LA COMUNITA` : LUOGO DEL PERDONO E DELLA FESTA
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LA COMUNITA` : LUOGO DEL PERDONO E DELLA FESTA
LA COMUNITA’ : LUOGO DEL PERDONO E DELLA FESTA Il punto di partenza La mia esperienza non è eccezionale e lunga, ma nonostante questi limiti ho avuto purtroppo la sfortuna di dover constatare a più riprese, in luoghi e gruppi diversi, un virus di fondo nei gruppi cristiani (ma immagino che sia un virus presente anche in altri gruppi...). Non è facile definirlo. Potremo chiamarlo a seconda dei casi: gelosia, invidia, farsi le scarpe a vicenda, il tentativo di accaparrarsi il potere o la simpatia di Tizio o Caio... Non è il caso ne di scandalizzarsi ne di disperarci di fronte a questo: la Chiesa nel suo realismo ha sempre ricordato che all’interno di ognuno c’è spazio per l’egoismo e per il fascino che questo esercita (= peccato originale). Credo che con lo stesso realismo dobbiamo constatare che anche nel nostro gruppo, ma forse sarebbe meglio dire in ognuno di noi, esistono spinte in questo senso. Si invoca che non esistano i famigerati “gruppetti” (ma è sterile idealismo pensare che possano scomparire), s’inizia a misurare quanto tempo uno trascorre con l’altro, si è presi dalla smania della morale “western”: i buoni (tra cui naturalmente ci sono sempre io) da una parte e i cattivi dall’altra, si spera che un giorno il più antipatico sparisca, salvo poi constatare che il suo posto sarà preso da quello che era il penultimo della mia lista di “insopportabili”.... Non è il caso di continuare..., la tentazione è quella di iniziare a fare delle assemblee dove si elencano le proprie ragioni e magari non si ascoltano i propri torti; forse è delineare cosa sia una comunità cristiana... E i criteri ci vengono forniti dalle fondamentali esigenze che ci portiamo dentro e dalla Parola del Signore... non dalle fatidiche parole “secondo me”. La comunità, luogo di appartenenza La comunità è un luogo di appartenenza, un luogo nel quale si trova la propria terra e la propria identità. La prima comunità alla quale si appartiene è una famiglia. Un bambino appartiene a sua madre. Quando il bambino ha la sensazione di non appartenere a nessuno, soffre di un isolamento spaventoso che si manifesta con l’angoscia. Angoscia che chiude il bambino su di sè, in un sentimento di inutilità e di morte. Ma quando un bambino è amato, guardato in quanto prezioso, è in pace. Sa che appartiene a qualcuno, si apre senza paura. Il suo desiderio più profondo è quello di essere in comunione con suo padre e sua madre. Questo bisogno di comunione con un’altra persona è ciò che vi è di più fondamentale nell’essere umano. Se questa sete di appartenenza e di comunione non è soddisfatta, allora aumenta l’angoscia, con tutta la gamma di sentimenti di colpa, di depressione, di collera, di odio di sè e degli altri. E’ a questo punto che al posto della comunione e dell’amore si cerca l’ammirazione. Ma in ogni essere umano c’è un ardente desiderio, e nello stesso tempo una certa paura, della comunione e della appartenenza. Ciò che desideriamo di più è l’amore e nello stesso tempo è ciò di cui abbiamo più paura. Ci rende vulnerabili e ci apre, ma è allora che possiamo essere feriti dal rifiuto e dalla separazione. La nostra civiltà occidentale è una civiltà competitiva. Fin dalla scuola il bambino impara a “vincere”... è così che il progresso materiale individualista e il desiderio di salire di grado per un prestigio più grande hanno avuto la meglio sul senso della comunione, della compassione, della comunità. In questo senso abbiamo molto da imparare dagli africani, dagli indiani e anche dal...buon Dio: Gli dirò: “Tu sei il mio popolo” e lui mi dirà: “Mio Dio!” (Os 2,25). Il mio popolo è la mia comunità, la piccola comunità di coloro che vivono insieme ma anche la comunità più grande che è attorno e per la quale si è lì. Sono quelli che sono iscritti nella mia carne come io sono iscritto nella loro. La comunità può e deve essere un trampolino verso l’intera umanità. Non solo: se la comunità dà un senso di appartenenza, aiuta ognuno ad assumere un incontro personale con Dio. In molti gruppi si può trovare una certa sicurezza. Si è felici di incontrare altre persone simili a sè. Ci si riconforta e ci si incoraggia reciprocamente. Ma spesso c’è un certo “elitismo”: si è convinti di essere migliori degli altri e, certo, non vi si accetta chiunque. Spesso questi gruppi danno una certa sicurezza e un senso di appartenenza, ma non incoraggiano la crescita personale, l’appartenenza non è per un divenire personale. La comunità, luogo di apertura Ciò che distingue una comunità da un gruppo di amici è che in una comunità noi diciamo la nostra appartenenza reciproca e i nostri legami, annunciamo i nostri scopi e lo spirito che ci unisce. Insieme riconosciamo che siamo responsabili gli uni degli altri e che questo legame viene da Dio, è un dono di Dio. E’ Lui che ci ha scelti e ci ha chiamati insieme, in un’alleanza d’amore e una sollecitudine reciproca. Anche un gruppo di amici possono diventare una comunità, quando cresce il loro senso di appartenenza, quando si aprono agli altri e, poco per volta, cominciano a sentirsi veramente responsabili gli uni degli altri. Purtroppo molto spesso i gruppi non lavorano insieme per la gloria di Dio. Si chiudono gli uni agli altri (crede che fare degli esempi sia superfluo...); non capiscono che ogni comunità è scelta, che ogni comunità è chiamata a manifestare una particella della gloria di Dio, ma questo in comunione con gli altri. Quando non lavorano insieme i gruppi creano la discriminazione. Nascono rivalità e competizioni, che portano alla gelosia; e la gelosia, a sua volta, genera l’odio e la guerra. Le comunità sono tali quando sono aperte agli altri, quando sono vulnerabili e umili, quando i loro membri crescono nell’amore, nella compassione e nell’umiltà. Cessano di esserlo quando i loro membri si chiudono in se stessi, sicuri di essere i soli a possedere la saggezza e la verità. L’atteggiamento fondamentale di una comunità nella quale si vive una vera appartenenza è l’apertura, l’accoglienza e l’ascolto di Dio, delle altre persone e delle altre comunità. La vita di una comunità è fondata sul perdono. Vivere la comunità significa far cadere le barriere per accogliere la differenza. La comunità, luogo dell’amore reciproco Se la comunità è appartenenza e apertura, è anche amore verso ogni persona. Possiamo dire che la comunità è definita da tre elementi: amare ognuno, essere legati insieme e vivere la missione. In comunità si ama ogni persona e non la comunità in senso astratto. Sono le persone che contano: è amarle così come sono, e in modo tale che crescano secondo il piano di Dio e diventino fonte di vita. E questo non soltanto in modo passeggero, ma permanente. Molti entrano a far parte di gruppi per molti motivi: perchè sono sensibili a un certo tipo di spiritualità, per acquisire delle conoscenze su Dio. Ma questa non è una comunità, è una scuola. Diventa una comunità quando si incomincia ad amarsi reciprocamente e a preoccuparsi della crescita di ognuno. La comunità non può mai avere il primato sulle persone. La comunità è per le persone e per la loro crescita. La sua bellezza e la sua unità derivano dall’ascendente di ogni persona, dalla luce e dall’amore che sono in loro e dal modo con il quale si amano. Alcune comunità tendono ad impedire alle persone di pensare, di avere una coscienza personale vedono questo come un attentato alla unità del gruppo: tutti devono pensare la stessa cosa. Quando manca la fiducia in se stessi può essere rassicurante essere totalmente legati agli altri, pensare solo ciò che gli altri pensano, obbedire senza riflettere. In una vera comunità, ogni persona deve poter preservare il segreto profondo del suo essere che non deve necessariamente confidare agli altri. Ci sono alcuni doni di Dio, alcune sofferenze di cui non necessariamente bisogna fare pubblicità. E ognuno deve poter approfondire la propria coscienza personale e la sua vita spirituale. E’ proprio questa la debolezza e la forza della comunità. Debolezza, perchè c’è l’incognita della coscienza personale di ognuno che, grazie alla sua libertà, può approfondirsi nella gratuità e nel dono e costruire così la comunità; o al contrario, essere infedele all’amore, diventare più egoista, arrendersi e in questo senso disgregare la comunità. Ma questo primato della persona è ugualmente una forza perchè non c’è nulla di più forte di un cuore che ama e che si dà gratuitamente a Dio e agli altri. L’amore è più forte della paura. L’appartenenza è per il divenire. La comunità è per la crescita della persona. Se per una ragione qualsiasi diventa soffocante, forse bisognerà assumersi il rischio di lasciarla, per quanto dolorosa possa essere la separazione. La comunità in quanto tale non è mai un fine in sè. Ha per scopo le persone, l’amore e la comunione con Dio. Certamente questa separazione non deve avvenire unicamente perchè in comunità possono essere sorte delle difficoltà o perchè non ci piace il nuovo responsabile: deve essere il risultato di una lunga maturazione e di un vero discernimento. La comunità chiama sempre a diventare di più. Alcune persone possono essere facilmente soffocate e anche manipolate dal gruppo, oppure dominate da una paura terribile di essere rifiutate. L’appartenenza dovrà essere sempre per il divenire. La domanda giusta da porsi è questa: “A chi cerco di piacere?”. Se ci sforziamo di piacere a Gesù Cristo, e non soltanto al gruppo, allora cresceremo, e la comunità sarà per le persone. La comunità non è fatta per produrre qualcosa che le sia esterno; non è un raduno di persone che lottano per una causa. E’ un luogo di comunione, dove ci si ama gli uni gli altri e dove si diventa vulnerabili gli uni nei confronti degli altri. In comunità si lasciano cadere le barriere. Le apparenze e le maschere scompaiono. Ma questo non è facile. Molti hanno costruito la loro personalità, nascondendo il loro cuore ferito dietro a delle barriere di indipendenza. Altri hanno messo sul loro cuore una maschera di depressione, di timidezza o di sottomissione agli altri; non osano lasciar emergere la loro vera persona. Una comunità inizia realmente quando non ci si nasconde più, quando non si cerca più di provare il proprio valore, reale o presunto. Le barriere sono cadute e si può vivere insieme un’esperienza di comunione.