Come fili d`erba

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Come fili d`erba
Pedagogika.it/2013/XVII_2/RelazionUraj~eneri_e_violenza
Come fili d'erba
Ancora troppi uomini, non più sorretti dal senso sociale della loro superiorità,
hanno paura dell'autonomia femminile, delle scelte libere delle compagne, del
loro desiderio. E di fronte a manifestazioni di forza e autonomia femminile che
non sanno accettare, rispettare o condividere, passano all'atto violento.
Anna Maria Piussi*
Da tempo il fenomeno della violenza maschile sulle donne l occupa le cronache,
i dibattiti, i media, l'attività di organismi locali, nazionali e sovranazionali'', le buone
intenzioni dei policymakers e dei paladini delle donne, nonché la mente di operatrici
e operatori, esperti, alla ricerca di soluzioni. E riaccende proteste, campagne, movimenti, mobilitazioni. Questa diffusa caratterizzazione emergenziale del fenomeno,
ruotante attorno alla figura della donna come vittima, pone interrogativi, se non altro perché apre le porte alla legittimazione di ambigue politiche securitarie e riconferma la logica amico/nemico, noi/loro. Lo sostengo non per minimizzare il fenomeno",
drammatico per la sua pervasività e trasversalità, ma per comprendere perché attorno
ad esso, in primis, si stia coagulando una rinnovata attenzione pubblica che in definitiva riguarda lo stato del rapporto tra i sessi alla radice delle forme attuali della vita
associata. Come se quella cittadinanza compiuta che le nostre democrazie occidentali
si sforzano, ma alle loro condizioni e neutralizzando la differenza, di offrire alle donne attraverso misure di inclusione paritaria, fosse messa a repentaglio e guastata da
forme ancora presenti di subordinazione femminile, di cui violenza, femminicidi e
abusi rappresenterebbero i fenomeni apicali quasi innominabili.
Dire violenza di uomini sulle donne per il fatto di essere donne, e non violenza di
genere, domestica, familiare, aiuta a fare ordine.
2 Uno dei più recenti esempi: European Institute for Gender Equality (EIGE), Report oJ
the lmplementation
for Action in the EU Member States: Violence against Women- Victim
Suppon, Luxembourg: Publications Office of the European Union, 2012. La ricerca
comparativa offre dati aggiornati a supporto della Commissione Europea per la parità tra
donne e uomini 2010-2015 per ribadire le proprie politiche focalizzate sui "diritti delle
vittime", ossia delle donne, considerate alla stregua di oggetti inerti e problematici.
3 Come afferma uno dei promotori della White Ribbon Campaign, Michael Kaufman,
"Se avvenisse tra paesi, la chiameremmo guerra. Se si trattasse di una malattia, la
definiremmo epidemia; di una perdita di petrolio, lo definiremmo un disastro. Poiché
accade alle donne, è solo una faccenda di tutti i giorni. È la violenza alle donne." (dall'
edizione italiana Campagna del Fiocco Bianco a cura dell'Associazione Artemisia di
Firenze, http://www.fioccobianco.it/articoli.html) . Percorsi educativi della Campagna
in scuole bolognesi sono documentati da S. Casanova, G. Ricciato in S. Deiana, M.M.
Greco (cur.), Trasformare il maschile, Cittadella, Assisi 2012, pp. 169-183.
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Sento allora la necessità di provare a fare un po' di ordine, ordine di pensiero e
di linguaggio, perché la fenomenologia della violenza maschile alle donne ci è ormai
abbastanza (e tristemente) nota, ma non altrettanto il suo senso. Cercare di dare un
altro ordine di senso al fenomeno, averne una visione più profonda e realistica, mi
sembra importante anche per pensare risposte educative, sociali e politiche che provino ad affrontare il problema alla radice e possano diventare un orientamento condiviso. Il rischio altrimenti è di restare nella morsa opprimente dell'impotenza - a cui
nessuna legge o buona volontà può sottrarci - senza riuscire a trovare il bandolo per
un agire efficace che, come auspico, sia un "combattere senza odiare, [...] disfare senza
distruggere"4. La qualità dei rapporti tra uomini e donne, dai rapporti intimi a quelli
pubblici, è elemento costitutivo della qualità di una società, dato che la relazione
tra i sessi è fondamento della vita comune, della percezione di se stesse/i, degli altri,
del mondo. Dunque è al contempo una questione politica, culturale e sociale, così
radicale da non potersi esaurire nella moltiplicazione di leggi e diritti, nelle cosiddette
politiche di genere o educazioni al genere, che per lo più rappresentano misure deboli
se non fuorvianti. Le campagne di denuncia e sensibilizzazione, le iniziative nelle
scuole e in altri luoghi, quasi sempre orientate a combattere gli stereotipi, rischiano
di rimanere in superficie e non di rado di veicolare messaggi poco adeguati se non
affrontano il nodo alla radice, ossia il necessario lavorio di pensiero e di relazione, di
simbolico, ogni giorno rinnovato, fatto di contrattazione (e conflitto) tra sé e sé e con
l'altra/o, dal più intimo al più politico, per l'affermarsi di un senso libero dell'essere
donne e uomini e delle loro relazioni. Un lavorio necessario a disattivare paure e
risentimenti, a formare soggettività consce della fragilità e della dipendenza, per le
quali sia possibile vivere quella libertà relazionale che si genera dalla libera accettazione dei limiti (anche dei limiti del proprio corpo-mente sessuato) come leva per
andare oltre, sapendo che il potere non è misura di tutto, come non lo è il denaro o
la violenza, e che tutte e tutti abbiamo bisogno di mediazioni simboliche e relazionali
in cui trovare sempre di nuovo la nostra voce, il nostro divenire singolare, non in
solitudine, ma con gli altri invece che contro o sugli altri.
Cominciare a mettere le cose alloro posto, ripensare tutto a partire dall'inìzìo", ci
porta a riconoscere un continuum storico tra violenza maschile alle donne e violenza tout-court, imperniato sull' ordine gerarchicamente bipartito del mondo, di cui gli
uomini stessi restano prigionieri, che assume volti sempre nuovi e in qualche modo
persiste nonostante noi donne abbiamo imparato a riconoscerlo e a combatterlo. Una
linea di continuità attualmente declinata in forme diverse dal passato a causa del disfacimento del patto sociale moderno e di quel tacito patto sessuale su cui esso si puntellava, entrambi dettati dalla prevaricazione del soggetto maschile presunto universale e
oggi messi a nudo come inganno originario dalla libertà femminile. Il patriarcato come
4 L. Muraro, Dio è violent, nottetempo, Roma 2012, p. 72.
5 L Praetorius, Penelope a Davos, Quaderni di Via Dogana, Libreria delle donne di
Milano, 2011, p. 20.
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modo di regolare il rapporto tra i sessi è morto o sta morendo perché non ha più credito, ma il pianeta - e non poche delle nostre vite - è attraversato da inquietudini, guerre,
disordine, e la legge del più forte tende a prevalere esponendoci tutti, in un modo o
nell' altro, alla violenza. La disparità delle forze dilaga e non solo in campo economico
per lo strapotere finanziario in mano di pochi ma per l'eclissarsi della responsabilità
politica delle autorità costituite in una politica assente o ridotta a potere. Per cui anche
le cose fatte in nome della legge rischiano sempre più di produrre violenza.
La violenza sulle donne va considerata una questione maschile, e oggi l'espressione non del patriarcato ma della sua crisi. Crisi di un ordine socio-simbolico
i cui contraccolpi producono effetti drammatici, ma sono indizi di impotenza,
frustrazione e incapacità di vedere i segni di cambiamento portati principalmente dalla donne come possibili vie d'uscita valide per tutti, per un nuovo ordine
di civiltà, e dare ad essi credito. Nei nostri contesti, femminicidi e violenze sono
commessi soprattutto nella sfera familiare e nei rapporti di intimità, ma fanno
parte di una violenza sistemica che riguarda a tutto campo la relazione tra i sessi. E'
questa dunque che va interrogata alla radice, anche quando in gioco sono rapporti
sentimentali e d'amore, cosiddetti privati. Del resto il femminismo proprio questo
ha fatto e va facendo, portare nel cuore della politica e delle trasformazioni sociosimboliche questioni come sessualità, corpo, inconscio, affettività, esperienza personale, bisogno, desiderio, e i fondamentali della condizione umana come nascita,
morte, dipendenza, libertà, ecc. Dunque va interrogato quel grumo enigmatico
rimasto sepolto, quella scissione originaria, esito dello strappo violento con cui il
figlio maschio ha creduto di differenziarsi dal corpo materno ridotto a materia, alla
radice delle nostre civiltà e all'inizio di ogni vita (maschile), che l'attuale sistemazione paritaria del rapporto tra i sessi in nome della tutela delle donne pretende di
eludere, ripetendo il gesto millenario della rimozione.
"Mi sembra che nella società umana qualcosa vada perduto": Winnicott, non a caso
studioso in attento ascolto delle donne-madri, così introdusse riflessioni che mi sono
sempre apparse illuminanti a questo proposito. Nel ricordare come all'inizio della
vita ognuno era assolutamente dipendente e poi relativamente dipendente da una
donna, precisa: "quando questo riconoscimento si verifica [...] il risultato si manifesta
come un venir meno, dentro di noi, della paura. Se la nostra società ritarda nel riconoscere pienamente questa dipendenza, che è un fatto storico nello stadio iniziale
dello sviluppo di ogni individuo, allora rimarrà un blocco: un blocco basato sulla
paura. Senza un vero riconoscimento del ruolo della madre, rimarrà una vaga paura
della dipendenza. Questa paura prenderà qualche volta la forma della paura della
donna, o paura di una donna, e altre volte prenderà forme non facilmente riconoscibili, che includono sempre la paura di essere sopraffatti". Risuona in queste parole
un pensiero dell' esperienza maschile, un pensiero che si spinge anche a riconoscere
la differenza tra i sessi in quell' esserci per ogni donna sempre tre donne, la bambina,
la madre, la madre della madre, in una sequenza senza fine, mentre l'uomo comincia
con l'urgenza di essere uno. Ma "quando un uomo muore è morto, mentre le donne
sono sempre esistite ed esisteranno sempre. Un uomo è come l'erba".
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Lindicazione di Winnicott di trasformare l'imbarazzo e il rancore, per gli uomini e per le donne, di essere stati in origine dipendenti dalla donna "in una sorta
di gratitudine perché si possa raggiungere la piena maturità della personalità'" mi
sembra preziosa. E già assunta, nelle sue luci e ombre, dal femminismo della differenza/, che ne ha fatto una leva per la libertà e la creatività personale e politica, dislocate rispetto al potere, illusorio antidoto alla paura della dipendenza, e radicate
nell' accettazione della struttura relazionale del venire al mondo e di abitarlo. Come
lo stesso Winnicott sottolinea, "Se si riconosce la paura della donna all'origine della
storia di ogni individuo, si constata che essa è la paura di accettare la dipendenza'".
Esistono dunque discronia e asimmetria nei percorsi storico-politici ed esistenziali
femminili e maschili. Questi ultimi ancora in gran parte attestati sull'ideale dell'individuo razionale e autonomo, autocostituitosi come tale in forza della rimozione
della propria origine e dell' alterità femminile che la connota, e in forza della presunzione di controllo su dipendenze, fragilità, limiti, vissuti come debolezze e non
come elementi costitutivi della condizione umana e possibili risorse maturative.
Una rimozione che induce un uomo a proiettare sull'altra l'assolutizzazione del
proprio desiderio e bisogno, negandone l'alterità e i limiti che questa pone, e infine
a scambiare la solitudine per libertà. Con la rivoluzione femminile e la conseguente
caduta del patriarcato, un ordine che, pur pure ingabbiandoli in modelli riduttivi
di mascolinità, forniva agli uomini puntelli di identità e criteri di autoregolazione,
è venuta allo scoperto la precarietà dell'identità maschile così difensivamente costruita, sempre alla ricerca di conferme. Oggi sono questa fragilità e questo spiazzamento maschile alla radice della violenza contro le donne (e non solo) nelle sue varie forme. Dunque non si tratta di negazione dell'uguaglianza, della parità uomo/
donna, ma di negazione della differenza, della difficoltà degli uomini di mettersi
in un cammino consapevole di accettazione della propria parzialità nello scambio
reale con l'altra, con altro da sé, che li costringerebbe a mettere in discussione la
presunta ovvietà di quel fondamento,
obbediente e sicuro, fatto di nutrimento,
amore, soddisfazione dei bisogni affettivi e vitali, contatto intelligente e sensibile
con la realtà, fornito loro dalle donne. Che li aiuterebbe ad uscire dalla afasia relazionale ed emotiva, dalla solitudine autoindotta,
incontrando finalmente parti
di sé rimosse da assumere come leva e risorsa di cambiamento. Ma ancora troppi uomini, non più sorretti dal senso sociale della loro superiorità, hanno paura
dell' autonomia femminile, delle scelte libere delle compagne, del loro desiderio. E
di fronte a manifestazioni di forza e autonomia femminile che non sanno accettare,
rispettare o condividere, passano all'atto violento. Si chiede Lea Melandri "Ucci-
6 D. W Winnicott, Dal luogo delle origini, Raffaello Cortina, Milano 1990, p. 127,205
(corsivo mio), 204 (corsivo mio).
7 L. Muraro, L'ordine simbolico della madre, Editori Riuniti 1991; Diotima, L'ombra della
madre, Liguori, Napoli 2007.
8 D.WWinnicott., op. cit., p. 128.
Dossìer
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dono per l'angoscia dell'abbandono, per il limite che la libertà dell'altra impone
alla propria, o perché si trovano per la prima volta in balia di bisogni e dipendenze
rimasti in ombra e cancellati?" Pensando alla frequenza di ornici-suicidi maschili,
sarei propensa per quest'ultima ipotesi: per una sorta di collasso nel rapporto con
se stessi e con il proprio desiderio. Lìnterrogativo di Lea offre un orientamento al
mondo femminile, ma pure alle iniziative di ascolto-accompagnamento
di uomini
maltrattanti che si stanno moltiplicando anche in Italia, benvenute perché nnalmente spostano l'attenzione sugli autori della violenza, e che saranno tanto più efficaci quanto più questa zona oscura verrà accostata, a partire dagli operatori stessi,
con un nuovo pensiero, nuove parole che sappiano far ordine, una nuova cultura
capace di trasformare in altro l'angoscia, la paura, il gesto che fa violento un uomo.
Queste parole non mancano. Parole di uomini? che stanno facendo una tessitura collettiva di un altro ordine simbolico, da anni impegnati in una interrogazione
onesta a partire da sé della propria sessualità e differenza maschile, una pratica politica condivisa con altri uomini e in una relazione di scambio-confronto-contrattazione con donne del femminismo. E proprio dalle donne viene l'insegnamento,
per tutti necessario, che la forza è il vero antidoto alla violenza: una forza che sa
combattere senza odiare, disfare senza distruggere, generata dalla consapevolezza
di sé e dei limiti interiori ed esterni, dal saper accettare vulnerabilità e sconfitte ma
anche dal coraggio di attraversare i varchi, dalI'autorizzarsi con altre a una spinta
creativa, ad agire efficacemente per fare giustizia. Mettere la forza al posto della
violenza è uno spostamento importante per un senso libero dell' essere donne e
uomini, per nuove forme di convivenza, nelle quali nessuna/o sia oggetto di appropriazione o di controllo dell' altro, ma si preservi una giusta distanza affinché il
desiderio viva, la parola trovi spazio per essere detta e ascoltata, le relazioni siano
generatrici di una nuova civiltà di rapporti liberi dalla paura e dal disincontro. Ci
vuole responsabilità. Anche, e soprattutto, responsabilità maschile. Finché, come
scrive Leiss, il virilismo sembra un morto non ancora sepolto, di cui non è stato
elaborato il lutto, è difficile che i fili d'erba si trasformino in fiore.
"Essere un Fiore, è profonda
Responsabilità"
(Emily Dickinson, poesia 1038)
"Projessore ordinario di Pedagogia e differenza sessuale
presso l'Università degli Studi di Verona.
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Penso tra altri agli importanti
contributi di Marco Deriu, Stefano Ciccone, Alessio
Miceli, Alberto Leiss, dell'Associazione Maschile Plurale, che collaborano da anni con
Centri e strutture femminili signifìcative per le loro pratiche, come la Casa delle donne
maltrattate di Milano, e altri gruppi di uomini, e di uomini e di donne insieme.
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