L`Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto: un

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L`Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto: un
Consilium
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Area Diritto canonico ed ecclesiastico
L’Ente ecclesiastico civilmente riconosciuto:
un istituto antico e moderno teso al bene dell’uomo e della società
Prof.ssa Daniela Milani
Dott. Don Lorenzo Simonelli
1) I soggetti giuridici eretti dall’ordinamento canonico
Per coloro che oggi accostano il tema delle fonti del diritto è pressoché spontaneo ritenere che solo
l’ordinamento statale abbia il potere di “far nascere” nuovi soggetti giuridici. Una implicita conferma di
questo postulato è rinvenibile nel sistema del diritto internazionale privato che si è configurato a
partire dalla metà del XIX secolo proprio per dare ordine all’azione degli Stati nazionali che
rivendicavano, ciascuno, una sorta di riserva di giurisdizione in riferimento al riconoscimento dei
soggetti giuridici che operano all’interno del proprio territorio.
La storia del diritto attesta, però, una situazione differente; infatti per molti secoli è esistita una sorta
di pluralità delle autorità e dei poteri che legittimamente davano vita a nuovi soggetti giuridici abilitati
ad intrecciare relazioni giuridiche a prescindere da un formale riconoscimento.
In un certo senso l’istituto dell’Ente Ecclesiastico Civilmente Riconosciuto, la cui origine si colloca nel
Concordato Lateranense del 1929, ed oggi è disciplinato dall’Accordo di Revisione del 1984, nonché
dalla legge di derivazione pattizia n. 222 del 20 maggio 1985, è la più recente e sistematica
testimonianza della possibilità di una pacifica e virtuosa coesistenza tra una pluralità di “autorità”
abilitate a creare soggetti giuridici.
Il punto prospettico che consente di comprendere a pieno questa scelta fondamentale operata dallo
Stato Italiano (prima il Regno, poi la Repubblica) e dalla Santa Sede è l’uso del verbo “riconoscere” con
cui si descrive la natura dell’azione giuridica che l'ordinamento italiano opera sull’ente eretto da
quello canonico; non si tratta infatti di una creazione con effetto costitutivo ma “solo”1 di accogliere tra
i soggetti che possono operare nell’ordinamento italiano anche quelli costituiti a norma del diritto
canonico che presentano determinati requisiti:
“Ferma restando la personalità giuridica degli enti ecclesiastici che ne sono attualmente provvisti, la
Repubblica italiana, su domanda dell'autorità ecclesiastica o con il suo assenso, continuerà a riconoscere
la personalità giuridica degli enti ecclesiastici aventi sede in Italia, eretti o approvati secondo le norme
del diritto canonico, i quali abbiano finalità di religione o di culto. Analogamente si procederà per il
Questo avverbio non indica una subalternità dell’ordinamento statale a quello canonico, ma è espressione del
reciproco riconoscimento della rispettiva sovranità: lo Stato italiano non deve ri-creare, in quanto l’ente eretto
dall’ordinamento canonico possiede già tutti i requisiti definiti dalle Parti in sede di sottoscrizione dell’accordo
concordatario.
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riconoscimento agli effetti civili di ogni mutamento sostanziale degli enti medesimi” (art. 7, co. 2,
Accordo di revisione del Concordato2).
Alla luce di questa norma si distingue un duplice momento in ordine alla “nascita” dell’ente
ecclesiastico:
- il primo, che si esaurisce all’interno dell’ordinamento canonico (riconosciuto come “indipendente e
sovrano” dall’art. 1 dell’Accordo di Revisione), è finalizzato ad erige i soggetti canonici osservando
il diritto della Chiesa (in primis il Codice di diritto canonico),
- il secondo, che vede invece come protagonista l’ordinamento statale, è finalizzato a riconoscere i
soggetti canonici come veri e propri soggetti giuridici abilitati ad agire nell’ordinamento italiano
(al pari di quelli che si costituiscono a norma della legge italiana) qualora sussistano tutti i requisiti
definiti puntualmente dalla Legge n. 222/19853.
Il verbo “riconoscere” utilizzato dalle parti concordatarie è, dunque, estremamente significativo e non
può essere equiparato o sostituito con altre espressioni quali “costituire”, “concedere la personalità” o
“autorizzare”.
Questa impostazione fondamentale ha trovato conferma nell’Intesa tecnica interpretativa ed esecutiva
dell’Accordo modificativo del Concordato Lateranense approvata dalla Commissione paritetica Italia Santa Sede il 24 febbraio 19974 che nell’Allegato I, Parte III, così si esprime:
“Le norme approvate con il Protocollo del 15 novembre 1984 nella parte relativa agli enti ecclesiastici
civilmente riconosciuti recano una disciplina che presenta carattere di specialità rispetto a quella del
codice civile in materia di persone giuridiche. In particolare ai sensi dell’articolo 1 delle norme predette e
in conformità a quanto già disposto dall’articolo 7 comma 2 dell’Accordo del 18 febbraio 1984 tali enti
ecclesiastici sono riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili nel rispetto delle loro
caratteristiche originarie stabilite dalle norme del diritto canonico. Non sono pertanto applicabili agli
enti ecclesiastici le norme dettate dal codice civile in tema di costituzione, struttura, amministrazione ed
estinzione delle persone giuridiche private. Non può dunque richiedersi ad essi ad esempio la costituzione
per atto pubblico il possesso in ogni caso dello statuto né la conformità del medesimo ove l’ente ne sia
dotato alle prescrizioni riguardanti le persone giuridiche private. L’Amministrazione che esamina le
domande di riconoscimento degli enti ecclesiastici agli effetti civili verifica la sussistenza dei requisiti
previsti dalle norme per le diverse categorie di enti. In particolare l’Amministrazione accerta salvo che
per gli enti di cui all’articolo 2 primo comma delle norme citate che il fine di religione o di culto sia
costitutivo ed essenziale: a tal fine gli enti debbono produrre gli elementi occorrenti quali risultano dalla
documentazione di regola rilasciata dall’autorità ecclesiastica, comprese le norme statutarie, ove ne
siano dotati ai sensi del diritto canonico. Resta quindi esclusa la richiesta di requisiti ulteriori rispetto a
L. 25 marzo 1985 n. 121, Ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18
febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica
italiana e la Santa Sede. Pubblicata nel Suppl. Ord. Gazz. Uff. 10 aprile 1985, n. 85.
3 L. 20 maggio 1985 n. 222, Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero
cattolico in servizio nelle diocesi. Pubblicata nella Gazz. Uff. 3 giugno 1985, n. 129, S.O.
4 La Commissione paritetica è stata istituita su richiesta della Santa Sede (nota della Segreteria di Stato del 5
ottobre 1995) accolta dal Governo della Repubblica italiana (nota del Presidente del Consiglio dei Ministri del 13
novembre 1995) ai sensi dell'articolo 14 dell'Accordo del 18 febbraio 1984 al fine di esaminare alcune questioni
di interpretazione e di applicazione delle norme per la disciplina della materia degli enti e beni ecclesiastici
approvate con il Protocollo tra la Repubblica italiana e la Santa Sede del 15 novembre 1984.
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quelli che, secondo le norme citate, costituiscono oggetto di accertamento o valutazione ai fini del
riconoscimento degli enti ecclesiastici agli effetti civili, nonché di documenti non attinenti ai requisiti
medesimi. Gli altri elementi previsti dall’articolo 5 delle norme predette - ad esempio il patrimonio - sono
necessari soltanto al fine dell’iscrizione dell’ente civilmente riconosciuto nel registro delle persone
giuridiche”.
La Commissione paritetica ci consegna un testo ancor oggi – o, forse, proprio oggi – preziosissimo per
inquadrare correttamente l’ente ecclesiastico all’interno dell’ordinamento statale, frutto maturo di
un’opera di cesello che è testimonianza non di un bizantinismo giuridico, volto a dare razionalità a
qualcosa che ne difetta, ma di una lucida visione degli effetti che derivano dal reciproco
riconoscimento della indipendenza e della sovranità dello Stato e della Santa Sede.
L’ente ecclesiastico civilmente riconosciuto non è, dunque, un soggetto “speciale”5, ma speciale (cioè
adeguata) è la sua disciplina dettata dalla L. n. 222/85 sulla base di tre principi definiti dall’art. 7, co. 2
e 3 della L. n. 121/85:
1) “gli enti ecclesiastici aventi sede in Italia [sono] eretti o approvati secondo le norme del diritto
canonico”,
2) “le attività diverse da quelle di religione o di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette […] alle
leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime”,
3) la disciplina delle attività diverse da quelle di religione o culto deve però avvenire “nel rispetto
della struttura e della finalità di tali enti”.
Ecco, dunque, in cosa consiste la specialità della disciplina dell’ente ecclesiastico:
- la sua nascita, come pure disciplina della sua struttura e della sua finalità (nonché delle sue attività
di religione o culto6) è riservata all’ordinamento canonico, mentre
- la normativa delle altre attività è riservata all’ordinamento statale.
Questo aggettivo è inteso, nel diritto, come parente prossimo di “privilegiato” ma tale l’ente ecclesiastico non è
e non vuole esserlo. Al contrario è speciale nel senso che la sua mission (o finalità) e la natura (o origine)
implicano – per alcuni aspetti della sua esistenza e della sua azione – una disciplina particolare. È infatti principio
di giustizia non che tutti siano trattati nel medesimo modo, ma che ciascuno sia trattato per quello che è e per ciò
che gli è dovuto. L’ordinamento italiano è ricco di discipline particolari: si vedano, per esempio, la disciplina delle
fondazioni e delle associazioni (Libro I del Codice Civile), delle società (Libro V), delle cooperative sociali (L. n.
381/91), delle organizzazioni di volontariato (L. n. 266/91), delle ONLUS (D.Lgs. n. 460/97), delle associazioni di
promozione sociale (L. n. 383/00), delle associazioni e società sportive dilettantistiche (Art. 90, L. n. 289/02),
delle INLUS (D.LGs. n. 155/06).
6 Le attività che l’ente ecclesiastico può svolgere sono puntualmente distinte dall’art. 16, L. n. 222/85: “Agli
effetti delle leggi civili si considerano comunque: a) attività di religione o di culto quelle dirette all'esercizio del culto
e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione
cristiana; b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione,
educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro”. Poiché il fine di religione o culto è,
come si vedrà oltre, costitutivo ed essenziale, è evidente che una o più delle attività della lettera a) – in relazione
al tipo di soggetto giuridico di cui si tratta – debbano essere svolte dall’ente ecclesiastico.
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2) I requisiti per il riconoscimento come ente ecclesiastico
L’art. 7, co. 2, della L. n. 121/85 definisce i tre requisiti necessari e sufficienti per poter riconoscere un
soggetto canonico come ente ecclesiastico nell'ordinamento giuridico italiano:
a) essere stato eretto o approvato secondo le norme canoniche7,
b) avere sede in Italia,
c) avere finalità di religione o culto8.
Prima di illustrare il loro contenuto deve essere sottolineato l’alto valore della scelta delle Parti
concordatarie di definire tali requisiti in quanto manifesta – anzitutto – la volontà di dare effettività al
reciproco riconoscimento di sovranità. L’identificazione di questi (e solo questi) requisiti generali9 e la
definizione di cosa debba intendersi per attività di religione o culto ha, infatti, consentito di dar vita ad
un sistema di riconoscimento che se per un verso è privo di spazi di arbitrarietà, per l'altro evita che
una delle parti debba semplicemente adeguarsi alle scelte dell’altra; così:
- l’autorità ecclesiastica rimane libera di erigere o approvare tutti i soggetti che valuta necessari od
opportuni per la propria azione pastorale e
- lo Stato si impegna a riconoscere come enti ecclesiastici solo quelli che possiedono i tre requisiti
generali (e, all'occorrenza, quelli particolari).
L’art. 1, L. n. 222/85 introduce un’espressione diversa ma sostanzialmente equivalente: “Gli enti costituiti o
approvati dall'autorità ecclesiastica”
8 Il numero complessivo di enti ecclesiastici riconosciuti in Italia è di circa 36.000 (rilevazione al 6 giugno 2011,
fonte: Ministero dell’Interno), come riporta il prospetto della rilevazione, nel quale gli enti sono indicati a
seconda della loro tipologia. Dal prospetto risulta di immediata evidenza la preponderanza numerica dell’ente
"Parrocchia", preposto alla cure delle anime di un determinato territorio, che costituisce l’entità base di
riferimento della realtà cattolica in Italia.
- Regioni Ecclesiastiche
n.
15
- Province Ecclesiastiche
n.
1
- Diocesi
n.
226
- Istituto centrale sostentamento clero
n.
1
- Istituti diocesani sostentamento clero
n.
212
- Istituti interdiocesani sostentamento clero
n.
6
- Parrocchie
n.
25.927
- Chiese - Capitoli
n.
523
- Santuari
n.
131
- Confraternite
n.
4.970
- Cattedrali
n.
236
- Seminari
n.
279
- Istituti religiosi – Fondazioni – Associazioni – Monasteri – Conventi
n.
3.452
- TOTALE
n.
35.979
A fronte di questi dati, l’ISTAT attesta invece l’esistenza di “soli” 6.583 enti ecclesiastici (pari a meno di 1/7 degli
enti ecclesiastici riconosciuti con Decreto) tra le “Istituzioni non profit attive per forma giuridica e settore di
attività prevalente non profit al 31 dicembre 2011” (Fonte: Audizione del Direttore centrale delle rilevazioni
censuarie e dei registri statistici XII Commissione “Affari Sociali” della Camera dei Deputati. Roma, 13 novembre
2014).
9 In relazione ai diversi tipi di enti canonici, la L. n. 222/85 ha poi introdotto agli artt. 8 – 12 altre condizioni che,
per semplicità, si possono definire particolari e riguardano: gli istituti religiosi di diritto diocesano, le società di
vita apostolica e le associazioni pubbliche di fedeli, le associazioni costituite o approvate dall’autorità
ecclesiastica (non riconoscibili a norma dell’art. 9), le chiese e le fondazioni di culto.
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Per quanto riguarda i contenuti giuridici dei tre requisiti generali non si sono registrate incertezze in
merito ai primi due; al contrario il percorso applicativo è stato più accidentato in riferimento alla
finalità di religione o di culto.
Le parti hanno, infatti, voluto precisare non solo la necessità del fine di religione o di culto – come
declinato dagli artt. 2 e 1610 – ma anche che esso sia “costitutivo ed essenziale”11 per l’ente eretto o
approvato dall’autorità ecclesiastica che intende ottenere il riconoscimento come ente ecclesiastico.
A motivo del fatto che tale fine è accertato assumendo come criterio di verifica le concrete attività
svolte dall’ente, non può stupire che in occasione dell’analisi delle singole richieste di riconoscimento
si siano verificate letture difformi tra gli organi preposti al riconoscimento e l’autorità ecclesiastica
richiedente12. Anche al fine di limitare quanto più possibile i casi di incertezza il Ministero dell’Interno
ha emanato la Circolare n. 111 del 20 aprile 1998 che precisa – caso per caso – i documenti che devono
essere allegati alla domanda di riconoscimento anche al fine di attestare la piena esistenza del fine di
religione o culto.
3) Le novità normative statali successive alle conclusione della Commissione paritetica del
1997
Non deve però stupire che una normativa possa – nel tempo – rivelarsi incapace di regolare
compiutamente la vita e le sue novità. Coscienti di tale evenienza e dell’auspicata “durata” del nuovo
Accordo, le Parti concordatarie hanno previsto (art. 7, L. n. 121/85) la possibilità di affidare ad una
Commissione paritetica la ricerca di un’amichevole soluzione “qualora sorgessero difficoltà di
interpretazione o di applicazione delle disposizioni precedenti”.
In riferimento agli enti ecclesiastici ciò è avvenuto, come detto, nel 1997 proprio in riferimento al loro
riconoscimento. Da allora sono però trascorsi 20 anni e l’ordinamento italiano ha modificato la propria
normativa, anche introducendo nuovi significativi istituti che possono anche riguardare l’ente
ecclesiastico; si veda in particolare:
- D.Lgs. n. 460 del 4 dicembre 1997 (artt. 1 – 9), che ha riformato la disciplina dell’IVA e delle
imposte dirette per gli enti non commerciali (quali sono, sempre, gli enti ecclesiastici);
La Chiesa non è dunque limitata nella sua sovranità, potendo erigere o approvare i soggetti giuridici
attenendosi solo alla propria normativa; tuttavia se intende ottenere la qualifica di ente ecclesiastico all’interno
dell’ordinamento italiano deve mostrare non solo l’esistenza di un fine di religione e culto declinato ai sensi
dell’art. 16, lett. a, ma anche che tale fine è costitutivo ed essenziale.
11 Art. 2, co. 3, L. n. 222/85 “L'accertamento di cui al comma precedente è diretto a verificare che il fine di religione
o di culto sia costitutivo ed essenziale dell'ente, anche se connesso a finalità di carattere caritativo previste dal
diritto canonico”. L’art. 19, L. n. 222/85 ha precisato anche che il fine di religione o culto non deve essere
costitutivo ed essenziale solo all’atto del riconoscimento ma deve permanere per tutta l’esistenza del soggetto
giuridico, tanto che “In caso di mutamento che faccia perdere all'ente uno dei requisiti prescritti per il suo
riconoscimento può essere revocato il riconoscimento stesso con decreto del Presidente della Repubblica, sentita
l'autorità ecclesiastica e udito il parere del Consiglio di Stato”.
12 A titolo di esempio, si vedano i casi trattati dal Consiglio di Stato, parere n. 841 del 13 gennaio 1999 (caso di
una fondazione che aveva come fini l’educazione cristiana e civile dei giovani, l’assistenza ai bambini in stato di
bisogno, l’organizzazione di attività socio-riabilitativa e diagnostica) e parere n. 2750 del 2 novembre 2009 (caso
della Fondazione Museo Diocesano di Brescia, dell’Istituto Storico San Josemaria Escrivà e della Fondazione del
Duomo di Mestre).
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D.Lgs. n. 460 del 4 dicembre 1997 (artt. 10 – 29), che ha introdotto la figura delle ONLUS e ha
previsto la possibilità per l’ente ecclesiastico di dar vita ad un ramo Onlus limitatamente ad alcune
attività13;
D.Lgs. n. 344 del 12 dicembre 2003 che ha modificato il D.Lgs. n. 917 del 22 dicembre 1986 (Testo
Unico Imposte sui Redditi) introducendo l’Ires per le persone giuridiche;
D.Lgs. n. 231 dell’8 giugno 2001 che ha disciplinato l’istituto della responsabilità amministrativa
delle persone giuridiche (quali sono anche gli enti ecclesiastici)14;
D.Lgs. n. 81 del 9 aprile 2008 che intende garantire la salute e la sicurezza dei luoghi di lavoro e
menziona tra le figure equiparate ai lavoratori anche i “volontari” delle Associazioni di cui alla L. n.
266/91 (tale riferimento ha sollevato la questione della equiparazione ai lavoratori anche dei
battezzati che collaborano con le parrocchie, le diocesi e gli istituti di vita consacrata).
4) Il compito di tutti coloro che “servono” l’ente ecclesiastico.
Per coloro che operano a servizio dell’ente ecclesiastico (siano amministratori, legali rappresentanti,
consiglieri, revisori, consulenti) questa dinamicità dell’ordinamento italiano non può che sollecitare un
approfondito studio della normativa italiana, canonica ed ecclesiastica al fine di acquisire un’adeguata
conoscenza di come la norma statale – civile, amministrativa, fiscale – si applica all’ente ecclesiastico e
di come esso debba/possa adeguarsi ai tempi senza tradire la propria origine ecclesiale e le finalità
definite dall’autorità ecclesiale che lo ha costituito.
Milano, 26 aprile 2016
C.M. n. 168, 26/06/1998: “Ai fini dell'applicazione dei vincoli formali e sostanziali richiamati devono tenersi
presenti anche le norme pattizie che regolamentano gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo
Stato ha stipulato patti, accordi o intese. In particolare, con riferimento agli enti ecclesiastici della Chiesa cattolica,
va tenuto presente il documento conclusivo della Commissione paritetica italo-vaticana, pubblicato nel supplemento
ordinario n. 210 alla Gazzetta Ufficiale del 15 ottobre 1997, n. 241 con il quale è stato precisato che agli enti
ecclesiastici civilmente riconosciuti ‘non sono... applicabili... le norme, dettate dal codice civile in tema di
costituzione, struttura, amministrazione ed estinzione delle persone giuridiche private. Non può dunque richiedersi
ad essi, ad esempio, la costituzione per atto pubblico, il possesso in ogni caso dello statuto, né la conformità del
medesimo, ove l'ente ne sia dotato, alle prescrizioni riguardanti le persone giuridiche private’. Tali enti devono,
tuttavia, comunque predisporre un regolamento, nella forma della scrittura privata registrata, che recepisca le
clausole art. 10, comma 1, del decreto legislativo n. 460 del 1997”.
14 Questa normativa ha avuto un duplice impatto sugli enti ecclesiastici. Avendo riconosciuto agli enti la
possibilità (non l’obbligo) di adottare un modello organizzativo e un Organo di Vigilanza si è posta la questione
se (e poi, come) anche gli enti ecclesiastici potevano adeguarvisi. La storia consegna una serie di modelli
organizzativi e provvedimenti di costituzione di Organismi di Vigilanza che, almeno, destano non pochi
interrogativi in ordine alla loro legittimità e compatibilità con l’ordinamento canonico (e la “riserva” di cui all’art.
7, co. 3, L. n. 121/85). In tempi più recenti la questione si è posta con nuova urgenza in quanto alcune norme
amministrative (soprattutto regionali) hanno imposto agli enti accreditati/autorizzati/contrattualizzati di
adottare il modello organizzativo e l’Organo di Vigilanza. Anche questa novità non raramente è stata affrontata
senza l’attenzione che era (ed è) dovuta.
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Prof.ssa Daniela Milani
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Dott. Don Lorenzo Simonelli
([email protected])
In caso di citazioni dal presente testo si prega di indicarne la fonte.
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