Premessa Aflatossine

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Premessa Aflatossine
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AFLATOSSINE, REALE PERICOLO PER IL LATTE BIOLOGICO?
Paolo Pignattelli (*)
Premessa
Ormai è divenuta ciclica consuetudine dei media non perdere, non solo le grandi occasioni
che purtroppo la biologia in generale e la zootecnia in particolare ogni tanto ci offrono, come
“mucca pazza”, influenza aviaria, blue tongue, ecc., ma anche quelle più modeste, come un blitz dei
NAS in un allevamento o in un’azienda di trasformazione, per montare un attacco a questo o quel
settore dell’agroalimentare, naturalmente, sempre a salvaguardia della salute pubblica.
Se poi trattasi di prodotti ottenuti con metodo biologico l’accanimento è ancora maggiore.
Purtroppo ne conosciamo le conseguenze, l’immediata risposta da parte dei consumatori è
ridurre o azzerare l’acquisto dei prodotti e derivati, a vario titolo coinvolti di volta in volta nello
“scandalo”; nel 1999, per colpa delle uova “antibiotate” vi fu un calo del 30% delle vendite già nei
primi 20 giorni, negli anni di punta della “mucca pazza” il calo delle carni bovine superò il 30%, nel
2003 l’allarme aflatossine bloccò il latte di mezza Lombardia, oggi il calo delle carni avicole supera
già il 35% grazie alla malainformazione sull’influenza aviaria.
Qualcuno ci ha riprovato con il latte, compreso quello biologico. Fortunatamente i danni
sono stati contenuti. Tuttavia dobbiamo chiederci perché di tanto in tanto riemerge il problema dei
residui di sostanze indesiderate in generale e di aflatossine in particolare, nel latte. Scopo di questa
breve nota è proprio quello di dare un contributo al problema soprattutto per quanto concerne la sua
entità e gli eventuali pericoli per la salute pubblica.
Aflatossine
Innanzitutto, per i non addetti ai lavori sarà opportuno fare un breve richiamo
sull’argomento. Le micotossine a cui, come vedremo, appartengono le aflatossine, sono sostanze
tossiche prodotte da microfunghi (muffe). Sostanze tossiche, quindi, in grado di produrre nell’uomo
e negli animali stati patologici di vario tipo ed entità. Gi alimenti vegetali contaminati da funghi in
grado di sviluppare micotossine in determinate condizioni di temperatura ed umidità, sono il
principale veicolo per l’introduzione delle stesse negli organismi animali. La crescita fungina e la
produzione di micotossine può avvenire sia in campo sia durante la conservazione dei prodotti.
Le micotossine che più frequentemente si possono trovare nei prodotti cerealicoli, ma anche,
se pur in misura inferiore, nei fieni ed altri alimenti vegetali per il bestiame, sono le aflatossine,
ocratossine, tricoceni, fumonisine, zeralenoni ed ergotossine. I funghi che per diffusione e tossicità,
variabile da specie a specie, rappresentano i maggiori pericoli appartengono ai generi Aspergillus,
Fusarium, Penicillum, ma anche a Claviceps, Alternaria, Cladosporium e Rhizopus.
Nei bovini, in maniera inferiore che nelle altre specie di interesse zootecnico, le micotossine
possono aumentare l’incidenza di malattie e ridurre l’efficienza produttiva interferendo a livello
digestivo, endocrino e neuroendocrino, ma anche sul sistema immunitario. Tuttavia molte ricerche,
anche recenti, suggeriscono di rivedere l’approccio diagnostico a situazioni di insoddisfacente stato
di salute degli animali e/o di scarsa produttività per evitare di attribuire, troppo facilmente, alle
micotossine responsabilità di quadri patologici probabilmente dovuti ad altre cause, soprattutto di
origine nutrizionale. I ruminanti, grazie ad un’azione detossicante della flora microbica ruminale,
risultano meno sensibili a molte micotossine al contrario dei monogastrici.
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(*) Paolo Pignattelli, Presidente Associazione Italiana di Zootecnia Biologica e Biodinamica.
Professore a Contratto Università degli studi di Milano, Facoltà di Medicina Veterinaria
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Relativamente alle aflatossine, prodotte soprattutto da A. flavus ed A. parasiticus, possono
essere presenti, oltre che nelle farine di arachidi, a cui si devono i loro primi ritrovamenti, anche su
frumento, orzo, riso, sorgo, mais, fieni e vari tipi d’insilati. Le migliori condizioni per lo sviluppo
dei citati funghi e relativa produzione di aflatossine si hanno con temperature di 25-30°C. ed
umidità relativa dell’85%. Come per le altre micotossine il loro grado di contaminazione si misura
in mg/kg (ppm) cioè parti per milione o in ppb, parti per miliardo.
Non va dimenticato, a proposito di pericolosità per la salute umana, che l’organismo animale
rappresenta sempre un ottimo filtro biologico in grado di trasformare la maggior parte di queste
molecole in prodotti meno attivi, ma pur sempre dannosi per la nostra salute.
Latte, alimenti ed aflatossine
Le aflatossine come le altre micotossine sono molto diffuse in natura e moltissime sono, da
sempre, le possibilità che vengano assunte dagli animali attraverso gli alimenti contaminati. Anche
se quest’ultimi rappresentano, come ricordato un importante filtro biologico, il rischio che l’uomo
possa assumerle è reale questo vale anche per il latte. E’infatti, scientificamente provato, che
l’aflatossina passa nel latte, ma prima deve subire l’attacco della flora ruminale così l’Aflatossina
B1, che ha un elevato potere cancerogeno, si trasforma in Aflatossina M1, notevolmente meno attiva,
ma sempre potenzialmente cancerogena per l’uomo anche a concentrazioni relativamente basse.
Risulta quindi pienamente giustificato il limite per il latte di 50 ppt imposto dal regolamento
comunitario 466/2001. Limite che copre ampiamente il cosiddetto “rischio accettabile”. Infatti,
proprio perché non esiste la possibilità di garantire al consumatore il ”rischio zero” le autorità
sanitarie di tutti i Paesi, allo scopo di garantire un prodotto alimentare con livelli di micotossine i
più bassi possibili, hanno approvato il “rischio accettabile” che, come ricordato, per l’Aflatossina
M1 è di 50 ppt.
Uno sguardo alla letteratura nazionale relativamente alla contaminazione da micotossine dei
nostri fieni, foraggi ed insilati fornisce dati decisamente ottimistici, anche in annate con situazioni
meteorologiche non troppo favorevoli alla fienagione ed all’insilamento. Purtroppo i dati sulle
produzioni con metodo biologico sono ancora scarsi, ma generalmente risultano allineati a quelli
dell’agricoltura convenzionale. Salvo rari casi, comunque, i livelli ritrovati sono risultati sempre
inferiori ai massimi consentiti. Il latte proveniente da questi allevamenti evidenziava livelli di
aflatossina nella norma, cioè inferiori al limite di legge.
Completamente diversa è la situazione delle materie prime d’importazione per la
formulazione di concentrati. La percentuale di campioni contaminati ed il loro grado di
contaminazione varia notevolmente a seconda del Paese di produzione, delle modalità di trasporto,
dell’epoca, della durata del viaggio e della qualità dello stoccaggio. Nonostante che l’allevamento
della vacca con metodo biologico si basi principalmente su di un largo uso di foraggi, freschi e
conservati, l’uso di concentrati è ancor oggi molto frequente. Dal momento che così è, senza entrare
nel merito dei motivi che giustificano la situazione, occorre fare molta attenzione all’origine delle
materie prime, soprattutto d’importazione e che sia documentata l’assenza di micotossine o la
conformità ai livelli richiesti dalla normativa.
Discussione e conclusioni
Innanzitutto va sottolineato che lo “scandalo” del latte contaminato da aflatossine, che nella
tarda estate del 2003 coinvolse numerose stalle, (episodio per la verità ridimensionato subito e
risolto nell’arco di tre settimane), nel quale comunque non venne coinvolta alcuna stalla biologica,
servì a richiamare l’attenzione sul problema da parte degli addetti ai lavori. Gli operatori del settore
avevano sottovalutato le sfavorevoli condizioni meteorologiche al momento della raccolta del mais
e di conseguenza non avevano attuato le opportune contromisure per la conservazione e
preparazione del prodotto (essiccazioni troppo brevi o rapide dato il basso tenore di umidità della
granella all’atto della raccolta). Ma soprattutto l’episodio servì a rivalutare, se mai ce ne fosse stato
bisogno, l’importanza dei controlli periodici e programmati nel latte per la ricerca di aflatossine.
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Il fatto che non fossero state coinvolte nell’episodio aziende biologiche, deve considerarsi
casuale e non bisogna far dimenticare, proprio a chi usa il metodo biologico, che l’eliminazione
dell’impiego di fitofarmaci nella coltivazione delle foraggere e dei trattamenti antifungini può
favorire, sempre che le condizioni di temperatura e di umidità lo consentano, lo sviluppo di alcune
forme fungine in campo o durante la conservazione in misura maggiore che nel convenzionale.
Ricordato inoltre, che solo molto raramente le micotossine in generale e le aflatossine in
particolare producono effetti conclamati negli animali, bovini compresi e considerato che non
esistono valide tecniche e prodotti per decontaminare gli alimenti contaminati e che anche i vari
processi di trasformazione industriale (cernita, molitura, calore, radiazioni, estrazione, raffinazione,
fermentazione) possono ridurre il contenuto di micotossine, ma non distruggerle completamente,
occorre chiedersi come è possibile prevenire la loro contaminazione del latte.
Le principali azioni su cui si deve basare la prevenzione, anche alla luce delle più recenti
esperienze e delle raccomandazioni degli Organismi sanitari, possono essere così riassunte:
√ - miglioramento delle pratiche di raccolta e conservazione di fieni, foraggi, insilati e
cereali in grano.
√ - rifiuto all’acquisto di materie prime, farine, concentrati, ecc. da fornitori che non
siano in grado di certificare l’assenza di micotossine o la conformità ai limiti
prescritti dalla normativa.
√ - esecuzione di controlli periodici per aflatossine nel latte.
√ - esecuzione di controlli per aflatossine nei foraggi conservati solo in casi altamente
sospetti e/o solo dopo un riscontro di positività nel latte.
Da quanto sopra si evince la necessità in caso di emergenze di un diverso approccio al
problema, che consiste in un monitoraggio che inizia a valle e non a monte. In realtà trattasi di una
prevenzione che, oltre a puntare il dito sulle tecniche di produzione dei principali alimenti aziendali,
si basa sull’autocontrollo e che suggerisce da due a quattro controlli all’anno per evitare la presenza
di aflatossine nel latte. Tre controlli, nei momenti critici, dovrebbero essere la norma, il quarto ed
eventualmente altri solo in presenza di fondati sospetti su uno o più elementi della dieta.
Attualmente esistono ottimi laboratori privati, ben attrezzati, in grado di dare risposte attendibili in
tempi brevissimi ed a costi decisamente contenuti (25-30 € per campione).
Come per lo stato di salute della mammella o addirittura dell’intera vacca, ancora una volta
il latte si rivela un’ottima “spia”. Così a fronte di risposte dubbie o positive l’allevatore potrà
prendere i provvedimenti del caso, ricercando la fonte inquinante, evitando danni maggiori legati al
superamento dei limiti di legge e le relative conseguenze. Dovranno destare allarme anche
concentrazioni minime di aflatossina quale sospetto di stadio iniziale di contaminazione e quindi da
riverificare nei 15 giorni successivi.
Occorre ricordare, inoltre, che nella maggior parte dei casi di superamento dei limiti il
maggior responsabile è la farina di mais ed i suoi derivati. Raramente i cereali vernini rappresentano
un pericolo se ben conservati. Il problema dell’inquinamento del mais da aflatossine è determinato
dal periodo “ colturale” e dall’ambito territoriale in cui viene coltivato. Stress idrico, elevate
temperature ed elevate percentuali di umidità con alte temperature notturne favoriscono la crescita
dei miceti. Successivamente, modalità di essiccazione, pulitura e stoccaggio rappresentano
altrettanti punti critici che possono esaltare la presenza di inquinanti ubiquitari come i miceti,
favorendone la moltiplicazione e la produzione di aflatossine. Anche l’umidità della granella
all’atto della raccolta pre-essiccazione condiziona lo sviluppo di miceti e la produzione di
aflatossine.
Dal momento che la sola analisi degli alimenti ha un basso indice di affidabilità, in quanto la
contaminazione da aflatossine nelle derrate è a “macchia di leopardo” e quindi non omogenea, il
latte rappresenta l’unica”spia” valida ai fini della prevenzione e risoluzione del problema. Qualora il
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livello di aflatossine riscontrato sia troppo elevato o da “allarme”, si deve intervenire verificando
quali cambiamenti sono stati effettuati nella razione (cambio di foraggi, di concentrati, di forniture)
e, qualora il tutto sia invariato, la farina di mais va esclusa e sostituita con una nuova partita.
In conclusione, contrariamente a quanto periodicamente ricorre nella stampa, la situazione
nell’ambito dell’alimentazione dei bovini allevati con metodo biologico, che si fonda
principalmente sul largo impiego di foraggi, freschi o conservati, raramente rappresenta nel nostro
Paese un reale pericolo per il basso livello di contaminazione da micotossine in generale e da
aflatossine in particolare. In considerazione delle limitazioni imposte dal regolamento sull’uso di
conservanti, antifermentativi, ecc., occorre che gli agricoltori-allevatori attuino tutte le migliori
tecniche per la raccolta e soprattutto la conservazione degli stessi, sia sotto forma di foraggi secchi,
affienati o disidratati, sia come insilati e nel caso di imprevisti, soprattutto condizioni
meteorologiche sfavorevoli, verifichino le condizioni dei loro prodotti eliminando quelli che
evidenziano la presenza di muffe.
Infine, anche se la presenza di micotossine nei foraggi conservati, pur potenzialmente
pericolosa, non sembra essere, alla luce delle attuali ricerche e conoscenze, un problema di primaria
importanza anche nell’allevamento biologico della vacca da latte, non vanno dimenticate le
possibili ripercussioni sulle performance animali e sulla salute dell’uomo.
Il latte, da imputato deve diventare sempre di più, in un regime di autocontrollo, pubblico
accusatore di situazioni a monte della filiera e punto di riferimento per i necessari interventi. E’ pur
vero che si suggerisce un ulteriore controllo che si aggiunge ai già numerosi di legge e di
regolamento bio, ma, considerato il costo contenuto e la possibilità di abbinamento ad altri controlli
e soprattutto i vantaggi diretti ed indiretti, è opportuno che venga inserito fra quelli di routine.
In ogni caso, mai abbassare la guardia.
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Saronno 13, 10, 2005.