Untitled - Feltrinelli

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Untitled - Feltrinelli
ANDREA DE CARLO
CuORE pRimitivO
ROMANZO
BOMPIANI
Questo romanzo è un’opera di fantasia: con la sola eccezione di nomi,
di luoghi, di personaggi pubblici e di opere citati per creare un contesto,
personaggi ed eventi sono frutto dell’immaginazione dell’autore.
Qualsiasi coincidenza di nomi, caratteristiche fisiche e professioni reali
è dunque puramente casuale.
© 2014 Bompiani / RCS Libri S.p.A.
Via Angelo Rizzoli, 8 – 20132 Milano
ISBN 978-88-452-7740-5
Prima edizione Bompiani settembre 2014
CRAIG NOLAN, PhD
BLOG
6 gennaio 2015
Cari amici, colleghi, allievi, lettori, telespettatori e perfetti
sconosciuti,
negli ultimi mesi sono circolate un tale numero di versioni
distorte, manipolate o sfacciatamente false della mia caduta attraverso il tetto nel luglio scorso, da spingermi a fare qui alcune
precisazioni, non tanto per ristabilire una verità ormai definitivamente compromessa, ma per provare almeno a mettere un argine
alla proliferazione di cialtronerie malevole sulla mia vita privata.
Prima di tutto: non mi è mai passato per la testa di mettermi
a camminare sulle tegole tra i tuoni, i lampi e la grandine battente di una bufera estiva, come alcuni di voi hanno sostenuto (gli
elementi drammatici evidentemente non bastavano). Sono salito sul tetto il mattino seguente, quando il cielo era perfettamente limpido e il sole scottava. Secondo: l’idea che mi fossi arrampicato là sopra per inscenare un ricatto sentimentale nei
confronti di mia moglie è così grottesca che non mi degnerei
nemmeno di smentirla, se non avesse trovato tanto credito tra
voi. Chi ha diffuso una simile voce meriterebbe un premio
all’idiozia, anche se la sua intenzione era evidentemente quella
di fare apparire me come un idiota. Qualunque divergenza si sia
verificata tra me e Mara è successiva, non precedente, alla mia
caduta. Ero salito sul tetto per ragioni perfettamente razionali,
vale a dire per individuare il punto preciso in cui la pioggia
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aveva preso a colare dentro casa la sera prima, durante la già
citata bufera. L’unica imprudenza che ho commesso (ma siamo
poi sicuri che vi preoccupino tanto le mie imprudenze, cari
amici, colleghi, allievi, lettori, telespettatori e perfetti sconosciuti?) è stata non aver considerato le condizioni della copertura,
già fragile in partenza e parecchio logorata dal tempo. Terzo: i
danni che ho riportato nella caduta sono consistiti in distorsioni
di secondo grado alla caviglia destra (rottura del legamento
peroneo-astragalico anteriore) e al ginocchio destro (lesione del
legamento laterale mediale) e in un colpo di frusta alle vertebre
cervicali (di secondo grado anche quello, in base alla classificazione qtf) dovuto all’impatto secondario con il pavimento
quando dopo essere precipitato in piedi sono ricaduto sulla
schiena, alzando istintivamente la testa per non sbatterla. Per
completezza vanno aggiunte alcune ferite lacero-contuse al
braccio destro, e diverse escoriazioni trascurabili a entrambi gli
avambracci. Il trattamento per la caviglia e il ginocchio prescrittomi dai medici ospedalieri italiani è stato quello del cosiddetto
protocollo price (Protection Rest Ice Compression Elevation,
protocollo che del resto avevo già applicato da solo), a cui è
seguito un periodo di riabilitazione al mio ritorno in Inghilterra,
presso lo Spire Cambridge Lea Hospital. Attualmente la funzionalità articolare della mia gamba destra è, così mi assicurano gli
specialisti, vicina al novanta per cento. Nell’insieme un incidente parecchio sgradevole, posso confermarlo, ma decisamente
diverso dall’avere “la spina dorsale spezzata”, “tutte e due le
gambe fracassate”, o “un braccio quasi staccato all’altezza della
spalla”, come alcuni di voi si sono affrettati a riportare, senza
nemmeno sognarsi di fare la minima verifica preventiva.
A questo proposito, vorrei riportare qui di seguito una piccola selezione dei messaggi che mi sono arrivati o mi sono stati
segnalati su Twitter (tralascio per concisione quelli di simile
tono apparsi sugli altri social network):
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#Craignolan passeggiava sul tetto nella tempesta per impressionare la sua #Catwoman???
@craignolanphd grande abbraccio anche se probabilmente
non puoi reciprocare, hihihihi
@craignolanphd antropologo del cazzo paralizzato finalmente una buona notizia #the cannibalsaresafe
anche senza un braccio #crashednolan non la smetterà di
rompere le palle omfg
#crashednolan esploratore da salotto paralizzato = grande
regalo per la scienza antropologica
adesso dopo #stephenhawking avremo anche #crashednolan
a propinarci cazzate pseudogeniali in sedia a rotelle
@craignolanphd con quella faccia da canguro malato la prossima volta crepa rt
ehi @craignolanphd peccato solo un piano anziché dieci! rofl
@craignolanphd l’hai fatto per aumentare l’audience del tuo
programma tv di merda immagino
#crashednolan chissà se è riuscito almeno a commuovere la
mogliettina cornificata lol
#craigthroughtheroof se dopo lo schianto vende qualche
copia di più dei suoi libri del cazzo giuro che emigro in
#Australia
#craigthroughtheroof peccato che non sia rimasto sepolto nel
crollo della casa #canthaveverything
#craigthroughtheroof ovvero come un accademico televisivo
dopo un volo pindarico diventa un’anatra zoppa
@craignolanphd saltellavi sul tetto poi il volo perfetto ora giaci
in un letto lmao
#craigthroughtheroof ce ne sono di stronzi saccenti da veder
schiantati ma questo è un inizio #thankgodforthat
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Che bella comunità virtuale, davvero, unita dall’amore per il
prossimo e per gli acronimi (e da una liberatoria insofferenza
per le detestabili costrizioni della punteggiatura). Non è rassicurante pensare che lol sia stato ufficialmente inserito nell’aggiornamento 2011 dell’Oxford English Dictionary? No, sul
serio, trovo straordinario che perfino alcune brillanti menti
accademiche (sì, sto parlando di voi) si adattino con tanta naturalezza alla mancanza di articolazione dei cosiddetti nuovi
linguaggi. Nel 1985 Friedhelm Hillebrand dopo lunghe ricerche aveva stabilito che per esprimere in modo minimamente
compiuto un qualsiasi pensiero sono indispensabili almeno 160
caratteri; non ci vuole molto a capire come usarne solo 140
implichi una regressione linguistica e concettuale equivalente a
un ritorno alle caverne. D’altra parte sappiamo bene come
internet sia una formidabile valvola di sfogo per ogni tipo di
frustrazioni, gelosie, rancori; i cosiddetti social network hanno
un bisogno costante di combustibile per restare attivi. Il voyeurismo, le opinioni a vanvera e lo spirito di linciaggio devono
indirizzarsi verso sempre nuovi bersagli, ogni giorno ci sono
quantità colossali di scorie tossiche da mettere in circolo. È un
dato di fatto che invece di cercare di risolvere i problemi nelle
proprie vite, espandere le proprie conoscenze, fare uno sforzo
per migliorare se stessi (o addirittura il mondo), milioni di individui coltivino i sentimenti più meschini senza la minima traccia
di sensi di colpa. Protetti dallo scudo rassicurante dell’anonimato, passano ogni momento libero delle loro giornate a spedirsi
banalità irrilevanti e rozze traduzioni di impulsi primari attraverso i loro desktop, laptop, tablet e cellulari. Non è facile calcolare il tempo che tutti questi “momenti liberi” sottraggono alle
attività lavorative e ai rapporti personali diretti, ma sono convinto che le stime in circolazione pecchino notevolmente per difetto. Se qualcuno tra chi mi legge (la maggior parte di voi) pensa
che io esageri, farebbe bene a svegliarsi: il treno su cui è como8
damente seduto sta correndo a gran velocità verso l’abisso
dell’imbecillità generalizzata, tanto vale che se ne renda conto.
Quanto agli sviluppi successivi alla mia caduta dal tetto, non
proverò nemmeno a rettificare la miriade di maliziose inesattezze che sono state messe in giro con tanto detestabile zelo. Mi
limiterò a dire che si tratta di fatti privati miei e di Mara, e che
sarei felice (ma naturalmente non arrivo a sperarlo davvero) se
la smetteste di ficcarci i vostri individuali e collettivi nasi.
Un saluto cordiale a tutti,
Craig Nolan
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UNO
Adesso che Craig Nolan ci ripensa nel gennaio del 2015, seduto alla scrivania nel suo studio in Little St Mary’s Lane a Cambridge,
con Jumping at Shadows di Peter Green a basso volume sullo
stereo e la pioggia che cade fuori dalle finestre nel pomeriggio già
quasi buio, il ricordo del suo primo arrivo a Canciale insieme a
Mara è bagnato in una luce retrospettiva che lo fa oscillare continuamente tra nostalgia, perplessità e irritazione.
C’è sempre la stessa domanda in attesa di risposta: quanto
era inevitabile quello che è successo? Sarebbe stato possibile
interrompere il corso degli eventi che hanno portato alla situazione attuale, o per lo meno deviarlo in una direzione meno
disastrosa? Certo che sì, e certo che no, come per qualunque
corso di eventi. Per essere più specifici, lui avrebbe potuto non
salire sul vecchio autobus azzurro che si era arrampicato, ostinato e strombazzante, per la strada a curve tra le colline sempre
più montagnose, molto più lontano dalla costa di come si immaginava. Avrebbe potuto ascoltare la voce interiore che gli consigliava di non confondere un coinvolgimento sensoriale transitorio con un legame emotivo e pratico a lungo termine. Gli
sarebbe bastato inventare un impegno di lavoro improvvisamente ineludibile, un’emergenza all’università, una qualunque
ragione professionale che richiedesse urgentemente la sua
presenza in Mongolia o nelle isole Salomone. Oppure avrebbe
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potuto dichiarare con brutale onestà che non si sentiva pronto
per una relazione stabile, neanche con una donna interessante
come lei; avrebbe potuto rivendicare il fatto che la sua attività e
la sua mente non convenzionale richiedevano uno stile di vita
lontano dai canoni della cosiddetta maturità. Oltretutto Mara
era così orgogliosa della sua indipendenza, così mobile e irrequieta: tutto quello che desiderava e praticava al momento del
loro incontro era l’opposto della noia e della ripetizione. La
donna più libera e indipendente che lui avesse conosciuto, una
giovane scultrice di talento appena uscita faticosamente da una
lunga e difficile storia con un liutaio ciclotimico, senza alcuna
intenzione al mondo di chiedere a un altro uomo assicurazioni
o garanzie sul futuro! E il loro rapporto era a uno stadio così
iniziale, ancora del tutto privo di abitudini, linguaggi condivisi,
piani per il futuro o altri elementi consolidanti. Perché allora si
era imbarcato su quell’autobus, se riusciva già a intuire le possibili conseguenze di un viaggio di nemmeno un’ora? Perché non
era riuscito a tirarsi fuori dal gioco dello stupore provato e
provocato, dello smantellamento delle difese, dell’esposizione
pericolosa, dell’incoscienza che porta danni sicuri? Semplicemente perché rinunciare all’eccitazione del momento in nome
della propria indipendenza gli era sembrato un gesto di una
viltà intollerabile, che avrebbe lasciato per sempre una scia di
rammarico; non era riuscito a mostrarsi privo di curiosità, incapace di slanci, avaro di sentimenti. Dopotutto quello era il suo
percorso tracciato: intuire dove lo avrebbe portato non gli aveva
impedito di continuare a seguirlo, passo dopo passo.
Quando finalmente erano scesi alla fermata di Canciale,
avevano posato i loro zaini sull’asfalto e si erano guardati intorno, l’istinto di conservazione gli stava ancora parlando in modo
inequivocabile. Insieme alla nausea per i quaranta minuti di
ondeggiamenti e alla delusione cresciuta in modo direttamente
proporzionale alla distanza dal mare, aveva una percezione
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