1. Nadal Pis`cianz, incatenato al remo di una nave
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1. Nadal Pis`cianz, incatenato al remo di una nave
1. Nadal Pis’cianz, incatenato al remo di una nave da battaglia, suscita focosi dibattiti attorno a una sua teoria metafisica. Le tre del pomeriggio del 16 ottobre 1680 furono l’ora e il giorno, corrispondenti rispettivamente al meridiano dell’Istria centrale e alla data del gregoriano, in cui Nadal Pis’cianz espose davanti a testimoni l’ipotesi che l’etere universale fosse permeato di intimi afrori femminili fin dai tempi di Eva. Alla perplessità del signor Legato del Capitano da Mar 1 che non ne aveva mai avuto percezione olfattiva, Nadal spiegò che l’umanità, così come non udiva le armonie delle sfere celesti, con l’andare dei saecula saeculorum s’era tanto assuefatta a quegli aromi da non averne più sentore. Lo scambio di dubbi e certezze avvenne nel sottoponte della San Marcuola – galera bastarda, da trecento tonnellate, con due alberi e duecentoventi rematori, per metà cosiddetti “de bona voia” 2 e per l’altra metà ciurmaglia di condannati di cui faceva parte il nostro – allorché il signor Legato dovette intromettersi tra costui e i due galeotti compagni di remo per una rissa sullo sviluppo dell’ipotesi. Seduta stante, egli non riuscì a ottenere altre spiegazioni perché l’uomo per i due denti avulsi e l’occhio sanguinante 1 RAPPRESENTANTE CIVILE DELL’AMMIRAGLIO DELLA FLOTTA. 2 CIOÈ VOLONTARI. 7 CLAUDIO FAIT aveva altro cui pensare, ma quel poco bastò per suscitare in lui nostalgici confronti tra il lezzo di sudore e sporcizia che fluttuava nell’ambiente e le accattivanti essenze evocate da Nadal. A parte ciò, quand’anche costui avesse voluto essere più esplicativo, era uomo di poche parole. Per dire: quando l’avevano sorpreso a segare un rovere della Serenissima nel bosco di Montona, aveva bestemmiato in silenzio più nei propri riguardi che in quelli delle due guardie che gli puntavano le spade alla gola, e neppure davanti ai magistrati di Portole aveva sprecato il fiato. Non ignorava che segare gli alberi, numerati uno per uno dai procuratori dell’Arsenal per le necessità dell’Armata da mar, era un delitto. Erano anni che lo sapeva e altrettanti che fingeva di dimenticarsene. I Pis’cianz vivevano là, in mezzo all’Istria, da generazioni, il padre di Nadal le conteggiava fino al bisnonno di suo padre, poi si fermava, anche se si vantava di discendere da un gladiatore vissuto ai tempi di un imperatore romano. In mezzo c’era stata la peste del 1631, quando Montona s’era ridotta a meno della metà degli abitanti e l’Istria s’era spopolata, ma questo non c’entra con la genealogia dei Pis’cianz perché nessuno della famiglia ne aveva sofferto, anzi se ne erano avvantaggiati con l’ottenere a mezzadria dai superstiti padroni alcune campagne rimaste prive di coloni, tanto che, trent’anni dopo, Nadal era potuto andare a pagamento dai francescani per imparare a leggere e a scrivere. Con poco profitto, loro malgrado, perché con la crescita gli era venuta fuori l’irrequieta fantasia che avrebbe contrassegnato, insieme all’istinto avventuroso, il resto della sua vita, e che, allora, lo spinse, tra l’altro, a carpire le confidenze delle vergini locali nascosto nel confessionale, a sommini- 8 LA GRANDE MANOVRA A TENAGLIA strare penitenze e assoluzioni e, di conseguenza, a essere espulso dal collegio. La poca istruzione ricevuta gli bastò, a ogni modo, per intuire che non era mestiere per lui fare il contadino. Dapprima, spinto dai genitori, se ne andò a Capo d’Istria dai benedettini a tentare la via del noviziato con l’esperienza messa a frutto nei confessionali. Cacciato anche da lì, tornò a Montona dove, tra il serio e il faceto, provò a ricattare le giovani delle quali aveva scoperto gli altarini, ricavandone qualche baiocco in cambio della riservatezza, ma pure le randellate di un fidanzato. Migrò, allora, a Pirano a fare il pescatore e dopo un paio d’anni anche il contrabbandiere. Poche miglia più a settentrione c’era Trieste, sul cui porto convergevano traffici di piccolo e medio cabotaggio: tabacco, ferro, uva di Smirne, spezie, caffè, sotto lo sguardo protettivo degli austriaci, ai quali la città s’era donata tre secoli prima. Nadal di notte ormeggiava sotto il confine, lo attraversava a piedi, incontrava il compare e tornava a caricare la barca. Acchiappato la prima volta, scontati tre mesi di galera e sequestrato che gli fu il mezzo di trasporto, decise di sfoltire il bosco dell’arsenale veneziano e di rivendere i tronchi ai contadini per far fuoco, ai marangoni per fare canterani e ai carbonai per ricavarne carbon dolce. Sorpreso dalle guardie Segulin e Bertok il 23 ottobre 1677 alle ore sette antimeridiane, fu trascinato a Portole con la sega, l’ascia e il resto dell’armamentario. Gli furono dati cinque anni. A un marcantonio di malsicuro avvenire che ne aveva ventiquattro, cinque anni di remo erano una cifra. Per di più, col vento di guerra che tirava, il mestiere di vogatore di galera l’avrebbe esposto a rischi assai maggiori di quelli di contrabbandiere, non tanto per la fatica o le malattie, 9 CLAUDIO FAIT quanto perché l’essere incatenato al banco implicava la probabilità di affondare insieme alla barca, o d’essere colpito inerme negli scontri con i turchi, i barbareschi o gli uscocchi. Comunque, rischi o non, Nadal si vide trasferito a Pola dov’era ferma per riparazioni la galera N54, sulla quale, rimessa in mare, fu imbarcato. Nei tre anni successivi ne dovette cambiarne quattro tra galere e galeazze, pubbliche e private, prima d’esser requisito dall’Armata di mare della Dominante e incatenato ai banchi della suddetta San Marcuola. Tirava brutta aria nei Balcani perché il Sultano dei Turchi stava ammassando truppe in Bosnia e nel Banato. Si diceva che volesse attaccare l’Austria e occupare Vienna per distruggere l’impero. Venezia, pur non facendo parte dell’alleanza austro-polacco-papalina, s’era assunta il compito di pattugliare il mare dall’Istria alla Morea per sorvegliare i movimenti della flotta ottomana, cosicché la San Marcuola al comando del Sopracomito Zane Dolfin di Sacca Fiesole, nel suo girovagare tra Meleda, Corfù e Santa Maura, si trovò ben presto immischiata in una scaramuccia con i piccoli legni del bey di Prevesa che aveva interpretato il suo incrociare al largo come personale provocazione. Poca cosa e nessun danno perché, dopo qualche scambio di cannonate le imbarcazioni si allontanarono le une dalle altre rendendo inoffensivi, oltre agli spari, anche i vaffanculo che a gesti i combattenti s’auguravano dalle murate. Fu così che Nadal s’accorse, per la prima volta, quanto diverso fosse fare il rematore in una nave da battaglia, giacché in assenza di scirocchi, maestrali, ostri, greci, levanti, libecci e quant’altro la rosa dei venti offra alle vele, chi doveva farsi carico di virate, accostamenti, 10 LA GRANDE MANOVRA A TENAGLIA accelerazioni e rallentamenti, arresti e ripartenze, erano lui e gli altri disgraziati che gli stavano attorno. Il sottoponte diventava una bolgia d’ordini, contrordini, imprecazioni, bestemmie poliglotte e lamenti, e vi s’espandeva, esaltato dal sudore della fatica e della paura, quel lezzo che come contropartita suscitò in Nadal la metafisica certezza di un’età dell’oro in cui ogni angolo della terra profumava di ben altro. Ne fu così convinto che, qualche settimana dopo, volle condividere l’ipotesi con i compagni di banco, due di Scodovacca che, appassionati di sesso, più precisamente di “mona”, non soltanto se ne mostrarono entusiasti, ma vollero contribuirvi con un’annotazione. – Certo che no se sente più quel odor! – rifletté uno. – Deve esser come el letame, che dopo do giorni che te lo spali sui campi non te senti più la spuzza. Come dir: te se abitui. Il volgare paragone irritò tanto Nadal che gli fece indirizzare un cazzotto sul naso del commentatore. Col quale gesto ritorniamo all’inizio della storia, perché lo sferragliare di catene causato dal tentativo dell’altro di rispondere al pugno e dal susseguente avvinghiarsi dei due e poi dei tre, richiamarono l’attenzione del capovoga e del signor Legato il quale, somministrata qualche legnata e pretesa una spiegazione, fu informato dei motivi del contendere, appunto. 2. Nadal potrebbe spassarsela meglio, ma uno scontro navale con preponderanti forze nemiche gli rovina la vita. Le conseguenze per Nadal non furono del tutto negative. È vero, fu frustato, stette due giorni a pane e 11 CLAUDIO FAIT acqua, fu cambiato di posto e minacciato d’esser buttato a mare se avesse combinato altri casini, ma in compenso, finite le punizioni, fu chiamato in coperta per chiarire al Legato e al Sopracomito la sua ipotesi nei dettagli. Lo fece e, avendo deciso di partire dal paradiso terrestre, ci mise un po’ per arrivare alle conclusioni. Così pensò che a produrne tante di quelle fantasie, estranee per forza di cose a chi s’era dedicato soltanto a terzaruolare, sghindare alberi, mutar vele e dare addosso ai turchi, avrebbe potuto passare mille e una notte a raccontare e bevicchiare nella cabina del comandante. Nessuno di loro sapeva che già Sheherazade ci aveva speculato su parecchio, perciò non vi furono sospetti sull’artificioso prolungamento dei tempi richiesto dal succedersi di teorie cosmologiche e ontogenetiche, e dal divagare sui più svariati campi della fisica e della metafisica. Per esempio, l’ipotesi che scendere a remi l’Adriatico costasse minore fatica che risalirlo fu messa alla prova sul tratto Sebenico-Spalato-Sebenico, e quella sull’origine dell’universo – dal nostro chiamata del “Bing bang” per avere Iddio, giocando a bocce, centrato e rotto involontariamente il pallino contenente il sole e tutte le costellazioni dello zodiaco – suscitò tali fermenti intellettuali che Legato e Sopracomito non misero il naso fuori della cabina per trenta miglia in direzione di Ragusa. Ma non è di questo che vogliamo parlare, bensì delle indiscrezioni di cui approfittò Nadal grazie alla confidenza coi superiori. Quella volta, i possedimenti del Sultano arrivavano al fiume Drava. Il visir Fädil Ahmed vent’anni prima aveva rioccupato mezza Ungheria e ora la spedizione di Maometto IV si proponeva d’invadere l’Austria e di arretrare i confini cristiani alla Franco- 12 LA GRANDE MANOVRA A TENAGLIA nia e alla Baviera. Questo apprese Nadal, oltre al fatto che mezzo milione di ottomani stavano radunandosi a Belgrado, che i Dieci della Serenissima avevano deciso di appoggiare l’Impero dall’esterno, che a loro medesimi era toccato il pattugliamento del tratto di mare tra Corfù e Meleda. E fu proprio lì in mezzo che avvenne, come si suol dire, il fattaccio che gli cambiò la vita. Nel tardo pomeriggio del sei novembre, quattro cacche di mosca macularono l’orizzonte, diventarono dopo un’ora cinque zampettanti scarafaggi e infine altrettanti battelli: galere nemiche, vista la grinta con cui si dirigevano verso la San Marcuola. Al calar del sole – come si usava fare in simili casi per chiedere soccorso a qualche nave amica che incrociasse nei paraggi – fu ammarata una lancia e quattro uomini con un sottocapo scalarono la cima di un isolotto vicino per accendere un falò, ma nessuno li vide. All’alba la San Marcuola era circondata, non dai turchi né dagli uscocchi, ma da morlacchi 3 imbestialiti con Venezia per via che nel 1669 aveva abbandonato al sultano due loro paesi: Zemonico e Scardona. In bonaccia di vento e dedotta l’impossibilità di fuggire, al Sopracomito non rimase che accettare il combattimento sperando in un improbabile soccorso. Rivolse all’equipaggio e a se stesso poche parole d’incoraggiamento, inneggiò al Protettor San Marco, e lasciò che l’istinto di sopravvivenza infondesse agli uomini il coraggio della disperazione che la circostanza pretendeva come viatico a una morte dignito3 ABITANTI DELLA COSTA DALMATA. 13 CLAUDIO FAIT sa. Questo accadde il sette novembre tra le sei e le dieci del mattino, come raccontato nella vivida lettera che Nadal ebbe il tempo di scrivere durante la lunga peregrinazione che seguì la sua cattura. “Quando il capovoga ci a cavato le catene e ci a dato il mazuolo per difenderci non c’era più niente da fare. Eravamo condanati con zinque galere che ci venivano contro come i cani rabiosi. I nostri avevano s’ciopi e squarzine e i tre canoni e le piche, ma cosa volete che siano quele armi contro le bande dei morlachi che urlavano che ci facevano il culo e ci tiravano da tute le parti coi colubrini, le balestre e i s’cioponi. Era l’inferno. Qua i ne copa tuti o deto quando sono salito sul ponte. Il sopracomito urlava, de qua de là, secondo che vedeva avicinarse una nave o l’altra, e il legato si era già becato un dardo nel petto e vomitava sangue. Vira, vira! Ma gh’era poco da virar perché eravamo circondati e ci saltavano già adosso. I bergamaschi dava zo coi remi e a uno gh’è saltà via la testa con una canonata. Io o dato due mazolate poi cado giù in mezo ai banchi e me slogo la spala, ma è stata la mia fortuna perché sopra gh’era il macelo. Quando mi ano tirà su, che era tuto finito, mi ano legato una corda al collo che forse volevano impicarmi, ma poi mi ano visto bel robusto e mi ano messo da parte. C’era un mare di sangue e i morlachi che tormentava i soldati feriti e li pungeva cole cinquedee e gli diceva che era giunta l’ora di cagarsi soto pel loro tradimento. Con noi invece che avevamo le catene ci ano preso in simpatia, perché dovevamo essere nemici di Venezia come loro e che ci avessero venduti come schiavi come è sucesso che sono qui a scrivervi. E queli senza catene che li avrebero castrati per mandarli nei arem e ridevano come bestie e facevano zac 14 LA GRANDE MANOVRA A TENAGLIA zac coi coltei. Dopo ano tirato su il povero sopracomito che era ferito e l’ano sgozzà come una pecora...” Due mesi dopo Nadal fu venduto schiavo, a Scutari. 3. Dapprima schiavo, poi servo per conversione all’islamismo, Nadal evita il matrimonio grazie a una tempesta. Chi c’è stato a Scutari sa che sul roccione calcareo tra il lago e la foce della Boiana sopravvivono i ruderi della fortezza di Rozofat, e che il vecchio bazar non c’è più. Bene. Nadal non ebbe a che fare con quella, la sua vendita fu trattata dabbasso, nel bazar appunto, da uno che l’aveva acquistato a Santiquaranta dai barbareschi ai quali era stato ceduto dai morlacchi. Per essere precisi, si trattò di una rivendita con ricarichi del duecento percento a ogni passaggio, giustificati dal fatto che a mano a mano il marcantonio, apparso malconcio e deperito al primo, all’ultimo si presentò più in carne. Alla fine fu ceduto per quattrocentocinquanta aspri, dopo una trattativa partita da seicento, che al cambio di allora e con l’inflazione subita dalla moneta turca non valevano nemmeno dieci ducati veneziani. A comprarlo fu un commerciante di nome Ahmed Beshri, che trafficava coi ragusei e aveva un fondaco in città. Nadal fu messo a far la spola coi carichi tra la costa e Scutari, otto miglia italiane di paludi, sui cui argini passava una carretta alla volta. Poiché si dava da fare e aveva esperienza di barche, dopo meno di un anno fu imbarcato su una sacoleva di seconda mano armata a tarchia, che risaliva il lago per portar lana nel Monte Negro. Ormai Nadal s’era conquistato la fiducia del padrone e dei soci, tanto che a 15 CLAUDIO FAIT bordo fungeva da capobarca e aveva sotto di sé quattro uomini d’equipaggio. Non riceveva una mercede, a parte vitto e alloggio, ma godeva di una percentuale su ogni carico andato a buon fine. La questione che non fosse musulmano non disturbava nessuno, tuttavia la familiarità con i Beshri di origine turca, la lingua che fu obbligato ad apprendere e, infine, l’infatuazione che per lui, ragazzone di solida corporatura e piacevole aspetto, provò una serva di casa, lo costrinsero a riflettere sull’opportunità di convertirsi. La solfa che doveva sentirsi rifare dalla ragazza ogni volta che si congiungevano, nascosti tra le balle di lana nell’angolo più remoto del fondaco, stava, infatti, erodendo la fragile fede inculcatagli da francescani e benedettini, e già messa in crisi dal mancato intervento della Provvidenza a salvare la San Marcuola. Cosicché la decima volta che, già nudo come un verme, s’apprestò a rivivere nello scarso lucore di un raggio di luna la complicata svestizione della giovane donna, egli si lasciò sfuggire la promessa di diventare musulmano. – Agnellino mio, – flautava lei con quella voce d’alcova che lo faceva impazzire di desiderio, – lo sai che mi fai fare un doppio peccato tutte le volte che c’incontriamo. – Perché? – chiedeva lui, seguendo con impazienza lo sfogliarsi uno a uno dei giacchi, dei giustacuori, dei guardinfanti, dei sottogola, delle camiciole e magliette che la rivestivano come una cipolla. – Perché, mio lokoum 4: primo, non siamo sposati e, secondo, sei un infedele. 4 DOLCEZZA MIA (DA UN DOLCE GELATINOSO TURCO DI QUEL NOME). 16 LA GRANDE MANOVRA A TENAGLIA – Con questo? – Te l’ho già detto cento volte, – riprendeva lei con la pazienza con cui si ripetono le tabelline ai bambini – a me mi cacciano e a te... te lo tagliano di sicuro quel bel cetriolino. – Perché dovrebbero farlo? – diceva lui con gli occhi persi sulle budinose poppe finalmente uscite dalle stoffe – non ci ha mai visto nessuno. – Tu credi, – l’impensieriva lei affaccendandosi attorno alla fusciacca che sorreggeva l’insieme delle braghesse – guarda che il signor Beshri è sospettoso, si è già accorto che ti sorrido troppo. – E tu non farlo più. – Ma come, tesoruccio mio, non farlo più! – esclamava lei calando, in un fruscio di sete, il primo paio a forma di doppio Zeppelin. – Vorresti che non ti sorrida mai più! – Cosa dici! Certo che sì. Solo non farlo quando ti guarda. A quel punto Nadal ebbe un attimo di requie, sia perché la serva – si chiamava Zahira – fu occupata a slacciare le fettucce che stringevano ai fianchi i candidi mutandoni, sia perché quand’essi scesero a terra gli sguardi di entrambi cedettero al fascino delle nude carni altrui. Quello di lui puntato sul cespuglioso triangolo, quello di lei sul semovente cetriolino. La pausa durò quel tanto che permise a Zahira di cavalcare con le burrose natiche le cosce dell’uomo, però, appena lui accennò l’ingresso agli intimi anfratti, lei riattaccò, micidiale, allontanando con mano affettuosa ma decisa l’attentatore dall’obiettivo. – Allora amoruccio? – Allora che cosa? 17 CLAUDIO FAIT – Oh, insomma, Nadal! – la voce aveva perso il tono mieloso. – Ti vuoi decidere a farti musulmano e poi a sposarmi?! Per non farla troppo lunga e consentire ai due di dare compimento alle faccende per le quali erano là, la notizia che Nadal cedette è confermata. Perlomeno quella di convertirsi. A quel tempo il passaggio alla fede musulmana non pretendeva più le complicate cerimonie d’abiura dei sacri testi cristiani o ebraici che fossero, né la messa a memoria di qualche centinaio di sure, cosa che a Nadal sarebbe stata impossibile per la scarsa conoscenza della lingua, tuttavia la prassi esigeva ancora che la parte più cruenta del cerimoniale avesse esecuzione. Così l’attributo di Nadal non fu reciso alla base, come aveva temuto Zahira, ma soltanto spellato in cima. Circoncisione che avvenne col sacrificando imbottito di rakj 5 in barba al divieto di bere alcol. Ci vollero venti giorni perché il neo musulmano si riprendesse dal trauma e, col lento rimarginarsi della ferita, potesse ritornare alla sacoleva camminando normalmente. Periodo vissuto con irritazione dal signor Beshri per il fatto d’aver acconsentito all’accrescimento della comunità a proprie spese, ma con gran gioia dalla serva, che di nascosto si prendeva cura giornaliera dell’appendice del futuro sposo con impacchi di malva, lavaggi all’acqua di rose, massaggi con cera d’api e altri interventi palliativi con organismi geneticamente non modificati. Ma il destino volle che la povera Zahira non potesse cogliere il frutto 5 DISTILLATO D’UVA DI MEDIA GRADAZIONE ALCOLICA. 18 LA GRANDE MANOVRA A TENAGLIA delle proprie fatiche e coronare il sogno del matrimonio, perché nemmeno due mesi dopo, s’era in pieno febbraio, un vento furioso che scendeva ruggendo dalle valli dei Radohimë sconvolse il lago e di colpo travolse la barca, l’equipaggio, la lana e tutto il resto, compreso il segreto fidanzato. 4. Salvato dalle acque, Nadal apprende di una spedizione militare che potrebbe riportarlo a casa. Quando Nadal aggrappato a una tavola s’arenò sulla spiaggia di Buza chiedendosi dove fosse capitato, gli risposero due straccioni accorsi per raccattare i pochi resti del naufragio suo e di un’altra barca, più che per lui. – Buza, – gli dissero, scrutandolo per capire se la confusione mentale del disgraziato fosse tale da potergli frugare nelle tasche. – Buza? – Rijeka Zem. – Zem? – Crna Gora! – Ah! – fece lui, capendo le ultime due parole di quella lingua sconosciuta. Nadal si trovava all’estremità settentrionale del lago, dalla parte opposta di Scutari, in Monte Negro, luogo che non conosceva poiché la sacoleva scaricava a Beç sulla costa occidentale. Rannicchiato sulla sabbia, inzuppato d’acqua gelida, si guardò attorno. C’erano dei gelsi spogli al confine della spiaggia e, dietro, le prime case del villaggio. Vide con sollievo anche accorrere degli uomini, cacciare a calci gli straccioni e chinarsi su di lui. 19