Regolamento per la corresponsione dei compensi professionali al

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Regolamento per la corresponsione dei compensi professionali al
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N. 05025/2015 REG.PROV.COLL.
N. 01400/2015 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1400 del 2015, integrato da motivi
aggiunti, proposto da:
Cristiano Giuseppe, Mauriello Daniela, Perillo Alfredo, Urciuolo Nicoletta,
Viviani Raffaele, rappresentati e difesi dagli avv.ti Riccardo Satta Flores,
Cristiana Lojodice, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to
Riccardo Satta Flores in Napoli, Via G. Orsini n. 5;
contro
Città Metropolitana di Napoli, rappresentata e difesa dall'avv.to Massimo
Maurizio Marsico, con domicilio eletto presso la sede dell’Avvocatura della
Città Metropolitana in Napoli, piazza Matteotti n. 1;
nei confronti di
Di Falco Aldo, rappresentato e difeso dall'avv.to Gabriele Gava, con
domicilio eletto presso lo studio del difensore in Napoli, Via V. Colonna n.
9;
per l'annullamento
- in parte qua della deliberazione della Giunta provinciale di Napoli n. 591
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del 22 dicembre 2014, con la quale è stato approvato il regolamento per la
corresponsione dei compensi professionali al personale togato ai sensi
dell’art. 9 del decreto legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito in legge con
modificazioni dall’art. 1, comma 1, l. 11 agosto 2014 n. 114;
- del decreto del Presidente della Provincia di Napoli n. 35 del 31 agosto
2013, con il quale è stato nominato il gruppo di lavoro per la redazione
dello schema del nuovo regolamento per la corresponsione dei compensi
professionali;
- della nota dell’Area legale n. 166078 del 19 dicembre 2014 (a firma
dell’Avvocato Capo);
- dei verbali delle riunioni del gruppo di lavoro del 20 febbraio 2014, del 3
febbraio 2014, del 22 aprile 2014 e del 5 dicembre 2014;
- dei verbali degli incontri con le organizzazioni sindacali dell’11 dicembre
2014 e del 17 dicembre 2014;
- della nota dell’Area risorse umane n. 160135 del 10 dicembre 2014, avente
ad oggetto la trasmissione della proposta di regolamento;
- della nota a firma del Capo Coordinatore (avv. Di Falco) trasmessa a tutto
il personale togato, avente ad oggetto “assegnazione affari contenziosi e
consultivi ai sensi dell’art. 4 del regolamento per la corresponsione dei
compensi professionali al personale togato – Richiesta atti contenzioso”;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Città Metropolitana di Napoli e
dell’avv.to Aldo Di Falco;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 ottobre 2015 il dott. Paolo
Marotta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
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FATTO e DIRITTO
1.1 I ricorrenti sono avvocati della Città Metropolitana di Napoli (già
Provincia di Napoli), inquadrati nella relativa dotazione organica in cat. D3
(ex 8 q.f.) con il profilo professionale di “Funzionari avvocati”.
Con il ricorso introduttivo del giudizio hanno impugnato il regolamento
per la corresponsione dei compensi professionali al personale togato (di cui
all’art. 9 del decreto legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito in legge con
modificazioni dall’art. 1, comma 1, l. 11 agosto 2014 n. 114), approvato
dalla Provincia di Napoli con deliberazione di Giunta provinciale n. 591 del
22 dicembre 2014, nonché i relativi atti istruttori richiamati in epigrafe,
contestandone la legittimità con nove articolati motivi.
1.2 Si sono costituiti in giudizio la Città Metropolitana di Napoli e l’avv.to
Aldo di Falco (quale avvocato capo coordinatore dell’Avvocatura della Città
Metropolitana),
eccependo
l’inammissibilità
di
alcune
censure
e
contestando comunque nel merito la fondatezza delle dedotte doglianze.
2. All’udienza camerale del 16 aprile 2015, fissata per la delibazione
dell’istanza cautelare, la causa è stata cancellata dal ruolo delle sospensive,
ai fini di una sollecita definizione nel merito delle questioni dedotte in
giudizio.
3. Con ricorso per motivi aggiunti, notificato in data 30 maggio – 3 giugno
2015 e depositato in data 5 giugno 2015, i ricorrenti hanno contestato la
legittimità degli atti impugnati sotto ulteriori profili (emersi in relazione ad
un accesso documentale intervenuto successivamente alla proposizione del
ricorso introduttivo del giudizio).
Con diverse memorie le parti costituite hanno avuto modo di rappresentare
compiutamente le rispettive tesi difensive.
4. All’udienza pubblica dell’8 ottobre 2015, su richiesta delle parti, la causa
è stata trattenuta in decisione.
5 Preliminarmente, il Collegio è chiamato a valutare la fondatezza delle
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eccezioni di inammissibilità del gravame, per difetto di giurisdizione del
giudice amministrativo e per difetto di interesse, sollevate dalla Città
Metropolitana di Napoli e dal controinteressato con riguardo alle censure
relative alle disposizioni regolamentari con le quali sono stati determinati i
criteri di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi e i criteri di
ripartizione dei compensi professionali tra gli avvocati dipendenti della
Provincia di Napoli (ora Città Metropolitana di Napoli).
5.1 L’amministrazione resistente e il controinteressato sostengono che la
cognizione delle predette questioni, attenendo alla gestione del rapporto di
lavoro, deve ritenersi devoluta al giudice ordinario in funzione di giudice
del lavoro, in quanto, secondo il criterio del petitum sostanziale,
indipendentemente dalla natura degli atti impugnati, la domanda azionata
dagli odierni ricorrenti è diretta al conseguimento di utilità di natura
economica connesse allo svolgimento della loro attività professionale o
comunque ad incidere sulle modalità di esecuzione della prestazione
lavorativa.
5.2 Sostiene, altresì, la Città Metropolitana di Napoli che il ricorso sarebbe
inammissibile nella parte in cui impugna i verbali del gruppo di lavoro e
degli incontri con le organizzazioni sindacali, in quanto, da un lato, detti
verbali costituiscono atti di natura endoprocedimentale rispetto ai quali i
ricorrenti
non
formulano
alcuna
censura
specifica,
dall’altro,
l’impugnazione dei verbali in questione deve ritenersi riservata in via
esclusiva alle sole organizzazioni sindacali.
5.3 Infine, la Città Metropolitana di Napoli eccepisce l’inammissibilità del
gravame per difetto di interesse, essendo le disposizioni regolamentari
inidonee ad incidere direttamente ed immediatamente sulla sfera giuridica
dei ricorrenti.
5.4 Le eccezioni sono prive di fondamento.
5.5 Infondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso, per difetto di
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giurisdizione del giudice amministrativo. Il provvedimento oggetto di
impugnazione è infatti un atto di natura regolamentare, con il quale
l’amministrazione ha provveduto, in attuazione di quanto disposto dall’art.
9 del d.l. n. 90/2014 alla regolamentazione dei criteri di riparto dei
compensi professionali spettanti agli avvocati dipendenti della Provincia e
dei criteri di assegnazione degli affari contenziosi e consultivi. Vengono
dunque in rilievo nel provvedimento impugnato aspetti relativi alla
organizzazione delle funzioni istituzionalmente attribuite all’Avvocatura
provinciale (e quindi l’esercizio di potestà pubblicistiche in materia di
organizzazione degli uffici), la cui cognizione deve ritenersi devoluta alla
giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo.
5.6 Del pari deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso
relativa alla impugnazione dei verbali del gruppo di lavoro del 3 febbraio
2014, del 20 febbraio 2014, del 22 aprile 2014 e del 5 dicembre 2014
nonché dei verbali delle organizzazioni sindacali dell’11 e del 17 dicembre
2014.
Trattandosi dei verbali dei lavori svolti dal gruppo di lavoro relativamente
alla predisposizione del regolamento contestato dagli odierni ricorrenti
nonché dei verbali di approvazione da parte delle organizzazioni sindacali
del testo predisposto da gruppo di lavoro, risulta evidente l’interesse dei
ricorrenti al loro annullamento.
5.7 Infine, infondata è anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso per
difetto di interesse, in quanto il provvedimento impugnato, contenendo la
enucleazione dei criteri di assegnazione degli affari contenziosi e consultivi
e dei criteri di riparto dei relativi compensi, si rivela idoneo ad incidere, in
via diretta ed immediata, sulla sfera giuridica dei ricorrenti.
6.1 Con il primo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, i ricorrenti
deducono violazione dell’art. 54 del d.lgs. n. 165/2001.
Dopo aver evidenziato che la Provincia di Napoli ha adottato, con
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deliberazione di Giunta provinciale n. 407 del 30 luglio 2014, il codice di
comportamento dei propri dipendenti di cui all’art. 54 del d.lgs. n.
165/2001 e s.m.i. e che l’articolo 6 del predetto codice prevede
testualmente: “Il dipendente si astiene dal partecipare alla adozione di decisioni o ad
attività che possano coinvolgere interessi propri….”, i ricorrenti fanno rilevare che
l’avvocato capo dell’Amministrazione provinciale (avv.to Aldo Di Falco) ha
partecipato al gruppo di lavoro che ha proceduto alla redazione del
regolamento relativo alla attribuzione dei compensi agli avvocati
dell’Ufficio legale, violando il dovere di astensione previsto oltre che dal
predetto art. 6 del codice di comportamento dell’amministrazione
provinciale anche dall’art. 7 del d.P.R. 16 aprile 2013 n. 62.
6.2 L’amministrazione resistente e il controinteressato (avv.to Aldo Di
Falco) hanno contestato la fondatezza della censura evidenziando che:
- il provvedimento impugnato ha natura regolamentare e come tale
inidoneo a perseguire interessi individuali;
- il gruppo di lavoro che ha provveduto alla materiale redazione del
regolamento aveva natura composita, comprendendo (oltre al coordinatore
dell’Area Avvocatura), il vice segretario, il coordinatore dell’Area risorse
umane, il coordinatore dell’Area servizi economico – finanziari, con
l’affidamento della funzione di coordinamento del gruppo di lavoro al
Segretario generale dell’Ente;
- il regolamento predisposto dal Gruppo di lavoro è stato poi approvato
dalla Giunta provinciale, con deliberazione n. 591 del 22 dicembre 2014,
sulla base dei pareri di regolarità tecnica e contabile espressi rispettivamente
dal coordinatore dell’Area risorse umane e dal Coordinatore dell’Area
servizi economico – finanziari;
- non sarebbe ravvisabile nel caso di specie una violazione dell’art. 6-bis
della l. n. 241/1990, introdotto dall’art. 1 comma 41 della l. 6 novembre
2012 n. 190 (a norma del quale “Il responsabile del procedimento e i titolari degli
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uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti
endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di
interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”), in quanto non
verrebbe in rilievo nel caso de quo un’attività provvedimentale che impegni
l’amministrazione nei confronti di terzi, ma una semplice attività
endoprocedimentale funzionale alla predisposizione di un atto di natura
regolamentare.
6.3 La censura è fondata.
Costituisce principio generale del nostro ordinamento giuridico quello
secondo il quale tutti i soggetti preposti all’esercizio delle funzioni
pubbliche debbono astenersi dal prendere parte alla formazione di
provvedimenti amministrativi, in presenza di un interesse proprio o di un
prossimo congiunto.
Tale obbligo, che ha il suo fondamento costituzionale nel principio di
imparzialità di cui all’art. 97 Costituzione, trova il suo espresso
riconoscimento in alcune disposizioni di diritto positivo: nell’art. 51 c.p.c. e
nell’art. 36 c.p.p. (che individuano le fattispecie in cui il giudice ha l’obbligo
di astenersi); nell’art. 78, 2° comma, primo periodo, del d.lgs. n. 267/2000
(a norma del quale gli amministratori locali “devono astenersi dal prendere parte
alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro
parenti o affini sino al quarto grado”).
Con specifico riguardo ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, l’art.
54, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 165/2001, come sostituito dalla l.
n. 190/2012, dispone testualmente: “Il Governo definisce un codice di
comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni al fine di assicurare la
qualità dei servizi, la prevenzione dei fenomeni di corruzione, il rispetto dei doveri
costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura
dell'interesse pubblico”.
In attuazione di quanto disposto dall’art. 54, comma 1, del d.lgs. n.
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165/2001 è stato approvato il d.P.R. 16 aprile 2013 n. 62, che, con riguardo
a tutti i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ha disposto all’art. 7
(obbligo di astensione): “1. Il dipendente si astiene dal partecipare all'adozione di
decisioni o ad attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti,
affini entro il secondo grado, del coniuge o di conviventi, oppure di persone con le quali
abbia rapporti di frequentazione abituale, ovvero, di soggetti od organizzazioni con cui
egli o il coniuge abbia causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito
significativi, ovvero di soggetti od organizzazioni di cui sia tutore, curatore, procuratore
o agente, ovvero di enti, associazioni anche non riconosciute, comitati, società o
stabilimenti di cui sia amministratore o gerente o dirigente. Il dipendente si astiene in
ogni altro caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Sull'astensione decide il
responsabile dell'ufficio di appartenenza”.
Orbene, nel caso di specie, risulta non controverso tra le parti che
l’avvocato capo dell’Avvocatura della Provincia di Napoli (ora Città
Metropolitana di Napoli) ha partecipato al gruppo di lavoro preposto alla
stesura del regolamento per la corresponsione dei compensi professionali al
personale togato della Provincia di Napoli (ora Città Metropolitana di
Napoli).
Risulta, altresì, per tabulas, che alcune delle disposizioni del predetto
regolamento hanno ad oggetto i criteri di ripartizione dei compensi
professionali da corrispondere ai dipendenti dell’Avvocatura della Provincia
di Napoli (ora Città Metropolitana di Napoli) con qualifica di dirigente o di
funzionario, in possesso della abilitazione all’esercizio della professione
forense (ivi compresi quelli spettanti all’avvocato capo).
Ne consegue che risulta disatteso l’obbligo di astensione riveniente dal
combinato disposto dell’art. 54 del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 7 del d.P.R.
n. 62/2013.
La sussistenza di un conflitto di interesse dell’avvocato capo rispetto alla
partecipazione al procedimento che ha portato alla formazione del
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contestato regolamento risulta evidente solo se si considerino le
disposizioni regolamentari contenute all’art. 3 comma 6 (a norma del quale:
“In ogni caso, per le sentenze che prevedano la compensazione delle spese di giudizio la
quota dei compensi professionali liquidati a favore dell’Avvocato Capo , dell’Avvocato
Capo Vicario e degli altri Avvocati Dirigenti non potrà essere inferiore a quella
eventualmente erogata ad altro personale togato, stante la maggiore esposizione in
punto di responsabilità degli Avvocati – Dirigenti, i quali alle responsabilità connesse
alla costituzione nei giudizi affidati agli stessi in via esclusiva, assommano quelle
relative alla loro costituzione in tutti i giudizi assegnati agli Avvocati – funzionari,
con esclusione delle cause in cui gli avvocati funzionari si costituiscono da soli” e
all’art. 3, comma 7: “Fermo quanto stabilito nel precedente comma 6, in ogni caso,
per le sentenze che prevedano la compensazione delle spese di giudizio, la quota dei
compensi professionali liquidati a favore dell’Avvocato Capo non potrà essere inferiore
a quella corrisposta ad altro avvocato funzionario e dirigente, anche se con funzioni di
Avvocato Capo Vicario”.
A riguardo il Collegio deve rilevare che, coerentemente con i principi
desumibili dall’art. 36 della Cost., l’art. 9, comma 5, del d.l. n. 90/2014
dispone: “I regolamenti dell'Avvocatura dello Stato e degli altri enti pubblici e i
contratti collettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui al primo periodo del
comma 3 e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento individuale, secondo
criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualità negli
adempimenti processuali”. Ne consegue che i compensi professionali da
attribuire agli avvocati dipendenti dalle pubbliche amministrazioni secondo
le disposizioni di cui all’art. 9 del d.l. debbono essere rapportati in via
esclusiva alla attività professionale espletata, da valutarsi in base al
rendimento
individuale
secondo
criteri
oggettivamente
misurabili,
indipendentemente dall’inquadramento dell’avvocato nella dotazione
organica (come dirigente o come funzionario), prevedendo già la
contrattazione collettiva un trattamento economico differenziato degli
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avvocati – dirigenti rispetto agli avvocati – funzionari.
6.4 Stando così le cose, si rivelano prive di rilievo giuridico le
argomentazioni
svolte
dall’amministrazione
resistente
e
dal
controinteressato:
- non dirimente è la considerazione che del gruppo di lavoro (che ha
proceduto alla materiale redazione del regolamento) abbiano fatto parte
anche altre figure professionali apicali dell’Ente, non risultando l’astensione
dell’Avvocato capo dalla partecipazione alla redazione delle disposizioni
regolamentari che denotano un evidente conflitto di interesse rispetto alla
posizione ricoperta;
- del pari giuridicamente irrilevanti sono le argomentazioni relative alla
natura endoprocedimentale dell’attività svolta dal gruppo di lavoro e alla
formale approvazione del regolamento da parte dalla Giunta provinciale, in
quanto l’obbligo di astensione non viene in rilievo solo al momento
dell’esercizio del potere provvedimentale, ma anche nella fase istruttoria
relativa alla predisposizione, da parte degli uffici pubblici, degli atti poi
formalmente approvati dagli organi di indirizzo politico.
7.1 Con il secondo motivo di gravame, i ricorrenti deducono l’illegittimità
dell’art. 1, comma 9, del regolamento della Provincia di Napoli (ora Città
Metropolitana di Napoli) nella parte in cui esclude l’erogazione dei
compensi ai dipendenti togati per “quei provvedimenti il cui esito favorevole del
procedimento è dipeso dall’inerzia delle parti (estinzione del giudizio o perenzione ed
altre formule analoghe), cancellazione dal ruolo o accordi transattivi…”.
7.2 La censura è fondata.
7.3 Occorre premettere che la contrattazione collettiva del comparto
Regioni e Autonomie locali, pur riconoscendo ai dipendenti del settore
Avvocatura delle Regioni e degli Enti locali il diritto a percepire compensi
professionali nel caso di “sentenza favorevole”, non enumera i
provvedimenti giurisdizionali che debbono essere inclusi nel relativo novero
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(l’art. 27 del C.c.n.l. del 14 settembre 2000 si limita a stabilire: “Gli enti locali
provvisti di avvocatura costituita secondo i rispettivi ordinamenti disciplinano la
corresponsione dei compensi professionali, dovuti a seguito di sentenza favorevole
all'ente, secondo i principi di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578……”).
Anche l’art. 9 del d.l. n. 90/2014, nel testo convertito dalla l. n. 114/2014,
non specifica che cosa debba intendersi per “sentenza favorevole” alle
amministrazioni pubbliche.
7.4 Tanto premesso, il Collegio fa rilevare che la transazione (che, ai sensi
dell’art. 1965 c.c., “è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni,
pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra
loro”), comporta sempre un vantaggio per l’Ente rispetto alle pretese
originariamente azionate dalla controparte (cfr. T.a.r. Puglia, Lecce, 16
ottobre 2014 n. 2543); ne consegue che sarebbe ingiusto escludere gli
avvocati dipendenti dell’Ente da ogni riconoscimento economico in
relazione alla attività professionale svolta nella fase antecedente al
perfezionamento dell’accordo transattivo (se è liquidabile in favore
dell’avvocato dipendente l’attività consultiva svolta per conto dell’Ente di
appartenenza, non si vede per quale ragione gli debba essere negato ogni
riconoscimento economico per l’attività, giudiziale o stragiudiziale, svolta
nella fase che ha preceduto il perfezionamento dell’accordo transattivo).
7.5 Mutatis mutandis, il Collegio deve rilevare che anche l’estinzione del
giudizio per perenzione, per rinuncia al ricorso o, in generale, per inattività
della parte ricorrente può, in determinate ipotesi, essere ricollegata
all’attività giudiziale svolta dai legali della amministrazione resistente, nella
misura in cui detta attività ha indotto la parte ricorrente a desistere dal
giudizio intrapreso (cfr. T.a.r. Puglia, Lecce, 16 ottobre 2014 n. 2543); ne
consegue che anche in questa ipotesi appare ingiusto escludere sic et
simpliciter gli avvocati dipendenti dell’Ente da ogni compenso per l'attività
professionale svolta.
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7.6 Ritiene, conseguentemente, il Collegio, per le ragioni sopra indicate, che
la delimitazione del novero delle sentenze favorevoli all’amministrazione
solo a quelle “che abbiano deciso nel merito la causa, ovvero abbiano accolto eccezioni
di rito formulate dalla difesa dell’Ente (improcedibilità, inammissibilità, difetto di
legittimazione ad agire, carenza di interesse ed altre forme analoghe”, con esplicita
esclusione di quelle che abbiano definito il giudizio per perenzione, per
rinuncia al ricorso o, in generale, per inattività della parte ricorrente ovvero
per effetto della conclusione di un accordo transattivo sia censurabile per la
dedotta violazione del principio di imparzialità e buon andamento (art. 97
Cost.).
8.1 Con il terzo motivo del ricorso introduttivo del giudizio, i ricorrenti
contestano la legittimità dell’art. 4 del regolamento impugnato per
violazione dell’art. 9, comma 5, del d.l. n. 90/2014, nel testo sostituito
dalla legge di conversione n. 114/2014.
8.2 La censura è fondata.
8.3 Occorre premettere che l’art. 9, comma 5, ultimo periodo, del d.l. n.
90/2014 dispone testualmente: “I suddetti regolamenti e contratti collettivi
definiscono altresì i criteri di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi, da
operare ove possibile attraverso sistemi informatici, secondo principi di parità di
trattamento e di specializzazione professionale”.
8.4 Il Collegio rileva che l’art. 4 del regolamento impugnato, rubricato
“Criteri di assegnazione degli affari contenziosi e consultivi”, dispone quanto
segue:
- demanda all’Avvocato capo il compito di stabilire, sentiti l’Avvocato capo
vicario e gli altri avvocati dirigenti, i criteri di attribuzione del peso
ponderale di ciascun giudizio e di ogni richiesta di parere mediante criteri
numerici;
- il peso ponderale viene graduato sulla base dei seguenti criteri in ordine
decrescente: difficoltà, valore economico, urgenza, novità o ripetitività delle
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questioni giuridiche connesse alla causa o all’affare costitutivo trattato,
dislocazione dei fori;
- “determinato il peso ponderale in termini numerici l’assegnazione delle cause e delle
richieste di parere avviene tenendo conto del peso ponderale complessivo del carico di
lavoro, al fine della sua perequazione, in considerazione della specializzazione,
esperienza professionale ed inquadramento giuridico dell’Avvocato assegnatario”;
- “nell’assegnazione degli affari consultivi e contenziosi l’Avvocato Capo dovrà tenere
conto del preminente interesse dell’Amministrazione alla miglior difesa in giudizio,
nonché del diverso inquadramento giuridico del personale togato e della eventuale
titolarità di posizione organizzativa”;
- “il sistema di assegnazione sarà, ove possibile, organizzato con sistema informatico”.
8.5 Orbene, i criteri di assegnazione degli affari consultivi e contenziosi
enumerati nell’articolo sopra richiamato non si presentano conformi a
quelli indicati dall’art. 9, comma 5, del d.l. n. 90/2014, in quanto
nell’assegnazione degli incarichi consultivi e contenziosi viene attribuito un
rilievo
privo
di
copertura
legislativa
all’inquadramento
giuridico
dell’avvocato assegnatario e alla titolarità di posizione organizzativa, mentre
invece l’art. 9, comma 5, del d.l. n. 90/2014 enumera quali unici criteri per
l’assegnazione dei predetti affari “il principio della parità di trattamento” e la
“specializzazione professionale” (è un fatto di intuitiva evidenza che un
avvocato può aver acquisito una maggiore specializzazione professionale in
un determinato ambito giuridico rispetto ad un altro collega, pur avendo
una minore esperienza professionale o un inquadramento contrattuale
meno elevato; così come non si configura compatibile con il principio della
parità di trattamento una sperequazione nella assegnazione degli incarichi
basata non sulla professionalità acquisita, ma sulla titolarità di posizione
organizzativa).
9.1 Con il quarto motivo del ricorso introduttivo del giudizio i ricorrenti
contestano la legittimità dell’art. 5 del regolamento impugnato, che
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disciplina le modalità di costituzione in giudizio dell’Ente in relazione al
diverso inquadramento dell’Avvocato dipendente. Nella disposizione
regolamentare i ricorrenti ravvisano una violazione dell’art. 9 del d.l. n.
90/2014 e dell’art. 23 della l. n. 247/2012.
9.2 Le censure sono fondate.
9.3 Occorre premettere che l’art. 5 del regolamento impugnato dispone
che:
- “Ai fini della costituzione in giudizio, stante l’elevato grado di professionalità
raggiunto, gli Avvocati dirigenti possono costituirsi da soli o congiuntamente ad altro
avvocato dirigente in tutti i giudizi in cui è parte l’Ente” (1° comma);
- la costituzione in giudizio dell’Ente mediante il patrocinio di un solo
avvocato funzionario è possibile in base a disposizione dell’Avvocato capo
e limitatamente alle cause dinanzi al Giudice di pace ovvero al Tribunale in
materia di invalidità e di opposizione ad ordinanza ingiunzione
amministrativa nonché innanzi alle Commissioni tributarie di primo grado
ovvero nei giudizi penali nei quali l’Ente è individuato quale persona offesa
dal reato ovvero come soggetto civilmente responsabile per fatti dei propri
dipendenti e/o amministratori (2° comma);
- il patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori è riservato esclusivamente
all’Avvocato capo e all’Avvocato capo vicario ovvero congiuntamente ad
altro Avvocato dirigente (3° comma);
- le relazioni agli organi e agli uffici dell’Ente sull’esito di ciascun giudizio
sono sottoscritte dall’avvocato assegnatario dello stesso e dall’Avvocato
capo o dall’Avvocato capo vicario, anche ai fini della valutazione della
sussistenza di eventuali motivi di impugnazione (4° comma);
- per quanto concerne l’attività consultiva, al fine di garantire l’uniformità
degli orientamenti, i pareri sono sottoscritti dall’avvocato assegnatario
dell’affare e dall’Avvocato capo (5° comma).
9.3 Dalle disposizioni regolamentari sopra richiamate emerge con chiara
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evidenza che gli avvocati dirigenti possono assumere, da soli o in forma
congiunta con altro avvocato dirigente, il patrocinio dell’Ente “in tutti i
giudizi in cui è parte l’Ente”; di contro, gli avvocati funzionari possono
assumere da soli il patrocinio dell’Ente solo su disposizione dell’Avvocato
capo e limitatamente alle ipotesi individuate nel 2° comma (costituzione
davanti al Giudice di pace e davanti al Tribunale in materia di invalidità e di
opposizione ad ordinanza ingiunzione amministrativa nonché innanzi alle
Commissioni tributarie di primo grado ovvero nei giudizi penali nei quali
l’Ente è individuato quale persona offesa dal reato ovvero come soggetto
civilmente responsabile per fatti dei propri dipendenti e/o amministratori).
9.4 Orbene, questa netta linea di demarcazione tra avvocati dirigenti e
avvocati funzionari, rispetto alle modalità di espletamento del patrocinio
dell’Ente, non è reputata dal Collegio conforme al criterio di
“specializzazione professionale” di cui all’art. 9, comma 5, secondo periodo del
d.l. n. 90/2014 (nel testo sostituito dalla legge di conversione n. 114/2014)
né ai principi di “piena indipendenza ed autonomia nella trattazione stabile ed
esclusiva degli affari legali dell’Ente”, enunciati con riguardo agli avvocati degli
uffici legali istituiti presso gli Enti pubblici dall’art. 23 della l. 31 dicembre
2012 n. 247.
9.5 Con riguardo al primo profilo, il Collegio si limita a rilevare che la
specializzazione professionale prescinde dall’inquadramento contrattuale
dell’avvocato dipendente, dovendo essere messa in relazione al percorso
formativo seguito dall’avvocato e alla esperienza professionale maturata nei
diversi ambiti dell’ordinamento giuridico.
9.6 Con riguardo al secondo profilo, il necessario affiancamento di un
avvocato dirigente all’avvocato funzionario per le cause di maggiore
rilevanza non si configura conforme ai principi enunciati dall’art. 23 della l.
n. 247/2012, dovendo, da un lato, la necessità della costituzione di un
collegio difensivo essere valutata di volta in volta in relazione alla
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particolare complessità del singolo affare e potendo, dall’altro lato, il
collegio difensivo essere composto, per ragioni di specializzazione
professionale, anche solo da avvocati funzionari (senza la necessaria
presenza di un avvocato dirigente).
10.1 Con il quinto motivo, i ricorrenti contestano la legittimità dell’art. 3
del regolamento impugnato, relativo ai criteri di riparto dei compensi
professionali, per violazione dell’art. 9 del d.l. n. 90/2014, dell’art. 23 della
l. n. 247/2012 nonché violazione dei principi costituzionali di imparzialità e
buon andamento (art. 97 Cost.).
10.2 Le censure sono fondate.
10.3 L’art. 3 del regolamento, per la parte di interesse, prevede:
- “In ogni caso, per le sentenze che prevedano la compensazione delle spese di giudizio
la quota dei compensi professionali liquidati a favore dell’Avvocato Capo,
dell’Avvocato Capo Vicario e degli altri Avvocati Dirigenti non potrà essere inferiore
a quella eventualmente erogata ad altro personale togato, stante la maggiore
esposizione in punto di responsabilità degli Avvocati – Dirigenti, i quali alle
responsabilità connesse alla costituzione nei giudizi affidati agli stessi in via esclusiva,
assommano quelle relative alla loro costituzione in tutti i giudizi assegnati agli
Avvocati – funzionari, con esclusione delle cause in cui gli avvocati funzionari si
costituiscono da soli” (comma 6);
- “Fermo quanto stabilito nel precedente comma 6, in ogni caso per le sentenze che
prevedono la compensazione delle spese di giudizio, la quota dei compensi professionali
liquidati a favore dell’Avvocato Capo non potrà essere inferiore a quella corrisposta ad
altro avvocato funzionario e dirigente, anche se con funzioni di Avvocato Capo
Vicario” (comma 7);
- “Le competenze professionali di cui al comma 1 sono ripartite secondo i seguenti
criteri oggettivi:
a) il 60% spetta all’avvocato titolare del relativo giudizio. In caso di mandato
congiunto ad un avvocato – funzionario e ad un avvocato – dirigente, il 60% spetta
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all'avvocato che ha seguito il giudizio;
b) il 25% va suddiviso tra tutto il personale togato in base agli anni di servizio nel
profilo di Avvocato della Provincia di Napoli nonché della Città Metropolitana di
Napoli a decorrere dalla sua istituzione, con conseguente iscrizione all’albo speciale
degli avvocati dipendenti da enti pubblici: ogni anno, ovvero sei mesi e un giorno, vale
un punto (i periodi di aspettativa e di comando non maturano anzianità);
c) il restante 15% va attribuito solo agli avvocati che abbiano raggiunto gli obiettivi
loro assegnati in relazione all’espletamento dell’attività contenziosa e consultiva in
carico, in base ai seguenti parametri:
I. puntuale rispetto dei termini processuali dai quali possano conseguire decadenze o
preclusioni o, comunque, effetti pregiudizievoli per l’attività istituzionale;
II. il puntuale svolgimento dell’attività consultiva anche con riguardo alle esigenze degli
Organi e/o Uffici dell’ente richiedenti;
III. la cura dell’attività di udienza con riferimento alle udienze destinate allo
svolgimento di attività non dilazionabili;
IV. il rispetto delle direttive emanate dall’Avvocato Capo o dall’Avvocato Capo
Vicario in materia di trattazione degli affari, di partecipazione alle attività
istituzionali, di organizzazione del lavoro tenuto conto della corretta implementazione
delle nuove tecnologie per la gestione delle attività di competenza” (comma 8).
10.4 Orbene, le disposizioni regolamentari sopra richiamate si pongono in
evidente contrasto con l’art. 9, comma 5, primo periodo, del d.l. n.
90/2014 a norma del quale: “I regolamenti dell'Avvocatura dello Stato e degli
altri enti pubblici e i contratti collettivi prevedono criteri di riparto delle somme di cui
al primo periodo del comma 3 e al primo periodo del comma 4 in base al rendimento
individuale, secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della
puntualità negli adempimenti processuali” e con l’art. 23, 1° comma, della l. n.
247/2012, nella parte in cui riconosce agli avvocati dipendenti degli uffici
legali degli enti pubblici “un trattamento economico adeguato alla funzione
professionale svolta”.
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10.5 Anzitutto, si rivelano prive di copertura legislativa sia la disposizione
regolamentare contenuta nel comma 6, secondo la quale la quota dei
compensi professionali spettante agli avvocati dirigenti non può essere
inferiore a quella erogata ad altro personale togato “stante la maggiore
esposizione in punto di responsabilità degli Avvocati – Dirigenti, i quali alle
responsabilità connesse alla costituzione nei giudizi affidati agli stessi in via esclusiva,
assommano quelle relative alla loro costituzione in tutti i giudizi assegnati agli
Avvocati – funzionari” sia la disposizione regolamentare contenuta nel
comma 7, a norma della quale “in ogni caso per le sentenze che prevedono la
compensazione delle spese di giudizio, la quota dei compensi professionali liquidati a
favore dell’Avvocato Capo non potrà essere inferiore a quella corrisposta ad altro
avvocato funzionario e dirigente, anche se con funzioni di Avvocato Capo Vicario”.
10.6 Il Collegio deve rilevare, da un lato, che, in base alle disposizioni
legislative sopra richiamate, la liquidazione dei compensi professionali in
questione deve essere rapportata in via esclusiva al “rendimento individuale,
secondo criteri oggettivamente misurabili che tengano conto tra l'altro della puntualità
negli adempimenti processuali”, dall’altro, che ai dirigenti la contrattazione
collettiva riconosce, anche in relazione alla maggiore esposizione a
responsabilità, la c.d. “retribuzione di posizione”, che costituisce una voce
significativa del loro trattamento stipendiale.
10.7 Del pari si rivela incompatibile con le disposizioni di cui all’art. 9,
comma 5, del d.l. n. 90/2014 e con l’art. 23 della l. n. 247/2012 e priva di
ratio giustificativa la previsione regolamentare della suddivisione del 25%
dei compensi professionali in questione “tra tutto il personale togato in base agli
anni di servizio nel profilo di Avvocato della Provincia di Napoli nonché della Città
Metropolitana di Napoli”.
Il Collegio deve ancora una volta ribadire che unico elemento
legislativamente previsto per l’attribuzione dei compensi professionali in
questione è costituito dall’effettivo svolgimento individuale da parte degli
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avvocati dipendenti di un’attività professionale di natura consultiva o
contenziosa, da valutarsi secondo “criteri oggettivamente misurabili”; la
distribuzione di una quota parte di questi compensi a “tutto il personale togato
in base agli anni di servizio” non costituisce criterio compatibile con le
disposizioni legislative sopra richiamate.
11.1 Con il sesto motivo di gravame i ricorrenti deducono l’illegittimità
dell’art. 6 del regolamento impugnato nella parte in cui non prevede uno
specifico limite temporale entro il quale l’Avvocato capo deve provvedere
alla liquidazione dei compensi maturati.
11.2 La censura è fondata.
11.3 L’art. 6, comma 1, del regolamento impugnato dispone: “In analogia a
quanto disposto per l’Avvocatura dello Stato dal vigente art. 21, comma 4, del
D.P.C.M. 30 ottobre 1933, n. 1611, le competenze professionali sono corrisposte in
base a determinazione di liquidazione dell’Avvocato Capo o dell’Avvocato Capo
Vicario, adottate periodicamente, alla loro maturazione”.
La mancata determinazione di un termine entro il quale deve essere
adottato il provvedimento di liquidazione delle competenze maturate si
traduce in una lesione della legittima aspettativa degli aventi diritto, in
contrasto con i principi di imparzialità e buona amministrazione di cui
all’art. 97 Cost.
11.4 Non dirimente è la considerazione secondo la quale la liquidazione
delle competenze professionali presuppone il verificarsi di determinate
circostanze (passaggio in giudicato della sentenza; approvazione del bilancio
di previsione, nel caso di sentenze favorevoli con compensazione delle
spese; recupero delle spese di lite, nel caso di sentenza favorevole con
condanna a carico della controparte), ben potendo l’esercizio del potere di
liquidazione essere ancorato ad un termine preciso, connesso al verificarsi
delle condizioni che incidono sulla possibilità di effettiva erogazione dei
compensi maturati.
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12.1 Con il settimo motivo di gravame, i ricorrenti contestano la legittimità
dell’art. 8 del regolamento impugnato, limitatamente al 2° comma, a norma
del quale: “La partecipazione di cui al precedente comma (ossia, alla ripartizione
dei compensi professionali nel caso di collocamento in quiescenza o
cessazione dal servizio, n.d.r.) è esclusa per quei giudizi nei quali l’Avvocato Capo
ritenga necessario l’espletamento di ulteriore attività defensionale nell’interesse
dell’Ente, assegnando a tal fine il giudizio ad altro professionista o a se medesimo” e
al 3° comma “In caso di aspettativa, comando o incarico presso altri Enti pubblici o
privati o amministrazioni, nonché in tutte le altre ipotesi di sospensione del rapporto di
servizio con la Provincia di Napoli, all’Avvocato titolare del giudizio verrà sospesa
l’erogazione delle competenze professionali per tutto il periodo di assenza”.
Nelle disposizioni sopra richiamate i ricorrenti ravvisano una violazione
dell’art. 9 del d.l. n. 90/2014 e dell’art. 23 della l. n. 247/2012 nonché dei
principi di cui all’art. 97 Cost.
11.2 Le censure sono fondate.
11.3 Con riguardo al primo profilo, nel caso di collocamento in quiescenza
ovvero di cessazione dal servizio, indipendentemente dalla necessità di
ulteriore attività defensionale, non può essere denegata all’avvocato
assegnatario della causa la spettanza delle competenze professionali
maturate (debitamente parametrate in relazione alla attività da questi
effettivamente espletata) prima del collocamento in quiescenza o della
cessazione dal servizio (da erogarsi ovviamente dopo la definizione del
giudizio “con sentenza favorevole”) ; con riguardo al secondo profilo, nel
caso di aspettativa, comando o incarico presso altri Enti, non si configura
compatibile con il principio di imparzialità e buon andamento (art. 97
Cost.) la sospensione delle competenze professionali già maturate per tutto
il periodo di assenza, non essendovi ragione per discostarsi dagli ordinari
criteri
di
liquidazione
delle
competenze
professionali
maturate,
limitatamente alla attività professionale espletata.
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12.1 Con l’ottavo motivo di gravame, i ricorrenti sollevano una questione
di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 7, del d.l. n. 90/2014, nel
testo sostituito dalla legge di conversione n. 114/2014, per violazione degli
artt. 3, 35 e 36 Cost.
I ricorrenti sostengono che l’art. 9, comma 7, del d.l. n. 90/2014 non sia
compatibile con il principio di uguaglianza (art. 3 Cost), operando una
ingiusta equiparazione del personale togato, e con l’art. 36 Cost., privando
il personale dipendente di una parte della sua giusta retribuzione.
12.2 Occorre premettere che l’art. 9, comma 7, del d.l. n. 90/2014 dispone
testualmente: “7. I compensi professionali di cui al comma 3 (sentenza favorevole
con recupero delle spese legali a carico delle controparti, n.d.r.) e al primo
periodo del comma 6 (sentenza favorevole con compensazione delle spese,
n.d.r.) possono essere corrisposti in modo da attribuire a ciascun avvocato una somma
non superiore al suo trattamento economico complessivo”.
12.3 La questione sollevata dai ricorrenti è sicuramente rilevante, essendo la
predetta disposizione legislativa sostanzialmente trasfusa nell’art. 10 del
regolamento impugnato, a norma del quale: “Ai sensi dell’art. 9, comma 7, del
d.l. n. 90/2014 i compensi professionali corrisposti a seguito di decisione favorevole
all’Amministrazione in caso di compensazione delle spese ed onorari di lite o sentenze
favorevoli con recupero delle spese e dei compensi professionali a carico delle controparti
condannate, possono essere corrisposti solo in modo da attribuire a ciascun avvocato
una somma non superiore al suo trattamento economico complessivo. La eventuale
parte eccedente il limite di cui al citato art. 9, comma 7, del D.L. n. 90/2014 verrà
riversata nel bilancio dell’Ente”.
12.4 Ritiene, tuttavia, il Collegio che la questione sia manifestamente
infondata.
Gli avvocati dipendenti di enti pubblici ed iscritti nell'albo speciale annesso
all'albo professionale godono di uno status particolare, in quanto, pur
essendo a tutti gli effetti dipendenti pubblici e godendo di tutte e garanzie e
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le prerogative (economiche e giuridiche) connesse al pubblico impiego,
sono legittimati all’esercizio della attività professionale per le cause e gli
affari propri dell’Ente nel quale sono incardinati.
In qualità di pubblici dipendenti godono di una retribuzione parametrata al
livello di inquadramento contrattuale (come funzionari o come dirigenti),
alla quale si aggiungono i compensi professionali per l’attività di natura
contenziosa o consultiva svolta per conto dell’Ente.
Stando così le cose, appare manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale sollevata dagli odierni ricorrenti, in quanto la
determinazione legislativa di un limite massimo alla liquidazione dei
compensi professionali appare un equo contemperamento tra il diritto degli
avvocati dipendenti ad un’equa retribuzione, proporzionata alla quantità e
qualità dell’attività svolta (art. 36 Cost.) e la necessità di salvaguardare la
tenuta dei conti pubblici, tenendo conto che, in caso di sentenza favorevole
con compensazione delle spese di lite, la liquidazione dei compensi
professionali spettanti avviene a totale carico del bilancio dell’Ente di
appartenenza.
13.1 Con il nono motivo di gravame, i ricorrenti contestano la legittimità
dell’art. 12 del regolamento impugnato a norma del quale: “I criteri generali
di riparto di cui all’art. 3 del presente regolamento saranno applicati anche per la
liquidazione delle sentenze depositate anteriormente alla data di entrata in vigore del
D.L. n. 90/2014 come convertito dalla L. n. 114/2014”.
13.2 La censura è parzialmente fondata.
13.3 Occorre premettere che il principio di irretroattività della legge,
stabilito dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, può essere
derogato da norme di rango legislativo.
Orbene, nel caso di specie, il Collegio fa rilevare che:
- l’art. 9, comma 2, del d.l. n. 90/2014 ha disposto: “Sono abrogati il comma
457 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e il terzo comma
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dell'articolo 21 del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611.
L'abrogazione del citato terzo comma ha efficacia relativamente alle sentenze depositate
successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto”;
- l’art. 9, comma 9, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 90/2014, dispone:
“I commi 3, 4 e 5 e il secondo e il terzo periodo del comma 6 nonché il comma 7 si
applicano a decorrere dall'adeguamento dei regolamenti e dei contratti collettivi di cui al
comma 5, da operare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto. In assenza del suddetto adeguamento, a decorrere dal
1º gennaio 2015, le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 non possono
corrispondere compensi professionali agli avvocati dipendenti delle amministrazioni
stesse, ivi incluso il personale dell'Avvocatura dello Stato”.
13.3 Da una lettura sistematica delle disposizioni sopra indicate, emerge
che per i giudizi definiti con sentenza depositata anteriormente alla data di
entrata in vigore del d.l. n. 90/2014 continuano ad applicarsi i criteri di
riparto dei compensi professionali precedentemente vigenti; per i giudizi
non ancora definiti (con sentenza depositata anteriormente) alla data di
entrata in vigore del d.l. n. 90/2014 trovano applicazione i nuovi criteri di
riparto dei compensi professionali, sulla base delle nuove disposizioni
legislative e regolamentari; in assenza di adeguamento regolamentare, a
decorrere dal 1° gennaio 2015, “le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1
non possono corrispondere compensi professionali agli avvocati dipendenti delle
amministrazioni stesse”.
14.1 Con ricorso per motivi aggiunti (non impugnatori), i ricorrenti
contestano la legittimità del regolamento impugnato per eccesso di potere
sotto diversi profili (difetto di istruttoria; carenza di motivazione; illogicità;
contraddittorietà).
Sostengono i ricorrenti che a seguito di accesso documentale hanno avuto
modo di rilevare ulteriori vizi di legittimità relativi al provvedimento
impugnato.
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14.2 In particolare, i ricorrenti fanno rilevare che nella seduta del 5
dicembre 2014, uno dei componenti del gruppo di lavoro preposto alla
redazione del regolamento, la dott.ssa Monda (Vice Segretario della
Provincia), depositava alcune osservazioni, con le quali esprimeva alcune
perplessità rispetto alle disposizioni regolamentari, segnalando in
particolare:
- con riguardo all’art. 3, relativo ai criteri di riparto delle competenze
professionali, la necessità di stabilire “criteri di valutazione del rendimento
individuale oggettivamente misurabili; la periodicità della valutazione stessa; criteri di
assegnazione degli affari consultivi e contenziosi, da operare ove possibile attraverso
sistemi informatici” e l’esigenza di “conoscere il fondamento normativo che attribuisce
all’Avvocato dirigente maggiori responsabilità rispetto al funzionario avvocato, laddove
costituiti congiuntamente”;
- con riguardo all’art. 5, alcune perplessità sulla formulazione dell’intero
articolo;
- con riguardo all’art. 10, l’illegittimità delle previsione della retroattività dei
nuovi criteri di riparto.
Dopo aver evidenziato che, nella medesima seduta (del 5 dicembre 2014), il
gruppo di lavoro dava mandato all’Avvocato capo di provvedere alla
modifica e alla integrazione del regolamento in base alle osservazioni
formulate dal Vice segretario, i ricorrenti lamentano che il regolamento è
stato approvato senza tenere in alcuna considerazione le osservazioni
formulate dal Vice segretario e contestano la legittimità delle disposizioni
regolamentari approvate per eccesso di potere in relazione ai dedotti profili.
14.3 La censura è fondata.
Anche a voler condividere la tesi del controinteressato, secondo la quale il
mandato conferitogli dal gruppo di lavoro sarebbe stato limitato alle sole
osservazioni formulate dalla dott.ssa Capasso e dalla dott.ssa de Martino,
dalla documentazione in atti non risulta che le puntuali (e in parte
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condivisibili) osservazioni formulate dal Vice Segretario (depositate nella
medesima seduta) siano state in alcun modo valutate né dal gruppo di
lavoro né dall’Avvocato capo.
15. In conclusione, il ricorso, così come integrato dai motivi aggiunti, è
fondato e va accolto.
16. In relazione alla novità e alla complessità delle questioni dedotte in
giudizio,
il Collegio ravvisa eccezionali motivi per disporre la
compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta),
definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, come
integrato dai motivi aggiunti, lo accoglie nei termini di cui in motivazione e,
per l’effetto, annulla in parte qua gli atti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 8 ottobre 2015
con l'intervento dei magistrati:
Luigi Domenico Nappi, Presidente
Paolo Marotta, Primo Referendario, Estensore
Gabriella Caprini, Primo Referendario
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/10/2015
IL SEGRETARIO
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(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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