insegnamento di diritto ecclesiastico

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insegnamento di diritto ecclesiastico
INSEGNAMENTO DI
DIRITTO ECCLESIASTICO
LEZIONE V
“GLI ENTI ECCLESIASTICI”
PROF. MARCO SANTO ALAIA
Diritto Ecclesiastico
Lezione V
Indice
1
Le fonti ----------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
Nozione di ente ecclesiastico ---------------------------------------------------------------------------- 4
3
Presupposti per il riconoscimento dell’ente ecclesiastico ----------------------------------------- 5
4
Procedimento di riconoscimento dell’ente ecclesiastico ------------------------------------------ 8
5
Revoca, trasformazione ed estinzione degli enti ecclesiastici ---------------------------------- 11
6
I singoli enti ecclesiastici ------------------------------------------------------------------------------ 13
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Lezione V
1 Le fonti
La materia degli enti ecclesiastici è disciplinata dalle seguenti disposizioni:
-
art. 20 Cost.;
-
art. 7, n.1 e 2 nuovo Concordato;
-
L. n. 222/1985 sulla disciplina degli enti e beni ecclesiastici, che ha attuato il
Protocollo approvato il 15 novembre 1984 dalla Commissione paritetica;
-
D.P.R. n. 33/1987, contenente il regolamento di attuazione della legge
suddetta.
L’art. 20 della Cost. è la norma fondamentale in materia. Essa è ribadita dall’art. 7 n. 1 del
nuovo Concordato, stabilendo che il carattere ecclesiastico o il fine di religione o di culto di
un’associazione o di una fondazione non possono importare speciali limitazioni legislative o
speciali gravami fiscali per la sua costituzione, per la capacità giuridica e per ogni forma di attività.
Lo Stato si impegna a riconoscere, su domanda dell’autorità ecclesiastica, la personalità giuridica
degli enti ecclesiastici con sedi in Italia, aventi fine di religione o di culto, che siano stati eretti o
approvati secondo le norme del diritto canonico.
Il diritto comune, in materia di riconoscimento degli enti è profondamente mutato con il
D.P.R. n. 361/2000. Esso ha delegificato la materia riguardante il riconoscimento degli enti
disciplinati dal libro 1° del codice civile, abrogando varie norme di questo (gli artt. 12, 16, 3°
comma, 33, 34, nonché 35, limitatamente al riferimento in esso contenuto agli artt. 33 e 34 cit.). Il
citato D.P.R., infine, ha sottratto il potere inerente al riconoscimento degli enti al Ministro
competente, secondo le norme degli artt. 1 e 2 della L. n. 13/1991. Secondo le nuove norme la
competenza per il riconoscimento della personalità giuridica per gli enti privati spetta al prefetto del
luogo in cui l’ente ha la sede principale. Ma tale riforma non si applica, se non in modo marginale,
agli enti della Chiesa cattolica e alle altre confessioni. Infatti, gli enti ecclesiastici possono, di
regola, ottenere il riconoscimento con decreto del Ministro dell’Interno. Ma alcuni di essi hanno la
personalità giuridica per antico possesso di stato, altri, infine, hanno ottenuto il riconoscimento per
legge.
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2 Nozione di ente ecclesiastico
La legge non fornisce una definizione precisa di ente ecclesiastico. Per identificarlo la
maggioranza della dottrina utilizza un criterio finalistico, secondo il quale un ente è ecclesiastico, ai
fini del riconoscimento della personalità giuridica civile, se è stato costituito o approvato
dall’autorità ecclesiastica e se abbia in modo essenziale un fine di religione o di culto (art. 1 L. n.
222/1985; L. n. 206/1985).
Non contrasta con il criterio finalistico, il criterio genetico, adottato da un’altra parte della
dottrina, il quale considera ecclesiastici gli enti che siano sorti in base ad un provvedimento della
Chiesa o da quest’ultima assorbiti, in quanto inerenti al suo funzionamento, siano essi associazioni
di persone o complessi di cose, purchè vengano regolati, sia per quanto riguarda la loro creazione
che per quanto riguarda la loro attività, dal diritto canonico. Il collegamento degli enti con la
Chiesa, attestato dall’autorità ecclesiastica, era già previsto nell’art. 31 del Concordato del 1929
(L.n.80), nonché ripreso dall’art. 7.2 dell’Accordo del 18 febbraio 1984 (L. n. 121/1985 e L. n.
206/1985). Sicchè, in definitiva, non v’è alcuna possibilità che un ente sia considerato come
ecclesiastico, incardinato nell’organizzazione della Chiesa cattolica, senza o contro il volere
dell’autorità ecclesiastica.
Non tutti gli enti che fanno parte della Chiesa ottengono, però, il riconoscimento dello Stato
e, quindi, la personalità giuridica. Ciò avviene o perché l’ente è per natura non riconoscibile, oppure
perché il riconoscimento non è stato chiesto o non è stato concesso; in questi casi, si parla di enti
ecclesiastici di fatto. Discussa è la disciplina da applicare a tali enti; secondo alcuni, dovrebbe
seguirsi la normale disciplina civilistica; secondo altri, per tali enti ci si dovrebbe rifare al diritto
canonico. La L. n. 222/1985, all’art. 10, infine, prevede che le associazioni pubbliche di fedeli non
riconoscibili possano essere riconosciute alle condizioni previste ordinariamente dal codice civile e
sempre che l’autorità ecclesiastica dia il suo assenso.
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3 Presupposti per il riconoscimento dell’ente
ecclesiastico
Nell’ordinamento italiano le confessioni religiose, come tali, non sono, di regola, dotate di
personalità giuridica. Invece, hanno, ovvero possono ottenere la personalità giuridica gli enti cui
tali confessioni danno vita, ovvero gli organi-istituzioni in cui le confessioni sono articolate.
Nel nostro ordinamento, attualmente, la personalità giuridica degli enti è riconosciuta in tre
modi diversi: o per legge, quando sia il legislatore a riconoscere la personalità; o perché l’ente sia
stato costituito secondo uno schema previsto dalla legge, sicchè ottiene la personalità giuridica
quando il suo atto costitutivo sia riconosciuto conforme a legge dall’autorità giudiziaria e sia
trascritto in un apposito registro; o, di volta in volta, con apposito provvedimento prefettizio di
iscrizione nel registro delle persone giuridiche.
Sono dotate di personalità giuridica per antico possesso di stato nell’ordinamento italiano:
la Santa Sede e gli altri enti ecclesiastici, la cui personalità giuridica non è
stata soppressa dalle leggi eversive della seconda metà dell’800, e così i
capitoli, i seminari e le parrocchie di antica istituzione;
la Tavola valdese e i quindici Concistori della Chiesa delle Valli valdesi.
Sono state riconosciute per legge come persone giuridiche:
le Comunità israelitiche esistenti nel 1930 e l’Unione delle Comunità
israelitiche italiane;
dal 3 giugno 1985, la Conferenza Episcopale Italiana;
alcune comunità evangeliche luterane;
l’Unione cristiana delle Chiese avventiste del settimo giorno.
Non è stato, invece, un riconoscimento per legge della personalità giuridica civile quello
previsto, per le diocesi, le parrocchie e gli Istituti di sostentamento del clero dagli artt. 22 e 29 delle
citate L. n. 206 e 222 del 1985. Invero, tale riconoscimento ha avuto luogo in forza di un
procedimento abbreviato, in cui all’autorità governativa spettava di controllare la legittimità e la
regolarità degli atti dell’autorità ecclesiastica. Si trattava di una sorta di procedimento di
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omologazione, attribuito alla competenza della pubblica amministrazione, anziché dell’autorità
giudiziaria.
Per ciò che concerne il riconoscimento degli enti della Chiesa cattolica è necessario,
secondo l’art. 7.2 dell’Accordo del 18 febbraio 1984 e gli artt. 1, 2 e 3 della L. n. 222/1985, che
ricorrano i seguenti requisiti di carattere generale:
a) il primo requisito di carattere soggettivo è il riconoscimento canonico:
possono essere riconosciuti solo gli enti costituiti o approvati dall’autorità
ecclesiastica;
b) il secondo requisito, anch’esso di carattere soggettivo, è che l’autorità
ecclesiastica abbia dato il proprio assenso a che l’ente faccia istanza per
ottenere la personalità giuridica civile;
c) il terzo requisito, di carattere oggettivo, è che abbiano sede in Italia;
d) il quarto requisito, anch’esso di carattere oggettivo, è che abbiano un fine di
religione o di culto. Per dar luogo al riconoscimento dell’ente come ente
ecclesiastico, occorre che tale fine sia “costitutivo ed essenziale”, “anche se
connesso a finalità di carattere caritativo previste dal diritto canonico”.
Hanno, per definizione di legge, detto fine essenziale di religione o di culto, gli enti che
fanno parte dell’organizzazione gerarchica della Chiesa ( es. diocesi, parrocchie), gli istituti
religiosi e i seminari. L’art. 16 della L. n. 222/1985 e delle norme allegate alla L. 206 precisa che
sono considerate attività religiose o di culto, quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle
anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all’educazione
cristiana. Invece, non sono considerate attività di religione o di culto quelle di assistenza,
beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali e lucrative. Le
norme ora ricordate, richiedendo il requisito del fine di religione o di culto, come costitutivo ed
essenziale, hanno innovato rispetto alle norme di origine concordataria del 1929, le quali
consentivano il riconoscimento degli istituti ecclesiastici di qualsiasi natura, sol che avessero
l’approvazione dell’autorità ecclesiastica. Queste generiche previsioni legislative avevano
consentito, in passato, il riconoscimento come enti ecclesiastici di enti che poco o niente avevano di
ecclesiastico.
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Nella normazione vigente deve essere considerato fine costitutivo ed essenziale, che
consente di qualificare un’organizzazione come ente ecclesiastico civilmente riconosciuto, quello
che esso persegue, non solo secondo il suo statuto o le sue tavole di fondazione, ma anche quello
che esso svolge nel suo concreto operare, nei settori dell’“esercizio del culto”, della “cura delle
anime”, della “formazione del clero o dei religiosi”, o degli “scopi missionari”, o, ancora, della
“catechesi”, o, infine, dell’”educazione cristiana”.
L’ente, per essere qualificato come ecclesiastico, deve avere uno statuto e/o tavole di
fondazione che presentino suddetti temi come fine principale dell’ente e, di fatto, deve svolgere
come attività preponderante una delle attività sopra menzionate.
E’ evidente che, secondo la disciplina legislativa sopra esaminata, l’idea che ha lo Stato del
fine di religione o di culto è diversa da quella propria del diritto canonico. Nell’ordinamento della
Chiesa, il fine in questione costituisce una qualificazione propria dell’ente, in quanto appartiene
all’organizzazione ecclesiale e ha un carattere immanente, che sussiste a prescindere dall’attività
pratica svolta. Invece, nel diritto statale, secondo gli artt. 2, 3° comma e 16 della L. n. 222/1985,
vale la regola contraria: non basta che l’ente appartenga all’organizzazione ecclesiale, ma occorre
che dall’attività svolta, secondo lo statuto e in pratica, si deduca l’esistenza del fine “costitutivo ed
essenziale” di religione o di culto”, consistente nello svolgimento di una o più delle attività sopra
elencate, che consente di qualificare l’ente come ecclesiastico.
Per talune categorie di enti sono, poi, necessari particolari presupposti.
Gli artt. 9, 11 e 12 L. n. 222/1985 prevedono, rispettivamente per gli istituti religiosi di
diritto diocesano, le chiese aperte al culto pubblico e le fondazioni di culto, l’ulteriore presupposto
della sufficienza dei mezzi per il raggiungimento dei propri fini.
L’art. 12 L. n. 222/1985 richiede, poi, per le sole fondazioni di culto, la necessità ed
evidente utilità dell’ente, cioè la sua rispondenza alle esigenze religiose della popolazione.
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4 Procedimento di riconoscimento dell’ente
ecclesiastico
Il procedimento per il riconoscimento della personalità giuridica degli enti ecclesiastici da
parte dello Stato si articola in diverse fasi:
1) istanza del rappresentante dell’ente: il procedimento per il riconoscimento
della personalità giuridica degli enti ecclesiastici ha inizio con la domanda
effettuata da chi rappresenta l’ente secondo il diritto canonico, previa
autorizzazione della competente autorità ecclesiastica, oppure direttamente
con la domanda dell’autorità ecclesiastica competente. Nella domanda, oltre
ad essere indicati la denominazione, la natura e i fini dell’ente, devono essere
precisate la sede e la persona che lo rappresenta. Alla domanda devono essere
allegati i documenti atti a provare i requisiti necessari al riconoscimento,
quali il provvedimento canonico di erezione e di approvazione dell’ente e un
estratto dello statuto, contenente le norme sulla struttura dell’ente e sui
controlli canonici cui è soggetto. Occorre, altresì, produrre i documenti diretti
a dimostrare i requisiti generali e speciali stabiliti dalla legge per il
riconoscimento civile dei vari tipi di ente, nonché quelli da cui risulti il fine
di esso. Insieme alla domanda e ai documenti anzidetti deve essere allegato
l’atto di assenso al riconoscimento manifestato dall’autorità ecclesiastica
competente. Tale assenso può essere scritto anche in calce alla stessa
domanda. Quando occorre, ad esempio in caso di fondazioni di culto o
chiese, è necessario provare la consistenza patrimoniale dell’ente;
2) accertamenti della pubblica amministrazione: la domanda va presentata
presso la prefettura del luogo in cui l’ente ha sede, essendo tale ufficio dello
Stato organo periferico della Direzione Generale degli affari dei culti del
Ministero dell’Interno, unitamente a tutti i documenti suddetti. Il prefetto
competente per territorio istruisce la domanda, acquisendo, ove occorrano,
ulteriori elementi di giudizio, che può chiedere direttamente allo stesso ente
da riconoscere, all’autorità ecclesiastica, nonché ad organi della pubblica
amministrazione, pur se abbiano sede nel territorio di altra provincia. Il
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prefetto, dopo aver istruito la pratica e aver compiuto gli accertamenti del
caso, trasmette gli atti al Ministero dell’Interno, con un proprio rapporto
contenente il parere relativo sia alla legittimità che al merito della richiesta. Il
Ministero, a sua volta, si cura di raccogliere il parere del Consiglio di Stato,
obbligatorio ma non vincolante;
3) provvedimento di riconoscimento: questo viene emanato con decreto del
Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno. Tale
decreto è comunicato al rappresentante dell’ente e all’autorità ecclesiastica
che ha domandato il riconoscimento o vi ha dato l’assenso; se, invece, la
domanda viene respinta, il rigetto è disposto con provvedimento motivato che
va comunicato al richiedente; questi può impugnarlo dinanzi al Consiglio di
Stato.
4) iscrizione nel registro delle persone giuridiche: una volta ottenuto il
riconoscimento, l’art. 5 L. n. 222/1985 prescrive che l’ente ha l’onere di
richiedere l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche (art. 7 D.P.R. n.
361/2000). Dalla registrazione devono risultare, oltre alla data della
costituzione dell’ente e del decreto di riconoscimento, la denominazione, lo
scopo, il patrimonio (quando occorra), la durata, ove sia stata determinata, e
la sede della persona giuridica, nonché il nominativo degli amministratori con
la menzione di quelli ai quali è attribuita la rappresentanza, i poteri di costoro
e le norme statutarie che disciplinano l’attività dell’ente (artt. 33 e 34 c.c).
Devono,
perciò,
risultare
dal
registro
i
controlli
esercitati
sull’amministrazione e sui negozi dell’ente dall’autorità ecclesiastica
superiore. L’iscrizione dell’ente nel registro avviene a richiesta del legale
rappresentante, entro quindici dal verificarsi degli eventi da iscrivere.
Con la conclusione di tale procedimento, l’ente ecclesiastico acquista la personalità giuridica
agli effetti civili.
In dottrina è variamente dibattuto il problema se gli enti ecclesiastici abbiano o meno natura
di enti pubblici. Una parte della dottrina, che si basa sulle norme del codice civile, che distinguono
gli enti ecclesiastici da quelli pubblici, opta per la soluzione negativa. Ad esempio, secondo il
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Finocchiaro gli enti ecclesiastici riconosciuti sarebbero persone giuridiche private1. Invece, altra
dottrina ritiene che, per la loro natura e per il riconoscimento che lo Stato dà all’ordinamento
ecclesiastico, essi costituiscano una categoria particolare di enti pubblici.
1
F. Finocchiaro, Diritto Ecclesiastico, Zanichelli, Bologna, 2003 pag. 171.
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5 Revoca, trasformazione ed estinzione degli enti
ecclesiastici
Le modificazioni, cui possono andare soggetti gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti,
devono avvenire attraverso un procedimento uguale a quello previsto per l’attribuzione della
personalità giuridica. Tale principio, che, vigente il Concordato lateranense, era fissato dall’art. 4,
3° comma della L. n. 848/1929, è ora contenuto nell’art. 19 1° comma della legge n. 222/1985, il
quale prevede che ogni mutamento sostanziale nel fine, nella destinazione dei beni e nel modo di
esistenza di un ente ecclesiastico, per essere efficace nel diritto statale, deve essere riconosciuto con
decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno, sentita l’autorità
ecclesiastica e dietro parere obbligatorio, ma non vincolante, del Consiglio di Stato. Codesto
provvedimento di modica è trasmesso d’ufficio al registro delle persone giuridiche in cui è iscritto
l’ente, affinché sia, a sua volta, iscritto, in modo da essere opponibile ai terzi. Non è agevole dire
quando il mutamento del fine di un ente sia sostanziale e quando non lo sia. In generale, quando un
ente ecclesiastico, oltre al proprio fine costitutivo ed essenziale, persegue altri scopi leciti, non v’è
alcun mutamento dei fini che debba essere riconosciuto agli effetti civili. Se un ente, che aveva il
fine della cura delle anime e dell’esercizio del culto, cessi di perseguirlo, per interessarsi ad un altro
dei fini considerati dall’art. 16, lett. a della suddetta legge come attività di religione, e tale fine sia
mutato con un provvedimento dell’autorità ecclesiastica, questo mutamento dovrà essere
riconosciuto agli effetti civili. Se, invece, l’ente muti il proprio fine originario in via di fatto, senza
alcun provvedimento canonico, non occorre pensare a un riconoscimento del mutamento da parte
dello Stato; però, tale mutamento di fatto, non dando luogo ad iscrizione nel registro delle persone
giuridiche, non è opponibile ai terzi. Il controllo della destinazione dei beni è rilevante al fine di
garantire i terzi attraverso l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche, ovvero, nel caso di
perdita del patrimonio per un ente del tipo fondazione, per l’eventuale revoca del riconoscimento
della personalità giuridica. Ove un ente amministri più masse patrimoniali autonome, il passaggio
dei beni dall’una all’altra massa, pur all’interno dello stesso ente, secondo la dottrina, dà luogo a un
mutamento nella destinazione dei beni. Quanto ai mutamenti sostanziali, concernenti il modo di
esistenza degli enti, essi attengono alla struttura della persona giuridica e potrebbero riguardare la
circoscrizione territoriale, per le diocesi e per le parrocchie, l’unione di più enti o lo scorporo di un
ente con la sottrazione, a favore di un altro di talune attività e simili. In tutti questi casi, l’ente
ecclesiastico perde la qualifica di “civilmente riconosciuto”, ossia la personalità giuridica nel diritto
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dello Stato, mediante un autonomo provvedimento di revoca del riconoscimento, in quanto l’ente
perde uno dei requisiti prescritti per il riconoscimento civile.
Nel caso in cui un ente riconosciuto subisca delle trasformazioni, queste, per essere
giuridicamente rilevanti, devono ottenere il riconoscimento e devono essere tali che l’ente non
perda uno dei requisiti prescritti dalla legge per l’acquisto della personalità giuridica. Il
riconoscimento viene concesso con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del
Ministro dell’Interno, su parere obbligatorio, ma non vincolante del Consiglio di Stato. Tale decreto
viene iscritto d’ufficio nel registro delle persone giuridiche.
L’ente ecclesiastico può estinguersi, ai soli fini canonici, naturalmente,
quando abbia
cessato di agire per lo spazio di cento anni (C.I.C. can. 120) . Invece, l’ente ecclesiastico, civilmente
riconosciuto, cessa di esistere, agli effetti della legge dello Stato, o con un provvedimento di
soppressione da parte della competente autorità ecclesiastica, o quando sia revocato il
riconoscimento civile.
Se l’ente ha ottenuto il riconoscimento, l’art. 20 1° comma L. n. 222/1985 stabilisce che,
perché la sua estinzione sia valida agli effetti civile, occorre l’iscrizione nel registro delle persone
giuridiche del provvedimento dell’autorità ecclesiastica, che ne dispone la soppressione o ne
dichiara l’estinzione. Tale provvedimento va trasmesso dall’autorità ecclesiastica competente al
Ministro dell’Interno che, con proprio decreto, dispone l’iscrizione del provvedimento stesso nel
registro delle persone giuridiche e provvede alla devoluzione dei beni dell’ente estinto o soppresso.
Tale devoluzione, secondo il 3° comma dell’art. 20, avviene secondo quanto prevede il
provvedimento ecclesiastico, salvi in ogni caso, la volontà dei disponenti, i diritti dei terzi e le
disposizioni statutarie ed osservate le leggi civili relative agli acquisti delle persone giuridiche.
Invece, è irrilevante, ai fini degli effetti civili, l’estinzione di fatto dell’ente. Pertanto, è da
escludersi che possano produrre effetti nel diritto statuale le norme canonistiche riguardanti la
materia.
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6 I singoli enti ecclesiastici
Tra i vari tipi di enti ecclesiastici distinguiamo:
enti centrali: ad essi è stata attribuita personalità giuridica già con il Concordato del 1929;
tra di essi citiamo:
-
la Santa Sede;
-
le Congregazioni ed il Collegio dei Cardinali;
-
i Tribunali ecclesiastici.
Inoltre, nell’organizzazione permanente della Chiesa cattolica in Italia, dopo la Santa Sede,
assume rilievo la Conferenza Episcopale Italiana (CEI), disciplinata dai cann. 447-459 C.I.C. 1983;
enti locali: tra di essi possiamo citare:
-
capitoli: coadiuvano il vescovo nel governo della diocesi;
-
seminari: il riconoscimento della personalità giuridica di tali enti d’istruzione
è stato confermato dall’art. 10 del nuovo Concordato.
Seguono:
-
diocesi: circoscrizioni territoriali;
-
parrocchie: circoscrizioni territoriali;
-
chiese: la L. n. 222/1985, art. 11 prevede che possano essere riconosciute
solo quelle aperte al culto pubblico, che siano dotate di mezzi sufficienti per
la loro attività;
-
fabbricerie: provvedono all’amministrazione dei beni delle chiese ed alla
loro manutenzione; non possono ingerirsi nel servizio di culto e sono
sottoposte alla vigilanza del Ministro dell’Interno; possono ottenere il
riconoscimento con la procedura ordinaria;
-
santuari: luoghi sacri particolarmente venerati dai fedeli; la personalità
giuridica gli è stata riconosciuta già col vecchio Concordato;
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-
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associazioni religiose: ordini monastici e simili; per l’art. 7 L. n. 222/1985
possono essere riconosciute se abbiano sede in Italia o vi svolgano tutta la
loro attività;
-
associazioni di fedeli: vi partecipano laici che si prefiggono scopi di carità o
di culto; l’art . 9 della citata legge prevede che possano essere riconosciute,
purchè non abbiano carattere esclusivamente locale. L’art. 71 della stessa
legge prevede, in particolare, che le confraternite che non abbiano scopo
esclusivo o prevalente di culto siano soggette alla legge ordinaria:
-
fondazioni di culto: hanno una funzione strumentale al fine di religione e di
culto perseguito dalla Chiesa; si tratta di enti che valgono ad agevolare il
raggiungimento dei fini stessi; possono essere riconosciute alle condizioni
ordinarie;
-
confraternite: organismi che hanno fini di culti e/o di beneficenza, quale
l’assistenza ai confratelli infermi o l’assicurazione di una sepoltura cristiana e
perpetua agli associati;
-
istituti per il sostentamento del clero: la personalità giuridica gli è
riconosciuta dall’art. 21 L. n. 222/1985.
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