La valutazione psicologica nel diabete tipo II

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La valutazione psicologica nel diabete tipo II
Studi sperimentali
La valutazione psicologica nel diabete tipo II:
review della letteratura e proposta di un modello psicometrico
Psychological assessment in diabetes type II: review and proposal
of a psychometric model
PAOLO GENTILI1, TIZIANA BUFACCHI2, IVANO CINCINNATO1, PAOLO DI BERARDINO3,
FRANCO BURLA1
1
Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica, Università La Sapienza, Roma
2
Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma
3
Servizio di Diabetologia e Malattie Metaboliche, Ospedale di Atri, ASL di Teramo
RIASSUNTO. Obiettivo. Individuare gli aspetti psicologici e le loro correlazioni nelle reazioni alla diagnosi di diabete NIDD
(non insulino dipendente) e costruire un protocollo di valutazione psicometrica delle aree psicologiche coinvolte. Risultati.
Dopo un’analisi della letteratura scientifica nazionale e internazionale degli ultimi dieci anni, si sono individuate cinque aree
funzionali che modulano la reazione alla diagnosi di diabete. È stata individuata la presenza di correlazioni significative tra
alcune delle aree indagate. Conclusioni. Il protocollo utilizzato si è rivelato utile per comprendere le diverse reazioni al diabete e per individuare gli obiettivi psico-educazionali nella gestione della malattia con i diabetici neo diagnosticati.
PAROLE CHIAVE: diabete NIDD, aspetti psicologici, psicometria.
SUMMARY. Objective. To underline the psychological characteristics and their correlations involved in reaction to diabetes
NIDD (Non-Insulin Dependent Diabetes) diagnostic and to develop a specific psychometric model. Result. An analysis of national and international scientific literature of last ten years underlines five specifical areas regulating diabetes diagnostic reaction. We found important correlations between some of the areas investigated. Conclusions. The psychometric model reveals its useful to understand different reactions to diabetes and to find psycho-educational objectives in diabetes management
and in neo diagnosticated patients.
KEYWORDS: diabetes NIDD, psychological aspects, psychometrics.
INTRODUZIONE
misura sicuramente maggiore di quanto fanno soggetti affetti da altre patologie croniche (3).
Inoltre, anche tra i fattori che influenzano negativamente il trattamento, vengono considerati con particolare attenzione le reazioni emotivo-relazionali individuali alla malattia, al medico e soprattutto alla propria
persona malata. Infatti, i profondi cambiamenti nelle
abitudini di vita che il diabete di tipo II comporta sono causa di un riesame dell’immagine di sé e delle proprie aspettative di vita (4), sulla percezione del proprio
schema corporeo sulla stima di sé, sulla coscienza di sé
e sulla propria immagine corporea (5).
Le attuali linee-guida per il trattamento del diabete
tipo II, che sicuramente comportano un allungamento
Attualmente il diabete non viene più ritenuto una
malattia, un’entità singola, ma una sindrome, cioè un
gruppo eterogeneo di sintomi che si presenta in modi diversi in rapporto non solo alle caratteristiche cliniche
della malattia ma anche all’età dei soggetti colpiti, alle
cause che l’hanno scatenato (1) e in particolar modo alle caratteristiche psico-sociali della persona. Tra i fattori
etiopatogenetici del diabete sono stati individuati anche
una serie di stimoli stressanti, sia fisici sia emotivi e relazionali (2), i quali assumono lo stesso valore etiologico.
Alcuni autori sottolineano che i diabetici riferiscono
l’inizio dei loro disturbi a dispiaceri o a emozioni, in
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dell’aspettativa e maggiore qualità di vita per i diabetici, in realtà solo raramente raggiungono l’optimum
terapeutico che consiste nell’impedire, per molti decenni, la comparsa delle complicanze tardive e nel
mantenere una completa efficienza fisica (6).
Il trattamento del diabete è, d’altra parte, tra i più
complessi tra quelli relativi alle malattie croniche, in
quanto deve interagire con i molteplici fattori individuali e psicologici che determinano l’andamento clinico del diabete.
È assolutamente necessario adattare al singolo caso
la dieta, l’uso di antidiabetici orali o dell’insulina e l’attività fisica, in quanto i fattori “psicologici” (da quelli
cognitivi a quelli emotivi, da quelli relazionali a quelli
motivazionali) modulano in maniera massiccia la modalità che ha il diabetico di utilizzare i vari interventi
degli operatore sanitari (7).
In questo contesto di integrazione tra due epistemologie, quella medica e quella psicologica, già sono
molte le ricerche che hanno contribuito a integrare conoscenze cliniche con quelle psicologiche.
In particolare, una review della letteratura degli ultimi dieci anni, effettuata sui motori di ricerca PubMed,
Medline, Psychoinfo e Psychoarticles, sulle ricerche
pubblicate riguardanti la relazione tra psicologia e diabete di tipo 2 ha evidenziato 207 articoli; le tematiche
psicologiche maggiormente studiate e utilizzate nella
pratica clinica si possono raggruppare, in ordine decrescente di frequenza, nelle seguenti aree (Tabella 1):
– il management e il self-management, intesi rispettivamente come presa in carico del paziente diabetico e strategie di intervento attuate da parte dello
staff medico e i relativi comportamenti di self-care
messi in atto dal paziente, sono stati il focus della
maggior parte degli studi (37,3% delle ricerche
pubblicate). Da questi è emerso che per una gestione efficace del diabete è necessaria non solo una
corretta terapia ma anche il supporto emozionale e
la conoscenza da parte dei medici di quei fattori che
possono influenzare negativamente l’adattamento
alla malattia. Infatti, la preoccupazione del futuro,
la possibilità di complicazioni e il sentimento di colpa o ansia nel momento in cui non vengono rispettate le prescrizioni mediche sono fonti di un grave
distress in questi pazienti. Le modalità del trattamento, l’aspettativa probabile di vita e l’età al momento della diagnosi sono fattori significativi che
hanno un notevole impatto sul vissuto emotivo del
diabetico (8);
– inoltre, è stata prestata attenzione agli aspetti riguardanti la qualità di vita del paziente diabetico
(17,8%), quali la soddisfazione del paziente, gli autoriferimenti al proprio stato di salute (self-reported
health) e le sue lamentele, ponendo rilievo al contesto socio-ambientale in cui il soggetto è inserito e,
dunque, al supporto e sostegno che ne riceve (9-11),
dal momento in cui viene a conoscenza della diagnosi alle fasi successive dell’adattamento alla malattia;
– un’altra area che sta ricevendo sempre più attenzione (9,2%) è quella relativa al rapporto medico-paziente, che comprende non solo l’analisi dei fattori
che comportano l’adesione alle prescrizioni mediche e dei fattori di noncompliance, ma anche il grado di accordo tra il dietologo e il paziente diabetico
circa l’assessment della terapia, considerando il desiderio di alcuni pazienti di avere un ruolo più attivo nel partecipare alle decisioni prese dallo staff
medico. Alcuni studi hanno confrontato le credenze
e i comportamenti nei confronti del diabete di pazienti ed esperti, giungendo a ipotizzare che un fattore importante nel creare un rapporto di alleanza e
collaborazione col paziente consiste nel riconoscere
e rispettare le diverse prospettive tra diabetologo e
paziente (12-14);
– infine, altre tematiche indagate, connesse al vissuto
di malattia del paziente, sono quelle riguardanti la
comorbilità di alcune patologie che interessano il
funzionamento psichico, quali disturbi del tono dell’umore, e in particolar modo la depressione e l’ansia (12,5%), disturbi della sfera psicosessuale
(3,9%), del funzionamento cognitivo (5,3%) e del
Tabella 1. Argomenti trattati nei 207 articoli di psicologia e
diabete tipo II pubblicati dal 1995 al 2005
Management
Self-management
19,9%
17,4%
Qualità della Vita
17,8%
Compliance
9,2%
Depressione
8,7%
Locus of control
6,3%
Aspetti cognitivi
5,3%
Sessualità
3,9%
Self-efficacy
3,4%
Ansia e depressione
2,9%
Disturbi alimentari
2,9%
Self-esteem
1,4%
Ansia
0,9%
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Come si verifica in quasi tutte le malattie gravi (in
particolare quelle croniche) ogni nuova situazione deve essere elaborata per fasi diversificate (22).
Nel caso del paziente diabetico sono state identificate cinque fasi tra loro diverse (23):
1. il periodo dello shock iniziale di fronte al fatto di
avere una condizione da curare per tutta la vita: ne
conseguono rifiuto della realtà e ansia libera;
2. il periodo di aggressività e collera: si manifesta con
reazioni di caparbietà, quali l’eludere la dieta e l’inosservanza delle raccomandazioni del medico;
3. il tentativo di contrattare: caratterizzato da peggioramento della malattia, graduale adeguamento, parziale accettazione, assenza di responsabilità a sopportare le conseguenze e iniziale riduzione del tono
dell’umore;
4. la fase della depressione: il diabetico si sente abbandonato un po’ da tutti, conosce le future difficoltà
ma non ha fiducia nel superarle, tuttavia è molto ricettivo alle informazioni;
5. la fase dell’accettazione attiva della malattia: il paziente accetta a livello emotivo e razionale le conseguenze della sua malattia, è interessato alle informazioni ed è disposto alla collaborazione.
Durante i primi giorni si manifestano prevalentemente emozioni confuse, caratterizzate da ansia, incredulità, stordimento e frequente rifiuto di ogni terapia; in alcuni casi, possono comparire uno stato di
continua tensione, preoccupazione e sintomi depressivi.
Le fasi indicate possono variare, infatti, per durata
e gravità: in certi casi lo shock iniziale è talmente grave da produrre uno stato di completa disorganizzazione.
Una reazione molto diffusa all’esordio della malattia è il diniego (rifiuto della percezione di un fatto che
s’impone nel mondo esterno) che si manifesta con incredulità alla diagnosi. Tale reazione difensiva, che inizialmente può risultare adattiva rispetto alla difficoltà
ad accettare e superare il trauma, se si protrae può
ostacolare la comunicazione con i medici e quindi l’accettazione della malattia e delle cure. Al diniego possono essere associati o far seguito sentimenti d’ansia e
depressione.
Il momento di contrattazione (“lotta contro la malattia”) è un periodo di vera e propria crisi per il diabetico, che si vede costretto a riorganizzare la propria
vita in conformità delle nuove esigenze: in questa fase
si manifestano una serie di preoccupazioni relative alla difficoltà nell’eseguire le varie prescrizioni connesse
con la dieta o la terapia insulinica.
Soprattutto l’ansia e lo stress provocati dalla malattia possono raggiungere livelli così elevati da rappre-
comportamento alimentare (2,9%) e le strategie di
coping a cui ricorre il paziente sulla base del proprio
locus of control (6,3%) (15,16), della propria self-efficacy (3,4%) (17) e del powerlessness percepito
(1,4%) (18).
Da questi numerosi studi è emersa sempre più chiara la necessità di trovare e utilizzare misure valide e attendibili dei fenomeni psicologici sopra menzionati.
Queste misure devono essere in grado di valutare un
ampio range di fenomeni psicologici: l’assessment del
diabete e le sue complicanze, la qualità della vita e gli
adattamenti richiesti dalla malattia, il livello di benessere, la soddisfazione nei confronti del trattamento,
l’ansia e la paura legate a crisi ipoglicemiche, la conoscenza reale e le credenze sulla malattia stessa, la percezione di controllo sulla malattia, le motivazioni al
prendersi cura di sé e le barriere all’aderenza alla terapia.
L’attenzione psicometrica è, quindi, attualmente rivolta in particolar modo agli effetti percepiti come importanti dal paziente e che riguardano il diabete e la sua
gestione come, per esempio, una modificazione nella
“capacità di funzionare” nella vita quotidiana, la soddisfazione e la qualità della vita, oltre all’aspettativa di vita. Si tratta delle cosiddette “misure centrate sul paziente” (patient-oriented measures) portatore di diabete (19).
La necessità di non usare uno stesso strumento per
differenti condizioni patologiche si basa sul fatto che
spesso non si indaga lo stesso fenomeno psicologico: le
complicanze psicologiche di una malattia non hanno,
per esempio, la stessa rilevanza in pazienti con differenti patologie (20).
La specificità del diabete impone l’uso di strumenti
di valutazione fortemente correlati alle caratteristiche
cliniche di questa patologia: malattia asintomatica fino
alla comparsa di gravi complicanze; la sua cronicità richiede terapie con somministrazioni frequenti, monitorate e spiacevoli, ha notevole impatto sulle abitudini
alimentari e necessita di una relazione costante e regolare con il medico.
A tal fine vengono disegnati test specifici per il diabete che hanno una maggiore sensibilità rispetto a misure generiche per malattie croniche (21).
Infatti, sebbene la malattia diabetica non comporti
modifiche corporee esteriori e una corretta osservanza
del regime terapeutico consenta di mantenere condizioni generali soddisfacenti, la diagnosi di malattia e
quindi la stessa cronicità, la complessità del regime terapeutico, le restrizioni dietetiche rappresentano un
evento traumatico nella storia del paziente e rendono
necessaria una riorganizzazione pratica della gestione
della propria vita con continue e pesanti interferenze
anche nella sfera emotiva del paziente.
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sentare dei veri ostacoli verso un optimum nell’autogestione del trattamento e nel raggiungimento di buoni valori glicemici (24).
Sono state esaminate anche le diverse strategie cognitive e comportamentali alle quali i pazienti ricorrono per gestire il diabete e le risposte emotive che ne
derivano (25).
Infine, le evoluzioni possibili dopo il periodo di lotta alla malattia possono essere (26):
– soluzione della crisi: si accetta realisticamente la
malattia e si adatta alle sue limitazioni e ai sentimenti provocati da questa (fase dell’adattamento
maturo);
– cronicizzazione della crisi: la malattia e le restrizioni non vengono mai accettate realisticamente e l’individuo rimane in uno stato di crisi (squilibrio emotivo o disorganizzazione persistente). Alcuni possono arrivare a modificare i rapporti con gli amici e i
parenti perché si vergognano e negano a livello sociale lo stato di patologia.
Da qui si prospetta la necessità da parte del diabetologo di saper riconoscere, gestire e dunque intervenire tempestivamente sulle prime reazioni psicologiche del paziente nel periodo relativo alla comunicazione della diagnosi, al fine di costruire con il paziente
una relazione di fiducia e di aiuto.
Inoltre, anche se le ricerche hanno evidenziato risultati spesso contrastanti, emerge l’importanza del
contesto psicosociale nel determinare il tipo di reazione all’evento, incluso l’atteggiamento (manifesto o meno, consapevole o no) del medico curante.
Una valutazione psicologica e della condizione sociale dovrebbe, pertanto, essere affiancata nella gestione del diabete. Lo screening psico-sociale dovrebbe
comprendere la valutazione: dell’atteggiamento nei
confronti della malattia, delle aspettative nei confronti sia della gestione medica sia degli esiti, dell’affettività/umore, della qualità di vita, in generale e in relazione al diabete, delle risorse economiche, sociali ed
emozionali e della storia psichiatrica del paziente
(27,28).
Poiché il livello di soddisfazione del diabetico riguardo alle capacità empatiche del diabetologo e delle
sue capacità di comunicazione è risultato (29) strettamente correlato alle caratteristiche di personalità, atteggiamenti, aspettative e stato di salute riferito dal paziente stesso, nel decidere qual è il migliore approccio
da adottare con il diabetico, è di primaria importanza
rilevare come il paziente percepisca la relazione e
quanto investa in essa (30).
Infatti, riguardo agli aspetti che diabetologi e pazienti percepiscono come centrali per un management
efficace del diabete, l’attenzione si è focalizzata in par-
ticolare sulla relazione medico-paziente e sulle implicazioni di questa per l’empowerment del diabetico e il
self-management (31).
I risultati hanno messo in evidenza cinque fattori
chiave:
1. l’importanza di avere il tempo necessario per esplorare tutti gli aspetti bio-psico-sociali del malato;
2. la continuità della cura attraverso un approccio individualizzato;
3. la necessità per il paziente di avere l’opportunità di
fare domande durante la visita;
4. la percezione del diabetico di sentirsi ascoltato dal
medico;
5. la variabilità dell’esperienza individuale di vivere
con la malattia.
Quindi, ai fini di ottimizzare la collaborazione del
paziente alla terapia, il medico dovrebbe cercare di conoscere il modo in cui esso si rappresenta la malattia e
le reazioni e il vissuto indotti dal diabete (32).
In particolare, risulta importante fin dal primo contatto e per la gestione della reazione alla comunicazione della diagnosi (e nei primi mesi di affiancamento)
adottare un approccio alla malattia diabetica, che cerchi di individuare eventuali fattori psicologici che modulano l’accettazione della diagnosi di diabete e della
malattia e le implicazioni psicologiche della malattia
stessa sulla personalità dei pazienti. Il trattamento psicologico potrebbe essere inserito nell’ambito delle cure abituali sin dalle fasi iniziali, piuttosto che attendere l’identificazione di uno specifico problema o il deterioramento del quadro psichico (33).
Tra gli studi più propositivi per l’impegno psicologico clinico da parte dei medici, se ne ricorda uno che, in
particolare, si è proposto di esplorare le reazioni emotive dei pazienti e il loro punto di vista sulle informazioni ricevute al momento della prima comunicazione
del medico (34).
I soggetti sono stati suddivisi in gruppi in base alle
tre principali tipologie di diagnosi: “sospetto di diabete”, “diagnosi recente” e “diagnosi remota”.
Confrontando le risposte dei soggetti a una serie di
interviste, gli autori hanno rilevato come siano i pazienti del terzo gruppo a manifestare una grande varietà di reazioni emotive. Inoltre, è stato sottolineato
che molti pazienti, indipendentemente dal tipo di diagnosi ricevuta, richiedono maggiori informazioni sulla
malattia in questa prima fase.
Gli autori suggeriscono che possa essere utile ai medici avere un atteggiamento più sensibile al tipo di diagnosi di diabete. Inoltre, fornire una serie di consigli,
semplici ma dettagliati, sul management del diabete
può essere d’aiuto ai pazienti che hanno appena ricevuto la diagnosi di malattia.
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tivamente basso; inoltre, è emersa una tendenza dei
pazienti più giovani a riferire i livelli peggiori di benessere. Per quanto riguarda i sintomi di ansia, questa
tendenza era più evidente tra le persone con diabete di
tipo II. Questi studi indicano che gli esperti dovrebbero porre più attenzione ai bisogni psicologici del paziente diabetico e, in particolare, delle persone più giovani (38).
Rispetto a questa molteplicità di aspetti psicologici
in relazione con la malattia diabetica, sono ancora pochi gli studi in letteratura che hanno proposto metodologie d’indagine che tengono conto di questa complessità.
Tra questi è particolarmente interessante il Diabetes 39 (35). Questo è uno strumento specificatamente
costruito per misurare la qualità di vita di persone con
diabete, composto da 39 item che coprono cinque dimensioni della vita del paziente:
1. energia e mobilità;
2. controllo del diabete;
3. ansia e preoccupazione;
4. peso sociale (social burden);
5. funzione sessuale.
Bradley, et al. (36) hanno disegnato e sviluppato
l’Audit of Diabetes Dependent Quality of Life (ADDQoL), un questionario volto a misurare la percezione
individuale dell’impatto del diabete sulla qualità di vita, costituito da 13 item riguardanti aree specifiche della qualità di vita. Sono stati selezionati 52 pazienti diabetici (età media di 62 anni) e 102 pazienti in attesa di
ricevere una terapia (età media di 52 anni). I pazienti
trattati con terapia insulinica riferivano un impatto del
diabete maggiore sulla QoL rispetto ai soggetti che seguivano una terapia orale. Inoltre, persone con complicanze microvascolari mostravano un peggioramento
della QoL. Questi risultati mostrano come l’ADDQoL
possa essere molto più sensibile nel rilevare cambiamenti rispetto ad altre misure più generiche della
QoL.
Infine, nonostante l’analisi della letteratura effettuata rilevi numerose ricerche che riguardano l’ansia,
la depressione, il Locus of Control, la Self Efficacy e la
Powerlessness, solo due di questi studi hanno utilizzato strumenti testologici di valutazione.
Il primo studio, coinvolgendo 150 pazienti adulti, ha
misurato la validità e l’attendibilità della Diabetes Locus of Control Scale (DLCS), disegnata per misurare i
comportamenti di compliance e i tentativi di controllare il diabete. I risultati confermano l’ipotesi che i diabetici con bassi livelli di istruzione hanno punteggi più
alti alla sottoscala del locus of control esterno rispetto
ai diabetici con scolarità superiore (37).
Il secondo studio ha analizzato lo stato di benessere
psicologico autoriferito da pazienti adulti con diabete
di tipo I e II, esplorando le associazioni tra il benessere psicologico e il malessere legato alla malattia. Sono
state somministrate a 534 pazienti tre differenti scale:
la WHO Well-Being Index, la Short Zung Depression
Rating Scale e 4 item dalla subscala dell’Ansia della
Hopkins Symptom Checklist. Gli adulti con entrambi i
tipi di diabete hanno riportato livelli di benessere rela-
PROPOSTA DI UNO STRUMENTO PSICOMETRICO
Da quanto sopra rilevato, gli Autori hanno cercato
con il presente lavoro di fornire al diabetologo uno
strumento di valutazione psicologica di caratteristiche
della persona del diabetico, attualmente considerate
importanti per la gestione del diabete. L’obiettivo è
quello di favorire la comprensione del tipo di adattamento alla diagnosi, di poter attuare uno screening
della situazione psicologica del paziente per interventi
più mirati durante le visite per individuare la necessità
o meno di una consulenza specialistico-psichiatrica, e
infine proporre degli schemi di trattamento personalizzato (39) per l’affiancamento sia iniziale sia a lungo
termine della persona con diabete.
MATERIALE E METODI
La ricerca si è svolta in tre fasi.
La prima fase di questo lavoro è stata orientata a individuare una batteria di test, adatta sia allo screening
iniziale sia per la ripetizione di controlli dell’assetto psicologico ed emotivo nel tempo, che rispondesse alle esigenze di validità, attendibilità, standardizzazione e sensibilità, che fosse di facile utilizzo e comprensione per il
paziente al di là del livello di scolarità e dell’età anagrafica, utilizzabile senza che fosse necessaria un’estesa
competenza psicologica da parte dell’operatore, che presentasse rapidità di somministrazione, semplicità di interpretazione dei risultati e di applicabilità ai singoli casi, ripetibile periodicamente (per il monitoraggio e per il
follow-up).
A questo scopo, considerando quanto riscontrato in
letteratura, si è ritenuto necessario allestire una batteria
di cinque test:
1. SDS – Self-Rating-Depression Scale (40);
2. SAS – Self-Rating Anxiety Scale (41);
3. MHLC – Multidimensional Locus of Control Scale
(42);
4. SES – Self-Esteem Scale (43);
5. Powerlessness Scale (44).
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Le scale SDS e SAS
to il profilo linguistico non costituisce una garanzia di
equivalenza tra la versione originale e quella tradotta, si
è utilizzato un approccio multiplo nel produrre una traduzione adeguata e nel saggiarne l’equivalenza al questionario originale (Sirigatti, 1990, 1991, 1993).
Per l’adattamento italiano sono state seguite le seguenti fasi:
– traduzione del questionario originale da parte di due
gruppi indipendenti di psicologi e psichiatri che avevano un’approfondita conoscenza delle due lingue e
delle due culture;
– somministrazione della versione preliminare così ottenuta a vari gruppi di soggetti, con successivi colloqui
e discussione allo scopo di individuare e, eventualmente, modificare item ambigui, poco comprensibili o
scarsamente equivalenti;
– somministrazione del questionario originale e della
versione sperimentale a soggetti bilingui;
– somministrazione della versione sperimentale a campioni della popolazione generale;
– somministrazione della versione sperimentale a pazienti psichiatrici;
– svolgimento della back-translation;
– preparazione della versione definitiva a seguito delle
indicazioni derivate anche dalla back-translation;
– verifica della leggibilità della versione definitiva;
– elaborazione dei dati raccolti per definire le proprietà
psicometriche della versione italiana, anche in rapporto ai valori della versione originale.
L’SDS (40) e l’SAS (41) sono strumenti di misurazione della gravità dei rispettivi stati depressivo e ansioso.
Questi test sono costituiti da 20 item, auto-somministrabili e quantitativi, i quali corrispondono a specifici sintomi raggruppati per categorie:
a. la componente psico-affettiva;
b. la componente del disturbo psicologico;
c. il disturbo psicomotorio;
d. il disturbo psicologico.
La Scala MHCL
La scala MHCL (42) è una scala adatta a valutare lo
stile del paziente nel controllare gli eventi (se il paziente
presenta già un atteggiamento orientato e fiducioso nei
confronti delle proprie possibilità di controllare il suo
stato di salute o con un atteggiamento orientato ad affidare ad altri il controllo o la gestione di vicende che riguardano la salute o ancora con un atteggiamento fatalista o sfiduciato).
Questo test valuta le credenze sul controllo relative
alla salute, l’efficacia del potere altrui e il ruolo della casualità nel determinare lo stato di salute di un soggetto.
La scala MHLC è costituita da tre sottoscale autosomministrabili, a sei item. Le tre sottoscale sono il Locus of Control Interno (Internal Health Locus of Control
- IHLC), Locus of Control Esterno (Powerful Others Externality - PHLC) e il Locus of Control Casuale (Chance
Health Locus of Control - CHLC).
Nella terza fase la batteria è stata somministrata a un
gruppo di soggetti che potremmo considerare come
gruppo normativo italiano, in corso di ampliamento, preceduti dai riferimenti normativi reperiti dall’analisi della
letteratura.
Il campione è costituito da 420 soggetti (maschi: 170;
femmine: 250), di età compresa tra 40 e 70 anni (Media:
48; DS: 9,291), provenienti in eguale proporzione da regioni del Nord, del Centro e del Sud Italia. Il 73% ha una
scolarità elementare e media, mentre il 27% ha scolarità
superiore.
Inoltre, il campione era esente da:
– gravi patologie somatiche;
– disturbi psichiatrici e precedenti contatti con psichiatri o psicologi emersi durante l’anamnesi;
– gravi problemi psicosociali e ambientali negli ultimi due
anni, come stabilito dai criteri del DSM-IV-TR per la
classificazione sull’Asse IV (non correlati alle possibili
complicanze causate dall’aver trascurato il diabete);
– esposizione nei due anni precedenti al reclutamento
della presente ricerca ad eventi traumatici nei quali il
soggetto avrebbe vissuto assistito o si sarebbe confrontato con la morte, abbia avuto una minaccia per la
vita, una grave lesione o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri. Il punteggio della VGF secondo
il DSM-IV TR non deve essere inferiore a 60.
La SES e la POWERLESSNESS Scale
La prima è la Scala di Valutazione dell’Autostima (40)
e la seconda è la Scala di Valutazione del Sentimento di
Impotenza (44). La SES è stata ideata con l’intento di misurare l’insieme dei sentimenti riguardanti il proprio valore o l’accettazione di sé. I 10 item di cui è costituita riguardano direttamente le percezioni circa se stesso.
La seconda riguarda la powerlessness intesa come
“l’aspettativa o la probabilità percepita dall’individuo
che il proprio comportamento non possa determinare
conseguenze su avvenimenti da lui ricercati”, e quindi indica il senso di incapacità percepito nel mancato raggiungimento dei risultati, anche dopo un impegno personale. La scala è centrata sulla sensazione di essere incapace (mancanza di auto-efficacia) piuttosto che sul fatto
di essere capace.
Nella seconda fase del lavoro sono stati tradotti i test
nella versione italiana (a eccezione dei test di Zung, già
da tempo utilizzati in italiano) e raccolti i dati normativi.
A tale scopo, poiché una versione anche perfetta sot-
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– alla SES la media del campione normativo italiano
è 33.33; la mediana è 34; la moda è 34; la deviazione
standard è 3.643; la varianza è 13.271; la skewness è
-1.083; la kurtosis è 1.169 e il range è 24.
– alla Powerlessness Scale la media del campione normativo italiano è 1.14; la mediana è 1; la moda è 1; la
deviazione standard è .986; la varianza è .972; la
skewness è .491; la kurtosis è -.528 e il range è 4.
Analisi statistica
I dati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi mediante applicazioni di statistiche descrittive della tendenza
centrale e della variabilità utilizzando il software SPSS
versione 13.0.
RISULTATI E DISCUSSIONE
CONCLUSIONI
I risultati ottenuti (Tabella 2) hanno così definito le
caratteristiche psicometriche proprie di un campione
italiano di soggetti diabetici. In particolare:
– per l’SDS la media per il campione normativo italiano è 35.3; la mediana è 34; la moda è 32; la deviazione standard è 8.267; la varianza è 68.345; la skewness è .594; la kurtosis è .200 e il range è 40;
– per l’SAS la media è 47.8; la mediana è 46.25; la moda è 45; la deviazione standard è 6.954; la varianza è
24.034; la skewness è 1.039; la kurtosis è 1.564 e il
range è 66;
– al MHLC i dati relativi al campione normativo italiano nelle tre diverse sottoscale sono così risultati:
• per l’IHLC la media è 20.06; la mediana è 19.5; la
moda è 17; la deviazione standard è 5.744; la varianza è 32.999; la skewness .552; la kurtosis è
1.877 e il range è 41;
• per PHLC la media è 18.74; la mediana è 18; la
moda è 18; la deviazione standard è 6.121; la varianza è 37.463; la skewness è .272; la kurtosis è .240 e il range è 30;
• per CHLC la media è 14.7; la mediana è 14; la moda è 16; la deviazione standard è 5.403; la varianza è 29.192; la skewness .341; la kurtosis -.158 e il
range è 31.
Da quanto emerge dai risultati sopra descritti i valori riscontrati nel gruppo normativo in allestimento in
tutte le scale proposte appaiono congrui con i valori
normativi originali rilevati nella popolazione statunitense. In particolare, tutti i punteggi dei pazienti testati si collocano correttamente al di sotto della soglia di
patologia prevista dai valori normativi statunitensi, anche se in posizione prossimale a essa.
In conclusione, anche se la numerosità del campione appare ancora limitata, i risultati ottenuti incoraggiano a proseguire verso l’obiettivo progettato. Già
sembra, infatti, realisticamente possibile individuare
una batteria di scale di valutazione adattato alla popolazione italiana e in grado di monitorare lo stato psichico nei soggetti con patologie complesse (e quindi
anche nei soggetti con diabete). I risultati ottenuti,
inoltre, presentano una sicura utilità clinica non soltanto per individuare la presenza o meno di una patologia di adattamento emotivo-cognitivo a una malattia
cronica (quale è il diabete) ma anche per individuare
specifiche strategie psicoeducazionali da attivare per
migliorare lo stato emotivo, la qualità di vita e l’autopercezione per una efficace autogestione della propria
malattia e favorire il raggiungimento di eventuali progetti educazionali.
BIBLIOGRAFIA
Tabella 2. Rating Scale per la valutazione delle reazioni
psicologiche e l’adattamento dei pazienti con tipo II. Valori
di media e DS nel gruppo normativo italiano in allestimento
AREE
PSICOLOGICHE
TEST
ME
Ds
Depressione
SDS
35.3
8.267
Ansia
SAS
47.8
6.954
IHLC
PHLC
CHLC
20.06
18.74
14.7
5.744
6.121
5.403
SES
33.33
3.643
POWERLESSNESS
1.14
0.986
Locus of Control
Self-Esteem
Powerlessness
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