Oltre 16 dicembre 2011.pub - Comunità Piergiorgio ONLUS

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Oltre 16 dicembre 2011.pub - Comunità Piergiorgio ONLUS
2011 anno 8- n.2 Poste italiane s.p.a Spedizione in Abb. Postale D.L. 353/2003 (conv.L.27/02/2004 n° 46) Art.1, comma 2, DCB UDINE Semestrale
Parla con noi: Margherita Hack
La ricerca, tra Neutrini e Linfociti B
Il viaggio, Benvenuti al Nord
Comunità Piergiorgio -
ONLUS
Piazza Libia 1 - 33100 Udine
In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la tassa dovuta presso l’Ufficio CPO - Viale Europa Unita 8 33100 Udine
Il SOMMARIO
Pag. 4
Cinema e Diversità, “Si può fare”
Pag. 5
OLTRE risponde ai lettori
Pag. 6
Tutte le novità sugli ausili dal mondo
Pag. 10
Dal Montenegro all’Ufficio H
Pag. 11
Gli handicappati non vanno in bagno!!!
Pag. 12
Prove pratiche di disabilità al’Ufficio H
Pag. 14
Dublino, tra posture e ausili
Pag. 15
A/R, Viaggi possibili
Pag. 16
Record di iscritti ai Corsi per Care Givers
Pag. 17
Il Friuli nel lunario della Piergiorgio
Pag. 18
Astrofisica, Speciale Margherita Hack
Pag. 22
Viaggio attraverso le Stelle nell’Arte
Pag. 26
Benvenuti al Nord
Pag. 28
Se un Neutrino…Intervista alla scienziata
Pag. 30
Linfociti B e HIV. Quale il rapporto?
Pag. 32
“Sì, sì, sì...oh sì”, di Sabrina Guzzanti
Pag. 33
Viaggio nei giochi di una volta
Pag. 34
Storia di un’italiana a Londra
Pag. 36
3° Concorso fotografico “Oltre”
Pag. 37
Audiolibro e CSRE di Codroipo
Pag. 38
Libri sotto l’albero
Pag. 40
Sledge Hockey al Centro Don Onelio
Pag. 41
I bambini a sostegno dei disabili
Pag. 42
I Ragazzi della Comunità su OLTRE
Pag. 47
Per chi non ci conosce
LE PAROLE DEL PRESIDENTE
Gentili lettori di Oltre,
l’appuntamento con l’annuale bilancio della nostra Comunità ma anche con i doverosi e sentiti auguri di Buon Natale,
nella speranza che l’anno a venire sia per tutti voi entusiasmante, è arrivato ancora una volta. Come l’anno scorso anche
in quest’ultimo scorcio del 2011 devo rilevare una situazione
economica di corale sofferenza che ancora non ha trovato soluzioni e via d’uscita mentre la Comunità Piergiorgio, pur nelle
fatiche di sempre, è riuscita nonostante tutto a fare fronte ad
altri dodici mesi di difficoltà innegabile.
Dodici mesi complicati e intensi, non soltanto sotto
l’aspetto economico ma anche umano e strutturale. La Piergiorgio piange innanzitutto e ancora adesso tre persone straordinarie che proprio nel corso degli ultimi tempi sono venute a
mancare. Parlo di Adriano e Bepino, colonne portanti della
nostra struttura, da sempre, e parlo anche del giovanissimo
Angelo che frequentava quotidianamente il nostro Centro diurno. A loro vogliamo rivolgere adesso più che mai i nostri pensieri e le nostre riflessioni mentre continuiamo a stringerci con
affetto e calore attorno alle loro stesse famiglie. Il nuovo anno
è ormai alle porte e la Comunità si prepara ad affrontarlo con
la forza di sempre e soprattutto rinnovata, se non altro dal punto di vista strutturale, se è vero che sono ormai in fase di completamento i grandi lavori di adeguamento che la struttura ha
realizzato per garantire all’utenza servizi sempre più qualificati
e professionali.
L’intero Centro diurno ha subito un intervento di profonda
ristrutturazione che ha portato a un ampliamento degli spazi
disponibili, a un nuovo assetto della palestra e
dell’ambulatorio. Un imponente sforzo economico, quello che
voglio ricordare in questo momento, e per il quale ringrazio
sentitamente anche la Regione FVG che non ci ha mai fatto
mancare il suo supporto. Nel lasciarvi alla lettura del nostro
periodico, caratterizzato anche questa volta da un elevato livello contenutistico e perciò potente mezzo di comunicazione per
la nostra realtà, e non soltanto in Friuli, vi rinnovo dunque i
miei più sentiti e calorosi auguri di Buon Natale nella speranza
che quest’ultima parte dell’anno possa rappresentare anche un
ottimo punto di partenza per quello oramai alle porte.
Sandro Dal Molin
Direttore: Sandro Dal Molin
Direttore responsabile: Carolina Laperchia
Vice direttore: Barbara Porcella
Segretario: Enrico Pin
Redattori: Paolo Cernettig, Arrigo De Biasio, Maurizio Scolari, Rita
Pugnale
Hanno collaborato: Bianca Almacolle, Sylvie Delvaille, Vito Facchin, Sabrina Floreani, Pierluigi Giuliano, Massimo Marconcini,
Barbara Mattiel, Ennio Mazzolo, Luigi Pinelli Chiara Plimmer, Davide Pillitu, Selena Qualizza, Stefano Scarafile.
Foto di copertina: Igino Durisotti
Foto Margherita Hack di: Massimo Mocilnik
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Stampa
Arti Grafiche Friulane, Imoco s.p.a. (UD)
V. IV Novembre 72 - 33010 Tavagnacco
Autorizzazione del tribunale di Udine
n.17/04 del 11/05/04
“Oltre” viene inviato gratuitamente. Chiunque non desiderasse più
riceverlo può comunicarlo all’Ufficio H della Comunità Piergiorgio
O.N.L.U.S, P.zza Libia 1 - 33100 Udine. Tel 0432/403431; Fax
0432/541676; Mail: [email protected].; [email protected].
I dati personali dei destinatari della presente rivista sono trattati nel
rispetto della D.Lgs. 196 del 2003.
L’EDITORIALE
di Carolina Laperchia
Squisite salse con cui accompagnare pesci o carni;
mille varianti di burro e cioccolato per realizzare dessert da urlo; mandorle a lamelle e sesamo per trasformare un anonimo pollo in un piatto di sicuro effetto e,
ancora, lasagne umide e fumanti che conquistano il
teleschermo già alle 6.30 del mattino mentre donne di
ogni età, peso e altezza si destreggiano ai fornelli di
qualsiasi canale televisivo per regalare a chi sta seduto
a casa propria ricette nuove da sperimentare rapidamente.
Dall’altra parte, invece, veri e propri squadroni di
dietologi, nutrizionisti ed esperti in scienze
dell’alimentazione armati fino ai denti che alla casalinga intenta a preparare la pasta all’uovo oppongono
l’importanza del controllo delle calorie; dispensano
trucchi e segreti per buttare giù qualche chilo di troppo, senza dover necessariamente ricorrere a scalpello e
cazzuola; e al tripudio dei carboidrati rispondono con
regimi alimentari a basso indice glicemico per chi vuole
snellirsi velocemente e senza versare troppe lacrime. E
il risultato di questo fricandò è un forte senso di stupore e di vertigine; gira letteralmente la testa nel tentativo folle di stare dietro a tutto ciò, di voler diventare
cuochi provetti da un lato e asciutti nel fisico dall’altra
parte, mantenendo una linea a dir poco invidiabile. Che
la si giri o che la si volti, la cucina, intesa nella sua accezione più ampia e nel suo valore più esteso, è ormai
parte integrante della nostra esistenza, nel bene e nel
male; si inserisce in quel continuum fatto di estremi
ma anche di soluzioni equilibrate che ormai imperversa
nelle nostre vite senza mai lasciarci in pace e dal momento stesso in cui apriamo gli occhi al mattino fino a
quando andiamo a letto la sera siamo trattati con bastone e carota e presi tra due fuochi, quello del cibo in
tutte le salse e quello del cibo con meno salse possibili.
Così come per le previsioni del tempo, che hanno
pian piano conquistato un proprio specifico spazio informativo, anche la cucina è diventata ormai un mare
magnum di cui non si può proprio fare a meno di parlare. Fioriscono in tal modo e ovunque siti internet e food
blog come fosse sempre primavera ed ogni scusa è buona per raccontare al mondo i segreti della propria quiche lorraine o della frolla confezionata la sera prima
per fare una deliziosa crostata alla frutta, magari diversa dal solito. Tutti si sfidano a colpi di fornelli.
Le competizioni, in tv, si svolgono proprio dietro al
gas impugnando mestoli di legno, a volte soppiantati da
sofisticati utensili in acciaio, mentre i modi per preparare il caro buon vecchio petto di pollo si sprecano a dir
poco. C’è solo l’imbarazzo della scelta…e che imbarazzo!
Ma che cosa succede quando il pollo diventa improvvisamente “chiken” e il burro “butter”? Che cosa accade
quando l’Italia esporta all’estero una delle sue più
grandi e intense anime, quella appunto gastronomica,
per fondersi, amalgamarsi e inserirsi a pieno titolo nelle cucine londinesi? Cosa capita quando il genio, l’estro
e la fantasia sfrenata di un’italiana doc dal cuore morbido e pulsante e dal febbrile ingegno si esplica in preziosi manicaretti destinati ai così diversi gusti inglesi?
È semplice, perché succede esattamente ciò che state leggendo...non un libro di ricette, s’intende, e nemmeno un “Gastro – Vangelo”, di come ce ne sono a bizzeffe, bensì uno scrigno di odori, di gusti e di esperienze
di un’italiana a Londra che ha fatto della sua passione
per la cucina un’arte apprezzata e riconosciuta anche
nel paese della Regina. Una passione coltivata senza
strategie ma solo e semplicemente per il gusto di prendersi cura di sé e degli altri proprio attraverso il cibo.
La voglia di sperimentare, di legare tra loro gli alimenti, partendo dal presupposto che ognuno di essi è
un insieme specifico di particelle che per potersi legare
al meglio ha bisogno del classico “colpo di fulmine” e di
trovare il giusto completamento di sé; la sensibilità verso i colori, la capacità di usare i piatti come tavolozze e
i cibi come tempere per intessere quadri originali, senza doppioni e perciò più unici che rari. Chiara è così.
Istinto e fantasia.
Gli stessi che mette nei piatti che inventa, che da
qualche tempo prepara anche per il “Dragon Lake”, il
ristorante tipicamente british dove lei ha portato la
parte migliore della sua Italia, e che fra non molto
riempiranno a buon diritto anche le pagine del suo primo libro con cui è alle prese proprio adesso che è Natale e che Oltre già vi anticipa. Ed è con questo prezioso
progetto in embrione, che vedrà molto presto la luce,
che io desidero augurarvi buone feste, arricchendo le
mie parole con un pizzico di cannella e un po’ di chiodi
di garofano affinché l’anno nuovo ormai alle porte sia
per tutti voi sufficientemente speziato e profumato
d’ogni bene.
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CINEMA E DIversitÀ
SI Può FARE
Bianca Almacolle
Il film Si può fare descrive la storia di Nello, sindacalista nella Milano dei primi anni '80, che viene improvvisamente trasferito, nella veste di direttore, alla
Cooperativa 180, una delle tante sorte dopo la legge
Basaglia.
All'interno di questa struttura gli si presenta una
situazione desolante: i soci disabili trascorrono le giornate imbustando le lettere del Comune, in uno stato di
semi – incoscienza dovuto all'eccessiva somministrazione di farmaci.
Nello (Claudio Bisio), profondamente impressionato
dalla loro condizione, decide di trasmettere ai soci il
vero spirito della Cooperativa coinvolgendoli in prima
persona nella gestione delle attività. Si decide così, in
seguito a un’ assemblea, di abbandonare il lavoro assistenziale e di diventare un'impresa di posatori di parquet.
La nuova occupazione, accolta con grande entusiasmo dai soci della Cooperativa, prende il volo quando,
nel giorno della scadenza di un incarico, essendo finito
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il legno da posare, Gigio e Luca decidono di utilizzare
gli scarti per creare un pannello con l'immagine di una
stella. L'idea viene molto apprezzata, gli appalti aumentano sempre di più e la Cooperativa si trasferisce
in una sede più grande. Sull'onda del successo, Nello
decide di stipendiare i soci e di ridurre la somministrazione dei farmaci affidandosi al dott. Furlan (Giuseppe
Battiston), un convinto sostenitore delle idee di Basaglia. I soci cominciano così a vivere in modo più vero ed
emozionante la loro vita e a prendere autonomamente
le loro decisioni. Ma proprio quando tutto sembra andare per il meglio un tragico episodio riporta i soci della
Cooperativa alla realtà della loro condizione di persone
eternamente confinate dietro l'etichetta di “diverse”.
Questa parentesi di “vita vera” sembra dunque finita: la quantità di farmaci viene riportata ai livelli precedenti e la Cooperativa torna alla sua vecchia sede.
Nonostante lo sconforto però, Nello e i soci continuano il loro progetto addirittura ampliandolo.
Il film si ispira alla reale esperienza delle Cooperative sociali nate negli anni '80 per facilitare l'inserimento
nel mondo del lavoro dei pazienti dimessi dai manicomi
a seguito della legge Basaglia. Oggi questo fenomeno si
è ampliato al punto di coinvolgere, in tutta Italia, complessivamente 30 mila soci disabili e più di 2.500 Cooperative.
Quella della Cooperativa sociale si è dimostrata negli anni la realizzazione di un'utopia: le persone svantaggiate e fragili possono entrare nel mondo del lavoro
e contribuire allo sviluppo della società anziché essere
un peso per quest’ultima.
Il film esprime inoltre una straordinaria positività
ribadita anche nel titolo: Si può fare. Questo motto ben
rappresenta lo spirito attraverso il quale Nello e i soci
della Cooperativa si confrontano con le difficoltà che si
presentano loro: non lasciarsi mai scoraggiare dai propri limiti nella realizzazione dei propri sogni e progetti.
LA REDAZIONE RISPONDE
[email protected]
Gentile Redazione di OLTRE,
ho sentito che l’ultima Finanziaria contempla alcune novità
che riguardano le cosiddette
“detrazioni”. Sono chiamate in
causa anche quelle per eventuali badanti?
Cara Lettrice,
purtroppo l'art. 40 del Decreto di
luglio prevede un taglio lineare della quasi totalità delle agevolazioni
fiscali per la maggioranza dei contribuenti. Per l’esattezza, la diminuzione sarà pari al 5% dal 2012 e
al 20% nel 2013.
Per farle un esempio, se fino ad oggi detraeva mille euro di spese sanitarie, dal 2012 ne potrà detrarre
il 5% in meno, quindi 950 e 800 nel
2013. Le ricordo inoltre che il taglio
riguarda anche altre detrazioni, come quelle per i carichi di famiglia,
per il mutuo relativo alla prima casa, per la bandante, gli ausili, i veicoli adattati e altro ancora.
Caro OLTRE,
mi chiamo Luciano e sono in
carrozzina da anni. Vorrei poter programmare un viaggio
per Natale ma per raggiungere
la destinazione che ho scelto
dovrò necessariamente ricorrere all’aereo. Qual è dunque
l’iter da seguire da parte di una
persona disabile per riuscire a
“spiccare il volo”?
Gentile Luciano,
nonostante ogni Compagnia aerea
disponga di procedure proprie in
merito, tutte devono comunque fare
sempre riferimento a un preciso Regolamento approntato dalla Comunità Europea in materia di volo e
disabilità. Ricordiamo innanzitutto
che dal 26 luglio 2008 sono entrate
in vigore le nuove norme europee
sui diritti delle persone con disabilità e delle persone con mobilità ridotta all’interno degli aeroporti; tra
le novità, la garanzia di protezione
da ogni discriminazione e
un’assistenza adeguata negli aeroporti dell’Unione europea.
L’articolo 3 del Regolamento CE n.
1107/2006, che riguarda oltre 50
milioni di cittadini, stabilisce infatti che non sarà più possibile per
«un vettore aereo, un suo agente o
un operatore turistico, rifiutare, per
motivi di disabilità o mobilità ridotta, una prenotazione per un volo
in partenza o in arrivo a un aeroporto al quale si applica il presente
regolamento;
non sarà possibile rifiutare l’imbarco di una persona
con disabilità o con mobilità ridotta
in tale aeroporto, purché la persona
interessata sia in possesso di un
biglietto valido e di una prenotazione». Per quanto riguarda l’assistenza, sappia che ogni aeroporto
dovrà essere in grado di garantirla
gratuitamente purché la richiesta
sia stata fatta almeno 48 ore prima
della partenza e attraverso servizi
di imbarco, sbarco, disponibilità di
ascensori e di sedie a rotelle, aiuto
negli spostamenti verso il banco del
check-in oppure nella sala per il
ritiro del bagaglio o alla toilette; e
ancora, assistenza nelle operazioni
di check-in e di registrazione del
bagaglio, per le procedure di immi-
grazione e per quelle doganali. Ricordiamo poi che il personale operativo presso l’aeroporto dovrà soddisfare le necessità delle persone con
problemi di mobilità. Quelle che abbiamo proposto sono soltanto alcune delle norme previste dal Regolamento mentre precisiamo, a
scanso di equivoci, che può essere
considerata disabile «qualsiasi persona la cui mobilità sia ridotta,
nell’uso del trasporto, a causa di
qualsiasi disabilità fisica
(sensoriale o motoria, temporanea o
permanente) o intellettiva, per
ragioni di età, e la cui condizione
richieda un’attenzione adeguata e
un adattamento del servizio fornito
a tutti i passeggeri».
Gentili,
potreste spiegarmi che cos’è il
PEBA?
Trattasi di un acronimo, ovvero di
una sigla che identifica il “Piano di
eliminazione delle barriere architettoniche” di cui qualsiasi Comune
cittadino dovrebbe essere dotato obbligatoriamente anche se poi, nella
realtà dei fatti, non è propriamente
così. Previsto dalla normativa vigente (legge 41/1986, legge
104/1992, legge regionale 16/2007)
è, in sintesi, lo strumento tecnico a
disposizione del Comune per rendere la città più accessibile alle persone disabili; contiene infatti la rilevazione e la classificazione di tutte
le barriere architettoniche presenti
negli spazi pubblici e negli edifici di
proprietà comunale e soprattutto le
proposte per la loro eliminazione
con i costi degli eventuali interventi
di abbattimento.
Chiunque volesse scrivere alla Redazione di Oltre può inviare le proprie domande o eventuali contributi
al seguente indirizzo di posta elettronica:
[email protected]
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CURIOSABILE...
TUTTE LE NOVITÀ DAL MONDO DEGLI AUSILI A SERVIZIO DELL’HANDICAP
I guanti servono per leggere
Lo sanno bene le persone non vedenti che adesso, grazie a Thimble, potranno usufruire
dei touchscreen come tutti
Se eravate convinti che i guanti servissero solo per proteggere le mani dagli agenti atmosferici sappiate che alcuni, al giorno d’oggi, possono addirittura consentire
alle persone non vedenti di leggere. La
notizia arriva direttamente dalla Washington University dove due studenti,
Erik Hedberg e Zack Bennet, hanno realizzato il rivoluzionario accessorio. Si
chiama Thimble e si tratta sostanzialmente di un guanto che, indossato, è in
grado di convertire via bluetooth i testi
dalla forma scritta a impulsi trasformati
in feedback tattile per consentire così la
lettura di note, e-mail, sms su iPhone e
iPod Touch. Il ditale è inoltre munito di
un microfono e della funzione di geolocalizzazione in modo tale che l'utente possa
sempre conoscere la propria posizione GPS semplicemente domandando "dove mi trovo?" al proprio Smartphone.
Sul polpastrello si trova inoltre una microcamera che invia le immagini al processore interno per la conversione a
Braille; questa sorta di microscanner, posizionato sul dito, permette quindi di percepire in rilievo non solo i dati
contenuti nello Smartphone stesso ma anche nei testi cartacei.
Addio pulsantiera,
l’ascensore si gestisce con un tag
Si chiama Tecno Proximity Control e promette di essere
un valido supporto per persone non vedenti o con handicap motori
Da oggi in poi coloro i quali sono colpiti da disabilità fisica e cecità potranno contare sul supporto di Tecno Proximity Control per
utilizzare l’ascensore nel modo più agevole possibile. La pulsantiera per chiamarlo e per farsi condurre ai piani diventerà dunque superflua, non necessaria, mentre l’utente colpito da handicap visivo o motorio e le persone con le mani momentaneamente
occupate potranno essere riconosciute automaticamente
dall’ascensore stesso senza muovere un solo dito ma unicamente
grazie a un tag di identificazione. Tecno Proximity Control, che
al momento è ancora soltanto un prototipo, potrà essere impiegato anche per il controllo dell’accesso ai piani permettendo così lo
sbarco soltanto alle persone autorizzate e soprattutto munite di
codice identificativo.
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C’è chi guida proprio con i piedi
Si chiama David Rivas e ha dovuto imparare
a farlo a causa della sua disabilità.
Essendo nato senza il braccio destro e con un
moncherino inservibile a sinistra si è dovuto
quindi guardare attorno e rendersi conto che
per poter guidare non c’era altra scelta se
non quella di ricorrere ad altre estremità,
ossia i suoi piedi. E così il trentatreenne spagnolo David Rivas, con un po’ di ingegno ma
soprattutto tanta fatica, si è dovuto allenare
duramente presso una Scuola di guida di
Madrid, circa dieci ore al giorno per oltre un
mese, così da poter realizzare il suo sogno,
guidare l’auto. E la patente è riuscito infine
a ottenerla utilizzando il piede sinistro per
manovrare il volante e quello destro per gestire invece freno e acceleratore.
.Chi bello vuol comparir con lo specchio deve interagir …
Il sistema si basa su una tecnologia capace di rilevare attraverso lo specchio dotato di telecamere e
sensori applicati sulla pelle lo stato di salute e le condizioni generali della stessa mentre laptop
e telefonino tengono costantemente monitorate le tue condizioni
“Specchio specchio delle mie brame, chi sta meglio oggi di tutto il
reame?”. Molto presto, probabilmente, potrete chiederlo anche
voi al vostro specchio e se non
altro quando Ming-Zher Poh,
studente del programma Health
Sciences and Technology
dell'Harvard-MIT, con l'aiuto del
collega Daniel McDuff del Media
Lab e del professore di Media
Arts and Sciences, Rosalind Picard, avranno finito di mettere a
punto il sistema a dir poco innovativo e rivoluzionario sul quale
stanno lavorando. Trattasi di un
ausilio basato essenzialmente su
una tecnologia in grado di rilevare importanti dati sulla salute dei pazienti in maniera assolutamente non invasiva, utilizzando semplici telecamere a basso costo, come le webcam dei computer portatili incorporate nello specchio di casa e sensori applicati
sulla cute. Il software, in sostanza, identifica la posizione del volto nell'immagine e analizza la tonalità della pelle
rilevandone le variazioni cromatiche prodotte dai vasi sanguigni sottocutanei e le pulsazioni mentre i dati vengono
comparati con quelli dei giorni precedenti. I risultati ottenuti sino a questo momento sono stati certamente incoraggianti anche se i limiti del sistema, su cui i tre ricercatori stanno lavorando, sono due; i movimenti del soggetto
e le variazioni della luce.
Un nastro adesivo per riconoscere
gli oggetti
La sclerosi multipla si combatte
con il casco
Braille Tape consentirà di realizzare etichette
nel linguaggio dei ciechi
Al momento sembra che abbia effetti superiori
ai farmaci ma la ricerca scientifica procede comunque con prudenza nonostante gli incoraggianti risultati
Sono stati tre designer sudcoreani a compiere quel passo in più rispetto al passato e a firmare così un progetto che ha il sapore dell’innovazione e del progresso e
che aiuterà le persone cieche o ipovedenti a riconoscere
gli oggetti di uso comune a casa e a lavoro senza confonderli e senza incorrere in errori relativi al contenuto
degli stessi. Il progetto, che prende le mosse da qualcosa che già di fatto esisteva, riguarda sostanzialmente
la creazione di etichette da apporre su barattoli e oggetti di varia natura realizzate con uno speciale nastro, difforme da quello che si usava precedentemente.
Si tratta infatti di un particolare tipo di scotch che presenta sulla superficie piccole bollicine sulle quali fare
pressione semplicemente con l'unghia per eliminare
così i punti in rilievo che non servono e per realizzare
in braille le parole necessarie a definire bottiglie,
astucci, detergenti e altro ancora. Un’innovazione certamente, che promette di semplificare la vita di chi
non può contare sui propri occhi.
Sottoporsi a mille stimoli per quarantacinque minuti
al giorno e per cinque giorni a settimana semplicemente indossando un casco a onde elettromagnetiche capace di fare arrivare gli impulsi elettrici a una profondità
di sei centimetri nella corteccia cerebrale. È stata questa la sfida firmata congiuntamente da Italia e Israele
per tentare di trovare una risposta alla Sclerosi multipla, una delle più frequenti malattie neurologiche fra i
giovani adulti che riguarda circa 2,5 milioni di individui nel mondo e che si conferma come espressione di
un danno progressivo alle fibre nervose e al loro rivestimento protettivo, la guaina mielinica, sia a livello
dell'encefalo sia a livello del midollo spinale. Lo studio,
che al momento ha dato risultati davvero incoraggianti ma che comunque la Comunità scientifica si riserva
ovviamente di approfondire ancora, ha riguardato pazienti affetti da Sclerosi multipla progressiva sottoposti a riabilitazione con trattamenti fisioterapici.
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Comunicare con il pensiero
Intervista al ricercatore Riccardo Budai
Carolina Laperchia
Comunicare con il pensiero.
Senza aprire bocca, senza muovere un solo arto,
rinunciando a qualsiasi tipo di espressione facciale e
contando solo ed esclusivamente sulle proprie onde
cerebrali. Onde generate involontariamente, raccolte a
dovere da un elettroencefalogramma, sapientemente
decodificate da un protocollo standard e destinate infine a tradursi in ciò che avevamo intenzione di dire a
voce e che avremmo certamente detto se avessimo potuto contare ancora sulla nostra facoltà di espressione
orale.
Sì, perché i sistemi di BCI (Brain Computer Interface) potrebbero rivelarsi utili nell’ambito della disabilità
in special modo e consentire
quindi a persone colpite da paralisi fonatorie o malattie degenerative di esprimersi ancora.
«Questo sistema potrebbe anche supportare le diagnosi e
aiutare i medici a capire per
esempio se il paziente è in stato
vegetativo o di minima coscienza. La diagnostica differenziale
tra queste due condizioni è infatti estremamente critica e la
BCI potrebbe dunque rivelarsi
molto utile in tal senso. Affinamento diagnostico quindi, senza mai tuttavia dimenticare l’aspetto comunicativo in soggetti colpiti da handicap importanti».
A spiegarlo è il dott. Riccardo Budai, responsabile
della SOS di Neurofisiologia Clinica dell’Azienda Ospedaliero - Universitaria Santa Maria della Misericordia
di Udine che da due anni, in stretta sinergia con il Laboratorio di Interazione Uomo - Macchina dell’ateneo
friulano, diretto dal prof. Luca Chittaro, porta avanti
le sperimentazioni con risultati incoraggianti
nell’ambito di un progetto titanico, che ha un sapore
quasi fantascientifico.
«Il concetto è questo – chiarisce subito il dott. Budai, mentre ricorda che sul piatto c’è un lavoro a dir
poco corale che in questi anni ha potuto contare anche
sulla collaborazione, tra gli altri, dell’Ufficio H della
Comunità Piergiorgio Onlus di Udine - La BCI ha sostanzialmente bisogno di un’informazione in tempo
reale che arriva direttamente dal cervello del soggetto
attraverso un’amplificazione intermedia, dopodiché
serve anche qualcosa che registri l’informazione stessa
e che la classifichi secondo specifici algoritmi».
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Dott. Budai, prima di entrare nel vivo della questione, che cosa serve materialmente per avviare
una sperimentazione di BCI?
Innanzitutto c’è bisogno di un certo numero di elettrodi che devono essere applicati in specifici punti del
cranio
e
che
vanno
poi
collegati
all’elettroencefalogramma, a sua volta collegato a una
macchina dedicata e ad un monitor per scrivere.
Due anni fa avete avviato queste sperimentazioni utilizzando inizialmente il protocollo legato ai
“potenziali visivi”. Che cosa vuol dire di fatto?
All’utente viene in sostanza presentata una matrice
costituita da righe e da colonne e divisa quindi in tanti
quadratini all’interno dei quali
compaiono, in modo del tutto
casuale, delle lettere che si illuminano ad intervalli di tempo
casuali. Hanno tutte la stessa
luminosità eppure ad un certo
punto la lettera cui teoricamente l’utente sta pensando si illumina più delle altre stimolando
dunque una reazione automatica nel cervello che produce così
un segnale di attenzione, il cosiddetto P300, tradotto poi fattivamente nella lettera della parola che l’utente desidera scrivere e cui sta pensando. Questo è proprio il
tipo di BCI in cui il soggetto resta in attesa che
l’evento desiderato accada e quando lo stesso si verifica
davvero, allora il sistema lo rileva attraverso gli elettrodi precedentemente collocati sul cranio.
Prima di poter utilizzare il sistema, la persona
che intende utilizzarlo deve essere tuttavia sottoposta a una fase preparatoria e ad una di addestramento.
Quanto
risulta
impegnativa
quest’ultima?
Nella nostra esperienza la fase addestrativa può
durare fino a un’ora, ma solo nelle migliori condizioni;
resta comunque piuttosto pesante in termini di tempo
impiegato ed è fortemente correlata alla motivazione
del soggetto che vi viene sottoposto. È tuttavia una
fase persistente nel senso che anche a distanza di qualche mese il sistema, memore dei dati precedentemente
registrati, li ricorda e quindi non è necessario iterare
l’addestramento.
Dopo l’utilizzo dei potenziali visivi da qualche
mese siete passati a un altro protocollo, basato
questa volta sui segnali uditivi…
Esatto. In questo caso il soggetto ha la possibilità di
percepire soltanto lo stimolo uditivo e quindi suoni,
semplici o tonali, e parole complete, anche se al momento ci siamo fermati sulle singole parole rappresentate da numeri.
I risultati ottenuti sino a questo momento come
possono essere valutati?
Il bilancio, per adesso, è piuttosto positivo. Per
quanto riguarda infatti questo secondo protocollo, basato appunto sull’utilizzo dei segnali uditivi e sul quale
stiamo lavorando dal mese di gennaio, siamo
sull’ordine dell’ 83% di risposte esatte. Il nostro intento, a questo punto, è sfruttare il canale uditivo per riuscire a costruire intere frasi arrivando ad avere infine
due filoni, visivo e uditivo appunto, dotati di pari efficacia.
Dott. Budai, un’ultima domanda. Il progetto di
BCI sino a questo momento su chi è stato sperimentato?
Ad oggi abbiamo testato i due protocolli soltanto su
soggetti sani creando così una sorta di “punto di partenza” del lavoro ma presto, e in collaborazione con
altri istituti, lo sperimenteremo anche su persone colpite da handicap importanti.
L’associazione
Il “Pensatore” affronta una
malattia rara: l’osteosarcoma
La Onlus Il Pensatore: Matteo Amitrano è nata per
ricordare Matteo, un ragazzo di 22 anni che alla soglia
della sua Laurea in Fisica è stato fermato dall'osteosarcoma.
L'osteosarcoma è un tumore raro. Si calcola infatti
che siano meno di 150 i casi annualmente diagnosticati in Italia. Pur potendo comparire a qualsiasi età, si
tratta di un tumore a prevalente insorgenza nei bambini, adolescenti e nei giovani adulti. La malattia si
manifesta con dolore e tumefazione, sintomi frequentemente attribuiti, in prima battuta, ad esiti di precedenti traumi. Attualmente circa il 70% dei pazienti
può guarire grazie a trattamenti integrati chirurgici e
chemioterapici. Molto, però, resta ancora da scoprire
in fatto di cura dell'osteosarcoma.
Lo scopo della Onlus Il Pensatore è dare un contributo alla ricerca e un forte sostegno a quanti sono costretti ad affrontare il peso della malattia. In questi
tre anni di attività la Onlus sta finanziando una borsa
di studio presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna sulla farmaco—resistenza. Nello specifico, lo studio riguarda la “Valutazione immunoistochimica e molecolare di fattori potenzialmente condizionanti la risposta istologica in pazienti con osteosarcoma”. I primi
parziali dati di questa ricerca sono stati presentati dal
responsabile della stessa, il Dr. Stefano Ferrari, al
CTOS 2011 Meeting di Chicago (26-29 ott 2011).
La borsa ha dato inoltre la possibilità a un giovane
ricercatore di continuare a lavorare in Italia. Attualmente è in fase di finanziamento un ulteriore Progetto
di Ricerca riguardante il Significato prognostico dei
miRNAs nel sarcoma di Ewing. Lo studio verrà effettuato presso il Laboratorio di Ricerca dell’ Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna e sarà coordinato dalla
Dr.ssa K.Scotlandi. Anche in questo caso la borsa verrà assegnata a un giovane laureato.
La Onlus trova le sue forme di finanziamento
all’interno di iniziative di vario genere come concerti,
bomboniere solidali, raccolte di fondi nelle piazze e
nella generosità di quanti ne condividono i progetti e
le finalità. Nel 2010 sono nati i gruppi di lettura Il
Pensatore, iniziativa nata da persone che mensilmente
si riuniscono per cenare insieme e parlare di un libro
scelto appositamente.
Un’occasione per condividere convivialità e letture
nel segno della solidarietà. Ogni socio, infatti, versa
una quota volontaria di partecipazione al gruppo che
serve a finanziare i progetti della Onlus.
Per contatti e informazioni:
www.ilpensatoreonlus.it
È possibile sostenerci :
C.C.P. 000094274339
IBAN IT 60 W-07601-03200-000094274339
5 PER MILLE CF 97525190589
La Onlus è stata fondata da quanti hanno conosciuto e amato Matteo e è il tentativo di rimettere in moto
energie bloccate dal dolore della perdita e finalizzarle
alla ricerca di strumenti che possano evitare in un futuro, speriamo non lontano, percorsi di sofferenza causati dall’osteosarcoma.
9
La Piergiorgio ancora una volta esempio di buona prassi
Una delegazione proveniente dal Montenegro è stata in visita presso la Onlus
udinese per comprenderne il funzionamento
Dopo Turchia, Serbia, India, Cina, Austria e Germania la Comunità Piergiorgio ha aperto ancora una volta
le proprie porte a una nuova delegazione straniera proveniente, questa volta, dal Montenegro, la giovane repubblica balcanica nata nel 2006 a seguito del referendum per l’indipendenza che ne ha sancito il distacco
dalla Serbia. Nove persone accompagnate dal dr. Luciano Innocente dell’ASS 6 “Pordenonese” sono giunte in
Comunità a rappresentanza di associazioni di disabili
motori e sensoriali e di enti pubblici che si occupano
dell’inserimento lavorativo di persone in difficoltà.
precisa ancora il dott. Pin - e si sono mostrate tutte fortemente interessate alla nostra realtà e di certo motivate a comprenderne il funzionamento per poter poi
migliorare anche i propri servizi».
La visita si è collocata all’interno del progetto di
“assistenza tecnica allo sviluppo dei servizi di inserimento lavorativo delle persone disabili nella municipalità di Niksic” che si pone anche l’obbiettivo di rafforzare il ruolo degli attori locali (ADL, Municipalità, terzo
settore) nella promozione dell’inclusione sociale con
particolare attenzione all’empowerment delle persone
disabili e al sostegno dei loro diritti.
I membri della delegazione, rimasti oltre due ore in
Comunità, hanno scelto di spostarsi dalla città di Niksic, seconda realtà urbana montenegrina e collocata
nell'omonima piana ai piedi del monte Trebjesa, per
raggiungere e vedere personalmente le realtà operanti
in Regione e in particolar modo la Piergiorgio.
«È stata un’opportunità davvero interessante e ricca
di significato per tutti noi; una visita che non solo ci ha
permesso di confrontarci nuovamente con un’altra realtà al di fuori dei nostri confini strettamente territoriali
ma che ci ha dato anche la possibilità di essere ancora
una volta modello di riferimento per chi come noi
all’estero è impegnato attivamente e giorno dopo giorno
nel sociale». A spiegarlo è il dott. Enrico Pin, consulente informatico presso l’Ufficio H della Comunità Piergiorgio.
L’occasione della visita della delegazione montenegrina ha permesso di presentare la Onlus, il suo funzionamento e i servizi caratterizzanti. «Le persone arrivate da questa realtà hanno fatto moltissime domande 10
Il nome della Repubblica del Montenegro fa
riferimento al colore scuro e intenso delle foreste
che un tempo coprivano le Alpi Dinariche, così
come era possibile vederle dal mare. Nella maggior parte delle lingue indoeuropee non slave si è
affermata la dizione veneta introdotta dai Veneziani.
Un'altra tesi suggerisce che il nome Montenegro
derivi dalla famiglia imperiale bizantina dei
Comneno: esso fu cambiato, nel Medioevo, dal
greco Κομνηνός nello slavo Černetić, la cui radice
“čern”, in antico slavo “nero”, ha dato il nome alla nazione del Montenegro, dal capostipite Stefan
Černoe, Stefano il Nero). Prima dei Černetić, la
nazione balcanica si chiamava Principato di Zeta. Un'altra tesi ancora fa derivare il nome dal
fatto che in epoca medioevale l'area era abitata
da popolazioni latine, dette appunto nigri latini.
Gli handicappati non vanno in bagno!
Barbara Porcella
Quando la domenica successiva al viaggio a
Dusseldorf per la fiera sugli ausili sono uscita da
casa per fare colazione, il sole era alto in cielo e il
clima ancora vagamente estivo. I tre giorni in fiera
erano stati impegnativi ma anche divertenti. Lungo la strada per il bar mi imbatto nella maratonina
di Udine e in un paio di cicloni (biciclette che si
“pedalano” con le braccia, guidate da alcuni disabili); sorrido, pensando che forse l’Italia non è poi
così indietro nel mondo della disabilità rispetto alla
Germania e, respirando il profumo del sole, entro
nel bar.
Subito dopo di me entra anche il proprietario
del locale sbuffando e
imprecando «Ma come si
fa» dice concitato ad una
signora lì presente «a
mettere tanti bagni mobili lungo la strada» e continuando con un tono
sempre più seccato «ci
sono i bagni per gli uomini, quelli per le donne e
quelli per gli handicappati!!! Non capisco proprio a cosa servano
quest’ultimi! Alla maratonina gli handicappati
mica partecipano!!!».
La signora, visibilmente imbarazzata, tenta una vana difesa dei
disabili sottolineando il
fatto che i bagni, forse, non sono per i maratoneti
ma per gli spettatori.
Il proprietario del bar, sempre più concitato e
visibilmente seccato, la apostrofa con toni pesanti
«Ma signora!!! - le dice alzando notevolmente il
volume della voce - “coooosa diceeee!!!...»; vengo
investita dalle vocali della frase che mi spettinano i
capelli già dritti dalle affermazioni precedenti, quasi non voglio sentire quello che segue.
Il proprietario del locale però non sembra voler
concludere la sua profonda disquisizione e rivolgendosi sempre alla stessa signora, ormai fattasi
piccola piccola, continua: «Cosa sta dicendo signora??? Cosa vuole che se ne facciano gli handicappa-
ti di un bagno pubblico?! Chi è sulla carrozzella
non va in bagno!!! Come fa ad andare in bagno???» e ripete nervosamente «Gli handicappati
non vanno in bagno!».
Quasi mi cappotto dalla sedia, il caffè mi va di
traverso e la brioches mi si blocca sullo stomaco!.
Sono pietrificata e ripenso a Dusseldorf e a quel
ragazzo, focomelico, senza braccia e senza gambe
che da solo, con la carrozzina elettronica, ha preso
la metropolitana da casa sua, è arrivato in fiera e
l’ha visitata tutta, completamente indipendente,
completamente autonomo.
E penso anche a quella giovane tetraplegica
con il suo comunicatore
simbolico che racconta al
mondo le proprie vicissitudini. E a quel bambino
piccolissimo che sulla
carrozzina
altrettanto
piccola scorazza per i
padiglioni rincorso dal
papà.
Improvvisamente mi
rendo conto che in Italia
anche da adolescenti i
ragazzi si lasciano per
anni sui passeggini prima di dar loro una carrozzina, che la comunicazione simbolica basata
sulle immagini e destinata a tutti coloro che non
sanno leggere e scrivere
ancora non si è diffusa e che un mondo di barriere
architettoniche spesso impedisce a chi ha problemi motori di muoversi.
Così constato amaramente che siamo ancora
lontani da una situazione culturale simile a quella della Germania o di altri paesi del nord Europa. E sconsolata esco dal bar lottando con
l’incredibile voglia di chiedere al proprietario se
secondo lui il fatto che gli handicappati non vadano in bagno sia legato ad un serio e diffuso problema di stipsi…
11
PROVE PRATICHE DI DISABILITÀ
Pierluigi Giuliano
Passeggiando per la strada le cose che ci infastidiscono un po' sono le auto parcheggiate sul marciapiede
o i “lavori in corso” che ci costringono ad attraversare la
strada schivando auto e biciclette, ma subito dopo la
nostra attenzione e' distratta dalle vetrine e non ci pensiamo più.
Quando mi è stata proposta
l'esperienza di provare per
qualche ora a vivere su di
una sedia a rotelle ho pensato che sarebbe stato istruttivo mettersi nei panni
di chi non è autonomo come
lo sono io ma mai avrei immaginato che questa esperienza avrebbe cambiato
anche le sensazioni di una
tranquilla passeggiata.
Non so perché ma non sono
mai voluto salire su di una
sedia a rotelle, neanche
quando, tempo fa, ho usato le stampelle a causa di un
menisco dispettoso e forse l'aver accettato subito questa
prova era anche per combattere questa mia piccola fobia.
Il luogo della prova è una cooperativa dove lavorano
molti disabili, non so se il termine sia giusto ma non
credo che siano le parole a creare i ghetti ma le persone, vengo subito accolto con affetto. La sensazione è che
le persone che vi lavorano formino un gruppo compatto
e armonioso ma soprattutto aperto al nuovo arrivato. Il
risultato è che mi sono trovato subito in sintonia con
loro, cosa per me non facile, e durante il pranzo questo
legame si è ulteriormente rafforzato tanto che il timore
nel guardare le carrozzelle allineate in fondo alla stanza si è un po' placato.
Finito il pranzo iniziamo, mi avvicino a quella che
mi è stata assegnata e mi devo costringere un po' per
salirci, sto abbastanza comodo ma mi devo ricordare
che da quel momento non devo più sentire le gambe.
Sto un po' più scomodo. Esco dalla stanza perché voglio
stare un po' da solo per abituarmi all'idea, per calarmi
nel personaggio, come in un film. Così giro un po' per la
cooperativa, provando piccole salite, faticose, la strada,
quasi un trappola. I binari del cancello che sulle mie
gambe avevo superato brillantemente e senza accorgermi adesso diventano un ostacolo che deve essere superato piano e con tecnica per non ribaltarmi. Continuo a
superare tanti piccoli ostacoli su quella strada che
quando sono arrivato avevo percorso senza pensare.
Ogni tanto incrocio qualcuno della cooperativa che mi
guarda incuriosito e io, non so perché ma mi vergogno
un po'. Intanto il tempo passa ed io sono sempre più
scomodo, ma resisto.
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Il programma prevede la salita e la discesa da un'auto.
Provo e cercando di non usare le gambe riesco faticosamente ad entrare, mi fermo un attimo per riposare
pensando a come ritornare sulla sedia a rotelle, parto e
con ancora più fatica atterro sul sellino. Ripenso ad i
movimenti che ho fatto, non ci sarei mai riuscito senza
imbrogliare un po'. Il tempo passa e ci sono altri percorsi e prove da fare e io sto scomodissimo, mi sposto un
po' per trovare una posizione più comoda ma dopo pochi
minuti è come prima. Cerco di distrarmi un po' salendo
per una stretta rampa delimitata da due ringhiere che
sale in una casa, fatico moltissimo sia a salire sia ad
impedire che la sedia a rotelle torni al punto di partenza, finalmente arrivo al pianerottolo e orgogliosamente
mi giro, una ragazza del gruppo mi segue ma con le
mani sulla ringhiera si tira su veloce e sicura, il mio
orgoglio arrossisce, non farò mai un test per l'intelligenza.
Sono passate parecchie ore, o almeno a me sembra
così, e ci avviciniamo alla conclusione della prova,sono
intorpidito, non riesco più a star seduto ma temo il momento in cui dovrò alzarmi, tornare “normale”. Ritorniamo nella stanza da cui siamo partiti, mi sistemo un
po' in disparte, mi rilasso un attimo, chiudo gli occhi e
mi alzo. Faccio subito qualche passo, forse ho paura di
non saper più camminare, mi do dello stupido e non è
la prima volta oggi.
Tirare le conclusioni dopo queste ore non è facile,
posso dire che adesso quando passeggiando incontro
qualche asperità nel terreno, il binario di un portone,
uno scivolo del marciapiede con un piccolo gradino, mi
ritorna in mente quel pomeriggio e le difficoltà che ho
incontrato nel superare questi invisibili ostacoli, adesso
guardo con odio chi parcheggia l'auto nei posti riservati
ai disabili; ma non è solo questo, è la sensazione di aver
provato, anche se per poco, una mancanza di libertà nel
fare quelle tante, piccole cose quotidiane che non mi
accorgevo neanche di fare, è l'aver provato quanto è più
complicata la vita su di una sedia a rotelle ma soprattutto aver provato l'atmosfera serena di quel gruppo
eterogeneo di persone, persone speciali che normalmente non si incontrano in giro per negozi o nei bar perché
hanno di meglio da fare.
Intervista di Stefano Scarafile
“Della solidarietà, se ne fa un gran parlare e solitamente è intesa come “dare o fare” solidarietà.
La giornata “prove pratiche di solidarietà”, nasce con il
preciso scopo di lasciar intendere, che l’argomento non
tratta nè di “donare e neppure di fare” ma se vogliamo
di “essere”!
Queste le prime parole di Katia Mignogna, Presidente della Cooperativa Arte e Libro Onlus di Udine,
durante l’intervista svoltasi pochi giorni dopo la buona
riuscita del progetto “prove pratiche di solidarietà”.
Carissima Katia, quindi è così, l’idea è nata una
mattina durante una pausa caffè, dopo il quale….?
Sì, è proprio così, da tempo meditavo la possibilità
di provare, e di far provare, l’esperienza della quotidianità in carrozzina; per questa ragione quella mattina ti
chiesi di bere un caffè insieme. Quell’incontro rappresentò l’inizio di una nuova e affiatata collaborazione tra
Arte e Libro e Ufficio H della comunità Piergiorgio Onlus di Udine.
I mesi estivi servirono per decidere quali attività inserire nella giornata dedicata alla “prove pratiche di solidarietà” e quale miglior modo, se non provare in prima
persona le attività che avremmo voluto far provare? Fu
così che a giugno, si svolsero LE PROVE delle “prove
pratiche di solidarietà”, che coinvolsero i consulenti ed i
terapisti dell’Ufficio H, alcuni soci di Arte e Libro, ed
alcuni amici esterni, desiderosi di mettersi in gioco:
tutti, ovviamente, normodotati!
Il risultato fu entusiasmante e capimmo di essere pronti per proporre questa esperienza anche a persone non
vicine al mondo della disabilità.
In quali prove vi siete cimentati?
Decidemmo di suddividere il percorso in tre parti,
della durata massima di cinque ore complessive. La
prima parte fu coordinata da Mauro Costantini, docente ipovedente, il quale iniziò il programma di educazione musicale chiedendo ai partecipanti di stare bendati
per tutta la durata dell’esercizio che prevedeva l’ascolto
di alcuni brani, molto diversi tra loro, con lo scopo di
concentrarsi solo sulla musica e sui rumori di fondo,
per poter trasmettere queste nuove emozioni, sempre
bendati, su un pezzo di carta.
Sempre bendati, i partecipanti furono accompagnati
a conoscere l’ambiente circostante, attraversando alcuni ambienti della Comunità Piergiorgio, sede della giornata. Il percorso si concluse con l’arrivo in sala mostre,
dove i partecipanti furono prima seduti in carrozzina e
successivamente, sbendati. Questo passaggio, seppur
emotivamente forte, fu necessario per mantenere la
concentrazione durante le diverse fasi della giornata.
Infatti, anche se ‘prove’, l’intento era dare veridicità
alla condizione che la persona disabile vive quotidianamente. Qui ebbe inizio la seconda parte del pomeriggio
che, grazie alla professionalità dei consulenti Barbara
Porcella ed Enrico Pin dell’Ufficio H, fu possibile far
sperimentare diversi ausili, dai sofisticati puntatori
oculari per la comunicazione aumentativa alternativa,
ai sistemi definiti ‘poveri’ come la tabella alfabetica
trasparente (Etran). A seguire i soci della Cooperativa
Arte e Libro hanno intrattenuto gli ospiti con un break
di dolci e caffè, momento in cui hanno avuto modo di
presentarsi e di raccontare le loro attività nei laboratori dell’Arte e Libro.
Il gruppo ha proseguito con la visita alla residenza
della Comunità Piergiorgio, percorrendo in carrozzina
anche parte del quartiere di San Domenico. Le prove si
sono concluse con il trasferimento dalla carrozzina
all’auto adattata con comandi speciali di guida e con la
parte relativa alle attività di vita quotidiana, attività
coordinate da te, Sylvie Delvaille e Sabrina Degano.
Un percorso davvero impegnativo... E quindi come si è concluso il pomeriggio?
Consapevoli che l’esperienza avrebbe smosso la parte più intima ed emotiva delle persone, abbiamo coinvolto il dott. Aldo Galante, counselor clinico, con
l’obiettivo di aiutare il gruppo a fare sintesi della giornata ricca di esperienze e di riflessioni.
Ritengo infatti che ciascuno di noi abbia portato a casa
un’esperienza unica, che per quanto “uguale per tutti”
abbia offerto a ciascuno nuovi spunti di riflessione, nella speranza che dopo questa giornata la solidarietà non
sia intesa solo come fare e dare solidarietà, ma anche
essere solidarietà.
Per quanto mi riguarda, “mi porto a casa” molte emozioni; l’espressione dei volti delle persone che hanno
partecipato a questa avventura: ricordo bene la loro
espressione all’arrivo ed i loro sguardo alla partenza.
Mi porto a casa la frase di una cara amica disabile:
“alzati da quella carrozzina!”. Lei non fa le prove seduta in carrozzina, perché lei vive in carrozzina e per questo “sofferente nel vedermi soffrire”. Ma ha condiviso il
senso di questa esperienza ed il significato per un normodotato di privarsi o limitarsi nella sua libertà.
Pensi che le “Prove pratiche di solidarietà” avranno un seguito?
Sicuramente si! Testimonianza del bisogno di comprendere il mondo della disabilità lo offre un recente
articolo che vede il nostro sindaco Furio Honsell, impegnato in prima persona, seduto in carrozzina, a testare
la viabilità udinese. In attesa di ospitare il sindaco
presso la nostra struttura, non solo per farsi trasportare fisicamente ma anche empaticamente, in questo percorso, ringrazio di cuore Stefano Scarafile per aver condiviso e aiutato a dare vita a questo significativo progetto.
Chiudo, lasciandovi con un interrogativo:
Ma vi siete mai chiesti come facciano due persone in
carrozzina ad abbracciarsi?
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Dublino, nel mondo della postura e degli ausili
Il resoconto della Fiera da parte di una fisioterapista dell’Ufficio H
Sylvie Delvaille
Dal 7 al 10 novembre si è svolto a Dublino
l’European Seating Symposium, evento biennale collegato all’International seating symposium e organizzato
dal Central Remedial Clinic irlandese.
Quest’anno ho avuto finalmente la possibilità di parteciparvi e ho provato così l’esperienza di una vera e
propria full immersion nel mondo della postura seduta
e negli ausili ad essa dedicati.
Sono state giornate intensissime all’interno del nuovissimo Dublin Convention Center, con mattinate di
sessioni plenarie seguite da parte centrale della giornata e pomeriggi dedicati a numerosissimi workshops in
contemporanea, la cui scelta era veramente difficile,
dato che spesso
erano tutti molto
interessanti.
Le
pause caffè e parte
della pausa pranzo
davano la possibilità di visitare la
mini fiera allestita
all’interno del centro congressi in cui
vi era la possibilità di visionare le
novità sugli ausili
presentati
dalle
aziende
sponsor
del congresso, oltre ai poster con
piccoli studi clinici
presentati in aggiunta ai workshops.
Le serate dublinesi sono state all’insegna degli incontri conviviali, con
visite alla fabbrica–museo della mitica birra Guinness,
del whiskey irlandese e, naturalmente,serata al pub e
cena di gala dell’ESS con spettacolo di danze tipiche
irlandesi. È stato molto faticoso seguire con il mio inglese intermedio, ma non praticato, tutti gli interventi
in inglese del simposio, a parte alcune parentesi in cui
un traduttore francese faticava quanto me, specialmente negli interventi americani!
L’offerta formativa partiva da argomenti di base
come l’analisi della postura seduta e delle varie soluzioni possibili per migliorarla, a studi relativi all’analisi
delle forze e delle sollecitazioni messe in gioco dal gesto
funzionale che produce la spinta della carrozzina manuale,alla presentazione di studi e casi clinici riguardanti gli effetti della postura seduta sulla meccanica
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respiratorie, sulla funzionalità digestiva e sulla comunicazione: una review su tutte le difficoltà posturali in
relazione all’età,alla patologia e ai tipi di sistema scelti,all’utilizzo della carrozzina manuale a quella elettronica.
Particolare attenzione è stata posta alle problematiche relative all’accesso agli ausili, soprattutto in relazioni provenienti dagli Stati Uniti in cui da sempre il
sistema assicurativo penalizza gli utenti con difficoltà
economiche: si stanno creando vere e proprie associazioni che portano avanti una lotta proprio per permettere a tutte le persone con disabilità di poter accedere
agli ausili di base, quali possono essere le carrozzine;
anche nella nostra Europa della crisi il problema inizia
a farsi sentire e da più parti si è sottolineata
l’importanza, specialmente per i
bambini, di creare
un circuito di banche di ausili in
maniera tale da
garantire sempre
l’ausilio giusto al
momento giusto,
senza sprechi e
ritardi.
I relatori provenivano
prevalentemente dagli
Stati
Uniti,
dall’Irlanda, Canada, con qualche
intervento
da
Francia, Olanda,
Danimarca, Spagna, Slovenia, Australia e Brasile;
le professionalità erano prevalentemente quelle di terapisti occupazionale e fisioterapisti, seguiti da fisiatri e
neurologi.
Per l’Italia solamente il Dott. Guzzetta, neuropsichiatra infantile presso il Dipartimento di Neuroscienze dello sviluppo all’Istituto Stella Maris di Pisa, che ha
presentato un intervento dal titolo “Bambini e rischio
neurologico: Neuroplasticità e intervento precoce”. Sarebbe auspicabile che i colleghi italiani, presenti numerosi al congresso, si organizzassero anche per presentare tra due anni a Dublino anche qualche loro studio o
esperienza, dato che non abbiamo nulla da invidiare ai
colleghi stranieri… risorse a parte! Appuntamento
quindi tra due anni con qualche contributo in più
dall’Italia e con un training intensivo di lingua inglese,
per non perdersi nemmeno una parola.
Viaggi possibili
“Andata e ritorno”, un’agenzia per mete accessibili
La Comunità si rinnova
Un vero e proprio restyling per la Piergiorgio
Massimo Marconcini
Ciao, mi chiamo Massimo e sono una persona disabile in carrozzina da vent'anni e adesso ho voluto concretizzare un sogno.
Sono appassionato di viaggi da sempre, per uno spirito di intraprendenza legato al mio carattere, così ho
deciso di fare un'esperienza di viaggio diversa dal solito. Ho realizzato un sogno mettendo in piedi un’ agenzia di viaggi con un mio amico.
Dopo l'emozione, il pathos, l'iter burocratico, i corsi
di aggiornamento tematici a cui partecipiamo spesso e
che non finiscono mai, mi sono dunque cimentato finalmente nella prima esperienza diretta e ho scelto l'Egitto. Sono stato a Marsa Alam, sperimentando questa
località molto bella ma nella versione "villaggistica".
Ho voluto e potuto, come "agente di viaggio", visitare più villaggi di una catena molto nota nel panorama
villaggistico vedendo con i miei occhi, ma soprattutto
sperimentando direttamente "con le mie ruote", quanto
sia possibile fare vacanza nei villaggi.
Direi che, con un po' di spirito di adattamento, si
può andare ovunque, specie se accompagnati in modo
non forzato, ma possiamo essere soddisfatti e in autonomia quasi totale scegliendo alcune strutture.
Beh, su cinque villaggi, due li posso promuovere,
sugli altri tre direi invece che posso giudicarli solo parzialmente accessibili. Il mare, ad esempio, con una sedia a rotelle adeguata potrebbe essere goduto, anche
da pseudo sub, con diving e snorkeling ottenendo grandi soddisfazioni se fossimo in grado di organizzarci. Gli
stessi Villaggi ci possono mettere a disposizione anche
le strutture e le attrezzature ideali.
Un buon consiglio può essere comunque quello di
non aver timore a scegliere ma soprattutto di fidarsi di
chi è già stato nella struttura e l'ha visionata direttamente, altrimenti le barriere possono diventare insormontabili, specie in un Paese come l'Egitto, in questo
caso particolare, dove le normative sulle barriere architettoniche non sono certamente paragonabili a quelle Europee.
Personalmente l'Egitto nella versione "mare" e in
Villaggio è una bella esperienza, sicuramente da provare.
È una vacanza di sole, mare, rilassante e da godere
in ogni periodo dell'anno, essendo una meta a corto
raggio anche per la facilità dei collegamenti aerei, con
partenze nel Nord Italia e da tutti i principali aeroporti.
Nuova palestra, con sala d’attesa dedicata, e riorganizzazione del servizio di fisioterapia svolto sia per gli
utenti della Comunità sia per le persone esterne. Le
novità strutturali con cui la Piergiorgio si presenta al
pubblico per il 2012 sono davvero numerose e promettono oltretutto di moltiplicarsi anche per i prossimi
mesi.
«Da poco si è concluso il primo lotto di interventi
con la ristrutturazione dell’ambulatorio, adesso più
grande e funzionale, e con modifiche sostanziali apportate anche al Centro diurno della Comunità – spiega
Massimo Degano, consulente informatico dell’Ufficio
H, mentre ricorda anche gli interventi a favore dei dipendenti stessi della Piergiorgio e legati al servizio di
lavanderia e agli spogliatoi, resi certamente più ampi e
funzionali – Confidando in un ulteriore contributo regionale, nei prossimi mesi i lavori riguarderanno anche le aree destinate all’Ufficio H e alla Formazione,
senza dimenticare infine il rifacimento di gran parte
delle coperture della Piergiorgio che adesso, dopo tanti
anni, necessitano senza dubbio di qualche ritocco».
Per info:
[email protected]
tel. 045.6900612
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Progetto Clessidra
Provincia di Udine
GRANDE SUCCESSO PER I CARE GIVERS ALLA PIERGIORGIO
Si sono chiusi con un record di presenze i Corsi formativi per sviluppare
un’assistenza domiciliare più competente
Brevi, efficaci e soprattutto completi, tanto che il
gradimento espresso dai partecipanti e testimoniato
dai numeri, è stato addirittura superiore alle aspettative. E così i Corsi formativi organizzati tra settembre e
novembre 2011 dalla Comunità Piergiorgio, rivolti a
famigliari, badanti, assistenti e volontari per sviluppare un’assistenza domiciliare più competente, sono diventati tre anziché due, come invece previsto inizialmente. «Il bilancio che possiamo tracciare al termine di
questi tre percorsi didattici, contemplati all’interno del
progetto Domiciliarità Innovativa per le persone diversamente abili in situazione di gravità, è certamente
molto positivo – commenta il dott. Enrico Pin, consulente informatico presso l’Ufficio H – Il numero delle
richieste pervenute per seguirli è stato talmente elevato che almeno per quest’anno non abbiamo potuto soddisfare la domanda di una dozzina di persone altrettanto interessate e motivate». Gratuiti e strutturati su
quattro giornate complessive, così da sviluppare in poco
tempo un’assistenza domiciliare più competente ed efficace, i corsi per care givers hanno potuto contare non
soltanto su una forte presenza femminile ma soprattutto su un numero maggiore di “addetti ai lavori” che in
passato. «In effetti, rispetto agli anni scorsi, il dato relativo alla presenza di badanti tra gli allievi è cresciuto
sensibilmente, sia per lo sviluppo nel tempo di una
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maggiore consapevolezza personale sia per una più forte esigenza di professionalità richiesta dalle famiglie
stesse agli operatori – spiega ancora il dott. Pin, mentre ricorda che l’intera progettualità si inserisce nel
programma sperimentale realizzato dalla Provincia di
Udine, il Clessidra, che prevede inoltre l’erogazione dei
cosiddetti “moduli respiro”, brevi periodi di accoglienza
in determinate strutture assistenziali con la finalità di
favorire la permanenza delle persone disabili nelle proprie case – Abbiamo inoltre notato la significativa partecipazione anche da parte di persone che, a causa della forte crisi economica e della perdita del proprio lavoro, vi hanno partecipato nel tentativo di ricollocarsi
nuovamente in ambito professionale». E dopo aver parlato dunque di gestione e cura delle lesioni da decubito,
igiene personale e interventi di assistenza di base; dopo
aver affrontato il tema della relazione d’aiuto, postura
a letto, gestione della carrozzina e trasferimenti tecnici,
la Piergiorgio ha intanto già avviato una serie di nuove
giornate formative. «Sulla base delle indicazioni forniteci dagli stessi partecipanti ai corsi– aggiunge il dott.
Pin – abbiamo dunque deciso di realizzare alcuni seminari di approfondimento per completare così, e nel migliore dei modi, il felice percorso formativo avviato
qualche mese fa.
LA PIERGIORGIO AUGURA BUON ANNO CON IL
SUO NUOVO CALENDARIO
Dopo il successo dell’anno scorso esce il Lunario 2012 fatto dai ragazzi disabili del Corso di formazione in Marketing turistico
È ancora una volta un viaggio attraverso il territorio regionale
quello che la Comunità Piergiorgio Onlus di Udine si prepara ad offrire non soltanto ai friulani ma anche a quanti vogliano saperne di
più su questa terra; un viaggio intenso e appassionante di dodici mesi per scoprire i Comuni più interessanti e le aree naturali più belle
del Friuli Venezia Giulia che una decina di ragazzi disabili, allievi
del Corso di formazione in “Marketing turistico”, ha realizzato attraverso un corposo lavoro di ricerca con l’obiettivo, tra gli altri, di creare un oggetto utile e di indubbio valore.
«La volontà era quella di dare corpo ad un prodotto finito, concretamente utilizzabile dalla gente - spiega con giustificato orgoglio Davide Pillitu, docente del percorso didattico e coordinatore dell’intero
lavoro - Un oggetto destinato insomma a uscire dalle mura della Comunità Piergiorgio, che ne ha dato i natali, per arrivare felicemente
nelle case di tutti i friulani contribuendo soprattutto alla diffusione
di notizie e informazioni di alto valore culturale sul territorio stesso
in cui viviamo».
Finanziato dalla Onlus di piazza Libia e distribuito proprio in occasione delle festività natalizie dalla stessa Comunità Piergiorgio, il
Calendario 2012 ha alle spalle un grande lavoro corale che oltre
all’impegno dei ragazzi ha richiesto anche la partecipazione attiva
degli educatori.
«Un
doveroso
ringraziamento va naturalmente anche a loro che hanno seguito
con costanza e dedizione i nostri allievi disabili durante questo
corposo lavoro di studio e di ricerca – aggiunge Davide Pillitu,
mentre ricorda anche i CSRE di provenienza dei ragazzi partecipanti al progetto, quelli di via Piemonte e via Piutti di Udine e il
CSRE di Tarcento, senza dimenticare infine il contributo di un
ragazzo esterno, Roberto – Il lavoro svolto è ad alto richiamo turistico e ha portato i corsisti a lavorare con impegno sulla storia e
sulle bellezze artistiche e paesaggistiche del Friuli secondo però
un’ottica di promozione turistica del territorio».
Tarcento, Aquileia, Grado, Lignano, Tolmezzo, ma anche il
Parco delle Prealpi Giulie e le Dolomiti friulane. Ogni pagina del
Calendario 2012 della Comunità è dunque dominata
dall’approfondimento di uno dei preziosi gioielli del territorio regionale esplorato e consegnato ai lettori attraverso informazioni
di ordine storico, geografico e artistico.
«Sono davvero felice di questo prodotto finale che è in sostanza
il frutto più concreto e reale di tutto il nostro impegno e
dell’intero percorso didattico svolto sino a oggi – precisa ancora
Pillitu - Se non ci fosse stato questo importante lavoro di squadra
alle spalle, il progetto non sarebbe mai nato mentre invece oggi
noi abbiamo la possibilità di consegnarlo direttamente ai friulani
e di portarlo soprattutto nelle loro stesse case».
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DIDATTICA ALLE STELLE CON MARGHERITA HACK
ALLA PIERGIORGIO
La nota scienziata fiorentina attraverso le domande dei ragazzi disabili ha
tenuto una “lectio magistralis” di oltre un’ora sull’Universo e le sue leggi
Carolina Laperchia
Emozione a dire poco, grande entusiasmo e soprattutto tanta voglia di ascoltare dalla sua voce diretta,
chiara e pulita, la storia del Cielo, delle sue Stelle e dei
Pianeti. I ragazzi disabili della Comunità Piergiorgio
Onlus di Udine, che proprio martedì 21 giugno ha spalancato le sue porte alla nota astrofisica fiorentina
Margherita Hack, nell’ambito del Corso in “Teorie e
tecniche del linguaggio radiofonico” tenuto dalla sottoscritta, hanno dunque accolto la scienziata con grande
trepidazione rapportandosi a lei attraverso domande
finalizzate non soltanto a sapere qualcosa di più sulla
dimensione in cui viviamo ma anche sulla sua stessa
vita; una vita a dir poco intensa, costellata di straordinari successi, notevoli traguardi, largamente spesa nella ricerca scientifica e fortemente impegnata anche in
politica e nel sociale, a sostegno di grandi e importanti
battaglie. «La mia vita l’è una vita come tante ce n’è.
Forse sono stata più fortunata di altri perché ho avuto
una famiglia che mi ha lasciato di molto libera, che mi
è sempre stata d’incoraggiamento e che mi ha dato la
massima autonomia. Dal 1944 ho anche un compagno
al mio fianco che mi ha costantemente aiutato e in questo sono stata certamente privilegiata». Margherita
Hack, classe 1922, tra le menti più brillanti della Comunità scientifica italiana e il cui nome fa rima da
sempre con l’astrofisica mondiale, prima donna a dirigere un Osservatorio astronomico in Italia, lo ha ribadito con il suo immancabile accento fiorentino alla nutrita platea raccolta per la grande occasione nella Chiesa
di San Domenico così da poterla vedere da vicino e ascoltare le sue parole. Parole che si sono rapidamente
tradotte in una vera e propria lectio magistralis attraverso la quale la Hack, membro dell’Accademia dei Lincei e ancora oggi Direttore del Centro Interuniversitario Regionale per l'Astrofisica e la Cosmologia (CIRAC)
di Trieste, ha parlato per oltre un’ora.
Prof.ssa Hack, come mai Lei che studia cose tanto
importanti non crede in Dio? (Rita Pugnale)
«La scienza si basa sulle osservazioni e sugli esperimenti da cui cerca di capire le leggi che regolano
l’Universo mentre Dio non è dimostrabile scientificamente e quindi credere o non credere è un fatto del tutto
personale che risponde a uno specifico bisogno delle singole persone. C’è chi sente la necessità di credere perché
questo gli dà la speranza di poter vivere anche dopo la
18 18
morte, e magari una vita addirittura migliore. A me
sembra invece di credere in un’invenzione nata appositamente per tranquillizzarci».
Ritiene che nello spazio ci siano anche altre forme di vita diverse dalla nostra? (Rita Pugnale)
«Sì e questa è una domanda che già gli antichi greci
si facevano. Fino a pochi decenni fa si supponeva che
esistessero altri pianeti in orbita intorno ad altre stelle
diverse dal sole; non c’èra infatti nessun motivo per pensare che il nostro sistema solare fosse unico perché il
sole è una stella comunissima; io la chiamo “il cittadino
medio della via Lattea” ed era quindi molto probabile
che ci fossero altri pianeti anche se era difficile trovarli
perché i pianeti sono piccoli, non emettono luce propria
e sono molto vicini alla loro stella che però, a sua volta,
è certamente lontana da noi; quindi, in generale, risultano affogati nella luce della loro stella ma nel 1995 è
stato scoperto il primo pianeta extrasolare, ossia in orbita attorno ad un’altra stella, e oggi, a distanza di sedici
anni, ne conosciamo oltre cinquecento. Esistono due satelliti artificiali, uno francese, come il pittore impressionista, e un altro americano, che hanno proprio lo scopo
di andare alla ricerca di altri pianeti extrasolari ed effettivamente ne scoprono in continuazione, quindi il
numero di pianeti extra solari va crescendo ogni giorno.
Ci sono miliardi di pianeti nell’universo e anche nella nostra galassia, la via Lattea, ce ne sono centinaia di
miliardi. Alcuni hanno anche caratteristiche tali da
permettere lo sviluppo della vita. È possibile che esistano molte altre civiltà, forse più avanzate, perché il nostro sole ha cinque miliardi di anni e sappiamo che ci
sono stelle, nella nostra via Lattea, che hanno 10 miliardi di anni, quindi è possibile che i pianeti di queste
stelle ospitino civiltà anche molto più vecchie della nostra e più evolute ma pensare di poter viaggiare da un
pianeta all’altro, questo sì che resta invece fantascienza.
Noi certamente potremmo viaggiare per tutto il nostro sistema solare; sulla luna ci siamo già andati, forse
si potrà andare su Marte e le astronavi telecomandate si
sono già spinte ai confini del sistema solare stesso.
L’ultima è stata la sonda Cassini che è andata a visitare il pianeta Saturno e che ha fatto scendere
un’altra piccola astronave, la Huygens, nell’atmosfera
di Titano che è il satellite più grande di Saturno; per
questo viaggetto ci sono voluti più sette anni. Il pianeta
più simile alla terra scoperto finora si trova a venti anni luce, cioè la luce impiega venti anni per arrivare sino
a noi. Se potessimo viaggiare a un centesimo della velocità della luce ci metteremmo due mila anni e quindi
dovremmo immaginare astronavi su cui generazioni e
generazioni di esseri umani possano vivere e riprodursi.
Le distanze restano enormi e pensare di poter andare
da un pianeta all’altro come raccontano i libri è fantascienza anche se c’è un modo per sapere se esistano altre
forme di vita intelligenti. Parlo del progetto S.E.T.I,
Search For Extra Terrestre Intelligence. Consiste nel
puntare i radiotelescopi, grandi parabole collegate a un
ricevitore radio, verso stelle vicine che hanno dei pianeti
per vedere se per caso da queste arrivino segnali radio
chiaramente artificiali, brevi o lunghi. Per ora il risultato è stato negativo anche se le osservazioni vanno a-
vanti dal 1964 e l’idea è stata di due fisici italiani. Nessun risultato quindi al momento ma la grande difficoltà
consiste nel fatto che per poter riconoscere i segnali bisognerebbe essere allo stesso grado di sviluppo tecnologico. La civiltà tecnologica ha poco più di un secolo. La
probabilità che ci siano altri esseri intelligenti
nell’università è altissima. Pensare di essere soli è assurdo. Sarebbe come quando si pensava che la terra era
il centro dell’universo, creata da Dio appositamente per
gli uomini».
Ho letto che l’Universo è curvo. Può confermare
questa affermazione? (Arrigo De Biasio)
«Recenti osservazioni hanno invece dimostrato che
l’Universo è piano. Questo, in sostanza, che cosa vuol
dire? Consideriamo per esempio questa stanza in cui ci
troviamo al momento. Essa ha uno spazio piano e allo
stesso modo si è immaginato che anche lo spazio possa
essere piano, curvo e chiuso, esattamente come la superficie della sfera. Quando parlo di spazio faccio riferimento a tre dimensioni. Questo tavolo è lungo, alto e
largo. Provate ad immaginare una quarta dimensione:
non è possibile. Per avere quindi uno spazio curvo si
dovrebbe avere anche una quarta dimensione ma questo, come detto poc’anzi, non è appunto possibile».
19 19
È vero che su Marte c’è acqua? (Arrigo De Biasio)
«Sembra di sì. Che ci sia acqua ghiacciata ai poli
questo è certo ma si suppone che nel sottosuolo ci sia
acqua anche allo stato liquido; in passato, su Marte,
deve esserci stata molta acqua; si vede delle strutture
geologiche nella sabbia che sono quelle che lascia il mare quando si ritira dalla sabbia stessa lasciando particolari segni. Può darsi che su Marte ci sia stata in passato anche qualche forma di vita elementare, parlo di
batteri ed esseri monocellulari. Marte è il pianeta più
interessante da questo punto di vista e proprio per tale
ragione si sta programmando una missione su mana.
Non so se si farà perché i tempi sono molto lunghi».
cittadini di vivere meglio».
Una curiosità personale…
Che origine hanno i nomi dei
Pianeti? (Maurizio Scolari)
«I nomi sono stati inventati
dagli antichi greci e romani perché pensavano che i Pianeti fossero divinità. Venere era infatti
la dea dell’amore, Marte il Dio
della guerra mentre si pensava
che Giove fosse il padre degli dei
perché era grande e Saturno il
padre di Giove stesso. Urano e
Nettuno, invece, sono stati scoperti più tardi. Urano fu trovato per caso attraverso
l’osservazione del cielo e Nettuno fu scoperto perché ad
un certo punto ci si accorse che il moto di Urano non era
regolare. La scoperta avvenne per merito di un cattedratico e di un giovane studente. Al Professore tutti diedero
retta e attenzione mentre invece il giovane studente,
all’inizio, non fu nemmeno preso in considerazione».
È più facile credere a ciò
che racconta la Bibbia oppure alla teoria del Big
Bang? (Ennio Mazzolo)
«La Bibbia non è un libro
scientifico e tutte le civiltà
hanno cercato di immaginare
cosa fosse l’universo e come
fosse iniziato tutto; anche la
Bibbia ha una sua mitologia.
La teoria del Big Bang non va
presa come oro colato ma c’è
un dato osservativo che ci dice
che tredici miliardi di anni fa le condizioni
dell’Universo erano molto diverse da quelle di oggi; disponiamo infatti di una sorta di “macchina del tempo”
che è poi semplicemente la velocità della luce e quindi
più lontano guardo nello spazio più indietro guardo nel
tempo; quando guardo il sole lo vedo non come è adesso
bensì com’era otto minuti fa perché la luce ci mette 8
minuti».
Prof.ssa Hack, una domanda che non riguarda
nello specifico la sua materia. Lei che cosa pensa
della scuola di oggi? (Davide Vogrig)
«Non ho esperienza diretta della scuola di oggi ma
posso dire che dalle nostre Università escono spesso persone preparate che però, il più delle volte, sono costrette
ad andare all’estero. E a giudicare poi dai risultati dei
nostri atenei, direi che le scuole non sono poi tanto male
e che ci sono molti bravi professori; forse c’è più lassismo di una volta e ritengo che ci dovrebbe essere invece
una maggiore attenzione nei confronti della scuola da
parte del Governo ed è davvero triste che quando c’è una
crisi economica in atto, le scuole e le università siano le
realtà principalmente colpite. Le statistiche dicono che è
molto più facile trovare un buon lavoro e ben remunerato se si possiede anche un certo grado di cultura. Anche
Dario Fo, proprio durante uno spettacolo teatrale, diceva che l’operaio conosce cento parole mentre
l’industriale mille e quindi frega sempre l’operaio. La
cultura non è importante solo per le singole persone ma
anche per un paese intero perché un paese che ha buon
grado di cultura ha anche inventiva, crea innovazione,
è competitivo e produce attività che permettono a tutti i
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Lei è stata intervistata innumerevoli volte e in
tante di quelle occasioni che nemmeno si contano.
C’è qualcosa di cui ama parlare in particolar modo durante le interviste? (Cecilia Pilosio Vatri)
«Io a domanda rispondo sempre. Che posso dire? La
mia vita l’è una vita come tante ce n’è. Forse sono stata
più fortunata di altri perché ho avuto una famiglia, alle
spalle, che mi ha lasciato di molto libera che mi è sempre stata di incoraggiamento. Ho un compagno che mi
ha sempre aiutato e in questo sono stata molto fortunata.»
Qual è il rapporto, al giorno d’oggi, tra presenza
femminile e mondo della scienza? (Pubblico in
sala)
«Oggi ci sono tante brave ricercatrici nel mondo della scienza. Nell’università sono più del 50 %, le associate si attestano al 30% mentre le ordinarie coincidono
con il 12% ma le cose stanno cambiando rapidamente e
quindi oggi le brave ricercatrici, numerose, hanno successo, pubblicano su riviste internazionali, fanno carriera e fra qualche anno diventeranno associate e poi ordinarie. Le cose si modificano a gran velocità anche se in
tutto questo molto dipende anche dall’educazione. Bisogna incoraggiare le bambine a non avere complessi di
inferiorità e a non avere carriere precluse; le donne devono essere soprattutto lasciate libere di seguire la propria strada. Anche oggi è crescente il numero di ragazze
che si iscrivono a ingegneria mentre una volta le ingegnere erano zero. Le donne però devono essere combattive e pretendere che i loro diritti siano rispettati».
A spasso con Marga
Barbara Porcella
Sono passata davanti a questa casa migliaia di volte, eppure non ho mai saputo che qui vive una delle
menti “più eccelse” al mondo… Margherita Hack!.
Quando suono il campanello il dito quasi mi trema, il
cuore mi batte a mille e la salivazione nella mia bocca
è praticamente azzerata.
Salgo una marea di scalini divisi in due rampe e
inevitabilmente, per deformazione professionale, una
volta in cima, dopo aver sputato un polmone e aver
perso una rotula, mi chiedo come possano due anziani
vivere in una casa con così tante barriere architettoniche.
Poi capisco. Alla porta trovo proprio lei “Marga” che
sorridente mi stringe la mano, si presenta e mi fa accomodare in un “paradiso di libri”. Gli interni sono bellissimi, la tappezzeria delle pareti è fatta di libri, librerie
enormi svettano dal pavimento al soffitto e i libri ricoprono anche gran parte del parquet. Stento quasi a
trovare il divano su cui siede, già pronto per partire, il
sig. Aldo, marito di Marga, il quale con fare sornione
dopo avermi chiesto il nome mi fa capire che loro non
hanno tempo da perdere e che spera che il seminario
sia breve e conciso! Aldo con la sagacia tipica dei toscani doc e che caratterizza anche quegli anziani che non
hanno paura più di nulla, durante il pomeriggio non
risparmierà battute per nessuno e come un tiratore
scelto colpirà sui difetti di ognuno di noi senza smettere di sottolineare che ha una gran voglia di tornarsene
a casa, che spera che l’evento organizzato sia almeno
interessante ma soprattutto che duri il meno possibile!!.
Il viaggio in macchina che ci porta da Trieste a Udine si rivela un momento di grandissimo interesse,
Marga che già normalmente è lontana dalle solite convenzioni, ci racconta della sua vita in modo amichevole
e affabile e così scopriamo da una delle più grandi astrofisiche al mondo che odia cucinare, è vegetariana,
si veste spesso con le magliette dei convegni ai quali è
invitata, si è truccata solo fino ai 18 anni, è arrivata a
Trieste quando gli alberi della pineta di Barcola erano
appena stati piantati e che nella vita ha potuto contare
sempre sull’appoggio di Aldo con il quale è sposata ormai da oltre sessant’anni. I due si sono conosciuti da
bambini, poi si sono persi di vista per rincontrarsi durante gli anni dell’Università a Firenze e da allora non
si sono più lasciati, ora hanno, lei 89 anni lui 92. Non
si lasciano mai, e Aldo segue la moglie in ogni viaggio
perché non ama essere lasciato solo con la badante!
Scopriamo anche il suo libro preferito è Pinocchio
perché su questo ha imparato a leggere e perché dentro si trovano insegnamenti validi anche per i tempi di
oggi, che da giovane Marga è stata una grande sportiva, campionessa di salto in lungo e salto in alto mentre
fino a non molti anni fa giocava a pallavolo. Una passione che l’accompagna ancora è quella per la bicicletta
ma qualche volta le capita ancora di guidare la macchina.
Ama il computer che utilizza per scrivere i suoi libri, perché è vero che è in pensione ma proprio per
questo motivo lavora molto più di prima!!. E ha un sacco di libri da scrivere ancora.
Marga e Aldo hanno alle spalle quasi un secolo di
vita trascorsa sui libri, lei nel campo scientifico e lui in
quello umanistico e oltre mezzo secolo lo hanno passato insieme. Il segreto di questa unione così lunga ce lo
svela lei con il suo spiccato accento toscano che i tantissimi anni trascorsi a Trieste non sono riusciti a scalfire. «Noi abbiamo litigato tantissimo - ci confessa sorridendo - ma non ci siamo mai tenuti dentro niente,
per questo siamo ancora uniti».
Quando in serata li riportiamo a casa ci sembra che
ogni parola per descrive emozioni e sentimenti sia superflua, illuminati dalla lezione sull’universo sappiamo
solo che ascoltando il seminario di Margherita abbiamo veramente toccato il cielo con un dito.
2121
STELLE NELL’ARTE
Davide Pillitu
Le tre arti del Trivio (Grammatica, Retorica, Dialettica) in connubio con le quattro arti del Quadrivio
(Aritmetica, Astronomia, Geometria e Musica) designano il campo dello scibile umano, della speculazione
scientifica e sono la base su cui si fonda lo studio e
l’educazione; si distinguono dalle arti meccaniche –
vengono appunto chiamate liberali perché praticate e
studiate da uomini liberi – che presuppongono l’uso
delle mani per essere esercitate. E questa categorizzazione precisa riguardo la conoscenza umana trova riscontro in molti cicli a fresco medievali nei quali esse
vengono personificate in una serie di fanciulle, in pose
e con attributi specifici, spesso accompagnate da un
esponente illustre dell’arte. Nel 1365 Andrea di Bonaiuto affresca in una delle pareti della sala capitolare
del convento domenicano di Santa Maria Novella a Firenze il trionfo di san Tommaso d’Aquino. Sedute su
scranni gotici stanno le arti liberali fra le quali siede
anche l’Astronomia che indica il cielo con la mano e ai
cui piedi Tolomeo, il celebre astronomo alessandrino,
scruta la volta celeste con aria ispirata. La base educativa per ogni cursus studiorum che si rispetti, ha una
tale rilevanza che sessant’anni prima l’importanza del
cielo “scientificamente” osservato e teologicamente
scandagliato, si riverbera in uno dei capolavori dell’arte
di ogni tempo. Giotto, chiamato a Padova da Enrico
Scrovegni, ricchissimo banchiere padovano, a decorare
la cappella detta dell’Arena adiacente al palazzo Scrovegni, nello scomparto raffigurante l’Adorazione dei
Magi dipinge una stella, la stella cometa, la cometa di
22 22
Halley che squarciò il cielo proprio in quel torno d’anni
(1301). L’arte di Giotto non tralascia di raccontare un
fenomeno astronomico realmente accaduto e ne testimonia la rilevanza inserendolo all’interno del racconto
sacro. È la prima volta. È la prima volta che una stella
vista all’atto del suo passaggio compare in un affresco.
“Iam nova progenies caelo demittitur alto” secondo
l’ecloga IV di Virgilio reinterpretata in chiave cristiana.
Già una nuova progenie promana dal cielo, la vera luce,
la nuova luce del Vero divino scende dal cielo sui Magi
che le rendono omaggio e si inchinano di fronte a Dio.
La sintesi tra l’osservazione oggettiva di un fenomeno
astronomico e le sue valenze teologiche, non potrebbe
essere più perfetta. Anche se più tardi, dopo la riscoperta della sensualità classica, la classicità studiata
per il suo valore intrinseco, senza implicazioni teologiche, farà fiorire lo studio e la “fede negli astri”, per citare Saxl, con la creazione di cicli astrologici così in voga
presso l’aristocrazia rinascimentale tanto che il duca di
Ferrara Borso d’Este e il banchiere senese Agostino
Chigi cercheranno gli influssi di pianeti e stelle sui loro
temi natali come divertissement dispiegato sulle pareti
delle loro residenze di piacere – la delizia di Schifanoia
(1474) a Ferrara e la dimora presso il Tevere a Roma,
la Farnesina (1512) – si rivelerà tuttavia il senso di
straniamento e di inquietudine che si insinua nella Me-
Poco prima Giorgione dipinge a fresco nella casa Pellizzari di Castelfranco un fregio pieno di strumenti astronomici e musicali, di armi e di “tabulae” recanti
ammonimenti di carattere morale (il “fregio delle arti
liberali”) prevedendo una cattiva congiunzione astrale
(una sfera celeste riporta la congiunzione di Saturno,
lencholia (1514) di Albrecht Dürer. La Melencholia
(I), lo spirito saturnino, è illuminata dalla cometa che
sfreccia sotto l’arco lunare. Non la tentazione laica e da
Miles Christianus del “Cavaliere, della Morte e del Diavolo”, ma l’intimità tormentata e tormentosa
dell’artista nello studio, dello studioso, dell’alchimista
sotto l’influenza saturnina. Una via nuova verso una
natura “esotericamente” concepita; un escamotage culturale che permette agli dei antichi di sopravvivere,
iconograficamente celati dai pianeti e dalle stelle ai
quali hanno dato il nome. Nel dialogo lontano, affidato
ai bagliori del cielo, un’altra stella parla attraverso la
sua luce a un santo nel suo studio da “umanista”: la
luce anagogica di Girolamo filtra sul volto di Agostino
che sospende gli studi
per ascoltarla nel celebre
telero (1502) di Vittore
Carpaccio alla Scuola
dei Dalmati a Venezia;
in secondo piano, nei
ripostigli (oserei dire
della mente) gli strumenti antichi degli astronomi per misurare e
capire ciò che allora non
poteva essere misurato e
compreso senza la fede.
Giove e Marte per il 1503-1504) annunciata da tempi
perigliosi e sfociata nella disfatta delle truppe veneziane ad Agnadello (1509). L’ira degli astri si abbatte sulla
città lagunare e ormai il bacino di San Marco, sotto
l’influsso di una cattiva stella, non può che generare
mostri, come constata malinconicamente l’Astronomo –
Astrologo
(1509) di
Giulio
Campagnola.
L’intreccio
tra Astronomia,
Astrologia
e Mitologia non potrebbe essere più stretto laddove i termini considerati
un tutt’uno si stemperano semanticamente e concettualmente l’uno nell’altro: lo stesso Dürer accanto alla
stesura di una carta astronomica del cielo, realizza il
trittico inciso con la “Melencholia”, il “Cavaliere, la
Morte e il Diavolo” e il “San Girolamo nello studio”: la
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sfera intellettuale dominata dal pianeta Saturno che
influenza astrologicamente l’artista, la sfera morale e
umana della vita attiva con i rischi della tentazione
sempre presenti sul cammino fragile e rischioso, la vita
contemplativa con il santo nel suo studio attorniato
dagli strumenti che irreggimentano il tempo e lo spazio. Lo stravagante e saturnino imperatore Rodolfo
d’Asburgo in una Praga già fosca per l’approssimarsi di
guerre disastrose e continue lotte intestine, offre ricetto
a scienziati, alchimisti e “maghi” a Hradčany: Keplero e
Tycho Brahe, il “mago” Edward Kelly giunto da Londra
e l’alchimista Sendivogius e nel medesimo tempo commissiona al pittore veneziano Jacopo Tintoretto la
tela che narra l’origine della Via Lattea secondo la mitologia greca (1580 Londra National Gallery). Dal seno
di Era sprizza il latte che si sparge nel cielo ad originare uno sciame di stelle. Il loro valore eziologicamente
poetico appare lontano da uno studio scientificamente
condotto sui fenomeni del cielo, ma allo stesso tempo
coesiste con i grandi progressi scientifici che proprio gli
ospiti di Rodolfo portarono avanti. La commistione di
segni e sensi genera capolavori. La Via Lattea di Tintoretto, vista nella sua scaturigine mitologica, si situa
all’estremo
o p p o s t o
dell’olio
su
rame dipinto
da
Adam
Elsheimer
nella Roma di
primo Seicento, la Roma di
Caravaggio e
dei Cardinali
Nepoti. La Fuga in Egitto (1609 Monaco Alte Pinako24
thek) è sovrastata da uno squarcio ampio di cielo notturno, solcato dalla Luna, in cui per la prima volta è
rappresentata la Via Lattea senza implicazioni mitopoietiche, un fatto che suggerisce come il pittore di
Francoforte potesse essere venuto a conoscenza delle
prime osservazioni di Galileo, forse anche per il tramite
dell'Accademia dei Lincei. Siamo nella notte del 16
Giugno 1609 e anche nella notte sacra di una Fuga. A t tualità del cielo nel quadro e profondità dei significati
simbolici sottesi alle immagini, anche qui convivono,
come in Giotto, a tre secoli di distanza. La Luna, alla
cui luce si staglia un albero secco, è Cristo risorto (la
Luna è figura di Cristo per Caspar David Friedrich
all’inizio del XIX secolo) vittorioso sulla morte che una
tradizione iconografica lunghissima segnala con la presenza dell’albero disseccato. La Via Lattea è la traccia
divina che la famiglia segue nel viaggio verso la salvezza di tutta l’umanità, ma è anche un segno del cielo,
concreto e oggettivamente osservabile con gli strumenti
adatti.
L’avvicinamento dell’arte alla scienza come illustrazione di oggetti celesti da studiare, e vademecum visivo
per addetti ai lavori trova un esempio paradigmatico
nella serie di dipinti con le "Osservazioni Astronomiche" (Roma, Pinacoteca Vaticana) commissionata nel
1711 al pittore bolognese Donato Creti dal conte Marsili come dono a Papa Clemente XI a sottolineare l'importanza di un osservatorio astronomico per la Chiesa
(grazie al Pontefice, a Bologna viene inaugurato il primo osservatorio astronomico pubblico d'Italia). Tra le
cosiddette “osservazioni astronomiche” (il Sole e la Luna, i pianeti Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno
ritratti in modo da mostrare il loro aspetto visto dal
telescopio) compare anche la cometa. Lo stesso Galileo,
amico del pittore fiorentino Ludovico Cigoli, ci ha lasciato alcuni disegni acquerellati sull’aspetto della Lu-
na nelle sue fasi (1620 – 1630). Il fascino del firmamento e della sua osservazione da un punto di vista squisitamente estetico coinvolse due grandi artisti moderni
che ci conducono a tempi più prossimi al nostro: Vincent Van Gogh e Joan Mirò. "... Guardare le stelle mi fa
sempre sognare, così come lo fanno i puntini neri che
rappresentano le città e i villaggi su una cartina." In
questa lettera è contenuta la filosofia che innerva una
delle opere più famose del pittore olandese.
La “Notte Stellata” dipinta nel 1889 (New York Museum of Modern Art) durante il periodo del ricovero
presso l'ospedale psichiatrico di Saint – Paul de Mausole, nel sud della Francia, vicino a Saint – Rémy de Provence. Qui videro la luce anche altre opere che hanno
per filo conduttore il cielo e gli astri ma anche le luci
artificiali dei locali notturni come il famoso “Caffè di
notte” (1888 Otterlo Rijksmuseum Kröller – Müller) e
la “Notte stellata sul Rodano” (1888 Parigi Musée
d'Orsay) o le contorsioni acrobatiche degli amati cipressi trasfigurati dalla luna (1889 New York Metropolitan
Museum of Art) e mentre occhieggiano sulla stradina di
campagna (“Strada con cipressi e cielo stellato” 1890
Otterlo Rijksmuseum Kröller – Müller). Di lì a poco
Vincent si sarebbe tolto la vita. Nulla della furia con
cui tratta i temi resta, nel suo animo rasserenato di
fronte allo spettacolo della notte, solo il tratto calligrafico che esplora il firmamento e il fascino ipnotico come
di fuochi notturni; l’esattezza dell’ora in cui vede il cielo
e ne riconosce le costellazioni è l’ ultima disperata gioia
di osservare. Fra il 1936 e il 37 Mirò, cha da bambino
osservava le stelle dal telescopio del padre interessato
all’astronomia, andò a vivere sulle coste della Normandia iniziandovi nel 1940 la serie delle
“Costellazioni” (23 dipinti) che portò con se quando fu
costretto dall’invasione nazista della Francia a rifugiarsi con la famiglia a Palma di Maiorca. I segni
“geroglifici” chiamati “Costellazioni” illustrano un itinerario astrale per i cieli della Normandia. Mirò a Varengeville descrive il suo cielo privato, rinserrato negli
occhi come salvacondotto a ritrovare la
strada: “(…) Ero molto
depresso. Credevo che
la vittoria dei nazisti
fosse inevitabile ed
ebbi l'idea di esprimere
quest'angoscia
tracciando segni e forme
sulla sabbia, in modo
che le onde li trascinassero via istantaneamente o creando sagome
e
arabeschi
nell'aria come fumo di
sigaretta, che poi sarebbero saliti in alto e
avrebbero accarezzato
le stelle (...)". Non è la
terra catalana a suggerire segni ermetici, ma
il cielo normanno a
risvegliare i sensi così potentemente da creare un nuovo alfabeto siderale. E le stelle stanno a guardare, intonse ed intoccabili, la bruttura che non può insozzarle.
Tracce più di fede che di scienza, di una fede introiettata, così lontana dalla teologia giottesca ma al contempo
più vicina che mai al suo anelito verso il divino.
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BENVENUTI AL NORD
Vito Facchin
Da ragazzo avevo sempre sognato di fare un viaggio
nel Grande Nord che immaginavo avrei raggiunto in
auto percorrendo migliaia di chilometri attraverso
l’Europa per arrivare in Norvegia, sino alla “Strada atlantica” che percorre tutta questa Nazione. Ebbene,
questo viaggio io l’ho effettivamente compiuto ma
dall’altra parte; dal mare, dal Mare del Nord, di Norvegia e da quello di Barens. Sono riuscito a convincere
mia moglie a effettuare quello che è stato definito il viaggio più bello del mondo e che viene fatto su una nave
di linea, con orari di arrivo e di partenza nonché di sosta prestabiliti. Si può scendere in qualsiasi porto,
compresi quelli raggiunti durante la notte. Le navi,
svolgendo il servizio postale, sono infatti chiamate postali dei fiordi o, in norvegese, Hurtigrutten; le navi devono necessariamente consegnare e ritirare la posta e
caricare e scaricare la merce che si trova sul molo e
nelle stive, anche se il porto di destinazione della merce viene raggiunto durante le ore notturne. Talvolta ci
siamo svegliati perché abbiamo sentito proprio in tali
ore, o alle primissime del mattino, i rumori della gru
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della nave che compiva le manovre. Non è stata una
crociera, non ci sono state infatti serate di gala o cene
con il Comandante ma a me e mia moglie non è dispiaciuto affatto, anzi!. Avevo richiesto all’Ufficio del turismo norvegese una documentazione sulle navi e così avevo scoperto che ce n’erano di tre tipi. Quelle due più
anziane comprendevano la Loften da me scelta e
un’altra dal nome impronunciabile; era il giugno del
1998, mi risulta facciano parte ancora, dopo l’ennesima
revisione, della flotta degli Hurtigruten. Gli altri due
tipi erano formati da navi che sembravano più da crociera mente la nostra e la gemella avevano le sembianze di baleniere, soprattutto per i colori e la stazza che
le caratterizzavano: scafo nero e ponti bianchi per le
due più anziane e scafo rosso e ponte bianco per tutte
le altre che avevano una stazza dalle cinque alle otto
volte superiore. Questi piroscafi non stanno mai fermi
e sono perennemente in viaggio. Ancora oggi uno segue
di giorno un altro in un carosello senza fine. Infatti
parte giornalmente da Bergen, grande città portuale
nel sud della Norvegia e dopo otto giorni raggiunge la
città di Kirkenes all’estremo nord est della Norvegia
per poi rifare il tratto all’incontrario. Io e mia moglie ci
siamo imbarcati a Bergen
mentre la nave stava caricando una decina di bare e
smilzi alberelli in vaso.
Mia moglie mi disse a bassa voce, come se i marinai
la capissero,“Cominciamo
bene”. E le cose peggiorarono quando vedemmo
un’angusta cabina con letti a castello pieghevoli. Io
cercai di mostrarle i lati
positivi quale l’enorme oblò situato a circa due metri sul livello del mare e
che permetteva di guardare all’esterno stando comodamente seduti sul lettodivano e che la notte poteva essere oscurato, cosa
molto importante oltre il circolo polare poiché superata
tale linea immaginaria in estate il sole non tramonta
mai. La nave procedeva veloce, mia moglie passava le
giornate leggendo in una stanza sul ponte guardando
spesso fuori dalle finestre che permettevano una visione a 180°. Io giravo per tutta la nave scattando fotografie di un panorama che variava di giorno in giorno
man mano che si procedeva verso nord. La costa distava 500 – 600 metri e per prima cosa abbiamo visto boschi di latifoglie, principalmente betulle che rendevano
il paesaggio monotono ed uniforme. Passato il circolo
polare artico, che era segnalato da un monumento raffigurante un mondo stilizzato con due circoli polari e
con l’equatore sistemato su uno scoglio sferzato dai
venti dell’Atlantico, il panorama cominciò a cambiare.
I grandi boschi lasciarono il posto a brulle montagne intervallate da fiordi. Le piante di alto fusto non
possono vivere oltre il circolo polare poiché il sole in estate non tramonta mai sotto l’orizzonte mentre in inverno il sole non sorge mai per cui le piante di fusto
non possono effettuare il loro ciclo vitale ecco perché
non c’erano neanche le conifere. Regina di questi brulli
dirupi è l’aquila di mare che visto il numero dei gabbiani non ha problemi di sussistenza. Abbiamo visitato
città storiche con bellissimi monumenti quali la vecchia capitale della Norvegia, Trondheim con la sua
bella ma scura cattedrale; la città di Alesund con le sue case variopinte che si specchiavano nel molo; la città
di Tromsoe, la capitale nordica con la cattedrale che ha
la più grande vetrata del mondo e il posto in cui ho assistito all’arcobaleno più piccolo e basso che abbia mai
visto: andava da un rione all’altro della città, a pochi
metri dai tetti. Le escursioni erano in parte gratuite e
alcune a pagamento e l’accompagnatore molto simpatico anche se non parlava per niente italiano quindi, facendo buon viso a cattivo gioco, cercavamo di capire
quando parlava in inglese. Raggiungemmo Capo Nord
il penultimo giorno di viaggio. I Norvegesi ne hanno
fatto un luogo che forse ha perso quel suo carattere selvaggio avendo ricavato una megastruttura sotterranea
con cinema, bar, negozi di souvenir e persino una cappella multi religiosa. Per fortuna Capo Nord è stato risparmiato. Una piazzola esterna in cemento porta
all’estremità dell’ultimo dirupo dell’Europa ma quando
ho visto il sole a mezzanotte… dopo aver visitato il
trollensfiord, con le sue grandiose cime innevate che si
specchiavano nel fiordo… eravamo tutti sul ponte per
vedere il sole che toccava l’orizzonte per risalire subito.
Avevamo un freddo terribile ma gli ufficiali fecero
uscire dalla cucina una grande marmitta con brodo caldo e anellini che lo rendevano imbevibile.
27 27
... E SE UN NEUTRINO…
Intervista alla prof.ssa Marina Cobal del Dipartimento Chimica, Fisica e Ambiente - Università di Udine
Carolina Laperchia
sa estremamente piccola, praticamente vicina a zero, e
scoperta oltretutto solo di recente. Quando io stessa ero
all’Università si pensava che la loro massa fosse nulla,
esattamente come i fotoni che trasportano la luce».
Una cosa è certa. Einstein potrà continuare a dormire sonni tranquilli e nulla di ciò che è stato studiato
sino ad ora sarà dunque destinato al cestino. Perché
per quanto di portata storica, se mai confermata, la
Lo ha precisato immediatamente. Dato il risulscoperta firmata Opera, l’esperimento internazionale
tato, ormai risaputo, adesso si dovrà di fatto profinanziato dall’INFN e inizialmente nato per misurare
cedere con nuovi test di verifica sui neutrini. Ule oscillazioni dei neutrini, non farà crollare proprio
na curiosità, come nascono e dove si trovano quenulla. E mentre la gente da giorni ormai si figura sceste infinitesimali porzioni della materia?
nari fantascientifici interrogandosi su concetti potenzialmente nuovi di spazio, tempo e causalità, il mondo
«Il processo è questo. Innanzitutto si prendono i prodella Fisica invita invece alla massima cautela e si pretoni accelerati in uno degli acceleratori del CERN, il
para per nuove verifiche cui sottoporre i famosi neutripiù grande laboratorio al mondo di Fisica delle particelni muonici che al momento semle. Questi protoni vengono poi ebrano essere comunque più veloci
stratti quando hanno raggiunto
della luce, sebbene di appena 60
l’energia che ci interessa, inviati
nanosecondi. «Un test abbastanza
contro un bersaglio di materiale
«NELLA SCIENZA NULLA contenente all’interno altri protorapido
dovrebbe
arrivare
dall’esperimento Minos che sta ACCADE ALL’IMPROVVISO ni che collidono con il materiale
effettuando una misura simile a
stesso producendo infine tante
Opera e che potrebbe darci quindi E OGNI COSA È SEMPRE particelle che poi decadono anche
un risultato sulla velocità dei neuin neutrini. Sono senza carica e
IL FRUTTO DI LUNGHI
trini nell’arco di qualche mese –
nascono esattamente in questo
chiarisce la prof.ssa Marina Cobal STUDI CHE DEVONO CON- modo, oltre che nelle stelle e nel
dell’ateneo friulano, coordinatore
sole. Il sole, per esempio, li produTINUAMENTE TROVARE ce in continuazione e naturalmendel Gruppo ATLAS Udine e reduce dal Congresso della Società
te. I protoni si presentano in pacCONFERMA»
italiana di Fisica all’Aquila ove
chetti, in fasci contenenti un nunon si è parlato d’altro, tra i dubbi
mero enorme di particelle. I neue le domande avanzate dai ricertrini viaggiano e attraversano
catori presenti – Non è comunque
tutto il materiale denso che è poi
detto che attraverso questo nuovo test di verifica si arla roccia che va dal Cern al Gran Sasso, sotto terra, e
rivi a una certezza ma avremo pur sempre una prima
una volta arrivati a destinazione incontrano il rivelatoindicazione. Altri controlli ancora sono già stati richiere Opera. A quel punto si dà un segnale di arrivo. I
sti alla collaborazione Opera e i ricercatori sono ovviatempi di partenza, quelli finali e la distanza percorsa
mente a lavoro».
dai neutrini, pari a 730 km, sono tutti calcolati utilizzando sistemi di tipo GPS e orologi atomici».
Professoressa Cobal, facciamo un piccolo passo indietro. I neutrini, in questo momento storiViolazione
del
principio
di
causalità,
co, sono giustamente al centro dell’attenzione
“ristrutturazione” della teoria di Einstein, possiglobale ma che cosa sono in concreto?
bilità di viaggiare indietro nel tempo. Il risultato
che i ricercatori del CERN hanno presentato do«I Neutrini, presenti in tre tipologie diverse, fanno parpo tre intensi anni di studi ha portato molti a fate delle particelle che costituiscono i mattoncini della
re anche queste affermazioni. Che cosa c’è di vemateria. Sono previsti all’interno del Modello Standard
ro in tutto ciò e cosa si potrebbe verificare se il
e interagiscono pochissimo con la materia stessa. Imdato fosse infine convalidato?
maginarli in modo pittorico è difficile, diciamo che si
configurano come oggetti puntiformi dotati di una mas«Cambierebbero diverse cose. Alcuni risultati prece28
al secondo che abbiamo sempre
misurato sperimentalmente per
la velocità della luce. Opera, al
momento, ha rilevato dunque
che i neutrini sembrano andare
ad una velocità superiore al valore della velocità della luce che
è sempre stato misurato. Questa
è una considerazione generale e
importante per capire davvero il
valore dell’esperimento in questione».
Al di là di questa clamorosa
notizia, che messaggio pensa
debba comunque restare alla
gente?
denti, che sono un po’ in contraddizione con ciò che vede Opera in questo momento, dovrebbero essere nuovamente compresi e adesso molti teorici sono infatti a lavoro per cercare di aggiustare la teoria che abbiamo a
disposizione per la presenza di questi neutrini superluminari. In realtà non è impossibile che un oggetto viaggi più velocemente della luce ma questo può accadere
solo in particolari sistemi di riferimento. Preciso comunque che non ci sarà nessun crollo della teoria della
relatività e niente dovrà quindi essere gettato al vento.
Confermato o meno, il risultato resta pur sempre clamoroso e richiederà molto lavoro da parte degli studiosi. In questo momento è comunque inutile e inopportuno costruire castelli in aria per tentare di spiegare
qualcosa su cui la stessa Comunità scientifica è davvero molto prudente».
Per poter comprendere davvero la portata
dell’esperimento di cui stiamo parlando, che cosa
ritiene dovremmo sapere?
«La teoria della relatività, essenzialmente. La stessa
dice in sostanza che c’è una velocità invariante, con lo
stesso valore in ogni sistema di riferimento. Non dice
tuttavia che questo valore corrisponde ai 300 mila km
«L'invito è di andare oltre ai
titoli, oltre al facile sensazionalismo e ricordare sempre
che niente, in ricerca, accade all’improvviso ma che ogni cosa è sempre il frutto di lunghi studi da convalidare continuamente, proprio come in questo caso».
Che cos’è il CERN di Ginevra
Chiamatela European Organization for Nuclear Research oppure Organisation Européenne pour la Recherche Nucléaire. Sta di fatto che il CERN è in poche parole il più grande laboratorio al mondo di fisica delle
particelle ubicato, materialmente, tra Svizzera e Francia, alla periferia Ovest della città di Ginevra, in una
zona considerata “franca” e dunque neutrale subito
dopo la Seconda Guerra Mondiale. È proprio questo,
infatti, il momento storico in cui il Centro viene di fatto costruito con l’obiettivo di restituire all’Europa il
primato nella fisica e nella ricerca scientifica, precedentemente depauperato a causa del conflitto. «La Comunità scientifica, in quel preciso periodo, era andata
infatti quasi completamente dispersa giacché buona
parte delle menti dell’epoca era di origine ebraica –
precisa la prof.ssa Marina Cobal—L’idea di costruire il
CERN è nata quindi nel tentativo di ricompattare questo forte gruppo intellettuale che esisteva in Europa
prima della Guerra». Undici i Paesi europei che proprio nel 1952 si riuniscono per tradurre in realtà quello che all’epoca era ancora un sogno. Un sogno che al
giorno d’oggi, invece, ne vede coinvolti ventitré restando comunque sempre aperto a chiunque desideri farne
parte con l’obiettivo di fornire ai ricercatori gli strumenti più adeguati per la ricerca legata alla fisica delle alte energie attraverso gli acceleratori di particelle e
i rivelatori.
29
LINFOCITI B E
PROPAGAZIONE
DELL'HIV
Quale il rapporto?
Intervista al ricercatore friulano
Andrea Cerutti, tra i maggiori
esperti al mondo delle cellule
produttrici di anticorpi
Carolina Laperchia
È ancora indiscutibilmente furbo, molto furbo. Così
astuto da riuscire tutt’oggi a evadere la risposta anticorpale neutralizzando senza problemi il massiccio lavoro dei linfociti B, le forze speciali del nostro organismo, l’esercito altamente specializzato di cui il corpo
umano dispone da sempre per proteggersi dalle infezioni e dagli agenti patogeni. E mentre la tecnologia fa
passi da titano, mentre la scienza studia la possibilità
che esistano forme di vita diverse dalla nostra, mentre
la ricerca squarcia giorno dopo giorno orizzonti sempre
più
impensabili
e
lontani,
il
virus
dell’immunodeficienza umana, responsabile dell’AIDS,
resta ancora uno spettro per i paesi in via di sviluppo e
per l’intero Occidente.
«Sull’HIV, a dire il vero, sappiamo molte più cose
rispetto ad altri virus ma il grande ostacolo riguarda
ancora adesso la generazione di un vaccino efficace. I
tentativi fatti sino a questo momento sono stati deludenti. Non sappiamo ancora, infatti, come riuscire a
generare anticorpi protettivi e non consociamo i meccanismi tramite cui questo retrovirus riesce di fatto a
dribblare le risposte anticorpali. Interrogativi importanti su cui stiamo lavorando intensamente».
L’ha spiegato anche ai suoi studenti durante i seminari tenuti alla facoltà di medicina dell’Università di
Udine il friulano Andrea Cerutti, uno dei maggiori esperti mondiali delle cellule produttrici di anticorpi, in
30
30
visita per la prima volta presso l’ateneo friulano ove in
quattro giorni soltanto ha consegnato ai futuri dottori
un notevole bagaglio di nozioni accomunate dal medesimo fil rouge.
«Il denominatore che ha legato gli argomenti proposti durante i seminari formativi e le vive discussioni
sorte in aula, si è tradotto nella cellula b e nella sua
capacità di produrre gli agenti protettivi necessari per
difenderci dalle infezioni – precisa Cerutti, visiting
professor del Dipartimento di Medicina del prestigioso
Mount Sinai School of Medicine di New York e accolto
in Friuli nell’ambito dei programmi 2010/2011 di didattica avanzata offerti dal Dipartimento di Scienze
mediche e biologiche dell’ateneo udinese - Cellula b e
anticorpo dunque sia in situazione di assenza di malattia, e in distretti corporei diversi, sia in presenza di
patologie con particolare riferimento al virus dell’HIV».
Professore, innanzitutto un chiarimento
d’obbligo. Che cosa sono precisamente i linfociti
B e per quale emotivo risultano essenziali per il
nostro corpo?
«I linfociti B sono cellule importantissime presenti
nel nostro sangue dedicate alla produzione di anticorpi
e il cui compito è proprio quello di fare in modo che
l’organismo possa difendersi dagli agenti infettivi. La
cellula b è quindi un vero e proprio armamentario a
nostra disposizione, è una parte essenziale del nostro
sistema immunitario. Quest’ultima definizione fa rima
con quella branca delle scienze biomediche che studia
le cellule del nostro organismo che ci proteggono contro
le infezioni da parte di batteri e virus oppure contro le
cellule tumorali ma che si occupa anche dei meccanismi coinvolti nella genesi di patologie immunitarie».
Tra i temi che hanno suscitato maggiore interesse da parte del pubblico, il rapporto tra linfociti b e HIV. Che cosa accade in sostanza a questo esercito specializzato durante l’attacco nemico?
«Nel corso dell’infezione da HIV i linfociti B vanno
incontro a tutta una serie di alterazioni molto complesse che al momento sono comprese soltanto in parte dagli immunologi. In linea generale possiamo dire che il
nostro organismo è in grado di proteggerci attraverso
anticorpi capaci di neutralizzare i virus infettanti eppure nel caso dell’HIV questo non succede e quando
l’infezione è in corso, la produzione di questi anticorpi,
che tra l’altro non riescono poi a persistere
nell’organismo, è molto lenta e numericamente bassa.
In questo momento si sta quindi studiando come mai i
linfociti b non riescano a produrre questo tipo di anticorpi in modo efficiente per proteggerci. Si tratta di
un’area di studio e di ricerca particolarmente importante poiché correlata al vaccino che sino ad ora non
ha funzionato. Uno dei motivi è legato al fatto che si sa
ancora troppo poco sull’immunologia umana. In questo
momento io stesso sono alle prese con ricerche che ri-
guardano lo studio dei meccanismi tramite cui il virus
dell’HIV riesce a evitare risposte protettive anticorpali
ma sto anche studiando i meccanismi tramite cui una
particolare popolazione di cellule b produce anticorpi
nell’uomo e le modalità in base alle quali i linfociti b
producono anticorpi a livello di mucosa intestinale».
Professore lei ha studiato in Italia ma poi ha
continuato la sua formazione all’estero ove oggi
tra l’altro vive e lavora, sempre a metà tra USA e
Spagna principalmente. Una scelta forzata oppure semplicemente frutto del caso?
«Devo precisare innanzitutto che studiare all’estero
è fondamentale e doveroso. Non esiste infatti buon ricercatore che non vada oltre confine e tantomeno si
può concepire uno scienziato che non sia andato
all’estero a studiare, anche per avere quell’apertura
mentale necessaria per fare questo mestiere. Detto
questo per quanto mi riguarda la scelta di fermarmi
fuori è stata del tutto personale perché ho sposato una
spagnola e ho avuto poi la possibilità di lavorare facilmente a Barcellona ma devo anche dire che qui in Catalogna soprattutto l’apertura verso chi viene da fuori
è davvero molto grande e quindi le opportunità professionali sono maggiori che in Italia».
Qual è ancora adesso il posto migliore ove fare ricerca e quali consigli sente di poter dare a
chiunque desideri intraprendere questo tipo di
percorso professionale?
«Nonostante la forte crisi economica, gli USA restano
il luogo per antonomasia ove fare ricerca e non certo
per la tecnologia ma soltanto per la maggiore disponibilità di fondi e per la grande apertura mentale verso
iniziative personali. Altrove non vi sono le stesse possibilità. Tra Spagna e Italia non vedo sensibili differenze
e in Europa la situazione è sicuramente a macchia di
leopardo. Quanto ai consigli posso soltanto dire che
oltre la formazione all’estero è fondamentale
l’entusiasmo per quello che si fa. La ricerca in campo
biomedico richiede persone altamente motivate, disposte a sacrificarsi e pienamente convinte della propria
mission. Spero davvero che agli studenti con cui ho
avuto modo di interagire sia rimasto almeno il segno
della mia passione e l’interesse rispetto al problema
dei linfociti B».
«LA RICERCA BIOMEDICA
RICHIEDE ENTUSIASMO
E PERSONE DISPOSTE
AL SACRIFICIO»
Qualche dato…
Ogni anno in Italia circa quattromila persone si infettano
con HIV e in oltre il 90% dei casi il virus è acquisito per
via sessuale.
Sei italiani su dieci scoprono di aver contratto il virus
HIV a malattia conclamata.
L'età media di infezione sfiora i 40 anni, 39 anni per i
maschi e 35 anni per le femmine.
La modalità di acquisizione dell'infezione è cambiata
rispetto al primo decennio dell'epidemia quando, in oltre
il 70% dei casi. veniva acquisita attraverso la tossicodipendenza. L'incidenza è maggiore al centro-nord rispetto al sud-isole.
Un terzo delle persone con una nuova diagnosi di HIV
viene diagnosticato in fase avanzata di malattia, con una
rilevante compromissione del sistema immunitario.
Dall'inizio dell'epidemia nel 1982 ad oggi sono stati segnalati circa 63 mila casi di AIDS, di cui quasi 40.000
deceduti. I nuovi casi di AIDS per anno continuano a
diminuire principalmente per effetto delle terapie antiretrovirali combinate (introdotte nel nostro Paese nel
1996).
Sono diminuiti i casi attribuibili a uso iniettivo di droghe
mentre sono aumentati i casi ascritti al contatto sessuale.
Le stime effettuate sulla base dei dati disponibili indicano che in Italia sono attualmente presenti circa 150 mila
persone HIV positive viventi, di cui più di 22 mila in
AIDS. Un sieropositivo su quattro non sa di essere infetto. La principale via di trasmissione è rappresentata dai
contatti sessuali non protetti.
Andrea Cerutti
Laureato in Medicina e specializzato in ematologia presso
l’Università degli studi di Padova, il friulano Andrea Cerutti si
è poi specializzato in immunologia a New York, alla Cornell
University. Considerato tra i
maggiori esperti al mondo di
cellule produttrici di anticorpi,
oggi svolge la propria attività
tra l’Istituto per la ricerca biomedica di Barcellona (Institución Catalana de Recerca
i Estudis Avançats) e la cattedra di Professore di Immunologia presso la Scuola di Medicina del Mount Sinai di New York. Ha pubblicato più di 55 articoli sulla
regolazione e l’attivazione dei linfociti B sulle principali riviste internazionali. Numerosi i premi vinti, i
finanziamenti ottenuti per le brillanti idee e le partecipazioni a prestigiose società di Immunologia che raggruppano le migliori menti del settore nonché gli inviti
a presentare i risultati dei suoi lavori nei principali
centri di ricerca internazionali.
31 31
Barbara Porcella
Viene quasi da gridarlo alla fine dello spettacolo di
Sabina Guzzanti quel “Sì, sì, sì… Oh Sì” che dà il titolo
alla performance della famosa attrice. Attraverso una
carrellata dei suoi personaggi più conosciuti, la Guzzanti porta sul palco la politica dell’ultimo “ventennio”,
termine ricercato e scelto non certo a caso
quest’ultimo. E se Berlusconi fa da filo conduttore per
tutti gli sketch, non vengono certo risparmiati dalla
sua satira piccante, politici come D’Alema, Bersani e
Brunetta che ricevute le chiavi della città di Ravello
nonostante il parere contrario della Giunta, più che
cittadino onorario, sembra diventarne il portachiavi.
Ma presi di mira sono anche attori come la Marini,
dall’improbabile italiano, o l’indimenticata Moana Pozzi e a questi si aggiungono giornalisti dal linguaggio
maccheronico, l’Annunziata e presentatori televisivi
dalla erre moscia come la De Filippi.
La Guzzanti, come un pittore macchiaiolo che con
pennellate brevi e veloci disegna paesaggi o scene intere, nell’arco di più di due ore di spettacolo delinea però
con contorni netti e chiari lo sfacelo dell’Italia Berlusconiana. Un’Italia in piena crisi economica guidata da
una classe politica incapace, corrotta e spesso connivente con la mafia. Un’Italia le cui redini sono in mano
a vallette ed escort che raggiunti i ventotto anni e fattesi tagliare i capelli entrano senza alcun diritto in
parlamento. Un’Italia dove l’opposizione sembra collocarsi più a destra della destra.
32
Un’Italia che fino a ieri non aveva lasciato nei suoi
cittadini nascere alcuna speranza di riscatto. Ma forse
non tutto è perduto e forse il sacrificio della patria nostra non è del tutto consumato.
Quei quattro “sì” che danno il titolo allo spettacolo
sono il risultato dell’ultimo referendum di speranza
che ancora qualcosa possa cambiare e che il paese messo in ginocchio, piano piano, possa risollevarsi perché
c’è ancora, secondo la Guzzanti, nei cittadini e nella
gente l’idea di unità, unico elemento di forza di un popolo. Un’unità che ha portato donne, bambini, anziani
e giovani provenienti dalle classi sociali più diverse e
disparate a occupare un vecchio cinema nel quartiere
di San Lorenzo a Roma per impedire che venisse sostituito da un casinò illegale.
La lotta, la rivoluzione, la protesta sempre dopo un
caffè si possono ancora fare per un paese migliore, un
paese in cui democrazia significhi governo del popolo.
Enrico Pin
«Il coperchino è arte. Da normale tappo a corona per
chiusura di bibite si trasforma in velocipede completo
di ciclista o in auto da corsa col suo pilota dentro.
[…] Non capivano la bellezza epica dello scontro, non ci
arrivavano a comprendere che per dare bene il cricco
dovevi metterti quasi sdraiato per terra, in chinino non
bastava neanche, le ginocchia ben piantate nella smalta o nella polvere, la mano sinistra salda e larga appoggiata al suolo, il braccio destro che nella spinta inevitabilmente strisciava per metri di marciapiede »
(Da “Vacca d'un cane” di Francesco Guccini)
L’inizio della scuola e l’arrivo dell’autunno con le
sue prime piogge decretavano la fine dei giochi
all’aperto, niente nascondino, niente interminabili partite a pallone, niente strega comanda color. Ci si rifugiava negli spazi ridotti delle case e tornavano protagonisti i giochi coi tappi a corona delle bottiglie. Un po’
come per le figurine i tappi si collezionavano, si scambiavano e i “doppi” venivano usati per giocare. Ricordo
ancora i tappi di una marca di succhi di frutta che riportavano le bandiere degli stati del mondo o i segnali
stradali in un una sorta di sforzo
didattico educativo attraverso il
gioco. Nella mia collezione il tappo
più pregiato era verde con tre cuori rossi, una rarità, perché arrivava dalla Yugoslavia ed era di una
bottiglia d’acqua. I nostri genitori
poi quando aprivano le bottiglie
sembravano scassinatori provetti,
dovevano stare attenti a non piegare troppo i tappi,
perché se li rovinavano perdevano di valore e di efficacia nei giochi.
Venivano indetti in quegli anni anche dei concorsi,
dove togliendo lo strato plasticato del retro del tappo si
poteva scoprire la scritta “Hai vinto!”, o almeno credo,
perché io quella scritta lì non l’ho mai trovata e non
conosco nessuno che l’abbia mai vista.
Uno dei giochi più diffusi era il tiro a distanza: con
un movimento a scatto delle dita (l'indice veniva
"caricato" prima di essere rilasciato dal pollice o viceversa) si dava un colpo al tappo messo di schiena e chi
raggiungeva la distanza maggiore, partendo da una
linea segnata sul terreno, si vincevano i tappi degli
avversari a meno che il tappo non si rovesciasse, se
succedeva questo infatti, la partita era persa.
Carambola, invece, consisteva nel cercare di colpire
il tappo dell’avversario partendo da due punti distanti
tra loro. A turno si lanciava il proprio tappo al fine di
centrare quello del rivale al medesimo tempo era necessario tirare particolarmente forte in modo che se il
colpo falliva, ci si allontanava il più possibile dal tappo
“nemico”.
C’erano poi c’erano i circuiti o le piste, dove veniva
creato un percorso a curve generalmente con salite,
discese e ostacoli vari. A turno si dava un colpo al tappo per tentare di arrivare al traguardo prima degli altri.
Certo che avere genitori che lavoravano nel bar di
una discoteca era per me un bel vantaggio… ad ogni
weekend la mia scorta di tappi aumentava a dismisura
con grande invidia degli amici!
Storia del tappo
Il tappo a corona è stato inventato negli Stati Uniti nel 1891 da
William Painter, l’idea è buona ma ci vorranno alcuni anni
prima che si imponga. Prima vanno realizzate apposite macchine in grado di trasformare un sottile foglio di metallo in tanti
pezzi a loro volta pronti per essere usati per tappare le bottiglie
di vetro.
Negli anni Venti il tappo assume la fisionomia attuale, con la
presenza di ventuno “dentini”, ritenuti il numero ideale per
sigillare la bottiglia senza il pericolo che il contenuto possa
evaporare o sgasarsi se agitato.
Sino agli anni '30 è stato utilizzato esclusivamente dalla Crown
Cork and Seal, poi il suo uso si espande a livello mondiale. In
Italia è praticamente impossibile trovare tappi a corona precedenti gli anni '50, perché il metallo, in tempo di guerra e di
autarchia, veniva utilizzato per altri scopi.
33
Un’italiana a Londra
In anteprima i segreti del Bel Paese raccolti in un libro di prossima uscita
Chiara Plimmer
Stavo proprio pensando a quanti meravigliosi manicaretti potrei cucinare stasera per me, per mio marito
o per quegli amici che potrebbero inaspettatamente
suonare al campanello all’ora di cena.
Guarda caso, io sono a dieta (così risparmiamo,
comprando quello che rimane sugli scaffali alla fine dei
saldi); mio marito sta facendo gli straordinari, che novità, e gli amici?
C’è stranamente un tacito accordo per cui di questi
tempi al massimo ci si incontra per un caffè, magari a
metà strada così non dobbiamo neanche preoccuparci
per il parcheggio, e solo in certi orari, quindi non credo
che avremo ospiti a cena. Ho lo strano sentore che il
gatto mangerà meglio di noi, di nuovo o come sempre
da quando qualcuno ha deciso che stavamo troppo bene ed era ora di insegnarci la lezione più importante
della nostra vita: dimentica le cose terrene, allontanati
dai bisogni materiali e, mi raccomando, inizia ad apprezzare le cose semplici nella vita. Nello specifico,
acqua, gas, elettricità e, come dimenticare, un tetto
sopra la testa. Dobbiamo però ringraziare il
“famoso”cielo perché almeno abbiamo la salute.
Davvero? Facciamo i seri. Quale salute, se spendiamo la maggior parte della giornata a lavoro e quello
che rimane a preoccuparci del giorno dopo e di quello
dopo ancora perché purtroppo la nuova parola d’ordine
per la nostra generazione è, come dicono gli inglesi,
flexibility, ossia flessibilità. Eh sì, devi essere come un
giunco che si muove seguendo i venti e che non si spezza durante la tempesta. Magari perde pezzi o cambia
colore ma sicuramente non si perde d’animo e resiste.
Insomma, gli puoi fare di tutto ma rimane comunque
in salute.
Mi ribello e dico: il mondo è vasto e noi abbiamo
tanti problemi. La vita è difficile e ci mette alla prova
tutti I giorni.
Vado dal dentista o pago la bolletta del gas? Se avete compreso a pieno I nuovi insegnamenti, la risposta
dovrebbe venire spontanea; vado alla boutique dei prodotti organici e mi compro tre foglie di insalata
dall’orto del signor Gianni e forse anche un limone ma
solo se viene dalla Sicilia.
E non metterò qui in evidenza la stupidità della
domanda.
Tutti sanno che chi ha il pane non ha i denti, ma ha
mai pensato nessuno che chi non ha denti, li ha persi
perché non aveva il pane? E dimenticavo, perché il
dentista ti fa anche diventare mezzo cieco… costa ancora un occhio della testa.
Non importa se non hai i denti o se vivi al buio e al
34
freddo, l’importante è la salute e l’unico modo per mantenerla è una dieta sana ed equilibrata ma presentata
con stile ed eleganza. Piatti dai colori che dovrebbero
ricordare le tele di Botticelli e ingredienti dalle qualità
così eccezionali e dalla bellezza così disarmante da dimenticare tutti i problemi che ci affliggono. Una cosa è
sicura, dopo aver pagato il conto del fruttivendolo non
dovrete preoccuparvi di cucinare, il gas è stato staccato
una settimana fa.
L’atto del nutrirsi, un tempo una necessità, è diventato non solo un esercizio di chimica molecolare ma
soprattutto un’arte. Considerando I prezzi degli ingredienti, ci stiamo trasformando più in collezionisti che
in acquirenti.
La mia libreria, infatti, trabocca di libri di cucina
dai titoli più diversi. Ogni giorno ne apro uno, lo leggo,
guardo le figure e mi emoziono pensando alle meraviglie che potrei creare il giorno dopo. La verità è che
dopo una o due ricette mi rendo conto che degli ingredienti necessari, in casa, non c’è neanche l’ombra. Allora mi faccio un caffè e mi siedo a riflettere e a rileggere
le ricette come se stessi preparando un esame di matematica.
Se aggiungo questo ma tolgo quello, la ricetta sarà
la stessa ma soprattutto sarà commestibile o finiremo
tutti in pronto soccorso con una severa forma di intossicazione alimentare?
Quando apro il frigorifero non mi trovo istantaneamente nel mondo di Alice e del paese delle meraviglie.
Quando entro nella mia dispensa non c’è il Leone di
Narnia a darmi il benvenuto ma dagli scaffali qualche
scatola mezza aperta e barattoli un po’ sbattuti mi fanno l’occhiolino. Scegli me, dicono. Farò un figurone stasera a cena, te lo prometto. Io mi fido ma con una scatola di ceci e mais e due cipolle, cosa gli racconto al
piatto quando si sente vuoto e solo in mezzo alla tavola
con sale e oliera come soli compagni di giochi?
Cucinare, per me è l’arte dell’arrangiarsi e senza
entrare in discorsi troppo profondi a base sociologica,
chi mi vede cucinare capisce subito come sono nella
vita. Semplice e onesta, senza bisogno di essere chi non
sono ma pronta a ogni evenienza.
Ho capito molto tempo fa che essere soddisfatti non
vuol dire inventarsi ma re inventarsi.
Il mio frigo piange e io con lui ma poi mi ricordo che
per essere felici non serve molto, anzi quasi niente. La
felicità è uno stato mentale e come tale fino a che c’è
fantasia, c’è una soluzione a tutto (o quasi).
Un cuoco che io ammiro molto ha detto che I libri di
cucina non sono trattati di storia della società ma alla
fine lo diventano. La storia di ciò che mangiamo è indiscutibilmente la storia di dove viviamo e chi siamo.
Molti chef moderni ci fanno credere che cucinare
abbia qualità morali nascoste o riveli una purezza
d’intenti e virtù che per me certamente non ha. Non mi
sento in colpa per aver mangiato qualcosa cucinato da
altri perché a volte ho voglia di passare due ore in cucina e a volte no. Cucinare per me è prendermi cura di
me stessa e delle persone a cui voglio bene nel miglior
modo possibile e se i sapori ci sono, la presentazione
passa in secondo piano. Mangiare è una necessità ma è
anche un atto d’amore verso noi stessi e come tale va
rispettato. I miei barattoli lo sanno che qualsiasi cosa
accada, cercherò sempre di usarli al meglio delle mie
possibilità ma non ho paura di usare scorciatoie se il
tempo è poco e la fame è tanta perché se il fine è nobile, i mezzi si trovano.
Ho sempre pensato che un giorno avrei trovato un
libro di cucina che mi insegnasse a usare gli avanzi del
giorno prima ma poi mi sono resa conto che è
un’impresa quasi impossibile e forse inutile. In ogni
cultura e paese, tutti ci siamo trovati a riscaldare i
resti dell’ultima cena e cercare di dare un senso a quelle due carote o a quel sedano che da soli in frigorifero
ora sembra che abbiano cento anni. Rugosi e rattrappiti, ci chiedono di inventarci qualcosa per mettere fine
alla loro misera esistenza di verdure di contorno.
Come nella vita, misuro il successo non da ciò che
ho, ma da come lo uso e mio marito ne sa sicuramente
qualcosa quando mi guarda cucinare e non capisce come gli ingredienti che ho disposto in fila di fronte a me,
alla fine diventino qualcosa d’altro quando arrivano in
tavola. Il mio sogno è andare a scuola di cucina dai più
grandi chef, non per le ricette ma per imparare i segreti di ogni ingrediente possibile e immaginabile.
È un po’ come Maria in “tutti insieme appassionatamente” che cuce tutti i vestiti usando le tende.
È come la mamma che ti taglia i capelli esattamente come vuoi tu anche se non è parrucchiera perché ti
conosce così bene che non ha dubbi sul risultato. È come la nonna Gina che cucinava tutto a occhio perché
ormai nulla aveva più segreti per lei.
Ma è anche come la zia Nina che d’estate portava in
tavola anni di tradizioni ricordando a tutti che nutrire
l’altro è una missione fondata sull’amore. Nulla aveva
a che fare con l’esibizionismo della novità o dell’alta
cucina a 5 stelle, ma solo amore e desiderio di prendersi cura degli altri in un modo che solo lei sapeva.
Oggi, cucino per me e per altri cercando di ricordare
tutti questi esempi. Un po’ di chimica, un po’ di fantasia, un po’ di esperienza e la memoria dei profumi, dei
colori e dei sapori che porto con me dall’infanzia.
Non credo ci sia la ricetta perfetta nella vita o in
cucina ma solo una lunga sequenza di prove, errori e
tanti ricordi.
Sono infatti i ricordi che oggi mi permettono in una
terra straniera di sentirmi sempre un po’ a casa e di
far sentire gli altri un po’ come persone di famiglia.
Mangio per sopravvivere e per non dimenticare da
dove vengo e chi sono. Cucino per fare altri felici e soprattutto per dimostrare che intorno a una tavolo siamo tutti tanto uguali quanto diversi come lo sono i sa-
pori nei nostri piatti.
Me ne stavo quasi dimenticando, cucino anche perché
mi piace. In maniera un po’ masochistica, mi piace confrontarmi con la sfida del frigo mezzo vuoto e della dispensa con i fantasmi dei cibi passati. Dopo una giornata
di lavoro dettato da scadenze e numeri, ho bisogno (per
mantenere una certa sanità mentale) di tornare alle origini, alle radici. Ho bisogno di quei sapori che mi ricordano l’estate al mare o la domenica a casa da scuola. Ho
bisogno di sentire quei profumi che aleggiavano in casa
al ritorno da scuola come se avessi ancora 15 anni o di
quei sapori che posso solo descrivere come parte della
mia anima.
GELATINA DI PROSECCO E
MELOGRANO
Questo dessert, che si presta perfettamente alla creatività personale, è molto leggero e tipicamente estivo soprattutto per i
colori accesi e variegati. Può essere servito da solo oppure con
gelato di vaniglia, panna montata o liquida; magari anche con
un composto di frutti di stagione leggermente cotti con zucchero e limone e un tocco di prosecco o altro liquore a vostro piacimento.
Procuratevi a litro di gelatina e una serie di stampini, dai 6
agli 8 per cominciare.
Procuratevi…
75cl prosecco, 250ml acqua, 300gr zucchero semolato. 8 fogli di
gelatine, ½ cucchiaino di vaniglia (essenza), 3 cucchiaini di
couintreau, grand marnier o liquore secco (facoltativo)
75gr semi di melograno, Olio insapore per rivestire le formine
Pronti, via…
Rivestire le formine con un velo d’olio e posizionate su una teglia da forno oppure un vassoio. Versate 75 cl di prosecco e 250
ml di acqua in una pentola, aggiungete quindi lo zucchero e
mescolare il tutto fino a sciogliere quest’ultimo (fate però attenzione a non mescolare una volta che la pentola sia sul fuoco). Nel frattempo fate sciogliere i fogli di gelatina (colla di pesce) nell’acqua fredda per circa 5 minuti. Mettere la pentola sul
fuoco, portare a ebollizione e fate bollire per un minuto. Aggiungete quindi la vaniglia e lasciate sobbollire il liquido per
un altro minuto ancora prima di rimuoverlo dal fuoco. Versate
250ml del liquido ottenuto in un contenitore graduato e quando
i fogli di gelatina saranno morbidi al tocco, rimuoveteli
dall’acqua, strizzateli dolcemente e aggiungeteli al composto di
acqua e prosecco ancora caldo. Versare il liquido nella pentola
(che non deve essere sul fuoco, mi raccomando) e mescolate di
nuovo con un frullino. Riversate il tutto nel contenitore graduato prima di versare nelle formine dopo averle guarnite con
una manciata di semi di melograno o di un altro frutto di piccole dimensioni per poi versare il liquido fino al bordo. Disponete
le formine su un vassoio e lasciatele in frigorifero per l’intera
notte. Prima di servirle,riempite un bacino oppure un altro
contenitore con acqua calda e posizionatevi le formine in modo
tale che l’acqua arrivi a metà dell’altezza e lasciatele in ammollo per circa 30secondi. Rimuovete quindi le formine, asciugate l’esterno e disponetele a testa in giù su un piatto da portata. Ultimo passo: decorate il dessert con i rimanenti semi di
melograno.
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COMUNITÁ PIERGIORGIO ONLUS
3° CONCORSO
FOTOGRAFICO
Il periodico della Comunità
Piergiorgio ONLUS
aspetta i tuoi scatti migliori
Che cosa ti suggerisce la parola
OLTRE?
Possiedi delle fotografie
scattate casualmente
oppure durante
viaggi di piacere
che in qualche modo
rappresentano al meglio,
secondo te, il concetto di
OLTRE?
Come partecipare
Il Concorso ha tema “OLTRE” e saranno ammesse opere a
colori o in bianco e nero.
Le opere possono essere consegnate a mano oppure a
mezzo Raccomandata A/R presso la Comunità Piergiorgio
O.N.L.U.S, Piazza Libia 1, 33100 Udine o, ancora, inviate in
formato digitale a alta risoluzione al seguente indirizzo mail:
[email protected]
entro e non oltre il giorno 15 aprile 2012 (farà fede il timbro
postale per le opere pervenute oltre la data indicata).
La Giuria sarà composta dai membri della Redazione di
Oltre, dal Presidente della Comunità Piergiorgio ONLUS e
da esperti del settore.
L’ammissione e l’assegnazione dei premi avverrà a giudizio
insindacabile della Giuria.
I premi:
1) Pubblicazione dell’opera come Copertina del numero di giugno 2012 e un Set completo da scrivania realizzato interamente a mano dalla cooperativa sociale Arte e Libro.
2) Pubblicazione dell’opera come Copertina del numero di dicembre del 2012 della rivista
Partecipa anche tu inviando sino ad un massimo di tre fotografie entro il 15 aprile del 2012
Il regolamento del Concorso e la Scheda di adesione sono scaricabili dal sito internet
www.piergiorgio.org
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AUDIOLIBRO,
UN VIAGGIO ATTRAVERSO
I CINQUE SENSI
«Mi chiamo Ivano Persello e sono un ragazzo non vedente ma riesco a sentire, a gustare, a toccare e ad annusare le cose meglio degli altri». Tra le trentuno tracce contemplate all’interno del progetto Audio Libro, un
lavoro davvero corale che negli ultimi due anni ha coinvolto operatori e utenti dei Servizi per l’handicap
dell’ Azienda Sanitaria 4 Medio Friuli e che per il 2011
è stato proposto unitamente al giornale pubblicato ogni
dodici mesi dai CSRE della provincia di Udine, vi è
anche quella realizzata dal giovane Ivano. Un vero e
proprio viaggio nel passato e un ripensamento del proprio presente alla luce dei cinque sensi quello realizzato attraverso il CD Audio Libro anche grazie al contributo di due attori professionisti, Claudio Moretti e Lucia Linda, chiamati a interpretare i testi scritti e dunque prodotti dai ragazzi disabili che hanno preso parte
con grande entusiasmo al lavoro.
«Ognuno di noi, attraverso questi sensi, riesce a ricostruire fatti ed episodi della propria vita passata e del
suo presente – spiega Evelina, referente del progetto Attraverso alcune interviste i ragazzi hanno raccontato per esempio il profumo della polenta, del latte appena munto e poi da lì tornavano nel loro passato rievocando passioni e interessi magari momentaneamente
dimenticati. Ma cosa aspettarsi dunque e concretamente inserendo il CD? «Attraverso questo piccolo disco e schiacciando sul tasto play – spiega l’educatrice
per adulti Cristina, operativa presso il CSRE di Tarcento - si sentono le voci di due attori protagonisti che
interpretano i testi elaborati dai ragazzi dei singoli
CSRE e costruiti sul filone dei cinque sensi. Abbiamo
scelto di lavorare su questo denominatore comune perché quello dei sensi era un modo per fare riaffiorare i
ricordi di utenti adulti che hanno un vissuto davvero
molto ricco da fare emergere».
IL CSRE DI CODROIPO
HA FESTEGGIATO I SUOI PRIMI
TRENT’ANNI
CON UNA FAVOLA DI QUESTI TEMPI
Raccontare il mondo della disabilità ai più piccini e
svelare loro in modo semplice e divertente un universo
non sempre facile da comprendere. Obiettivo ambizioso
quello che ha segnato dunque i natali de “La Ballata
della Carrozza”, la favola illustrata sulla quale per ben
due anni i ragazzi del CSRE di Codroipo, e sotto l’egida
degli operatori, hanno lavorato con impegno per produrre infine un libro presentato ufficialmente al pub-
blico venerdì 30 settembre, proprio in occasione dei
festeggiamenti per i trent’anni di questa importante
realtà del territorio friulano nata negli anni Ottanta e
che oggi si configura come punto di riferimento significativo per persone adulte con disabilità fisica e psicologica. «Trent’anni non sono certamente pochi, anzi, corrispondono quasi alla vita lavorativa di una persona e
quella del CSRE è stata davvero un’esperienza intensa
che ha coinvolto tanti operatori, ragazzi giovani e in
generale molte persone che nel corso di questa avventura hanno sofferto, lottato, gioito e ottenuto soprattutto dei risultati - spiega Luigino Dus, mentre ricorda
che il CSRE è frequentato attualmente da venti persone adulte coinvolte quotidianamente in un calendario
di attività molteplici che spaziano dall’ambito cognitivo
a quello motorio – Il CSRE è una struttura che dagli
anni Ottanta a oggi di strada ne ha fatta parecchia.
Siamo partiti in un periodo storico in cui il mondo della disabilità era ancora poco noto per cui tanti giovani
con problemi erano costretti ad andare fuori regione
per cercare un supporto. Nel corso del tempo siamo
tuttavia riusciti a compiere grandi passi in avanti arrivando ad oggi con una struttura come la nostra che è
in grado di dare risposte concrete a chi ha bisogno e
che è sempre stata estremamente attenta alla centralità del soggetto, della persona».
Una persona valorizzata in ogni modo, attraverso
attività programmate con cura, giorno per giorno, così
come spiega l’educatrice Alessia. «Il Centro è diviso in
cinque aule contraddistinte da colori diversi e in ognuna delle quali ha luogo un’attività specifica – precisa la
giovane, menzionando inoltre tutta la componente delle attività motorie in cui il Centro è specializzato –
Nell‘aula blu trovano spazio le attività cognitive,
l’attività di mosaico prende forma nell’aula gialla mentre in quella verde viene anche curato il giornalino di
fine anno».
«Il compleanno che abbiamo da poco festeggiato è
importante – spiega con grande coinvolgimento e giustificato orgoglio la dott.ssa Annamaria Zuppello, dirigente tecnico dei Servizi delegati per l’handicap presso
l’Azienda Sanitaria 4 Medio Friuli - Il significato della
giornata è ricordare ancora una volta il momento che
risale a trent’anni fa, quando la Provincia di Udine
ritenne importante definire un impegno del settore
pubblico nell’ambito della disabilità.
Questo fatto diventa in qualche modo tangibile con
la costituzione del CAMPP, ente costituito tra Provincia di Udine, Comune e Istituto per la maternità e
l’infanzia e che cerca di dare una risposta al problema
della disabilità in tutte le realtà simili della provincia
stessa. Successivamente nascono anche i primi centri
per minori non scolarizzabili, le scuole speciali che trovano soprattutto negli anni Settanta la loro massima
espansione e con l’inizio degli anni Ottanta c’è inoltre
la graduale crescita di quelli che all’epoca venivano
chiamati laboratori, ossia centri finalizzati a dare risposte di tipo occupazionale o pre - lavorativo a persone con disabilità».
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A cura di Enrico Pin
Cosa succede in città
di Massimiliano
Santarossa
Lo scrittore pordenonese,
classe 1974, ha ambientato
nel Friuli degli anni Ottanta
il suo nuovo libro che racconta le avventure di quattro
ragazzi che scoprono il mondo grazie al rocker Vasco.
Quattro adolescenti si muovono in un piccolo paese di provincia a un passo
dai quartieri popolari di una città ancora lontana e tutta da scoprire. È il 16 agosto 1987 quando Vasco Rossi arriva al parco Galvani di Pordenone con il suo tour “Cosa succede in città” e sarà il loro primo concerto, un concerto che non
dimenticheranno mai più.
Un buon posto per morire
di Tullio Avoledo e Davide Boosta Dileo
Settecento pagine a doppia firma; da un lato lo
scrittore Tullio Avoledo e dall’altro Davide Boosta Di Leo, tastierista e
fondatore dei Subsonica.
Un gigantesco asteroide è
diretto verso il pianeta
Terra. Solo pochi eletti
sono a conoscenza della
minaccia incombente per il
genere umano. Saranno
due estranei, Leo e Claire,
un uomo e una donna,
ignari del pericolo, a cercare di fermare il conto alla
rovescia verso la catastrofe.
Libri
sotto l’albero
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38
Cose da salvare in caso di incendio
Lettera di dimissioni
di Haley Tanner
di Valeria Parrella
L’autrice, Haley Tanner, nata a New York nel
1982, trasporta nel suo romanzo
l’esperienza
maturata
durante
l’insegnamento dell’inglese in una
scuola per bambini stranieri a Brooklyn. Protagonisti, due bambini figli
di immigrati russi di dieci anni, Vaclav, che sogna di diventare un mago
famoso in tutto il mondo e Lena, sua
compagna di scuola e sua assistente.
Un giorno Lena sparisce dalla vita di
Vaclav senza nemmeno un addio. Dieci anni dopo i due si rincontreranno
per scoprire che nulla è cambiato mentre il passato getterà un’ombra crudele sulla
loro felicità.
Protagonista è Clelia, innamorata della vita, ricca di passione e di ideali, che per mantenersi
lavora come maschera in un teatro e che proprio
in teatro farà presto carriera. Appagata dal successo, Clelia sembra non
accorgersi di scegliere sistematicamente il "male
minore". La storia di Clelia procede di pari passo
con quella dell'Italia e ci
restituisce il ritratto di un
Paese che ha progressivamente
rinunciato
all’impegno pubblico per il
privato e all'etica per il
guadagno.
L'Uomo Nero e la bicicletta blu
Un calcio in bocca fa
miracoli
di Eraldo Baldini
di Marco Presta
Siamo nell’estate del 1963 e in un paese di campagna, popolato da figure comiche e personaggi dai
tratti improbabili, un ragazzino cerca disperatamente di racimolare i soldi necessari ad acquistare una
bicicletta blu. Gigi, il protagonista, ha un padre che
vende bestiame e sogna
Marilyn, un nonno col fucile sempre a portata di mano, una madre saggia e un
fratellino furbo e terribilmente
scaltro.
Mentre
l’estate
procede
anche
l’uomo nero si avvicina e la
vita con i suoi lati più oscuri irrompe in quella di Gigi.
L’autore, noto conduttore
della trasmissione radiofonica “Il ruggito del coniglio”, si cimenta in
questo romanzo. Protagonisti, un vecchio burbero sempre più asociale
e il suo amico Armando, gentile e generoso ma
con un’idea da realizzare tanto stramba quanto poetica. Prima di morire vuole infatti aver
prima fatto nascere una storia d’amore. Per
Armando, Chiara e Giacomo, due ragazzi che
non si conoscono nemmeno, sarebbero una
coppia perfetta e lui intende dare una mano al
destino coinvolgendo lo scontroso amico.
Africa
di Valerio Varesi
Varesi, papà del commissario Soneri ai quali è ispirata la serie di sceneggiati
televisivi "Nebbie e delitti”, lascia il mondo del mistero e dei delitti stessi per
raccontarci invece una storia di immigrazione. Africa è un etiope immigrato
in Italia e fa il camionista. Guida, giorno e notte, d’estate e d’inverno; il tachigrafo è manomesso e passa le ore della sua giovane vita cercando di rimanere
sveglio per consegnare la merce in tempo, in tempo per il padrone. Un racconto breve e intenso, il realismo suscita rabbia ma anche impotenza e indignazione di fronte all’ingiustizia.
Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve
di Jonasson Jonas
Allan Karlsson compie cento anni e per l'occasione la casa di riposo dove vive intende
festeggiare la ricorrenza in pompa magna, con tutte le autorità. Allan, però, è di
un'altra idea. Così decide, di punto in bianco, di darsela a gambe. Nella sua fuga incontra e raccoglie attorno a sé una strana squadra di personaggi cui racconterà la
propria vita avventurosa, ricca di incontri importanti con le personalità che hannoo
segnato il secolo appena passato, da Stalin al Generale Franco. Con due valigie piene
di soldi, inseguiti da una banda di criminali intenzionati a riprendersele, la nostra
combriccola intraprenderà un viaggio nel tempo e negli spazi del Nord Europa.
39 39
Una nuova squadra di Sledge Hockey
L’iniziativa, di cui da un anno è portavoce il Centro don Onelio di Caneva di Tolmezzo,
sta per prendere il via e coinvolgerà anche Austria e Slovenia. A supportare
i futuri “campioni del ghiaccio”, il team delle Aquile di Pontebba
Cari lettori di Oltre,
noi del Centro Don Onelio di Caneva di Tolmezzo,
per questo numero del nostro giornale, vogliamo raccontarvi qualcosa di molto importante. È un fatto che è
davvero significativo e, ad ognuno, è rimasto nel cuore.
A distanza di alcuni mesi non vi chiediamo se a luglio
avete avuto occasione di guardare su Telefriuli il telegiornale. Sarebbe difficile ricordare tutti i servizi che ci
propongono le emittenti televisive, specialmente se
sono notizie che non ci riguardano da vicino. Le cose
belle, anzi, meravigliose non le dimentichiamo, ma le
conserviamo nei nostri cuori. Sul giornale locale del 14
luglio purtroppo non è stato pubblicato l’articolo sulla
serata avvenuta il 13/07 al tennis club di Tolmezzo tra
l’associazione “Le Aquile” e la Comunità Piergiorgio di
Caneva.
Il servizio in questione sulla rete televisiva è stato
trasmesso e anche su radio spazio 103, l’emittente diocesana, ne hanno parlato. Per carità, sì, la notizia è
stata diffusa, ma come al solito in modo un po’ tecnico
senza molti fronzoli. Noi ragazzi invece approfittiamo
del nostro semestrale per esprimervi gli stati d’animo e
le emozioni che abbiamo provato quella sera.
Prima di tutto bisogna dire che tutti insieme per
molti giorni, con gli operatori, con le nostre mani abbiamo creato per l’occasione degli oggetti in legno di
bigiotteria. Sono stati tanti e, alla fine, è venuto fuori
un capolavoro. Un attimo, però, esattamente a cosa
sono serviti i lavoretti? Eh, eh, alla fine lo scoprirete.
Leggete fino in fondo!
40
Al tennis club abbiamo assistito alla sfilata di diciotto ragazze del Friuli Venezia Giulia per la selezione regionale di Miss Italia 2011: sono state belle ed
hanno sfilato con grande bravura. Ad allietare la manifestazione sono stati ospiti Florian Planker della
squadra nazionale di hockey, il poeta Pierluigi Cappello che ha letto alcune sue poesie, dei violinisti che hanno eseguito alcuni brani, i ragazzi del Piccolo Teatro
città di Udine, il gruppo star dance di Tolmezzo, due
ragazzi disabili, Francesco e Catrin, che hanno vinto a
Rimini il campionato di ballo ed Eric, un altro ragazzo
diversamente abile che è il vincitore del campionato di
Atene il 5 luglio.
Finalmente arriva il momento della sfilata delle
signore over quaranta accompagnate da modelli under
40 e, tutti insieme, indossano i nostri bei lavori. Che
soddisfazione! Ed ecco due amici del nostro Centro,
Ivanka e Cristian che sfilano con Anna Maria Bertanza, la responsabile dell’associazione “Le Aquile”. Sì,
proprio loro che durante l’anno hanno assistito alle
partite di hockey e dalle quali sono stati affascinati.
Ok, ma... come si può fare per proseguire con questo
sport? La serata al tennis club aveva proprio l’obiettivo
di unire l’associazione di Pontebba con noi allo scopo di
creare una squadra di hockey con i nostri ragazzi del
Centro Don Onelio. I promotori del progetto siamo noi,
ma desideriamo che ad esso possano avvicinarsi anche
altri disabili della nostra regione.
Il gruppo di Caneva di Tolmezzo
I BAMBINI DI PRATO CARNICO A
SOSTEGNO DELLA DISABILITÀ
Trenta piccoli alunni della Scuola Primaria
hanno realizzato un Calendario dedicato
agli alberi e alle piante della Val Pesarina.
Il ricavato è stato devoluto alla sede di Caneva
di Tolmezzo della Comunità Piergiorgio Onlus
Hanno voluto dare l’intero ricavato raccolto in beneficenza scegliendo dunque il Centro Don Onelio di Caneva di Tolmezzo, dedicato a persone disabili, quale
importante destinatario dell’apprezzato gesto. E lo
hanno fatto realizzando un calendario interamente
dedicato alle piante e agli alberi che popolano i boschi
della Val Pesarina; una delle sette valli della Carnia a
confine con il Cadore e con la Valle di Sappada, con cui
tra l’altro la stessa condivide alcuni monti. Circa una
trentina i bambini della Scuola Primaria a tempo pieno di Prato Carnico coinvolti nell’iniziativa e che, diretti per un anno intero nel progetto da un team di
appassionate insegnanti, hanno così potuto dare vita
al calendario “Arbai” nato dall’esigenza di scoprire le
peculiarità della splendida Val Pesarina appunto attraverso attività di ricerca e di esplorazione del territorio; iniziative accolte con grande entusiasmo dai bambini e che hanno attivamente coinvolto anche le rispettive famiglie.
della vallata e delle zone limitrofe che hanno dato in
offerta il lunario – Scrivere i testi del calendario anche
in lingua ci ha permesso di recuperare parole e modi di
dire che oggi stanno pian piano scomparendo e che invece devono essere salvaguardati». Un’esperienza davvero edificante dunque che ha prodotto un calendario
di successo, se è vero che le mille copie stampate sono
state esaurite in breve tempo, e il cui ricavato, di 3151
euro, è stato poi consegnato ufficialmente alla Comunità Piergiorgio nella sua sede di Caneva di Tolmezzo
nel mese di maggio alla presenza della responsabile
Marta, del direttore scolastico della Scuola di Prato
Carnico, Riccardo Carrera, e di alcuni volontari.
«Dopo questo incontro, davvero intenso e significativo – precisa l’insegnante – la nostra scuola è stata poi
invitata a vivere una giornata intera al Centro don
Onelio e grazie all’abile mediazione di tutto il personale i nostri piccoli alunni, che erano stati preparati
all’incontro, hanno potuto vivere serenamente
l’esperienza entrando così a contatto con una realtà
sino ad allora pressoché sconosciuta. Sono stati visitati
i laboratori, l’orto botanico e gli animali che aiutano i
pazienti. Gli alunni hanno poi cantato insieme agli
ospiti condividendo così dei veri e propri momenti di
allegria».
«Attraverso questo percorso, iniziato un anno fa,
abbiamo voluto approfondire la conoscenza delle principali piante ad alto fusto che popolano i nostri boschi
– spiega una delle insegnanti che hanno partecipato al
progetto, tra l’altro fortemente sostenuto dall’intera
comunità – Abbiamo organizzato esplorazioni guidate
sul territorio per il riconoscimento delle piante nel loro
habitat, consultato libri e interpellato nonni, genitori
ed esperti della vallata per recuperare più informazioni possibili sull’argomento verso cui gli alunni si sono
mostrati da subito particolarmente interessati».
E ogni pagina del calendario è infatti dedicata alla
descrizione di un particolare albero o di una specifica
pianta raccontati e descritti in parte anche attraverso
il ricorso alla lingua locale. «Questo aspetto, in particolar modo, è stato per noi molto importante – aggiunge
la maestra, mentre ricorda il grande e intenso coinvolgimento nel progetto anche da parte dei commercianti
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UNA MOSTRA FOTOGRAFICA E
UN FILM AL CINEMA
Ecco alcune delle numerose opportunità per i
ragazzi del Centro diurno della Piergiorgio
Arrigo De Biasio
Nel mese di giugno sono andato a vedere una mostra
fotografica allestita nel corridoio della sede della quarta circoscrizione sud, in via Pradamano a Udine, dove
si trovano anche la Scuola media statale Enrico Fermi
e la piscina comunale. E ci sono andato in compagnia
di un gruppo di ragazzi della Comunità Piergiorgio che
frequento quotidianamente. La mostra era sostanzialmente l’esposizione di Igino, un amico del Centro diurno, che da oltre un anno viene da noi a fare volontariato compatibilmente, è ovvio, con i numerosi impegni
che ha ogni giorno. Igino è anche la persona che ha
tenuto un corso di fotografia per alcuni di noi. Le sue
fotografie ritraevano attimi di balletti di danza classica con tutte le evoluzioni di una coppia di danzatori.
La luce degli scatti era volutamente violetta, un colore
di valenza alquanto mistica perché secondo Igino la
danza, accompagnata dalla musica, ci proietta verso
Dio. Anche io che sto scrivendo in questo preciso istante sono credente ed è il motivo per cui ho apprezzato
molto questo richiamo sottolineato dall’artista che tra
l’altro non era l’unico espositore della mostra. C’erano
infatti anche scatti di altri fotografi. Uno di loro riproponeva costantemente, in ogni opera, un cerchio collocato circa lungo la diagonale di un rettangolo; è così
che è riuscito a far vedere bene l’ingrandimento di un
fiammifero che viene acceso in quattro scatti. Si vede
bene infatti la sfera del fiammifero in una delle quattro foto, metà gialla e metà rossiccia. Un altro fotografo proponeva invece scatti legati all’Africa; al Malì, per
l’esattezza. Capanne, volti, una lavagna piena di scritte e un tramonto. Devo ancora menzionare i lavori
dell’ultimo fotografo che ritraeva vedute dal carso triestino con colori davvero molto belli. Siccome alla fine
mancava ancora un po’ di tempo a mezzogiorno siamo
andati a bere un caffè alla macchinetta della piscina
comunale, caffè offerto da Igino. È anche piovuto quella mattina ma fortunatamente, quando siamo arrivati
a destinazione e una volta usciti dalla mostra, la pioggia aveva cessato di battere. È proprio vero che la fortuna aiuta gli audaci!.
Oltre alla visita a questa mostra il mattino precedente
il Centro diurno mi aveva offerto anche un’altra bella
opportunità. Sempre tramite pulmino e automobile in
aggiunta, e insieme a un gruppo di ragazzi, c’era stata
42
l’uscita al cinema Visionario, sempre a Udine, per vedere il film western “Pronti a morire”. Una pellicola
del 1995 interpretata da Sharon Stone che già era stata protagonista di Basic instinct nel 1992 e da un giovanissimo Leonardo Di Caprio. La storia era quella di
una donna, la Stone appunto, che raggiunge a cavallo
un villaggio del far west tiranneggiato da un uomo cattivo. La Stone si reca in questo posto per vendicare la
morte di suo padre, uno sceriffo, ucciso proprio per volere di quell’uomo cattivo quando lei era ancora una
bambina. Nel villaggio si svolge quindi un torneo di
due duelli e a due a due i pistoleri si sfidano sparandosi al rintocco dell’orologio; il più veloce è colui che vince. Vi partecipa anche la donna che in qualche modo,
sebbene ferita e nel bel mezzo di una serie di esplosioni
con la dinamite, riesce comunque a uccidere l’uomo
cattivo.
È davvero bello che il Centro diurno della Comunità
Piergiorgio ci consenta di uscire ogni tanto per andare
a vedere qualcosa di bello così noi ragazzi torniamo a
casa più contenti e arricchiti grazie a nuove esperienze.
Treni e disabilità
Rita Pugnale
Era il 29 maggio verso le ore 18. Stavo tornando a
Udine da Firenze e ho fatto il cambio a Venezia. Qui
sono cominciati i miei guai. Passato Sacile, la mia
accompagnatrice è andata alla ricerca di un bagno.
Sorpresa!.
Il
W.C. era due
carrozze
più
avanti ed io non
potevo in alcun
modo raggiungerlo così ho
dovuto resistere
fino a Udine. Io
vado abbastanza spesso a Firenze e non è la prima volta che su questa tratta mi
succedono inconvenienti di tal genere pur essendo
sempre seduta nel posto con il contrassegno dei disabili. Ultimo fra tutti, non c’era l’aria condizionata in
piena calura e i finestrini erano addirittura bloccati.
In conclusione; io capisco che di disagi ce ne sono
sempre tanti ma dico anche che bisognerebbe avere
più riguardo per le persone disabili.
UNA MATTINATA SPECIALE CON I GENROSSO PER I RAGAZZI
DEL CENTRO DIURNO
Il gruppo musicale cattolico in tour a Udine col musical “Streetlight”: sul palco dello Zanon, diciotto ragazzi provenienti
da diverse parti del mondo. Lo spettacolo ha riscosso grande successo.
Due ragazzi della Piergiorgio, Maurizio ed Ennio, si confrontano sull’esperienza vissuta
Maurizio Scolari
Ennio Mazzolo
… non c’è due senza tre!. Questo è il terzo articolo che
mi accingo a scrivere per il nostro semestrale.
Oggi desidero raccontarvi un’esperienza bella che ho
vissuto un po’ di tempo fa assieme ad alcune persone
del Centro Diurno. Tutto è cominciato un pomeriggio
quando, durante la consueta riunione organizzativa, il
nostro amico e volontario Igino ha accompagnato da
noi Valerio Gentile.
Chi è costui?. Non lo conoscete, vero?. Beh, certo, nemmeno noi sapevamo chi fosse, ma ci è bastata
all’incirca mezz’ora per conoscerlo. Valerio Gentile è il
referente dei Genrosso, il gruppo musicale
d’ispirazione cattolica che è in attività dal 1966.
La persona in questione è venuta a presentarci il loro
ultimo lavoro: “Streetlight”: una storia vera di un afroamericano che vive a Chicago nella settantanovesima
strada.
All’inizio a me, personalmente, la cosa non suscitava
grande entusiasmo, ma guardando i video e ascoltando
le musiche mi ci è voluto un attimo per decidere di andare a vedere lo spettacolo.
L’auditorium non è molto distante dalla nostra Comunità e così il bel tempo ci ha permesso di fare una bella
passeggiata. Giunti allo Zanon ci siamo accomodati nei
posti e abbiamo visto tanta gente: c’erano anche i ragazzi del Bearzi con i loro insegnanti.
Ed ecco che s’abbassano le luci e comincia il musical.
Ma qual è la trama?. La storia è ambientata nella settantanovesima strada di Chicago in un quartiere a rischio e il protagonista è un ragazzo afroamericano. Lui
fa parte di una band e suona la batteria.
Nel musical ci sono due gang: una musicale che sta
preparando un concerto che terranno al Malcom X
Boulevard, l’altra di teppisti. Charles, il batterista,
aveva un amico teppista che gli proponeva sempre di
entrare a fare parte del suo gruppo. La sorella del capo
della band viene uccisa e quindi giura vendetta.
Infatti la morte della ragazza scatena questo sentimento e, nella storia, ci sono dei risvolti per i due amici.
I teppisti uccidono Charles e, purtroppo, al concerto
per il quale avevano tanto lavorato, parte solo il suo
amico.
Di per sé il musical è bello, ma vedere tutti i ragazzi
che recitano e cantano con molta passione, è ancora
più coinvolgente.
È stata davvero una giornata da ricordare quella che
ho vissuto in prima persona insieme a un gruppo di
amici disabili. Tramite un gentile invito del Signor
Valerio abbiamo infatti avuto modo di essere
“reclutati” per poter così assistere a uno spettacolo
davvero unico nel suo genere; un musical vero e proprio eseguito dal vivo e il luogo dove dovevamo recarci
era l’Auditorium della Scuola Zanon di Udine. Con
l’aiuto degli operatori, e avendo deciso di lasciare i
mezzi di trasporto in Comunità, ci siamo dunque avviati verso la meta a piedi, in una splendida giornata
di sole con tanto di entusiasmo al seguito. Arrivati a
destinazione, e una volta preso posto a sedere, eravamo tutti in febbricitante attesa di quello che sarebbe
accaduto a breve. Dal buio della sala, all’improvviso, si
accendono le luci e, come per magia, ha finalmente
inizio lo spettacolo “Street light” eseguito dal celebre
gruppo musicale di fama internazionale “Genrosso”.
Personalmente sono rimasto molto colpito e affascinato nell’osservare questi straordinari ragazzi mentre
muovevano i loro passi sul palco.
Durante l’esibizione hanno messo davvero tanta
energia, vigore e grinta; per non parlare poi della passione e del sentimento nell’interpretare e recitare
“Street light”, che potremmo definire un piccolo sogno
trasformato in realtà.
L’impianto era strutturato molto bene sia dal punto
di vista della sonorità (il volume della musica era infatti adatto alla situazione) sia per ciò che concerne i
costumi. Ma ciò che più mi ha colpito dell’evento cui ho
avuto la fortuna di assistere è stato il grande gioco di
luci che ha dato una certa vivacità, sapore e tono allo
spettacolo mescolandosi perfettamente in armonia con
l’acustica prodotta dal suono degli elemento orchestrali. Un lungo applauso ha infine accomunato l’intero
Auditorium al termine del Musical. Le luci poi si sono
spente ma gli attori hanno lasciato un’impronta indelebile nei nostri cuori. La loro musica ha infatti offerto
grandi emozioni che nessuno di noi potrà mai dimenticare.
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HERBERT VON KARAJAN: LA
SUA ULTIMA REGISTRAZIONE
Il maestro austriaco dà l’addio al podio con la settima
sinfonia di Anton Bruckner e, ancora oggi, la Deutsche
Grammophon mette il compact disc in catalogo.
Maurizio Scolari
Ciao a tutti,
prima di tutto esprimo la mia gioia per scrivere un altro articolo per il nono numero del nostro giornale. Desidero augurarvi buone feste, con l’auspicio che il nuovo
anno sia migliore di quello che sta per concludersi.
In questo semestrale ho pensato di raccontarvi qualcosa su un brano del quale ho la fortuna di possedere una
esecuzione nella mia collezione.
Mi sto riferendo ad una composizione che, a mio avviso, è considerata tra le migliori del romanticismo: la
sinfonia numero sette in mi minore di Anton Bruckner.
Composta tra il 1881 e terminata nel 1883, è un capolavoro formato dai consueti quattro movimenti: Allegro
moderato – adagio – Scherzo e Finale. Il 13 febbraio di
quell’anno Bruckner venne a sapere della morte di Richard Wagner del quale era ammiratore e gli fece omaggio scrivendo la parte conclusiva del secondo tempo.
L’autore non aveva ben chiaro il quadro della forma
delle sue opere, tanto è vero che accettava i suggerimenti da amici musicisti, solitamente direttori
d’orchestra.
Esistono varie interpretazioni di questa sinfonia e ogni
direttore, con l’orchestra, cerca di trasmettere le proprie emozioni.
È davvero interessante ascoltare più interpretazioni
dello stesso brano: si scoprono particolari che magari,
altri interpreti, fanno risaltare poco.
Una delle interpretazioni più riuscite, a mio avviso,
è quella di Herbert von Karajan sul podio dei Wiener
Philharmoniker. Karajan-Bruckner!!!! È un eccellente
binomio. L’interprete austriaco è alle prese con una
partitura difficile, riesce molto bene a capire ciò che
voleva il musicista.
Nel 1989 il direttore austriaco aveva 80 anni; non
era perfettamente in forma ma continuava, nonostante
vari problemi di salute, a dirigere. Eccolo che sale sul
podio, con la bacchetta in mano, guarda gli orchestrali,
un attimo ancora di silenzio, allunga le braccia e dà
l’attacco.
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I gesti del maestro sono delicati, morbidi ma anche
imperativi verso gli strumentisti e questi, con impegno,
eseguono
tutto
alla
perfezione.
Al
termine
dell’esecuzione tutti tirano un sospiro di sollievo per il
grande impegno profuso.
Bernard Haitink, Riccardo Chailly, Sergiu Celibidache, Wilhelm Furtwangler, Claudio Abbado e Karl
Bohm. Questi sono alcuni direttori che hanno eseguito
la settima sinfonia in modo stupendo, ma oso dire che
quella del grande Karajan è unica!
Il 16 luglio del 1989 il maestro salisburghese è
scomparso. Una morte che ha colpito i suoi ammiratori,
compreso il sottoscritto.
METTI UN GIORNO A
MONT SAINT MICHEL
Il mio viaggio in Normandia
Selene Qualizza
Mont Saint Michel fa parte del
patrimonio mondiale dell’Unesco.
Si trova sulla
costa nord occidentale
della
Francia,
sull’oceano
Atlantico, in Normandia, in una
grande baia invasa dalle più grandi
maree
d’Europa. Saint
Aubert, un vescovo della zona, costruì la prima chiesa nel 709 su richiesta dell’arcangelo Michele. Da quella volta altre
cinque chiese furono poi costruite su questa stessa
area dai monaci benedettini che le abbellirono sempre più tanto è vero che ancora oggi risultano essere
dei capolavori d’arte per mano romana e gotica. Per
salire sulla cima c’è una ripida strada che io però non
ho potuto affrontare con la mia carrozzina e quindi
sono rimasta sotto, con mia mamma, a godermi il
paesaggio tipico atlantico con pioggerellina acuta e
sottile ma in un contesto molto particolare e suggestivo perché ho visto avanzare la marea che si alzava
a vista d’occhio riempiendo tutta la spiaggia e anche
parte della strada. È stata davvero una bella esperienza che mi auguro fortemente un giorno io possa
fare di nuovo.
MARGHERITA HACK ALLA
COMUNITÀ PIERGIORGIO
RAGAZZI DISABILI
DIVENTANO FOTOGRAFI
L’astrofisica toscana è stata accolta a braccia
aperte dai ragazzi disabili della Comunità. Un
incontro breve ma significativo per tutti.
La Comunità Piergiorgio ha organizzato
un corso “Fotografia digitale”
per portatori di handicap di sessanta ore.
Gli allievi diventeranno bravi fotografi.
I
Maurizio Scolari
Nel numero precedente del nostro semestrale è stato pubblicato un articolo sul corso radiofonico scritto
proprio dagli allievi che l’hanno frequentato. Io sono
uno di loro e posso dire d’aver imparato tante cose!.
Pressappoco era il periodo pasquale quando, durante le lezioni, stavamo imparando a fare un’intervista.
Molti possono immaginare che porre domande a qualcuno di una certa importanza sia una cosa semplice,
invece non è esattamente così. Sì, d’accordo, si chiedono molte cose ma non basta. Un intervistatore deve
avere un buon timbro della voce, essere chiaro e avere
la giusta intonazione per leggere le domande.
Così, per imparare bene il mestiere, con Carolina
Laperchia, la docente, abbiamo guardato alcuni video
su youtube per avere un’idea su come fare. I filmati
sono stati tanti finché, ad un tratto, è stata trovata
un’intervista di Fabio Fazio a Margherita Hack.
Un bel giorno siamo venuti a sapere che l’astrofisica
sarebbe venuta da noi un pomeriggio durante il nostro
corso, invece a causa di forze maggiori l’incontro è stato rinviato. Beh, da un lato ci è dispiaciuto ma in questo modo c’è stato più tempo per prepararci
all’avvenimento.
Si può dire che la visita del personaggio illustre da
un incontro solo per noi, è stato allargato anche
all’esterno.
Ed ecco che martedì 21 giugno, dopo un’intensa
giornata lavorativa, siamo andati nella chiesa di San
Domenico per l’attesa. Tutti sappiamo che la Signora
Hack ha un’età molto avanzata e, poiché dalla Comunità alla parrocchia c’è un po’ di strada, si è fatta accompagnare in carrozzina.
Eccola che entra, si ferma un attimo per scendere
dalla sedia, prende il bastone e va verso il tavolo. Dopo
la parte introduttiva lei inizia a rispondere ai tanti
quesiti interessanti dei ragazzi e, mentre lei parlava,
noi eravamo incantati dalle sue spiegazioni estremamente chiare.
Le lancette dell’orologio vanno avanti, il tempo
stringe e le cose da porre continuano ad essere parecchie ma scade l’ora ed è il momento di tornare alla
Piergiorgio dove la Hack, per alcuni minuti, si è fermata con noi.
Il giorno dopo abbiamo saputo che la signora è stata
tanto colpita dalla preparazione e dall’attenzione dei
ragazzi del corso.
La nostra realtà, negli ultimi anni, si sta facendo
conoscere all’esterno e ben venga se si potessero organizzare col tempo incontri di questo tipo invitando personaggi importanti.
Maurizio e Rita
È partito alla grande il corso “Fotografia digitale ed
B.” presso la Comunità Piergiorgio di Udine e rivolto a
persone disabili. Le lezioni si svolgono tutti i venerdì
mattina dalle ore 9 alle 12, fino al 23 marzo.
Com’è fatta una macchina fotografica?. Come si utilizza?. Ce ne sono di economiche?. E poi, è possibile fare
in modo che l’oggetto in questione venga usato solo con
una mano?.
Sono questi i quesiti che i diversamente abili hanno
rivolto a Massimo Mocilnik, il docente; per una persona normodotata potrebbero sembrare domande del
tutto scontate, elementari, ma per uno che ha varie
disabilità è importante sapere se esistono alcuni modi
per superare certe difficoltà.
Non è semplice per coloro che stanno facendo il corso
mettere per iscritto ciò che provano. Possiamo dire solo
che i moduli didattici che lo compongono sono cinque:
l’attrezzatura, lo scatto, la fotografia in pratica, sicurezza e luoghi di salute sul lavoro e diritti di cittadinanza e pari opportunità.
CIAO ANGELO!
Una comunitaria ricorda la scomparsa
del giovane Angelo Branz
Sabrina Floreani
Caro Angelo, te ne sei andato troppo presto, a soli
vent’anni. Mi facevi tanta compagnia. Ricordo soprattutto le volte in cui siamo andati insieme a vedere la partita. Ci accompagnava il tuo papà. Questo
periodo senza di te è stato per me molto critico e i
tuoi sorrisi mi mancano enormemente. Spero tu possa essere felice lassù!.
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IL MIO SALUTO A BEPPINO…
Barbara Mattiel
Quando parecchi anni fa sono arrivata in Comunità, prima a trovare un amico poi a far volontariato,
mai avrei pensato che alcune persone che abitano qui
avrebbero segnato in maniera forte e decisa la mia vita; potrei dire che alcuni di loro sono stati veri e propri
angeli che mi hanno guidato sulla via dell’ amore.
Uno di questi comunitari ora è davvero un angelo
che vola libero nel cielo e guarda tutti noi che gli vogliamo bene e, volteggiando tra le nuvole, ci dice: il
vostro Bepino sta bene quassù.
Prima di avvicinarsi a me Bepino mi ha guardata
da lontano parecchio tempo, mi scrutava, ascoltava
quello che dicevo, osservava come mi comportavo
all’interno della “sua” Comunità; poi, d’improvviso,
una domenica d’inverno mi ha accolta sotto il portico
cantandomi la canzone di Barbara, da lì è nata una
bellissima amicizia.
Bepino ha dato l’approvazione al mio matrimonio:
«Massimo non è tanto alto, non ha tanti muscoli, ma
per te va bene, non come quello che ti aspettava fuori e
che pur avendo gli occhiali non è intelligente, non era per te!»
Eh si, io avevo un pretendente che mi aspettava fuori la Comunità e soprattutto la domenica stava fuori il portone per ore, poi, ho saputo che Bepino alcune volte è uscito a mandarlo via.
Bepino aveva una sensibilità non comune e anche di Alma ricorda come le faceva compagnia durante le pulizie;
Erminia lo pensa mentre la guardava cucinare.
Lui aveva una parola gentile per tutti. La Comunità, ma anche tutti noi, ha perso un uomo di grande generosità, onestà e umanità; chiunque l’ha incontrato può testimoniare che nonostante la vita non sia stata amorevole con
lui, lui lo è stato con gli altri.
Bepo, tu nua manchis tant.
Mandi cumò**
Ed ora arrivederci
Trop poc quèndes mèis
per ‘na vèta
con mùrtài a spàla
strà pàna e màunt
indove tòt lè veritèe
troppo pochi quindici mesi
in una vita
con mortaio in spalla
tra penna e monti
dove tutto è verità
muriran mai
cor cand
e semplicitèe fata ed dìsincant
non moriranno mai
cuore candido
e disincantata semplicità
mandi Sclip*
fort
eteren amig
tèe rìvèe
arrivederci Sclip
forte
eterno amico
sei arrivato
tenem post èd fianc
k’àl dè
dop avèirem isgnèe
a meriterel
riservami posto al tuo fianco
quel giorno
dopo avermi insegnato
a meritarlo
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Pubblichiamo la poesia, scritta in dialetto modenese, da Luigi Pinelli e che ha
voluto ricordare così l’amico Beppino
detto Sclip 114° cp mortai alpini.
** Mandi cumò = arrivederci ora
(friulano)
21.08.11
PER CHI NON CI CONOSCE
La Comunità Piergiorgio è una ONLUS fondata nel 1971 da Don Onelio Ciani con un piccolo gruppo di persone.
È un’organizzazione che riunisce disabili fisici nel proposito di consentirne l’autogestione favorendone altresì il
recupero del maggior grado di autonomia possibile e che si propone lo sviluppo integrale delle persone portatrici di
handicap fisico, psichico, sensoriale nonché di altre patologie invalidanti.
È riconosciuta come centro di recupero medico - sociale dal 1975 ed è
sia una struttura sanitaria privata che un centro di riabilitazione; è
convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale per trattamenti riabilitativi di tipo ambulatoriale, diurno e residenziale.
A tal fine, attraverso le proprie sedi di Udine e Caneva di Tolmezzo, e mediante convenzioni, gestisce anche centri
di convivenza e di degenza diurna; promuove e gestisce servizi riabilitativi, sanitari, assistenziali e di socializzazione nonché centri per l’informazione sugli ausili tecnici e informatici; favorisce le capacità lavorative del disabile
attraverso corsi di formazione professionale; promuove e sostiene attività produttive, anche in forma cooperativa,
idonee allo sviluppo e all’inserimento lavorativo del disabile.
La cooperativa Arte e Libro, espressione della Comunità Piergiorgio ONLUS di Udine, è specializzata in rilegatoria, tesi di laurea, produzione artigianale e oggettistica in cartonato. È una società cooperativa sociale di produzione e lavoro creata con lo scopo primario di inserire nell’ambito professionale persone con disabilità fisiche, psichiche e sensoriali. Attualmente vi sono impiegati una ventina di soci, per la maggior parte disabili.
Come potete aiutarci
Assegno bancario: se desidera donare attraverso un assegno, la invitiamo ad intestarlo -non trasferibile- a Comunità Piergiorgio ONLUS e ad inviarlo, possibilmente insieme ai suoi dati (nome, cognome e indirizzo), tramite
"assicurata convenzionale" a: Comunità Piergiorgio ONLUS - Piazza Libia 1, 33100 Udine
Bonifico bancario:
Beneficiario: Comunità Piergiorgio ONLUS - Piazza Libia 1, 33100 Udine
Banca:Banca Popolare di Vicenza Agenzia n.3 - Viale Leonardo da Vinci 107 - 33100 Udine
IBAN: IT 12C0572812314714570002362
Importante: dal 1° gennaio 2008 è obbligatorio indicare l'IBAN.
Al fine di non rendere anonimo il contributo, la invitiamo ad indicare il suo nominativo e recapito nelle note del
bonifico.
Conto Corrente Postale: Conto Corrente Postale n. 13840335.
Per i bonifici postali il codice IBAN è: IT71 Z076 0112 3000 0001 3840 335
Intestato a: Comunità Piergiorgio ONLUS, Piazza Libia 1 – 33100 Udine
Il 5 x mille: Lo strumento del 5 per mille si affianca al già consolidato 8 per mille e rappresenta un’occasione di
sostegno importante. Chi decide di destinare, in fase di dichiarazione dei redditi, il 5 per mille della propria IRPEF
alla Comunità Piergiorgio ONLUS deve firmare nel primo riquadro a sinistra, quello delle ONLUS, ed inserire il
codice fiscale della nostra Comunità: 00432850303
Il vostro aiuto è deducibile:
La Comunità Piergiorgio è una O.N.L.U.S. (Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale) e le donazioni in suo
favore possono essere dedotte in sede di dichiarazione dei redditi.
Per le persone fisiche: È possibile detrarre dall'imposta lorda il 19% dell'importo donato a favore delle ONLUS,
fino ad un massimo di 2.065,83 euro, oppure, è possibile dedurre dal proprio reddito le donazioni a favore delle
ONLUS, per un importo non superiore al 10% del reddito complessivo dichiarato e comunque nella misura massima di 70.000,00 euro annui.
Per le imprese: è possibile dedurre le donazioni a favore delle ONLUS per un importo non superiore a 2065,83 euro
o al 2% del reddito d'impresa dichiarato. Oppure, è possibile dedurre dal proprio reddito le donazioni a favore delle
ONLUS, per un importo non superiore al 10% del reddito complessivo dichiarato e comunque nella misura massima di 70.000,00 euro annui. Le agevolazioni fiscali non sono cumulabili tra di loro.
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Gli ingenui non sapevano che l’impresa era impossibile… dunque la fecero.. B. Russell
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