maggio 2013 – pag. 3-4

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maggio 2013 – pag. 3-4
CULTURA IN TEMPO REALE
POESIA
Un bel modo
per parlare della vita
Lo scorso 4 maggio, alcuni ragazzi del
V anno ed io, abbiamo avuto l’opportunità di incontrare a scuola Roberto Filippetti, critico letterario, che ha tenuto una
lectura delle poesie di Eugenio Montale
e di Giuseppe Ungaretti. Filippetti ha recitato a memoria e analizzato insieme a
noi i testi, non solo facendone la parafrasi, ma provando a dire cosa significasse
quella determinata frase o quella parola
per il poeta che l’ha scelta, perché, come
dice lui: “i termini precisano, delimitano,
le parole invece, dal latino parabola, collegano, creano ponti”.
Quando una “Beatrice”
ti cambia la vita
Ci siamo detti cosa fosse la poesia per
noi. “Un bel modo per descrivere la vita”,
ha suggerito il critico. Stupendo il modo in cui i poeti riescono a mimetizzare,
tra le parole, anche il nome della persona
amata, come Irma Brandeis, la “Beatrice”
di Montale, che ha ridato senso e speranza alla vita del poeta. Nel titolo della po-
esia Iride si nasconde il suo nome, Irma,
mentre il suo cognome, tra i versi, diventa
l’ossimoro”fuoco di gelo”, traduzione letterale del tedesco “brand-eis”.
È stato un incontro unico. Mi ha fatto
riflettere come si possa descrivere la vita
così bene con poche parole. Siamo rimasti
per due ore in una stanza, ma a me è sembrato fossero trascorsi pochi minuti, perché si parlava di cose tali per cui quelli che
sembravano impegni imprescindibili, come la palestra, sono diventati trascurabili: in quelle due ore ho imparato a vivere.
[a cura di Linda della Torre]
ogni volta che scoprivo qualcosa di interessante, lo proponevo ai miei amici: «ho
visto un film bellissimo». Gli amici mi seguivano, volevano vederlo anche loro!
Così ho iniziato a organizzare i primi cineforum anche in università. Poi, incontrando altri, ho iniziando a scrivere per
i giornali, e questa passione è diventata
un’occasione lavorativa.
IL CINEMA: UNA PASSIONE
CHE SI FA LAVORO
Intervista a Beppe Musicco
A
bbiamo intervistato Beppe Musicco, 54enne giornalista cinematografico, presidente dell’associazione “Sentieri del cinema”,
per capire come è nata la sua passione e come ha deciso di metterla
al servizio del pubblico.
In cosa consiste il tuo lavoro?
“Nel proporre la cultura cinematografica. Anche, per esempio, collaborando
con gli insegnanti che desiderano far conoscere le loro materie attraverso l’uso
del cinema: un supporto per la storia, la
letteratura, le scienze e così via..
Come è nata la tua passione?
“Mi è sempre piaciuto il cinema, quando ero piccolo andavo in oratorio il sabato pomeriggio e c’era sempre un film. Io
ero affascinato da tutte quelle storie meravigliose, da quei luoghi che non conoscevo, dai periodi storici di cui non avevo ancora sentito parlare. Crescendo, ho
sempre cercato di vedere altri film, di capire lo stile di un regista rispetto ad un
altro, perché ognuno ha la sua firma. E
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Che obbiettivo ti poni quando scrivi un
giudizio critico su di un film?
“Di comunicare agli altri ciò che di
bello ho incontrato. Se c’è una pietra preziosa in mezzo a mille cocci di bottiglia,
cerco di farlo sapere a tutti”.
Noi abbiamo letto “Bianca come il latte, rossa come il sangue” e ora abbiamo
visto anche il film. Vorremmo sapere il
tuo giudizio.
“Il film è un tentativo, parzialmente riuscito, di portare un libro “originale” al
cinema. Ovviamente si son dovute sacrificare alcune cose, e un lettore che si è appasionato al racconto di D’Avenia sente
questa mancanza nel film. Ciò nonostante, anche per chi non ha mail letto il libro,
il film pone delle domande. Ha un modo di parlare delle esigenze dei ragazzi di
quella età, per l’appunto “originale”, che
non si ritrova in altri film. Per cui, comunque, lo ritengo un esperienza positiva”.
Facci un saluto citando un film.
“Citero il film The Truman Show
«Buongiorno, buona sera e nel caso non
vi vedessi più buona notte!»”
[di Giovanni Tedone]
CULTURA IN TEMPO REALE
CRESCERE NEL TEMPO,
SENZA FORZARE LE TAPPE
Intervista a Dani Oppio, musicista
e apprendista barman del Bar di Cometa
O
gni rapper che si rispetti ha un nome d’arte. Daniele Procopio è diventato Dani Oppio. Ti senti l’Oppio
del popolo del rap?
(Ride)...Mah, più che l’oppio del popolo rap, questo mio
soprannome ha un significato molto profondo, essendo lo
stesso di mio fratello (Oppio),
mi da molta sicurezza e forza nel fare le
cose! Non solo a livello di carriera musicale, ma anche nella vita di tutti i giorni!
Raccontaci un po’ chi è Dani Oppio e da
dove nasce la tua passione?
Da piccolo ascoltavo tutti i generi (rock, hip hop, rap) mi sono legato al
rock studiando chitarra per quattro anni.
Durante l’adolescenza ho suonato in orchestra dedicandomi al violino. E’ stata
una nuova esperienza importante perché
ha arricchito la mia conoscenza musicale, fondamentale per capire l’intonazione
della musica e sviluppare l’orecchio. Anche col solfeggio. Durante le superiori ho
iniziato a suonare la chitarra elettrica. In
quella fase andava il rap e allora ho iniziato a fare dei pezzi anche io.
In che genere di musica ti
collochi oggi?
Non ho definito un genere,
ho iniziato a eliminarne alcuni, per capire quali mi venissero meglio. Sono riuscito ad
ottenere quello che mi aspettavo, ma sono affezionato ad
un genere più aggressivo, non
troppo riflessivo. Mi piace sperimentare un nuovo genere.
Come ti relazioni con i pareri della gente? Hai la tua idea o lasci spazio a critiche e riflessioni?
Finché sei a questi livelli e snobbi i pareri degli altri non vai da nessuna parte,
se parti con l’idea che la tua musica spacca non vai da nessuna parte, devi avere un
minimo di autostima, ma anche considerare le critiche. Uso le nuove tecnologie, a
cominciare da mezzi di youtube e facebook, perché ti fanno viaggiare molto di più.
Se la gente dà la sua opinione, tu devi confrontarla con la tua canzone, cercando di
capire se le critiche sono sensate o meno.
Parlando dei nuovi mezzi di comunicazione, cosa puoi fare per arrivare al suc-
cesso? (Penso a Fedez, Emis Killa…)
Non ho iniziato a fare rap con l’idea di
andare da qualche parte. Tutto quello che
fai nella vita può portarti da qualche parte o lasciarti. Il rap lo prendi seriamente
quando hai sponsor, una casa discografica che ti paga il live, e lì puoi pensare a
quel punto: ok faccio il cantante. Per ora
è un passatempo su cui mi perfeziono.
Com’è l’ambiente del rap? Hai una reputazione da mantenere? Come funziona?
Conoscere molte persone è un vantaggio, se sei veramente bravo la gente o gli
sponsor, presto o tardi, se ne accorgono.
La gente apprezza “i novellini che spaccano” non solo “i pezzi grossi”. Io credo che
uno non debba partire sicuro di sé, ma suonare la propria musica, evitando di andare a registrare in posti belli giusto per farsi
vedere. La reputazione te la crei nel tempo, senza forzare le tappe. Conosco molte
persone che si sono affermate nel mio ambiente. Finisci per conoscerle se ti fai vedere carico e impegnato in quel che fai.
Tre pregi che ti aiutano e tre difetti che
ti riconosci.
Sono schizzato e fuori di testa, sono
fantasioso, molto dinamico, vivace, e la
notte fatico a dormire, nella musica la
notte mi aiuta, perché c’è silenzio e tranquillità, i mille pensieri che di giorno mi
vengono, la notte li riordino. Tra i difetti… sono un po’ solitario, preferisco stare
con poca gente, perché con troppa gente
divento matto. Un saluto al Giornale
Grazie per l’intervista e alla prossima.
[di Andrea Di Domenico]
CINEMA
Il pranzo di Babette
di Gabriel Axel
Danimarca 1986
Il pranzo di Babette è un film gioioso che fa anche compiere una sorta di
cammino, perché l’obiettivo del pranzo in questione non è semplicemente
aver la pancia piena.
Martina e Filippa sono due severe
sorelle figlie di un pastore protestante danese. Anziane e sospettose, accettano che Babette, fuggita dalla Fran-
cia, faccia loro da cuoca. La
francese si insedia e viene
apprezzata da tutti. Dopo
anni, Babette vuole preparare una festa. Martina, Filippa e gli amici si siedono
al tavolo determinati a non
farsi prendere dalle gioie del cibo, ma il pasto opera su di loro in modo inaspettato; un ospite casuale,
che non è a conoscenza della presenza di Babette tra gli abitanti del villag-
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gio, percepisce la qualità del
pranzo e la mano dietro di essa, (se non è esagerato il paragone, proprio come i discepoli sulla strada di Emmaus
hanno riconosciuto Gesù da
come ha dato loro il pane).
Il pranzo di Babette è la
pacata celebrazione di una
Grazia che viene incontro ad
ogni momento e riscatta errori, sacrifici e sconfitte.
[a cura di Beppe Musicco]