il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità
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Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità IL SISTEMA DELLE AREE PROTETTE PER LA CONSERVAZIONE DELLA BIODIVERSITÀ di Nazario Palmieri* La disciplina normativa delle aree protette del nostro Paese è rimasta incentrata per molti anni su una legislazione spesso inefficiente e nel complesso frammentata e inorganica. L’approvazione della legge quadro n. 394/1991, intervenuta al fine di uniformare e coordinare l’assetto istituzionale relativo alla programmazione, realizzazione, sviluppo e gestione dei parchi e delle riserve naturali, ha determinato una sorta di rivoluzione istituzionale disciplinandone organicamente gli aspetti normativi e concretizzando la programmazione globale del territorio in cui gli aspetti naturalistico-ambientali e territoriali-urbanistici sono integrati in una visione sistemica e unitaria. La legge quadro, infatti, contempla un indissolubile legame tra i valori naturalistici (conservazione di specie animali, vegetali e forestali, singolarità geologiche, formazioni paleontologiche, comunità biologiche, biotopi, processi naturali, equilibri idraulici e idrogeologici, equilibri ecologici) e quelli antropici (valori scenici e panoramici, prescrizione di metodi di gestione e restauro ambientale idonei a realizzare un’integrazione tra uomo e ambiente naturale, salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici, architettonici e delle attività agrosilvopastorali, promozione di attività di educazione e formazione scientifico-ambientale, difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici). The discipline of the protected areas in Italy has been focused and characterized for several years on inefficient and fragmented legislation. The approval of the framework law n. 394/1991 has been thought with the intention to make uniform and coordinate the institutional structure of the planning, realization, development and management of the natural parks and reserves. This discipline has set out a sort of institutional revolution regulating the normative aspects and, at the same time, realizing a whole territory plan where the naturalistic-environmental and territorial-urbanistic aspects are vertically integrated in a systematic and unitary view. The framework law considers a strong connection among the naturalistic values (animal, vegetable and forest species, geological peculiarities, paleonotological creations, biological communities, biotypes, natural processes, hydraulic and hydrologic equilibriums, ecological balance) and the anthropics (scenic and panoramic values, guidelines for management methods and environmental restoration worked out for an integration between man and natural environment, protection of anthropological, archaeological, historical, architectonic values and of agro-pastoral activities, promotion of education activities and environmental-scientific formation, defense and reconstruction of hydraulic and hydrologic equilibriums). * Dirigente Superiore del Corpo forestale dello Stato SILVÆ - Anno V n. 12 - 15 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità L a legge n. 394/1991, legge quadro sulle aree protette, ha disciplinato quella segmentazione normativa e giuridica che in precedenza caratterizzava l’eterogeneità, quanto a leggi e amministrazione, dei parchi e delle riserve. La legge intende garantire e promuovere in forma integrata e coordinata la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del nostro Paese, contemplando uno strettissimo rapporto tra valori naturalistici e valori antropici ai fini della loro corretta integrazione e nel quadro della strategia mondiale di protezione dell’ambiente promossa dalle convenzioni internazionali e dagli atti comunitari. L’articolo ne ripercorre le fasi salienti e analizza gli sviluppi culturali che ne sono alla base. La disciplina normativa delle aree protette del nostro Paese è rimasta incentrata per molti anni su una legislazione spesso inefficiente e nel complesso frammentata e inorganica. L’approvazione della legge quadro n. 394/1991, intervenuta al fine di uniformare e coordinare l’assetto istituzionale relativo alla programmazione, realizzazione, sviluppo e gestione dei parchi e delle riserve naturali, ha determinato una sorta di rivoluzione istituzionale disciplinandone organicamente gli aspetti normativi e concretizzando la programmazione globale del territorio in cui gli aspetti naturalistico-ambientali e territoriali-urbanistici sono integrati in una visione sistemica e unitaria. Mancava, infatti, una configurazione unitaria dell’istituto giuridico dei parchi e riserve che – nell’eterogeneità normativa e amministrativa – si atteggiava, di volta in volta, al soddisfacimento di interessi diversificati e modulati in funzione degli scopi preordinati alla loro istituzione: talora di mera conservazione di alcuni aspetti naturalistici (formazioni geomorfologiche e floristiche, fauna), talaltra di sviluppo turistico e socioeconomico delle aree interessate. La disciplina settoriale di protezione delle aree protette, nella quale confluivano norme internazionali, comunitarie, nazionali e regionali, era priva, infatti, di qualsiasi strumento di raccordo definitorio e sistematizzato talché dal genus “area protetta” si ritagliavano suddivisioni di specie diverse ciascuna delle quali evidenziava particolari finalità che si intendevano perseguire (Lettera, 1993). Muovendo dalle previsioni costituzionali (artt. 9 e 32) la legge quadro intende, di contro, garantire e promuovere, in forma integrata e coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del nostro Paese mirando a contemperare la potenziale conflittualità fra salvaguardia delle risorse naturalistiche e sviluppo socioeconomico. La legge quadro, infatti, contempla un indissolubile legame tra i valori naturalistici (conservazione di specie animali, vegetali e forestali, singolarità geologiche, formazioni paleontologiche, comunità biologiche, biotopi, processi naturali, equilibri idraulici e idrogeologici, equilibri ecologici) e quelli 16 - SILVÆ - Anno V n. 12 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità Campo Imperatore antropici (valori scenici e panoramici, prescrizione di metodi di gestione e restauro ambientale idonei a realizzare un’integrazione tra uomo e ambiente naturale, salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici, architettonici e delle attività agrosilvopastorali, promozione di attività di educazione e formazione scientifico-ambientale, difesa e ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici) significandone una loro integrazione nei limiti di una corretta funzionalità ecosistemica. Lo sviluppo e la costituzione di aree protette non rispondono, peraltro, solo alle esigenze di conservazione del patrimonio naturale del nostro Paese, ma si inquadrano nella strategia mondiale di protezione dell’ambiente naturale promossa dalle Convenzioni internazionali e dagli atti comunitari. La classificazione delle aree protette L’articolo 2 della legge quadro sulle aree protette opera, finalmente, un’organica classificazione delle aree protette soggette, in precedenza, ad SILVÆ - Anno V n. 12 - 17 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità aspetti definitori episodici e svincolati da un tessuto connettivo unitario che ne amalgamasse i principi istitutivi di natura giuridica. Accanto, infatti, alla produzione normativa dello Stato con la creazione dei parchi nazionali storici (Gran Paradiso, Abruzzo, Circeo, Stelvio, Calabria) e delle riserve naturali istituite dall’Azienda di Stato per le foreste demaniali (oggi Ufficio per la biodiversità) si affiancava l’attività legislativa, prevista dal D.P.R. n. 11/1972 e dall’art. 83 del D.P.R. n. 616/1977, delle Regioni, con la creazione di parchi e riserve naturali regionali dotati di autonomi statuti regolamentari e definitori. Peraltro alcune Regioni (prima fra tutte il Piemonte) adottando una forzatura interpretativa dell’articolo 117 della Costituzione e dei relativi D.P.R. del 1972 e del 1977 (con cui si delineava il dettagliato trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni) hanno attuato una decisa politica di conservazione dell’ambiente e di pianificazione territoriale proprio attraverso l’istituzione di parchi e riserve naturali regionali (Saini, 1992). La poliedricità dell’istituto parchi e riserve denota, nella sostanza, la segmentazione normativa e giuridica delle aree protette costruita per apporti successivi dei singoli interventi legislativi tra loro frammentati in relazione alle finalità da perseguire. L’assenza di una fonte normativa disciplinante unitariamente l’istituzione e l’organizzazione dei parchi nazionali statali e naturali regionali implicava anche un differente profilo contenutistico e funzionale delle finalità delle aree protette, talché per alcune di esse prevalevano gli aspetti strumentali della sola protezione e conservazione naturale, mentre per altre venivano investiti aspetti rilevanti della programmazione e pianificazione globale del territorio con riflessi, dunque, urbanistici e socioeconomici. Nascono, infatti, i parchi nazionali con finalità dirette alla conservazione della fauna e della flora, alla salvaguardia delle formazioni geologiche ed alla promozione di turismo ed attività economiche indotte. I parchi naturali regionali introducono, di contro, nuove dinamiche nella pianificazione territoriale elevando “i piani del parco” ad un ruolo egemone e sovraordinato rispetto ad altri strumenti di programmazione degli Enti territoriali interessati (Spagnoletti, 1990). Tanto più che la disciplina giuridica del patrimonio naturalistico nel nostro Paese è stata largamente influenzata dalle classificazioni e terminologie delle scienze naturalistiche che sono state trasfuse nell’ordinamento senza la previsione di un disegno unificante (Lettera, 1990). Aggiungasi, infine, che le precedenti classificazioni denotavano una staticità concettuale e applicativa riferita alla valutazione monotematica degli ecosistemi di cui si ignorava la complessità relazionale e interagente con i vari fattori territoriali-ambientali (Cavalli, 1992). 18 - SILVÆ - Anno V n. 12 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità La legge quadro n. 394/1991 è intervenuta pertanto per disciplinare sistematicamente una materia che ormai si sviluppava su percorsi differenziati ed autonomi, contraddistinti da un disordine legislativo e funzionale in ordine sia ai contenuti che ai metodi di tutela dell’ambiente naturale. Tuttavia è da notare che il legislatore avrebbe potuto operare una classificazione sistematica del genere aree protette con una maggiore determinatezza e profondità definitoria, giacché gli elementi di differenziazione concettuale tra le varie specie elencate nell’art. 2 (parchi nazionali, riserve naturali e parchi naturali regionali) appaiono, a tratti, indistinti e sfocati per una sorta di sovrapposizione tematica della relativa declaratoria. In proposito è da notare ancora che lo stesso art. 2 lascia al Comitato per le aree naturali protette una sorta di mandato in bianco per operare ulteriori classificazioni e ciò ovviamente sia per soddisfare quelle esigenze di tutela internazionale dell’ambiente, in attuazione di trattati o Convenzioni a carattere sopranazionale, che per ricomprendere situazioni di tutela preesistenti alla legge quadro. Con la deliberazione del Comitato per le aree naturali protette del 21 dicembre 1993 è stata integrata, dietro conforme parere dell’omonima Consulta tecnica, la relativa classificazione prevedendo le seguenti species del genere aree protette (Figura 1): a) parco nazionale; b) riserva naturale statale; c) parco naturale interregionale; d) parco naturale regionale; e) riserva naturale regionale; f) zona umida di importanza internazionale (ai sensi della Convenzione di Ramsar, di cui al D.P.R. n. 448/1976); g) altre aree naturali protette. Con la medesima deliberazione viene pubblicato l’elenco ufficiale delle aree protette e si danno indicazioni circa le modalità da seguire per ottenere l’iscrizione dell’area interessata nel predetto elenco. Tale elenco è stato recentemente aggiornato con Provvedimento del 24 luglio 2003 (pubblicato sulla G.U. n. 205 del 4 settembre 2003 – suppl. ord. n. 144) risultando allo stato attuale istituite nel nostro Paese le tipologie di aree protette indicate nella tabella. Le 772 aree protette iscritte nell’elenco ufficiale occupano una superficie in ettari pari a 2.991.851,85 (a terra) e 2.820.673,40 (a mare). È utile evidenziare che la superficie a terra raggiunge quasi il 10% dell’intero territorio italiano. SILVÆ - Anno V n. 12 - 19 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità Il parco nazionale Secondo l’art. 2 della legge quadro «I parchi nazionali sono costituiti da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o più formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, di rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da richiedere l’intervento dello Stato ai fini della loro conservazione per le generazioni presenti e future». La lettura di tale definizione e degli artt. 7, 12, 14 della legge n. 394/1991 pone in risalto, per il parco nazionale, il superamento di quel diffuso preconcetto che voleva in queste aree l’istituzione di sacrari della natura e schiude finalmente ad un modello di tutela del patrimonio naturalistico fondato su un equilibrato rapporto uomo-ambiente. Nel nuovo concetto di parco la natura non rimane l’unica interlocutrice, ma deve far posto anche all’uomo che, pur avendo un potere assolutamente dominante nel sistema fisico-antropico, non viene visto in posizione antropocentrica a discapito della natura, ma come elemento che, insieme con la natura, forma un unico sistema ambientale. Il termine ed il concetto di parco – creato com’è noto ab origine in Paesi (USA) privilegiati dall’estensione territoriale ma poveri di civiltà storiche millenarie – supera così la pregiudiziale prospettica di territorio soggetto a rigida disciplina vincolistica per aprire ad un uso diversificato e gerarchizzato del territorio in cui si contemplano reciprocamente le esigenze di tutela degli ecosistemi e della permanenza delle attività umane (Palmieri, 1994). Negli ultimi decenni si sono sviluppati differenti approcci concettuali all’idea di area protetta con ideologie oscillanti fra l’intransigente salvaguardia e il razionale e corretto uso del territorio. Nel primo caso, prevalente è l’assunto di zona protetta come parte avulsa dal contesto territoriale di riferimento. Nell’altra ipotesi, di contro, le aree protette vengono considerate come integrate in un complesso di sistemi dove si attuano forme di sviluppo compatibile e politiche attive di conservazione delle risorse naturalistiche. Parco allora come sistema territoriale e relazionale di risorse naturalistiche, scientifiche, economiche, educative, paesaggistiche e antropiche attraverso cui perseguire la finalità globale di «ricercare, promuovere e sostenere una convivenza compatibile fra ecosistema naturale ed ecosistema umano nella reciproca salvaguardia dei diritti territoriali di mantenimento, evoluzione e sviluppo» da realizzarsi con la: – conservazione, tutela e ripristino degli ecosistemi naturali; – promozione sociale, economica e culturale delle popolazioni; 20 - SILVÆ - Anno V n. 12 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità Foresta Umbra – ricerca scientifica continua, multi e interdisciplinare; – didattica educativa e formativa; – fruizione ricreativa e turistica (Giacomini, Romani 1992). In base a tali finalizzazioni l’area protetta parco non è più un luogo statico in cui vengono privilegiati i soli aspetti naturalistici, ma diventa fondamentale strumento di valorizzazione ambientale, paesaggistica e socioeconomica che tende a ristabilire un razionale rapporto uomo-territorio nell’ottica dello sviluppo integrato ed ecocompatibile (Barbieri, 1991). Del tutto superata appare allora l’idea di parco strettamente conservazionistica con logiche di tutela dell’ambiente improntate ad un rigido sistema vincolistico che vede l’area protetta come territorio-santuario. Certamente, negli anni precedenti, una certa cultura pseudoambientalista ha teorizzato e professato quest’ultima ideologia con il riferimento al bisogno di una natura incontaminata ed estetizzante in cui l’uomo veniva estraniato e come tale considerato avulso da quello stesso contesto territoriale di riferimento nel quale ha vissuto ed agito. SILVÆ - Anno V n. 12 - 21 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità Traspare con evidenza che tale concezione era non solo aberrante ma estremamente dannosa proprio per quelle esigenze di tutela dell’ambiente naturale che esige sia una conservazione degli aspetti fisiografici del territorio che di quelli culturali, storici della civiltà rurale e montana. L’area parco, peraltro, è stata sempre concepita come l’extrema ratio per salvare spazi in cui sono falliti gli ordinari sistemi di governo e gestione del territorio, che nell’emergenza e urgenza conservativa veniva immediatamente sottoposto ad un pesante regime vincolistico teso a cristallizzarne gli aspetti morfologici e vegetazionali. Sotto tale profilo, come riferisce Alessandrini (1993), i parchi rappresentano una disfatta «perché non sono una vittoria della civiltà moderna, al contrario sono quasi una sconfitta, perché il rispetto di così grandi manifestazioni della natura dovrebbe essere un fatto spontaneo e diffuso». Né del resto l’impianto fortemente vincolistico, sotteso all’istituzione del parco ed attuato tramite le misure di salvaguardia, contribuisce al processo di tutela territoriale, giacché al rigore formalmente rigido dei divieti si deve unire una politica compensativa e immediata di incentivi economici per le comunità umane interessate. I fenomeni di degrado e alterazione degli ecosistemi, infatti, non si arrestano tout court con l’istituzione dell’area protetta, occorrendo parallelamente forgiare un modello di sviluppo ecocompatibile del territorio interessato che non può né deve essere ecologicamente ed economicamente isolato dall’area vasta in cui è inserito. Le aree naturali protette, dunque, non possono essere sistemi chiusi e circoscritti dai soli confini amministrativi – che si vorrebbe far coincidere con quelli ecosistemici – ritenendo con ciò che l’area oggetto di tutela sia immediatamente preservata da influenze negative esterne. In proposito «numerose cause di alterazioni ambientale possono esplicarsi al di fuori dei limiti dell’area da proteggere, ed agire ugualmente su di esse, come nel caso degli inquinamenti dell’aria o dei corsi d’acqua, del fuoco, del dissesto idrogeologico, delle alterazioni faunistiche e floristiche» (Contoli, 1976), delle modificazioni microclimatiche e così via. La legge quadro, fortunatamente, ha operato in un deciso disegno strategico teso a identificare un’idea di parco gravida di elaborazioni progettuali in cui interagiscono dinamicamente risorse naturalistiche ed antropiche poste dentro e al di fuori dell’area protetta. La legge 394/1991, infatti, propone il parco come sistema relazionale dei diversi aspetti territoriali (fisici, umani, economici, paesaggistici e ambientali) inseriti in un processo attivo di pianificazione integrata e non settorializzata o, peggio ancora, parcellizzata. 22 - SILVÆ - Anno V n. 12 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità Al riguardo ben si attaglia – e con evidente preconizzazione – la definizione di parco data da Giacomini Romani come «l’assetto giuridicoamministrativo di un insieme territoriale, in virtù delle cui finalità globali e specifiche la salvaguardia e lo sviluppo degli elementi naturali e umani che lo costituiscono sono promossi e disciplinati in un regime di reciproca compatibilità». Del resto il rapporto uomo-natura-ambiente si esprime in forme diverse e continue che impongono una diversa concettualizzazione del termine “conservazione” che non si atteggia come sinonimo di statica e passiva immobilità ma, al contrario, come atteggiamento di operosa attività per la valorizzazione delle aree protette. Insomma, per dirla con le parole del De Vecchis (1992), «la conservazione va progettata, realizzata e soprattutto gestita in maniera adeguata e corretta alle esigenze della collettività» che insiste sul territorio protetto ridimensionando la forte visione antropocentrica e sostituendola con un modello, più mediato, di tipo biocentrico, nel quale l’uomo è pienamente responsabilizzato e partecipe del sistema complesso di rapporti e implicazioni che derivano dai suoi comportamenti nell’ambito territoriale. Ne deriva il fondamentale assunto che la portata dei meccanismi naturali va assolutamente rispettata non con atteggiamenti di passività ma con azioni consapevoli sulle possibilità di tolleranza dell’intervento umano. A tal proposito è necessaria una mediazione convinta e sinceramente partecipata fra la cultura urbana – nel cui seno si è sviluppato l’associazionismo ambientale – e quella rurale delle popolazioni interessate, costruendo un tessuto connettivo unificante capace di amalgamare e comporre i contrasti e le divisioni. Sono gli scontri e le radicalizzazioni tra queste politiche, susseguenti all’istituzione dell’area protetta, che ne rallentano l’iter attuativo e complicano la gestione che ha nei problemi di natura economica la sua massima risonanza. Le dotazioni finanziarie per le aree protette devono in tal senso connotarsi qualitativamente e quantitativamente idonee e non essere residuali fondi di bilancio. Una congrua assegnazione di fondi, infatti, si rende necessaria per attuare politiche di intervento nei settori nevralgici dell’economia (agricoltura, selvicoltura, artigianato, agriturismo, allevamento, restauro naturalistico) capaci di dimostrare alle comunità interessate che il parco può davvero essere volano di sviluppo economico. I parchi naturali regionali Nati e diffusi concettualmente in Francia, i parchi naturali finalizzano la conservazione delle risorse naturali con la fruizione ambientale e le esiSILVÆ - Anno V n. 12 - 23 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità genze di sviluppo socioeconomico del territorio a parco. In Italia queste aree protette, preesistenti alla legge quadro, sono state istituite in seguito all’autonomia regionale che ne ha diffuso la costituzione sia pure in modo episodico ed in assenza di qualsiasi classificazione definitoria comune. Tuttavia le Regioni hanno avuto un ruolo guida indiscutibile, proprio attraverso la costituzione di parchi e riserve regionali, nella promozione di una politica di conservazione delle risorse ambientali basata su una pianificazione sempre più distaccata dalla materia urbanistica. Nei parchi naturali la finalità prevalente è la ricreazione dell’uomo nell’ambiente naturale. In queste aree «la natura viene considerata come elemento indispensabile al fine dello svago soprattutto in contrapposto alle condizioni in cui l’uomo è costretto a vivere nei centri abitati e nelle sedi di lavoro» (Pavan, 1985). La differenza concettuale tra parco nazionale e naturale regionale, secondo quanto si rileva nell’art. 2 della legge 394/1991, dovrebbe risiedere essenzialmente nel fatto che in quest’ultima area protetta si dà maggiore risalto alla fruizione antropica strettamente collegata, e vissuta con intima aderenza, con i valori paesaggistici, artistici e delle tradizioni culturali delle popolazioni locali. Al riguardo il Pavan definisce queste aree come «paesaggi culturali ove la natura dei luoghi è modellata dagli interventi dell’uomo, improntati alla cultura delle popolazioni che vi hanno esplicato le loro attività nei millenni passati e che ci hanno lasciato manifestazioni degne di conservazione e tutela alla pari delle manifestazioni naturali che salvaguardiamo con l’istituzione delle riserve naturali» (Pavan, 1977). A livello europeo questa categoria di aree protette, assimilate al concetto di “parchi sviluppo”, è in netta e prevalente diffusione rispetto ai parchi nazionali sino quasi a sostituire questi ultimi. Tale successo risiede essenzialmente nel fatto che tali parchi regionali sono considerati dei veri e propri strumenti di sviluppo economico per aree marginali quali le zone montane, tradizionalmente svantaggiate, le cui popolazioni molto volentieri accettano questa conveniente forma di gestione territoriale. In Francia, peraltro, si è felicemente intuito che la conservazione e fruizione dell’ambiente potevano armonicamente contemperarsi solo con la partecipazione attiva delle popolazioni locali coinvolgendole nei processi di studio delle risorse naturali, di sostegno delle attività economiche tradizionali e di animazione culturale (Bonalberti, 1994). Del resto questi parchi rientrano negli obiettivi di politica generale per le aree montane o costiere svantaggiate beneficiando conseguentemente di appropriati fondi di bilancio finalizzati allo sviluppo socio-economico delle comunità interessate. Parimenti gli strumenti di tutela legislativa si 24 - SILVÆ - Anno V n. 12 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità Laghetti di Monticchio in provincia di Potenza rinvengono non da una normativa speciale per le aree protette ma, al contrario, nella legislazione ordinaria, comune e valida per tutto il territorio nazionale, senza bisogno di ricorrere ad una forte, ed a volte esasperante, politica dei vincoli e divieti. Le riserve naturali Manca in Italia una definizione univoca, sotto il profilo naturalistico e giuridico, delle riserve naturali la cui classificazione più attendibilmente sistematica è da attribuirsi al prof. Mario Pavan, che ne ha differenziato le finalità d’istituzione ispirandosi ai concetti del naturalista francese Bourdelle acclarati dall’Unione internazionale per la conservazione della natura. Nemmeno la recente legge quadro sulle aree protette n. 394/1991 ha dato una definizione esaustiva delle riserve limitandosi ad affermare all’art. 2 che «Le riserve naturali sono costituite da aree terrestri, fluviali, lacuali o marine che contengono una o più specie naturalisticamente SILVÆ - Anno V n. 12 - 25 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità rilevanti della flora e della fauna, ovvero presentano uno o più ecosistemi importanti per le diversità biologiche o per la conservazione delle risorse genetiche. Le riserve naturali possono essere statali o regionali in base alla rilevanza degli interessi in esse rappresentati». La definizione e la sistematica del Pavan rimangono pertanto quelle più soddisfacenti con la suddivisione delle riserve a seconda delle ragioni di interesse ambientale, conservazionistico, scientifico, estetico o ricreativo che ne hanno ispirato l’istituzione. Tale classificazione è riassunta nella Figura 2 e risente fortemente delle classificazioni operate da organismi internazionali per la tutela dell’ambiente quali l’Unione internazionale per la conservazione della natura (U.I.C.N.), nel cui interno ha operato una specifica Commissione per i parchi nazionali e le aree protette (C.N.P.P.A.) finalizzata alla costituzione, monitoraggio, gestione e mantenimento delle aree protette in tutto il mondo. Caposaldo fondamentale rimane anche la definizione del compianto prof. Giacomini secondo il quale la riserva deve intendersi «una estensione di territorio definita dai sistemi naturali che la occupano ed opportunamente circoscritta all’interno della quale le attività umane sono inibite, in tutto o in parte, o comunque subordinate alla salvaguardia dell’ambiente naturale, considerato in alcuni suoi aspetti o nella totalità della sua espressione». In tal senso le riserve, sempre per dirla con parole di Giacomini e Romani (1982), sono «zone ad uso tutelativo univoco, distaccate dal processo di razionalizzazione e di uso del territorio e ad esso letteralmente sottratte per superiori interessi scientifici ed ecologici». L’istituzione delle riserve, a differenza dei parchi, muove dunque da esclusive esigenze protezionistiche che estraniano completamente le attività antropiche, accettabili, peraltro, solo se finalizzate al restauro naturalistico orientando, con appropriati interventi, l’evoluzione degli ecosistemi. Le finalità marcatamente conservazionistiche per la tutela ambientale, ricerca scientifica e sperimentazione giustificano ampiamente il rigido sistema vincolistico posto in essere per le riserve. Sono in ogni caso le riserve, al di là dell’aspetto definitorio, formidabili strumenti per la conservazione dell’ambiente naturale di particolari luoghi, laddove è necessario preservarne le particolari peculiarità biologiche per il mantenimento e il miglioramento del clima, la protezione del suolo, delle coltivazioni, delle acque, la sopravvivenza, la moltiplicazione e la diffusione di piante e animali rari o in via di estinzione. La configurazione di una riserva è inoltre finalizzata a salvaguardare in determinate parti del territorio nazionale, forme di vita naturale ed il loro habitat, il paesaggio e il territorio. 26 - SILVÆ - Anno V n. 12 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità Il Pavan inserisce tra le riserve naturali generali anche i parchi nazionali. Va rilevato al riguardo che sotto un profilo più strettamente giuridico i parchi devono, invece, configurarsi come una species autonoma. Infatti, mentre le riserve sono più rigorosamente rivolte alla tutela florofaunistica, i parchi tendono ad interessi più diversificati che inglobano sia le componenti naturalistiche che quelle antropiche. Nel merito, anche la legge quadro n. 394/1991 ha operato una precisa classificazione distinguendo, nell’ambito del genus delle aree protette, i parchi nazionali e le riserve naturali come due species autonome. L’istituzione di tali aree protette, peraltro, non corrisponde solo ad esigenze di salvaguardia del territorio nazionale, ma trova sempre più puntuale riscontro in un discorso conservazionistico a livello internazionale a cui i singoli Stati concorrono nell’ambito di trattati, convenzioni e atti comunitari. Da parte delle organizzazioni internazionali che si interessano alla conservazione della natura sono stati definiti due nuovi tipi di riserve: – le riserve della biosfera; – le riserve biogenetiche del Consiglio d’Europa. Le riserve della biosfera, incluse nel programma “Man and Biosphere” (Mab) dell’Unesco, costituiscono una rete internazionale di aree protette per conservare la varietà delle specie, c.d. biodiversità, in rapporto ai fattori antropici. Tra le aree considerate vengono inclusi anche territori in cui la “convivenza” tra uomo e natura ha originato degli unicum che sono patrimonio mondiale della cultura. Il progetto Mab nasce negli anni Settanta per promuovere la cooperazione scientifica internazionale in materia di ecosistemi protetti di cui conservare le aree più rappresentative a livello mondiale. Nel programma Mab i rapporti tra uomo e natura vengono analizzati in modo integrato con lo scopo di ricostruire gli equilibri ecologici alterati o stabilire corrette interrelazioni fra uso e tutela del territorio. In sostanza il programma Mab-Unesco teorizza un modello di sviluppo sostenibile ispirato all’integrazione tra difesa ambientale e promozione di attività umane compatibili. Non deve, pertanto, destare meraviglia il fatto che le riserve della biosfera comprendano aree segnatamente antropizzate quali quelle degradate, agricole o urbane. Gli altri ambiziosi obiettivi delle riserve della biosfera possono essere riassunti nella: – protezione e ricerca scientifica delle biodiversità esistenti; – formazione ed educazione sia degli specialisti che dei tecnici; – dimostrazione che è possibile coniugare la protezione ambientale con processi di sviluppo socioeconomico sostenibile; SILVÆ - Anno V n. 12 - 27 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità – ricerca e sperimentazione scientifica in situ di forme ecologicamente corrette nella gestione del territorio (d’Ayala, 1991). In tal senso le riserve non costituiscono aree di protezione totale ma rappresentano territori in cui si studia e si sperimenta l’evoluzione degli ecosistemi, anche in presenza di fattori antropici “alteranti”, al fine di ricercare calibrate ipotesi di gestione ecocompatibile in sintonia con gli interessi e le attività delle popolazioni che vivono in tali aree protette. L’internazionalizzazione di tali riserve secondo un sistema definito e valido per i diversi Paesi permette, tra l’altro, che i disequilibri ecologici dovuti alle piogge acide o all’inquinamento possano essere studiati su scala planetaria. Giova ricordare, infatti, che le stazioni di monitoraggio e di ricerca delle riserve sono connesse dal sistema GEMS (Global Environmental Monitoring System) del programma delle Nazioni Unite per l’ambiente finalizzato al controllo degli impatti ambientali generati dalle attività antropiche. Con il programma Mab, come afferma Blasi (1992), si assiste finalmente «al superamento della separazione tra ambiente antropico e ambiente naturale in favore di un ambiente totale con l’uomo elemento promotore di trasformazioni positive», introducendo l’ecologia dei sistemi che considera anche le attività umane come variabili ambientali. In tal senso le riserve del programma Mab rappresentano l’esempio più significativo e concreto dell’attuazione dei principi della conservazione attiva basata, per l’appunto, su dinamiche di integrazione eco-sociocompatibili. Le riserve biogenetiche rappresentano, invece, un sistema europeo di riserve per garantire il mantenimento degli equilibri biologici, la conservazione di habitat, biocenosi ed ecosistemi necessari per la sopravvivenza e l’evoluzione di essi, per assicurare quantità di riproduttori suscettibili di essere trasportati nelle zone degradate al fine di poter svolgere azioni di restauro, per la ricerca scientifica. La rete di riserve biogenetiche favorisce e rafforza la protezione della diversità biologica preservando sia le specie che i loro habitat e contribuisce al mantenimento dell’equilibrio biologico e alla conservazione di campioni rappresentativi del patrimonio ambientale europeo. L’Italia, come altri Paesi europei, si è integrata sia nella rete di riserve della biosfera che in quella delle biogenetiche tutelando, per mezzo dell’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali (A.S.F.D.), importanti aree di interesse naturalistico. In proposito va dato atto che l’Amministrazione forestale ha operato fattivamente in tempi non sospetti per la protezione e conservazione di aree naturalistiche di pregio. L’A.S.F.D. già nel lontano 1959 individuò nella foresta di “Sasso Fratino” la prima area da destinare a riserva naturale integrale. Al riguardo come afferma 28 - SILVÆ - Anno V n. 12 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità Osio, se qualcuno scriverà sulla storia dei parchi e delle riserve in Italia, dovrà tener conto che accanto alle meritorie attività delle Associazioni ambientaliste (Italia Nostra, WWF, Legambiente, LIPU, Mare Vivo) un posto di rilievo va attribuito anche all’attività capace e lodevole del Corpo forestale dello Stato. Fu sempre l’A.S.F.D. agli inizi degli anni Settanta, ad intraprendere – aderendo alle sollecitazioni provenienti dal mondo scientifico e accademico – una massiccia azione di tutela e conservazione di biotopi di particolare importanza naturalistica tramite la costituzione di numerose riserve naturali. Le zone umide Nell’ambito delle aree protette si fanno generalmente rientrare anche le zone umide definite nel 1971 dall’art. 1 della Convenzione internazionale di Ramsar: “le paludi e gli acquitrini, le torbe oppure i bacini, naturali o artificiali, permanenti o temporanei, con acqua stagnante o corrente, dolce, salmastra, o salata, ivi comprese le distese di acqua marina la cui profondità, durante la bassa marea non supera i sei metri”. Tali zone, nel passato, sono state sacrificate dalla bonifica che, in più di un caso, ne ha ridimensionato le primitive superfici oltrepassando le pur necessarie esigenze di sistemazione idraulica con una fitta e raffinata rete di canalizzazioni, arginature, impianti idraulici. L’ordinamento interno non contempla tali zone fra le aree protette affidando all’interprete il compito di considerarle come autonomi e peculiari istituti di tutela del patrimonio naturalistico o biotopi suscettibili di essere eretti a riserva (Lettera). In Italia, comunque, nella generalità dei casi le zone umide, riconosciute dalla Convenzione di Ramsar, sono caratterizzate come riserve naturali. Tale orientamento seguito, sin dagli anni Settanta, dall’Azienda di Stato per le Foreste Demaniali nella istituzione di riserve naturali di popolamento animale, è stato recentemente riconfermato anche dalla legge istitutiva del Ministero dell’Ambiente (n. 349/1986) laddove all’art. 5 si ribadisce di promuovere in riserve naturali le zone ambientali di importanza internazionale. La predetta Convenzione attribuisce alle zone umide il valore di grande risorsa ecologico-naturalistica, economica, culturale, scientifica, fisico-idraulica e ricreativa. Sotto il profilo ecologico-naturalistico tali zone hanno rilevante importanza per le comunità vegetali che vi insistono in cenosi altamente specializzate, in dipendenza della profondità delle acque e del diverso gradiente di salinità. A dispetto dell’apparente monotonia strutturale del paesaggio che possono esprimere visivamente, le zone umide sono caratterizzate da SILVÆ - Anno V n. 12 - 29 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità un’incredibile varietà biologica che si manifesta in complesse interrelazioni tra l’ambiente biotico e abiotico. Tali ecosistemi, fra quelli terrestri, sono quelli di maggiore produttività e rappresentano habitat ad alta biodiversità, favorita essenzialmente da: a) l’azione delle maree che facilita la circolazione degli elementi nutritivi e l’eliminazione dei rifiuti (cataboliti); b) la grande variabilità delle specie vegetali che garantisce una continuità spaziale della produzione; c) la facile penetrazione dell’energia solare resa possibile dal basso livello delle acque; d) l’arricchimento continuo di sostanze nutritive apportate dalle acque alluvionali; e) il continuo rifornimento di organismi animali reso possibile dal contatto col mare. Maggiore rilievo naturalistico e ambientale assumono nei confronti dell’avifauna che è strettamente collegata alle zone umide. Tra le specie di uccelli circa 70 sono indissolubilmente legate a tali zone per necessità riproduttive (nidificazione), mentre circa 200 le frequentano per esigenze alimentari. La sopravvivenza dell’avifauna dipende dalla conservazione di una ininterrotta catena di zone umide dalle regioni nordiche (di soggiorno estivo e di nidificazione per talune specie) a quelle del sud di svernamento. Queste aree sono dunque, ineliminabili stazioni di transito per gli uccelli acquatici migratori. L’osservazione degli uccelli (il bird watching) presenti nelle zone umide con varietà di forme e di colori ne accresce il valore educativo e ricreativo. Del pari le aree lagunari, singolari realtà ambientali, hanno una rilevante valenza paesaggistica nell’ambito del contesto territoriale ove sono inserite. Non va infine trascurato il loro valore fisico, idraulico come serbatoi naturali che fungono da vere e proprie casse di espansione durante le piene dei torrenti dei bacini collinari e montani. Negli ultimi anni lo sconsiderato sviluppo urbanistico-edilizio e le diffuse forme di inquinamento hanno alterato le componenti naturalistiche delle zone umide sconvolgendone, in alcuni casi irreversibilmente, i delicati e complessi equilibri. La sintomatologia più evidente è rappresentata dalle eccessive fioriture algali, dalla moria dei pesci, dalle insostenibili condizioni di asfissia e dai fenomeni putrefattivi. Iniziative internazionali, oltre alla Convenzione di Ramsar, sono sorte per tutelare questi ecosistemi, sotto l’egida dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (U.I.C.N.). Tra queste si segnalano il progetto MAR (lista delle zone umide europee e nordafricane di impor- 30 - SILVÆ - Anno V n. 12 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità tanza internazionale) e il progetto Aqua (lista di specchi da conservare per il loro elevato valore scientifico). Le zone speciali di protezione (ZPS), le zone speciali di conservazione (ZSC) e i siti di importanza comunitaria (SIC) Nell’ambito delle azioni attive e strategiche per la salvaguardia dell’ambiente naturale, l’Unione Europea sta mostrando – attraverso i recenti regolamenti, direttive e convenzioni comunitarie – una sempre più spiccata sensibilità nei confronti della conservazione degli habitat naturali nonché della flora e della fauna selvatica nel territorio europeo degli Stati membri. In effetti vi è una maggiore presa di coscienza, a livello mondiale, sui problemi della conservazione della natura avendo gli studi scientifici di settore ampiamente dimostrato che l’alterazione degli ecosistemi terrestri e acquatici sta determinando una paurosa, ed in molti casi irreversibile, scomparsa di specie di flora e fauna selvatica con la conseguente irrimediabile perdita di un patrimonio biologico e genetico di primaria importanza. La biodiversità – tale è il termine con cui si indica la varietà biologica e la pluralità delle specie viventi negli ecosistemi – è, infatti, un valore di estrema importanza per caratterizzare e connotare la qualità naturalistica di una biocenosi, la cui importanza sarà tanto maggiore quanto più elevato è il numero di specie floristiche e faunistiche presenti. In Europa e sull’intero Pianeta la diversità biologica sta declinando con notevole rapidità soprattutto a causa della deforestazione e dell’inquinamento dei sistemi idrici. Nella consapevolezza di tale situazione, la stessa Conferenza internazionale di Rio de Janeiro, nel 1992, ha varato una specifica Convenzione sulla biodiversità impegnando le Nazioni contraenti a elaborare strategie, piani o programmi nazionali per la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica. Tale Convenzione è stata formalmente ratificata da più di trenta Paesi permettendo così la sua entrata in vigore già dalla fine del 1993. In tale ottica si è mossa anche l’Unione Europea che con due distinti provvedimenti, il regolamento LIFE e la direttiva Habitat 43/1992, ha aderito alle raccomandazioni ed alle indicazioni contenute nell’agenda 21 di Rio de Janeiro istituendo rispettivamente uno strumento finanziario per l’ambiente e la classificazione delle specie e degli habitat minacciati. In particolare, il LIFE finanzia una serie di azioni nell’UE riassumibili nei seguenti settori di intervento: promozione dello sviluppo sostenibile e della qualità dell’ambiente, tutela degli habitat e della natura, SILVÆ - Anno V n. 12 - 31 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità strutture e servizi amministrativi per l’ambiente, educazione, formazione e informazione ambientale. Tale direttiva ha introdotto importanti novità concettuali nella “conservazione della natura” che deve tradursi non soltanto nella semplice e rigida imposizione delle prescrizioni vincolistiche ma deve efficacemente raccordarsi a programmi e progetti di gestione attiva con interventi finalizzati e con la creazione di una rete ecologica coerente di zone speciali di conservazione, chiamata “Natura 2000”. Nell’ambito di tali strumenti comunitari per l’ambiente si inserisce il progetto bioitaly italiano che è in linea con le raccomandazioni della Convenzione sulla biodiversità perché mira a realizzare l’inventario delle risorse biologiche nazionali. Alla base di tale progetto vi è il supporto della realizzazione della Carta della Natura e della Carta Forestale, documenti nei quali confluiranno le informazioni aggiornate sul patrimonio naturalistico italiano e referenziate tramite i sistemi informativi territoriali. Le informazioni naturalistiche desunte da tali sistemi informativi permetteranno così l’allestimento dell’elenco di aree di particolare interesse ambientale che hanno un ruolo fondamentale per la conservazione della biodiversità del nostro Paese (specie animali e vegetali, habitat, paesaggi). Queste zone così individuate diventeranno siti di “Natura 2000” ovvero entreranno a far parte della rete ecologica di aree protette che l’UE intende realizzare, su base biogeografia, per assicurare la conservazione della biodiversità in ambito europeo. In tal modo si rafforza il fondamentale concetto che gli spazi protetti non devono essere più indipendenti l’uno dall’altro ma integrati in sistemi geografici interconnessi, così come già avvenuto nel 1976 per la costituzione della rete europea di riserve biogenetiche. Tale approccio metodologico alla conservazione degli ecosistemi implica una maggiore conoscenza degli habitat; di ciò si occupano i programmi CORINE – biotipi ed EECONET anche allo scopo di assicurare, nell’ambito delle aree protette europee, la creazione di corridoi ecologici per garantire la diffusione delle specie animali e vegetali a fronte di eventuali modificazioni climatiche dovute, in particolare, all’innalzamento della temperatura. Le zone di protezione speciale (ZPS) sono designate ai sensi della direttiva 79/409/CEE e sono costituite da territori idonei, per estensione e/o localizzazione geografica, alla conservazione delle specie di uccelli di cui all’allegato I della citata direttiva, concernente la conservazione degli uccelli selvatici. Tali aree, unitamente ai siti di importanza comunitaria (SIC) previsti dalla direttiva Habitat, entrano a far parte della citata rete europea di aree protette denominata “Natura 2000”. 32 - SILVÆ - Anno V n. 12 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità Le zone speciali di conservazione (ZSC) sono designate ai sensi della direttiva 92/43/CEE e sono costituite da aree naturali, geograficamente definite e con superficie delimitata, che: a) contengono zone terrestri o acquatiche che si distinguono grazie alle loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche, naturali o seminaturali (habitat naturali) e che contribuiscono in modo significativo a conservare, o ripristinare, un tipo di habitat naturale o una specie della flora e della fauna selvatica di cui all’allegato I e II della direttiva 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatica in uno stato soddisfacente a tutelare la diversità biologica nella regione paleartica mediante la protezione degli ambienti alpino, appenninico e mediterraneo; b) sono designate dallo Stato mediante un atto regolamentare, amministrativo e/o contrattuale e nelle quali siano applicate le misure di conservazione necessarie al mantenimento o al ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e/o delle popolazioni delle specie per cui l’area naturale è designata. Il Regolamento d’attuazione in Italia della Direttiva europea (D.P.R. n. 357/97) prevede che il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare designi i SIC inseriti nell’elenco definitivo (al termine del lavoro di verifica, selezione e validazione delle informazioni) come zone speciali di conservazione (ZSC) all’interno delle quali si applicano le misure di conservazione necessarie. L’elenco completo dei SIC proposti e delle zone ZPS è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale con DM del 3 aprile 2000. Altre aree protette Accanto all’istituzione di aree protette da parte dello Stato e delle Regioni, le associazioni ambientaliste hanno creato un sistema di oasi e riserve di primaria importanza per la tutela di importanti ecosistemi con lo scopo (Canu, 1992) di: – conservare campioni rappresentativi di ecosistemi particolarmente rari o minacciati o di aree di eccezionale valore naturalistico contenenti habitat di specie in pericolo di estinzione; – sensibilizzare ed educare alla conservazione della natura; – sviluppare corrette tecniche dimostrative di gestione di aree naturali protette. Le Oasi del WWF – il sistema delle aree protette gestito dal WWF interessa una superficie di circa 25.000 ettari e comprende numerosi e significativi ambienti naturali: zone umide, boschi planiziali, la costa e le aree SILVÆ - Anno V n. 12 - 33 Il sistema delle aree protette per la conservazione della biodiversità montane. In tali aree oltre a garantire la conservazione dell’ambiente naturale, il WWF promuove la didattica, l’educazione e la fruizione naturalistica attraverso una serie di infrastrutture come i Centri visite, i campi scuola e la sentieristica. Le Oasi della LIPU – sono aree finalizzate generalmente alla protezione e salvaguardia di importanti zone umide, paludi, acquitrini quali habitat per l’avifauna acquatica. Tuttavia non mancano nel sistema LIPU compagini boschive o montane ove si introducono le tecniche metodologiche del ripristino ecologico (Taralli, 1992). Nelle Oasi della LIPU un’importante finalità è quella di educare alla natura tramite il contatto diretto. A tal proposito la tecnica del bird watching permette, in apposite strutture, l’osservazione da vicino dell’avifauna acquatica. 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