuola Professionale per la Pittura e la Scultura de L'Avana per prendere lezioni di disegno.
Nel 1869 pubblicò il suo primo testo politico nell'edizione unica del giornale El Diablo Cojuelo. Lo stesso anno
pubblicò Abdala, un dramma patriottico in versi, nel monovolume La Patria Libre. Nello stesso anno compose il
celebre sonetto 10 de octubre che fu pubblicato poco più tardi nel giornale della suaNel 1880 Martí sì trasferì a New
York ricoprì il ruolo di console aggiunto per Uruguay, Paraguay e Argentina. Mobilitò la comunità di esiliati cubani,
specialmente a Tampa e Key West, in Florida, per mettere in atto la rivoluzione e ottenere l'indipendenza dalla Spagna
e, contemporaneamente, opporsi all'annessione di Cuba agli Stati Uniti, come desiderava qualche esponente politico
americano. A questo scopo fondò anche, nel 1892, il Partito Rivoluzionario Cubano.
Nel 1894 partì con la volontà di approdare a Cuba e lottare direttamente per la rivoluzione, ma fu intercettato in Florida.
Convinse il generale rivoluzionario cubano Antonio Maceo Grajales, esule in Costa Rica, a riprendere la lotta contro gli
spagnoli a Cuba. Il 25 marzo del 1895 pubblicò il Manifesto di Montecristi, proclamando l'indipendenza cubana
ponendo così fine a tutte le distinzioni giuridiche tra le razze, il contatto con gli spagnoli che non si opponessero
all'indipendenza, e alla lotta contro chi approvava la via dell'indipendenza.
L'11 aprile dello stesso anno Martí sbarcò a Cuba con un reparto di esuli ribelli fra cui il Generalísimo Máximo Gómez
y Báez. José Martí fu ucciso dalle truppe spagnole durante la Battaglia di Dos Ríos del 19 maggio.
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Nel suo libro più famoso dal titolo “Logiques métisses” (Éditions Payots, Paris, 1990), lo storico
antropologo francese Jan Loup AMSELLE afferma che non c’è mai stato un luogo o un tempo in
cui osservare la società nella sua autentica purezza. Il meticciato è all’origine dell’umanità perché le
etnie e le culture si costruiscono in relazione e in contrapposizione le une alle altre. Più che
meticciato sarebbe più appropriato parlare di “connessioni” e di “deconnessioni” con l’esterno.
Tutte le culture anche quelle remote si sarebbero, secondo lo storico francese, costituite come
catene di società, piuttosto che come utopiche etnie isolate. E la lingua spagnola che i
“conquistadores” spagnoli riversarono nel mondo magico ma rituale del Nouveau Monde servì per
costruire un mondo diverso, più moderno, razionale e più efficace, un mondo in cui introdurre le
nuove scienze e tecniche, superando il vecchio e sclerotico antagonismo indo-spagnolo,
“indigénisme” e “ hispanité” non sono, quindi, termini antitetici e inconciliabili ma bastava unirli
per risuscitare valori e comportamenti comuni.
È ciò che l’America Latina, oggi, è intenzionata a fare poggiando sul suo enorme bagaglio etnico e
culturale.
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“ La Littérature devint le seul domaine où j’étais souverain…en ce domaine, là où (mon père) ne me voyait
pas, là où il ne pouvait m’atteindre, quand je lisais, quand j’écrivais, j’étais indépendant ».
Mario VARGAS LLOSA, La civilisation du spectacle, 2012.
“ La Littérature est toujours un signe d’opposition..La Littérature est un acte, d’abord. Une rébellion qui
sauve l’homme de la frustration et de la folie. Dans les situations les plus graves, les artistes sont déclarés
hors-la-loi, mais la Littérature demeure la plus forte ».
Albert BENSOUSSAN, Magazine littéraire N°221, p.44.
« La Littérature me réjouit parce que c’est le champ par excellence de la liberté : liberté d’écrire ce qu’on
veut, liberté de choisir de la part du lecteur ».
Osman LINS, Magazine littéraire N°187, p.52.
« Una società libera non é placida ma tumultuosa, e la libertà risuona nel vociante bazar delle opinioni
contrastanti ».
Salman RUSHDIE, Joseph Anton. Une autobiographie, Editions Plon, Paris, 2012.
La Letteratura come atto di comprensione.
Dall’inizio del XIXo secolo, periodo in cui le lotte per le indipendenze politiche hanno comportato
un processo d’indipendenza letteraria, oggi realizzato, ( l’America ispanica si è dotata di una
letteratura autenticamente americana, capace di realizzare il vecchio sogno di veder nascere dal Rio
Grande alla Terra del Fuoco un continente unificato e libero, definitivamente sgombro dalla
schiavitù del colonialismo), la storia letteraria ispano-americana ha conosciuto negli anni ’60 e ’70
un momento memorabile di crescente sviluppo in relazione ad una produzione letteraria massiccia e
alla moltiplicazione delle percentuali di vendite dei testi latino-americani non solo sul continente
ma anche in Europa. L’entusiasmo che animò gli scrittori durò circa dieci anni poiché la politica, in
seguito, ha creato un’enorme divisione tra gli autori di quella comune impresa.
Quando “La Ciudad y los perros” ottenne il premio Biblioteca Breve nel 1962, si trattò per il suo
autore il peruviano premio Nobel per la Letteratura Mario Vargas Llosa del riconoscimento
ufficiale della sua arte creativa. José Maria Valverde che faceva parte della giuria dichiarò che “La
Ciudad y los perros” era il migliore racconto dopo la pubblicazione di “Don Segundo Sombra”
dello scrittore Ricardo Guiraldes, di “El jugete rabioso” di Roberto Arti e di “Cuentos para una
Inglesa desesperada” del giovane Eduardo Mallea. A questi aggiungiamo “Los desterrados”
dell’uruguagio Horacio Quiroga e nel 1924 “La voragine “di José Eustasio Rivera, un testo tra
passione e denuncia. Per non menzionare nel 1929 “Dona Barbara” di Ròmulo Gallegos e le
“Memorias de Mama Blanca”, opera della raffinata Teresa de la Parra.
Il 1962 fu dunque un anno prodigioso per la Letteratura di lingua spagnola e passò alla storia come
l’inizio di quel fenomeno letterario della Letteratura ispano-americana chiamato “El boom”. Oltre
alla celebrazione del congresso degli intellettuali in America Latina si pubblicarono libri chiave, da
“El siglo de las luces” di Alejo Carpentier a “La muerte d’Artemio Cruz” di Carlos Fuentes
passando per “La Ciudad y los perros” del peruviano Mario Vargas Llosa. Per questo il 1962
passò alla storia come l’inizio di quel fenomeno letterario, un percorso che voleva recuperare le
radici di un passato e che cambiò il modo di scrivere e di pubblicare.
Oggi, a cinquant’anni da allora, nella conferenza del congresso “El canon del boom”, organizzato
dalla cattedra Vargas Llosa y Accion Cultural Espanola con lo scopo di rivisitare quegli autori e
quelle opere che diedero luogo a un modo nuovo di raccontare la storia, le storie, radicate nella
propria terra, Mario Vargas Llosa pone l’accento sul fatto che il grande merito della Letteratura
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Latino-americana degli anni ’60 e ’70 è stato riconoscere che il territorio sudamericano non aveva
solo prodotto dittature, rivoluzionari e il mambo ma anche una buona Letteratura, nuova, originale e
creativa. Nel mese di novembre c.a. per circa dieci giorni scrittori ed esperti delle due rive
dell’atlantico hanno partecipato al congresso e a tavole rotonde nelle varie Università della Spagna
che hanno concesso il dottorato Honoris Causa a Mario Vargas Llosa e discusso delle origini del
“boom”, un percorso che voleva recuperare le radici un passato e che cambiò il modo di scrivere e
di pubblicare.
Il premio Nobel 2010 collaborò in modo incisivo alla creazione e allo sviluppo di quel fenomeno
culturale. Il “boom” è consistito non solo nella scrittura di buoni libri ma anche nella visibilità che
la cultura latino-americana cominciò ad avere e per quello che riuscì a dare alla lingua spagnola in
termini di sentimenti e di esperienze, di sogni da condividere e d’idee da sostenere. La Letteratura e
la Cultura sono molto di più che un divertimento o un piacere: sono fonti di civiltà e di progresso.
Nell’assistere ad alcuni spettacoli o visitando mostre e la biennale di Venezia, Mario Vargas
LLOSA esprime il timore che la cultura scivoli nel vortice di un profondo caos, e che i punti di
riferimento per definire un’opera d’arte si dissolvano tanto da sfociare nel trionfo della frivolezza,
nel dominio dell’intrattenimento e della banalità. Mario Vargas LLOSA rifiuta un processo di
“frivolizzazione permanente” che, a suo parere, si sta allargando alla politica, alla moda, ai rapporti
umani, all’arte e alla Letteratura. Mario Vargas LLOSA non può accettare, Lui che ha tanto creduto
nel valore della lettura, che in un’epoca caratterizzata da uno straordinario progresso tecnologico,
scientifico e materiale, la Cultura si trasformi in qualcosa di superficiale, e diventi puro
intrattenimento. Rispondendo a un’intervista concessa al quotidiano La Stampa del 18 ottobre 2012
l’autore di “La civilisation du spectacle” ritiene che il trionfo della superficialità non aiuta il
cittadino comune a ben orientarsi davanti ad una offerta così enorme in ambito tecnologico,
scientifico e materiale. Non può accettare che parlare di moda o di pubblicità sia più importante che
parlare di fiction o di musica colta. “La pubblicità non è razionale: fa leva sull’emozione, la
passione, l’istinto, più che sulla ragione e la sensibilità”.
La Cultura non si costruisce a breve termine per soddisfare l’immediato. Questa è frivolezza,
secondo Vargas LLOSA. Occorre che la costruzione di una visione del mondo preveda tempi
lunghi, non certamente idealizzando eccessivamente il propri o passato ma recuperando dallo stesso
cose ammirevoli che continuano a segnare il nostro presente in termini di sensibilità e
immaginazione. Occorre cioè rafforzare lo spirito di resistenza e la volontà di apertura, di
democratizzazione e di modernizzazione.
Di fronte al degrado dei valori universali, occorre che tutti si assumano la responsabilità non
ricorrendo a sistemi di censura ma riportando il sensazionalismo nel suo alveo naturale e fare in
modo che non sia espressione di una cultura al ribasso. Le Università e i centri di studio devono
dare a ognuno la possibilità di crescere ma non devono per questo abbassare la qualità del sapere
che offrono. Altrimenti, sostiene Vargas Llosa, la Cultura diventa una caricatura.
Criticando anche scrittori come Milan Kundera, Paul Auster, Haruki Murakami, Julian Barnes,
Vargas LLOSA vuole rilevare il loro cedimento alla Letteratura light, d’intrattenimento. Gli scrittori
devono fare lo sforzo di comunicare con rigore e impegno creativo al fine di costruire nuove forme
di arte.
Il tipo di Letteratura che è stato praticato in questi ultimi vent’anni ha privilegiato la Letteratura
come servizio sociale, un’attività attraverso la quale sono riproposti principi e valori che i mezzi
d’informazione spesso sfigurano e che l’insegnamento e la politica ufficiale occultano.
C’è da rilevare che l’impegno politico degli scrittori è stato spesso visto come qualcosa di poco
nobile e Mario Vargas Llosa in verità assicurava di non aver alcuna ambizione personale,
“simplement, expliquait-il il y a parfois des circostances dans la vie d’un pays qui sont
suffisamment graves car vous imposer un choix éthique qui se traduira par un engagement
politique” (Interview au Figaro Magazine, 24 mars 1989), anche quando si candidò alle elezioni
presidenziali, alla testa del movimento “Libertad”, nel 1990, in opposizione alle idee del suo
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avversario Alberto Fujimori. Favorevole alle riforme liberali indispensabili per il Perù, Mario
Vargas Llosa sentì che doveva impegnarsi per una causa democratica, proponendo idee e principi di
apertura al mondo. Sfortunatamente il suo progetto fallì e fece immediatamente ritorno all’attività
letteraria e al giornalismo che ha da sempre amato per continuare a criticare sistematicamente le
dittature, un tema continuo e ossessivo, questo, molto presente nei suoi libri narrativi che
descrivono un mondo dove tutte le libertà sono scomparse, dove la spontaneità dell’uomo è
fortemente limitata da un potere e da una volontà dispotici. “J’écris, confiait-il, parce que c’est une
façon de lutter contre le malheur” (Le Monde, 24 novembre 1989).
Oggi è deprimente per un peruviano come Llosa costatare che quarant’anni dopo, il suo paese vive
una nuova forma di dittatura. L’autore de “Le rêve du Celte” si chiede se l’Europa ha coscienza
che nel Perù il regime controlla quasi totalmente l’attività culturale, i mezzi di comunicazione e
vessa con ingiuste imposte il popolo a beneficio della vecchia classe politica corrotta e
incompetente.
Fautore di un liberalismo laico, democratico e aperto alla modernità, Mario Vargas Llosa non riesce
a capire perché nel paese di Tocqueville e di Raymond Aron gli intellettuali non suscitino
discussioni e polemiche su questi temi, ma restano silenti.
Il suo obiettivo resta sempre quello di promuovere un processo reale di emancipazione e di
progresso sociale e continua a sperare che i giornali ritornino a svolgere la missione di raccontare
com’è la gente comune intenta al proprio lavoro e a costruire il proprio futuro.
Per Mario Vargas Llosa la scrittura non é e non può essere un lusso « solipsiste ». Essa è uno
strumento prezioso per accedere alla libertà, alla prosperità, alla giustizia. Grazie alla Letteratura,
“aux consciences qu’elle a formées, aux désirs et élans qu’elle a inspirés, au désenchantement de la
réalité” (Mario Vargas LLOSA, Éloge de la lecture et de la fiction, Conférence Nobel, le 7
décembre 2010), la civiltà appare adesso meno crudele da quando gli scrittori hanno cominciato a
rendere la vita più umana con i loro testi. Senza la Letteratura Vargas Llosa crede che “nous serions
pires que ce que nous sommes…nous serions plus conformistes, moins inquiets, moins insoumis et
l’esprit critique, moteur du progrès, n’existerait même pas » (Ibidem). Senza la fiction la vita non
basterebbe a colmare “ notre soif d’absolu, fondement de la condition humaine » (Ibidem). É per
questo che sarebbe assolutamente necessario inventare racconti per vivere « les multiples vies que
nous voudrions avoir (Ibidem)”. È la fiction che ci permette di avere coscienza dell’importanza
della libertà e di vivere la vita e di coglierne il lato negativo quando questa libertà è negata da un
despota, da un’ideologia o da una religione. È sempre la Letteratura che “nous plonge dans le rêve
de la beauté et du bonheur, nous alerte contre toute forme d’oppression” (Ibidem).
Ecco perché la fiction é temuta dai regimi al punto che hanno cercato di controllare la vita e i
comportamenti dei cittadini dalla culla alla tomba non permettendo agli individui di lanciarsi in
direzioni impreviste potenzialmente pericolose per il Potere. Ecco perché i Poteri hanno sempre
diffidato della Letteratura e ricorrendo a sistemi avanzati di censura hanno tentato di reprimere ogni
desiderio di emancipazione e d’affrancamento da clichés predefiniti. Instaurando misure di
vigilanza hanno controllato idee e racconti che fuoriuscivano da confini prestabiliti. “Il rischio era
che lasciando che una società produca Letteratura e s’impregni di Letteratura facendo passare il
messaggio che la vita dell’immaginario è più ricca della routine quotidiana si rendano i cittadini più
difficili da manipolare, più critici e più indipendenti e più liberi” (Claudio Magris/M.Vargas Llosa,
La letteratura è la mia vendetta, Ed.Mondadori, 2012, pp.24-25) e che la buona Letteratura
contribuisca a unire persone differenti di là delle lingue, delle credenze, degli usi e costumi o dei
pregiudizi che ci separano.
I grandi scrittori latino-americani hanno tutti raccontato la difficoltà di vivere in una società
dominata dall’assurdo e dalla violenza delle dittature politico-militari. L’ingiustizia e la violenza
portarono a una presa di coscienza e furono il germe del sentimento di rivolta degli intellettuali e
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soprattutto degli scrittori. Scrittori come Carlos Fuentes, Cortazar, G.G.Marquez, Mario Vargas
Llosa, E.Sabato hanno trattato tutti i dolori e le rivolte dell’uomo schiacciato dal meccanismo
infernale dell’autorità assoluta.
“Il romanzo è la prova della democrazia” scrive Rushdie, nel senso che in esso convivono diversi
punti di vista incarnati da altrettanti personaggi che si confrontano. La forma “fictionnelle” esclude
l’idea che chiunque possa avere una spiegazione completa della realtà. Solo le forme dittatoriali e i
vari fondamentalismi religiosi musulmani hanno in comune l’ambizione di una spiegazione totale
del mondo. A est come a ovest, in qualsiasi città dell’occidente e dell’oriente, la cultura è intesa
come qualcosa d’ibrido, e quindi una forma impura. Il romanzo altro non è che la celebrazione
dell’impurezza e quando si toccano valori della cultura secolare, per quanto siano belli, fondati e
religiosamente condivisi, si creano corti circuiti di difficile ricomposizione. “L’affaire Rushdie” ci
fa provare un sentimento di vergogna e d’impotenza. Per quanti sforzi facciamo per estirpare nelle
nostre comunità aperte l’orribile germe della censura, di ogni forma di razzismo, all’improvviso
esso riesplode per ben mostrare che non è mai morto.
La barbarie che si è abbattuta sulla vita di tanti spiriti liberi deve insegnarci che la Letteratura non è
un gioco, essa è una “chose libératoire” molto seria e lo scrittore, una figura abile a rappresentare
l’umanità, a canzonare il dogma e a ridicolizzare le sue meschinerie, le sue menzogne, il suo
oscurantismo. Laddove si è voluto mettere il bavaglio alla Letteratura opprimendola e impedendola
con la censura di dire e di protestare si è decretata la fine della fiction, del pensiero,
dell’immaginazione. Noi difenderemo indeterminatamente i diritti dello scrittore alla”profanation”
giacché la Cultura non è fatta d’isolamento ma di comunicazione, di contagi, di apertura e di
confronti. Una Cultura che si vuole “pura” che chiuda le sue frontiere all’invasione di altre idee è
una Cultura destinata a scomparire. In altre parole, possiamo dire che la sua identità viene dal
contatto con l’altro diverso da sé. La Grecia è diventata la Grecia grazie alla sfida asiatica, persiana.
Essa assume una netta identità nel momento in cui abbraccia l’altro, il diverso, e scopre nell’altro
qualcosa che lo attira e lo seduce. Quando Cristoforo Colombo sa dell’esistenza di altre civiltà come
l’impero azteco non muore di paura né prova stupore perché il mondo che ha nel pensiero è fatto di
tante diversità culturali che incontrano altre alterità e culture. Il “métissage” di cui tanto parla Mario
Vargas Llosa è uno dei segni del mondo che verrà, un mondo in cui finalmente la nazionalità di uno
scrittore conta assai poco. Ciò che conta non è di sapere se uno scrittore è messicano, colombiano o
peruviano. Ogni creatore si differenzia per la qualità della sua immaginazione. Secondo Carlos
Fuentes la modernità del romanzo latino-americano procede da una riflessione sul tempo. Il tempo
di domani sarà un mondo che è nello stesso tempo un mondo d’interdipendenze,
d’intercomunicazioni per dire ciò che non può essere detto in altro modo se non attraverso la
fiction. Il romanzo dirà ciò che non può essere detto diversamente. Da ciò, il tema della ricerca della
paternità, uno dei grandi argomenti della letteratura sudamericana che troviamo nei libri di Gabriel
Garcìa Marquez e di Mario Vargas Llosa. A differenza degli scrittori spagnoli che considerano la
lingua spagnola come qualcosa di acquisito, un dato di fatto, per gli scrittori dell’America latina la
lingua spagnola non è data. Per esserne in possesso essi devono crearla, lavorarla, metterla in
contraddizione, in una parola servirsene per creare un proprio linguaggio, costruire una propria
utopia, riconoscere una comune umanità, condividere una comune cultura. Il rischio è, però, che gli
europei finiscano per dimenticare che c’è un altro viso dell’Europa che si chiama l’America
spagnola e portoghese e che l’Europa non è completa senza la sua componente ibero-americana.
Temiamo ancor più che il nostro vecchio continente finisca per rinunciare troppo facilmente a
un’America spagnola e portoghese abbandonandola alla sfera d’influenza nord-americana. C’è da
sperare, invece, che l’Europa sia sempre più presente economicamente, politicamente e
culturalmente in America latina alla quale è molto più legata di quanto non si pensi.
Prof. Raffaele FRANGIONE
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