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Gli Stornelli del Manzoni
Anno IV Numero II
Gli Stornelli del Manzoni
Editoriale
Un editoriale politico
di Nitore Artico
Questo numero esce con un mai visto ritardo sulle elezioni e sui commenti, cercherà quindi di guardare al
fenomeno concluso, nello spirito di un anno solare appena sorto. Lo scorso gionalino era infatti già in stampa
alla pubblicazione dei risultati. Sul sito del Corriere, il 14 Novembre, Annachiara Sacchi scrisse:
“Licei: rivincita di destra e cattolici
In primo piano anche liste antipolitiche e goliardiche [...] Il vento dell’antipolitica soffia anche sui giovani. E sui
licei. [...] Perdono quota i collettivi di sinistra, nascono liste goliardiche, vincono gli apolitici, risorge (in sordina)
la destra. [...] Carlo Pedretti (preside del Parini) spiega: «Sono passati quasi 40 anni dal ‘68. E rispetto ad allora
mancano le idee, i progetti, la prospettiva. [...] I collettivi sono orfani della sinistra. [...] Vediamo un ritorno
all’apolitìa: di fronte allo spettacolo penoso dei politici, i giovani si ritraggono»”.
Peccato che con l’attenzione che la giornalista ha sempre dedicato a ogni pseudonovità del nostro liceo,
stavolta non si sia preoccupata di dare nemmeno un trafiletto all’evento manzoniano.
Dall’intervista-video comparsa sul sito, si sente che il Manzoni è rimasto una “roccaforte della sinistra” (quale
non si specifica... qualcuno obietti pure che la sinistra è una). Di fatto, non ha vinto né una lista cattolica, né
una lista “apolitica”. Attenendoci infatti al Devoto Oli, scopriamo i significati delle parole:
apolitico agg. (pl.m. -ci). Estraneo o indipendente rispetto alle manifestazioni o agli interessi della politica militante.
politica s. f. 1. Teoria e pratica che hanno come oggetto la costituzione, l’organizzazione, l’amministrazione dello
Stato e la direzione della vita pubblica.
Non abbiamo uno stato, ma abbiamo un liceo. Non abbiamo destra e sinistra, ma abbiamo antiscuola e
proscuola. Non abbiamo Casa e Unione, abbiamo una specie di Collettivo e una specie di Circolo aperto. Il
Collettivo cerca di resistere alla storia, il Circolo pretende di spingerla. Lo scopo di entrambi è politico e rivolto
alle necessità della scuola. Ma cosa c’è da fare? Creare svago e comunicazione dove gli studenti vogliono
averne e non possono... Propaganda o reclutamento? Tutti abbiamo creduto alla massa, e alla massa abbiamo
parlato. Ma chi legge non è una massa, no? Tu, adesso, non mi sembri autorizzato a sentirti parte di una massa,
no? Hai diritto a svagarti e a comunicare... ma è così che va, o lo puoi o lo vuoi, le due cose insieme no, eh?
Oppure non scrivi sul giornalino perché ci lavorano i cattivi? O perché ti sta antipatico Tommaso Sciotto, il
Direttore del Giornalino? O perché sei un pigrone nichilista amorfo ed alienato? O perché devi studiare?
O perché non sai scrivere?
Perché, Tommaso Sciotto?
Ma te li ricordi i suoi vecchi articoli? Impari a scrivere scrivendo e leggendo agli altri il tuo pezzo e
galleggiandoti quando piace o sprofondandoti quando no. Sorga dalla vergogna uno stile tremebondo,
balzando come un piccione verso l’Überpiccion!
Ora fuori dalla massa.
Al mio tre.
Tre.
Sommario
2 - Editoriale
3 - Attualità/Cultura
10 - Cinema
12 - Videogiochi
13 - Bloc Note
16 - Racconti
21 - Poesie
23 - Saga
24 - Bacheca
Copertina di Tommaso Sciotto
Impaginazione di Tommaso Sciotto
con Giorgia Stefani e Lea Di Salvatore
Correzione bozze di Francesca De Prez,
(in caso di errori non corretti la colpa è del soprascritto Sciotto)
II
Gli Stornelli del Manzoni
Scuola
CONSULTA DEGLI STUDENTI
Lista 2
Machimiconsulta?!
Lista 1
No slogan
Jacopo Lanza
Gionata Cavallini
Benedetta Ziglioli
287
261
34
CONSIGLIO D’ISTITUTO
Lista 1
Innovazione Politica Creativa
Lista 2
No Slogan
Lista 3
Siamo Come Sei
Aldo Sghirinzetti
Davide Canzano
Amar Hadzihasanovic
Zoe Ann Greenslade
Veronica Berni
Benedetta Ziglioli
Antonio Cammaroto
Anna Bonadimani
Federica Grassi
177
175
174
116
174
Gianmarco Peterlongo 158
Claudia Negri
128
Pietro Panizza
113
34
20
11
8
Sembra ieri - Passato, presente e futuro(?) del movimento studentesco
di Lorenzo Parigi 2ªF
Quest’anno le elezioni liceali hanno
visto risultati quantomeno inaspettati.
Malgrado tutto infatti, nei giorni
precedenti al voto, era diffusa l’aspettativa
di una conferma della maggioranza degli
anni passati.
Senza esprimere il mio giudizio politico,
spero e credo che ciò che è avvenuto sia
utile a fare chiarezza. Una chiarezza e
una consapevolezza della propria identità
che non trovo nelle espressioni di coloro
che raccolgono o credono di raccogliere
un certa eredità movimentista di lungo
corso.
Una chiarezza che però manca e non
dovrebbe mancare ad ognuno, giovando
oggi ognuno dei vecchi successi di
quella tradizione, così come subendone
i fallimenti.
Dunque: correva l’anno 1968, i movimenti
erano nati già da qualche anno, ma in
quei fatidici dodici mesi le visioni e il
respiro della contestazione si ampliarono,
straripanti di ideali e volontà di azione.
Un’ondata che travolse il mondo intero.
L’unità d’intenti fu individuata nella
lotta
all’atteggiamento
autoritario
dell’istituzione, fosse essa scuola,
fabbrica o famiglia, con l’obiettivo di una
riorganizzazione sociale, quando non
anche politica, su base egualitaria e non
più classista.
Da subito tuttavia si distinsero due
differenti weltanschauung, sia nell’interpretazione dei traguardi da raggiungere
che dell’approccio alla protesta, le quali
si diffusero diversamente da una parte e
dall’altra dell’Oceano Atlantico.
Emblematico di questa incolmabile
(non troppo, artisticamente parlando)
spaccatura è il magnifico film Zabriskie
Point di Michelangelo Antonioni,
nel quale i due ragazzi protagonisti
dell’amore sfrenato e liberatorio nella
polvere della Death Valley, incarnano le
due diverse anime del Sessantotto. Lui è
il seguace della lotta violenta, autonomo
e individualista, fautore di idee che
attecchiranno maggiormente in Europa;
mentre lei è la pacifista figlia dei fiori,
simbolo americano di una sfiducia nel
grande “sogno”.
Mentre negli Stati Uniti, quindi, ci si unì
contro la guerra nel Vietnam e in difesa
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dei diritti civili, incorporando inoltre idee
e risorse umane degli afroamericani; in
Europa la maggiore sensibilità al carattere
politico della protesta favorì la divisione
e la formazione di gruppi sempre più
ideologizzati.
In nessun paese europeo però, la
contestazione risultò così lunga e
lacerante come in Italia, dove perdurò per
tutti gli anni settanta e oltre.
Le cause furono da un lato l’approccio
ideologico e la chiusura dei vari gruppi,
ma buona parte della responsabilità va
agli strateghi della cosiddetta “strategia
della tensione”: un’escalation di stragi
civili in territorio italiano ordite dalle
maggiori potenze della NATO ed
eseguite da gruppi neofascisti con il
supporto logistico della CIA. La loro
finalità era quella di delegittimare il forte
Partito Comunista Italiano (34 % nel
1976) e istituire un stato di polizia o un
regime militare in un paese strategico
nella geopolitica della Guerra Fredda,
quale era l’Italia.
Le principali “Stragi di Stato” avvennero
alla Banca dell’Agricoltura di Milano nel
Gli Stornelli del Manzoni
1969, in Piazza della Loggia a Brescia e sul
treno Italicus in viaggio presso Bologna
nel 1974, alla Stazione di Bologna nel
1980.
Fu così che iniziarono gli scontri dei
militanti della nuova sinistra con quelli di
estrema destra, con la polizia, tra di loro.
Dal ’67 al ’70 nacquero: Lotta Continua,
Potere Operaio, Avanguardia Operaria
e vari gruppi marxisti-leninisti (ML),
della cui orbita entrò a far parte anche
il vecchio Movimento Studendesco.Essi
furono fortemente critici verso il Partito
Comunista, troppo istituzionalizzato, e
verso la sua area giovanile e movimentista
rappresentata dalla FGCI (Federazione
dei Giovani Comunisti).
Più la tensione cresceva, più lo scontro
s’inaspriva e la ritmica, inesorabile
successione delle stragi “nere” finì con il
sortire il risultato sperato, l’entrata di un
numero crescente di militanti di sinistra
nella nebbia della lotta armata .
E così la clandestinità accolse in ordine di
tempo: il Gruppo XXII Ottobre, i Gruppi
D’Azione Partigiana, le Brigate Rosse e
in seguito Prima Linea, fondata nel 1976
da fuoriusciti di Potere Operaio e di Lotta
Continua, sciolta quello stesso anno.
Inoltre il 1976 vide la nascita di Autonomia
Operaia: essa più che un movimento
fu un area nella quale confluirono le
frange della sinistra extraparlamentare
più critiche nei confronti dei “riformisti”,
identificati con il PCI e i suoi gruppi di
riferimento.
Oggi si tende ad identificare l’Autonomia
con gli scontri di piazza, con la P38, con
un’idea della politica anti-istituzionale,
Scuola
assoluta e con una forte impronta
“militare”; tuttavia in quel grande e
confuso calderone emersero due anime
distinte e contrastanti, che andarono a
caratterizzare il nuovo Movimento del
’77.
Da una parte c’era la frangia violenta,
quella degli assalti alle armerie e degli
spari in manifestazione; dall’altra si fece
avanti un’interpretazione della lotta
fondata sulla provocazione culturale,
sul sovvertimento del linguaggio,
che si propose di utilizzare forme di
aggregazione
politica
decisamente
alternative alla tradizione della nuova
sinistra: penso agli Indiani Metropolitani
o ai periodici di controinformazione come
A/traverso, attivi soprattutto nell’area
bolognese.
Purtroppo il filone creativo finì presto
schiacciato dall’Autonomia violenta, e
molti giovani senza obiettivi caddero nel
giro dell’eroina.
Sul finire dei Settanta l’azione sempre
più folle e audace delle BR finì inoltre per
causare l’implosione di un grandissima
parte del movimento, e il caso Moro
decretò di fatto la fine dei gruppi della
sinistra extraparlamentare, per lasciare
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spazio alla sola Democrazia Proletaria,
una coalizione elettorale attiva per tutti
gli anni ’80.
Sul versante giovanile si dette invece
inizio all’esperienza dei Centri Sociali,
nati come forme aggregative di quartiere.
Per anni essi hanno introdotto nuovi
sistemi di azione politica diffusa, ma
oggi appaiono sempre più influenzati da
diversi gruppi e inseriti all’interno di una
rete frantumata e debole.
Ad oggi dunque, del prolifico e policromo
Movimento del ’77, sopravvive più che
altro molto del peggio: espressioni
politiche come i Collettivi di scuola, che si
richiamano a quella eredità, manifestano
una visione della democrazia abbastanza
zoppicante, una pratica politica poco
permeabile alle istanze “reali” degli
studenti, perseverando strenuamente
in una ritualità di iniziative (picchetto,
occupazione a scadenza...).
Tuttavia oggi c’è anche chi si richiama
all’”innovazione”, parola chiave, che si
coniuga un po’ con tutto, ma che spesso
cela obiettivi contrastanti o poco chiari.
Va innanzitutto specificata la direzione
verso la quale si intende innovare, per
non cadere nell’odierna ambiguità di
parole come “riforma e “riformista”.
Se quindi coloro che si dichiarano
sostenitori di una svolta (a partire
dagli organi di stampa che avete in
mano), puntassero a ricercare quanto
di “innovativo” la storia del movimento
abbia prodotto sul piano culturale, delle
forme di comunicazione e del linguaggio,
oltrepassando magari gli orizzonti del
“nuovismo” democratico...
Gli Stornelli del Manzoni
Attualità/Cultura
Bullismo nelle strade
di Cip, Ciop e l’allegra consorteria del bosco
È sempre più in aumento il fenomeno del
bullismo nelle strade della nostra città. Per
bullismo si intende il comportamento di
ragazzetti che non hanno niente di meglio
da fare che andare in giro armati con lame
di varia natura a importunare, infastidire
e rapinare i ragazzi più giovani e indifesi.
Questi ragazzi tra i tredici e i diciassette
anni si divertono in questo simpatico
modo. La cosa buffa è che, parlando di
bulli, generalmente pensiamo a zone di
periferia, poco e mal frequentate e molto
degradate; ma essi sono presenti anche
in luoghi ben più centrali e “in”: Colonne,
Duomo, via Torino, corso Vercelli, corso
Como...zone
frequentatissime
dai
giovani. Ovviamente, è inutile dire che
chi minaccia raramente è da solo, e mai
e poi mai importunerebbe qualcuno che
vagamente potrebbe controbatterlo: gli
infami, infatti, si muovono in branco
(migliore definizione per un insieme
di cani) e attaccano solamente i
ragazzi dai 14-15 anni in giù. Possiamo
tranquillamente affermare che sono dei
vigliacchi e dei codardi. Forti coi deboli e
deboli coi forti: questa è la semplice morale
che permette a questi esseri di proliferare.
Sorge spontanea una domanda: perché?
Perché minacciano e rubano nonostante
una buona parte di loro provenga da
famiglie agiate e benestanti? Il problema
è che loro non vivono questi atti come
furto e minaccia, ma come semplice
passatempo per il sabato pomeriggio.
Inoltre si divertono in questo modo per
dimostrare la loro superiorità e per sentirsi
“fighi”. Probabilmente nessuno gli ha
mai spiegato che “figo” non è chi ruba, chi
minaccia, chi picchia supportato da cinque,
sei, certe volte anche di più compari, ma
chi queste ingiustizie le combatte.
Ancora peggiore di questi bulli è chi non
aiuta quelli che si trovano in difficoltà.
Quando un ragazzino minacciato da
qualcuno chiede aiuto a un passante,
vorremmo sapere da questo se non
aiutandolo per caso non provi un minimo
senso di colpa.
Oltre a rubare soldi, occhiali griffati e iPod,
hanno creato un vero e proprio mercato
nero, nelle loro scuole: 20 euro un paio
di Gucci, 50 un Nokia, tanto per fare un
esempio.
Le scuole sono teatro anche dell’altro
lato del bullismo. Non l’estorsione, ma la
violenza fatta senza ragione.
Un esempio è ciò che è successo l’8
novembre a Tortolì, in Sardegna: nel corso
di un banale diverbio davanti alla scuola,
causato, pare, da alcuni apprezzamenti
sulla ragazza di un giovane, questi (18enne)
ha tirato fuori un
coltello a serramanico
e ha colpito il 16enne
che aveva “sgarrato”.
Questi casi non sono
isolati, anzi...esempi
di violenza fatta solo
per “far brutto” si
trovano dappertutto. Il
problema, pensiamo, è
la mentalità che questi
bulletti adottano. Non
si può rapinare un
ragazzino solo per
essere notati. Non
si può pugnalare un
ragazzo solo perché
ha affermato che la
propria ragazza è
gnocca. Non si può.
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Comportare a comportarsi come animali.
La legge punisce (o dovrebbe punire)
questi atti. È breve il passaggio tra una
minaccia ad un ragazzino fatta tanto per
fare a minacce regolari ed organizzate
(tanto per fare un esempio: la banda
di piazza XXV aprile, che ogni sabato
si piazza lì e aspetta tutti i ragazzi che
dallo Shocking vanno al Tocqueville...). Il
primo è idiozia, il secondo reato. E questo
non lo capiscono, essendo idioti; o se lo
capiscono lo commettono per il gusto di
violare la legge, essendo ulteriormente
idioti. Ma illegale non è figo. Illegale è
semplicemente sbagliato.
Abbiamo deciso di scrivere questo articolo
perché siamo stati tutti, o per lo meno
conosciamo tutti bene, vittime di questi
soprusi, definiamoli così. Vorremmo la
vostra opinione, il vostro parere, le vostre
esperienze in merito.
Come è possibile combattere questo
fenomeno?
Come faccio ad uscire con un mio amico,
con la mia ragazza, con qualsiasi persona
senza che una banda di idioti non mi
rovini il pomeriggio? Come ci si può
difendere da 8 energumeni che affermano
di ammazzarti se non dai loro l’I-Pod?
Se avete una risposta, ammesso che
ce ne sia una, fatela sapere a tutti.Da
questo sondaggio possiamo dedurre che
non è vero che tutti gli studenti sono
completamente contrari alla riforma,
mentre possiamo notare un malcontento
comune per la non funzionalità dei debiti;
molti alunni ritengono che gli esami a
settembre siano un rimedio estremo e
che si dovrebbe trovare invece una via di
mezzo.
Gli Stornelli del Manzoni
Attualità/Cultura
I monaci birmani
di Maryam Turrini 1ªF
L’effetto che hanno suscitato sul mondo è
enorme. È il risultato di una grande coerenza
e sincera religiosità che li accompagna nella
vita. I monaci di Birmania attraversano con
la loro ferma opposizione l’intero Occidente,
anche se in tutti i modi vengono ostacolati
dal regime che li opprime sia fisicamente che
psicologicamente. Non hanno avuto paura
di manifestare la propria identità religiosa
né gli ideali che stanno alla base della loro
esistenza. Il “sacrificio” che compiono
ha riscontrato l’attenzione dei media di
tutto il mondo e ha colpito la sensibilità
delle persone. Nonostante le critiche
internazionali, i generali continuano ad
incarcerare oppositori e manifestanti;
all’inizio la situazione era abbastanza
tranquilla provocando solo la sorpresa del
regime, il secondo giorno ci furono i primi
tre arresti che accentuarono la proteste.
Poi cominciarono i gas lacrimogeni e le
prime repressioni armate; il terzo giorno
i cittadini hanno fatto da scorta ai monaci
che manifestavano. Sono tornati in piazza
il 31 ottobre senza particolari problemi o
ostacoli. Qui al Manzoni abbiamo potuto
parlare dei fatti di cronaca grazie ad un
giornalista, che essendo stato presente
nel luogo dell’accaduto e avendo osservato
gli avvenimenti da vicino, ci ha illustrato
la situazione. Nelle foto li si vede mentre
marciano decisi sotto la pioggia, rasati
e con quella tunica color ruggine; sono
i rappresentanti del Buddismo che si è
mantenuto nella sua integrità e non si
è piegato sotto la brutalità dell’attuale
regime. Si tratta di persone che hanno
che gliela vogliono sottrarre; e tutto ciò
sebbene siano monaci che siamo abituati
a identificare come persone del tutto
isolate e distaccate dalla realtà terrena.
Infatti, essi colpiscono con la loro presenza
apparentemente silenziosa, tanto scomoda
per alcuni, ma che in realtà comunica una
decisione forte e ferma. Oltre ai riti di
contemplazione che praticano distaccati
dal mondo, i monaci riescono quindi a
conciliare la propria religiosità anche
scendendo in piazza e agendo quindi in
modo concreto e pratico. Dimostrano che in
ogni ambito della vita possono mantenere
e manifestare la propria identità, in questo
senso testimoniano l’unità tra azione
e contemplazione, poiché infatti da
monaci si interessano a questo mondo
terreno, in una prospettiva unicamente
religiosa. Il loro comportamento pacifico
ha fatto riflettere e comprendere che si
può opporsi con forza anche senza fare
uso della violenza, anzi la loro serietà
e il loro silenzio sono stati più efficaci
di qualsiasi arma. L’atteggiamento
che hanno assunto non ha nulla di
egocentrico, ma è tutto incentrato
sullo scopo, cioè il mantenimento della
propria identità ed integrità religiose
attraverso l’opposizione al regime. I
monaci hanno suscitato delle riflessioni
perché si contrappongono ad una
visione errata della religione che fa uso
di violenza per imporre il proprio credo e
che purtroppo è molto diffusa oggi. Sia i
gruppi fondamentalisti e integralisti, sia
tutti coloro che non sanno testimoniare
la propria fede perché troppo omologati
in un sistema ideologico, avendo perso
la loro vera identità spirituale, sono
portatori di prospettive contrapposte
ad una tranquilla e serena pratica della
religione, di cui sono invece un esempio i
monaci. Questi ultimi non rappresentano
solo una opposizione nei confronti di un
regime autoritario e accentratore, ma
anche per quelle strumentalizzazioni
dei culti a fini politici ed economici o
frutto di una interpretazione errata dei
testi sacri, che provocano la diffusione di
pregiudizi e stereotipi controproducenti
per la vita di un normale religioso.
come base della dittatura socialista) si
ribadisca la supremazia dell’uomo e non
di Dio e rimane scandalizzato dal fatto
che Dio è stato scritto con la minuscola.
In poche parole, le uniche due cose
positive del trattato del Lanzin le bolla
come eresie!
Proseguendo sul volantino, salta subito
all’occhio la frase: ”Scientificamente non
è ancora possibile dire cosa ha detto o non
detto Buddha. Questo vale anche, in misura
minore, per Maometto e il Corano!”
Innanzitutto la fede NON si può
misurare con la scienza(e un cattolico
come Padre Gheddo dovrebbe saperlo),
e poi nemmeno di Gesù Cristo si ha la
prova scientifica di ciò che ha detto o
fatto in realtà, né tantomeno possiamo
dimostrare che la Bibbia sia stata
effettivamente rivelata da Dio.
In poche parole il suo è un discorso
che non sta in piedi,anche perché poi
aggiunge “tutto ciò (la mancanza di prove
su ciò che ha detto Buddha) non impedisce
al buddhismo birmano di sopravvivere”: ci
mancherebbe pure che le religioni non
sopravvivessero perché non si possono
dimostrarne scientificamente i principi.
Ma la cosa su cui avrei più da ridire, in
quando buddhista, è quando dice che
questa religione predica un’accettazione
passiva per assicurarsi una rinascita più
felice: questa affermazione non è di certo
nella natura buddhista, altrimenti si
svuoterebbe completamente il significato
del Karma e del principio di causa.
principi di vita molto differenti da quelli
occidentali, per esempio concepiscono
la pace come serenità spirituale e non
come “pacifismo”, e non pensano alle
parole “libertà” o “indipendenza” di se
stessi in quanto individui ma a favore del
culto che rappresentano. I monaci si sono
dimostrati dei religiosi non emarginati dal
contesto sociale, anzi ne hanno preso parte
egregiamente manifestando con forza la
propria volontà. Essi non sono avulsi dalla
realtà del mondo odierno, ma partecipano
alle questioni politiche, tengono alla loro
libertà religiosa, e si oppongono a coloro
Questione di karma
di Jessica Guarnieri 2ªH
Durante l’assemblea di istituto sulla
Birmania, è passato un volantino di
Manzoni CL. Il volantino in questione
è un resoconto di Padre Gheddo,
missionario del Pime, che tenta di
spiegare cosa c’è alla base della tragedia
che sta dilaniando la Birmania (nota
soprattutto per la recente ribellione dei
monaci buddhisti): tuttavia non solo
non è molto ferrato sulla religione dei
suddetti monaci, ma tenta in ogni riga di
ribadire la supremazia del cristianesimo.
Partiamo dal male ‘minore’: nella critica
che fa alla via birmana del socialismo
si sofferma soprattutto sul fatto che nel
“Programma del Lanzin” (nel quale sono
esposte le idee di base da cui partire
per una società nuova, varato nel 1962
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Gli Stornelli del Manzoni
Piccola spiegazione sul significato di
karma: ognuno di noi crea il proprio
karma; i pensieri, le parole e le azioni del
passato hanno formato la nostra realtà
presente, mentre ciò che diciamo e facciamo
nel presente influenzerà il nostro futuro.
L’influenza del karma si estende da una vita
alla successiva, permanendo durante lo stato
di latenza tra la morte e la rinascita, mentre
la legge del karma determina le circostanze
della propria nascita e della propria natura
individuale e rende conto delle differenze
degli esseri viventi e degli ambienti in cui
vivono: il karma positivo nasce dalla buona
volontà e dalla compassione; quello negativo
dall’avidità, dalla collera e dalla stupidità.
Se il buddhismo predicasse l’accettazione
passiva, come caspita potremmo
immettere cause positive nella nostra
vita che alleggeriscano il karma e ci
Attualità/Cultura
assicurino una rinascita più vicina alla
via dell’illuminazione? Trascorrendo la
vita come delle amebe forse?
Ed è anche questo che sta alla base del
motivo per cui i bonzi sono scesi in
strada accanto al popolo,assecondando
lo spirito della bodhisattva,che è appena
un gradino sotto il raggiungimento della
Buddhità, nonchè il desiderio di aiutare
gli altri a sostituire la sofferenza con la
felicità:quelli che si trovano in questo
stato di bodhisattva traggono la più
grande gioia e soddisfazione nel dedicarsi
alla felicità altrui,spesso a spese del
proprio benessere o della propria vita.
Quindi non c’è da stupirsi se i bonzi han
deciso di protestare, anzi, ce ne sarebbe
nel caso se ne fregassero altamente di ciò
che accade alla popolazione.
Loro non protestano per motivi
religiosi,non scendono in piazza in
nome della fede,ma lo fanno per motivi
sociali(e poi anche loro fanno parte
di quella popolazione sottomessa che
muore di fame).
Da un articolo de ‘Il Giornale’,un monaco
risponde a una domanda postagli in
un’intervista:«Monaci e civili sono come
moglie e marito, la nazione è come una
grande famiglia, se qualcuno sta male
tutti finiscono con il soffrire. Se la crisi
economica rende impossibile la vita dei
cittadini è difficile illudersi che i monaci
possano star bene. I miei confratelli
soffrono per la povertà del Paese e anche
per la mancanza di libertà. Esattamente
come i cittadini. Dunque è logico che in
momenti come questi i monaci stiano al
fianco dei loro compatrioti e protestino
assieme a loro».
trovò ad essere il capo di un Ordine.
I modi di vivere il Buddismo sono,
ancora oggi, fondamentalmente due:
l’appartenenza all’Ordine composto da
monaci (bhiksu) o monache (bhiksuni) e
la confraternita dei laici (upasaka). Non
avendo lo stato monacale un valore di
investitura divina, il monaco può tornare
allo stato laicale se non ha più intenzione
di seguire le regole dell’ordine.
I testi canonici del Buddismo considerati
autentici sono raccolti in due Canoni:
Pali e Sanscrito. Il primo rappresenta
una sintesi delle dottrine predicate dal
Buddha o a lui attribuite e delle teorie
della scuola Hinayana. Il secondo è nato
invece circa sei secoli dopo la morte del
Buddha, varia molto come suddivisione
e denominazione da Stato a Stato ed
è sostanzialmente legato alla scuola
Mahayana.
Il Buddismo si pone come filosofia di vita
e soprattutto come pratica meditativa. Per
questo il Buddha non negò esplicitamente
l’esistenza degli dei bramani che, a parer
suo, sono completamente ininfluenti
sulla vita dell’uomo e stabilì che il
cammino che porta alla salvezza, l’uomo
deve trovarlo da solo.
Le dottrine del buddismo sono riassunte
nel dharma (insegnamento o vie del
Buddha) e comprendono : le quattro
nobili verità, l’ottuplice sentiero e il
nirvana. Le prime riguardano le quattro
verità fondamentali dell’esistenza, che
il Buddha ritiene essere caratterizzata
dal
duhka(dolore)
provocato
dal
trishna(desiderio) che può cessare
solamente grazie all’Ottuplice Sentiero.
Questo è il mezzo pratico che il Buddha
pone per arrivare all’eliminazione dei
desideri. Seguendo queste otto strade
l’uomo giunge alla perfezione, eliminando
le tre radici del male: concupiscenza
(brama), ira (odio) e ottenebramento
(cecità mentale), e sprofonda così nel
Nirvana che, diversamente interpretato
da ogni scuola buddista, non è uno
“stato”, bensì una“condizione”di assenza
(non c’è morte e vita, gioia e dolore...).
Sul piano del comportamento sociale
il Buddismo riconosce l’uguaglianza
formale di tutti gli uomini (“formale”
perché di fatto con la dottrina della
“non resistenza al male” esso disarma
spiritualmente il popolo di fronte agli
sfruttatori) questo perché, dipendendo
dalla propria volontà, ogni singolo può
raggiungere la salvezza morale. Non
si difende dal male ricevuto, non si
vendica, non condanna chi commette
un omicidio. Nel complesso il buddista
ha un atteggiamento di indifferenza per
il male, limitandosi a non compierlo.
D’altra parte -dice il Buddismo- “chi ha
sana la mente non compete col mondo
né lo condanna: la meditazione gli farà
conoscere che nessuna cosa è quaggiù
durevole, salvo gli affanni del vivere”.
Il buddista sostanzialmente è convinto
che chi compie il male, vedendo la nonreazione da parte di chi lo subisce, ad un
certo punto si renderà conto che è inutile
continuare a compierlo.
Il Buddismo
di Federica Piron e Paola Croci 2ªE
Il Buddismo è la prima religione
universale apparsa nella storia, ed è una
delle più importanti dell’Asia. Il Buddha,
personaggio storico accertato, il cui nome
era Siddharta Gautama, visse nell’India
del Nord nel VI sec. a.C. e nacque
dalla regina Maya, moglie del nobile
Suddhodana. Prima di intraprendere la
sua ricerca spirituale, il Buddha viveva
nell’agio presso il palazzo del padre,
seguendo l’educazione necessaria a
divenire, un giorno, re di una regione
che oggi corrisponde al Nepal. Poco
prima di compiere trent’anni il principe
Siddharta, incontrando gente afflitta da
malattia, vecchiaia e morte, ne fu molto
impressionato. Allo stesso modo rimase
profondamente ammirato dalla serenità
di un saggio eremita. Abbandonò casa
e famiglia, in cerca di una soluzione
definitiva alle grandi sofferenze del
mondo. Intraprese in tale ricerca diverse
pratiche spirituali ed incontrò molti
maestri, finché, insoddisfatto di quanto
sperimentato, cercò la sua via: una via
di mezzo tra l’estremo ascetismo e una
vita legata ai piaceri dei sensi. Sotto
l’albero della Bodhi (risveglio) raggiunse
infine l’illuminazione, diventando noto
come il Buddha, il Risvegliato.Alla morte
il Buddha non lasciò successori e la
comunità continuò ad operare insieme
riunendosi anche in tre concili dove
redisse un Corpus Canonico codificato.
In principio, il Buddha non ebbe quindi
in mente d’imporre una disciplina
monastica, ma dovette farlo quando si
7
Gli Stornelli del Manzoni
Attualità/Cultura
Calcio vs sport alternativi
di Erika Poletti 4ªE
Questa è un’aperta critica verso il calcio e la società d’oggi, ma non arrabbiatevi prima di averla letta: vi rivelerà più di quanto possa sembrare.
Click.. scandalo calcistico per la
serie A...click.. tifosi manifestanti
a San Siro, gravi disastri...click...
vediamo ora i risultati delle partite di
campionato....Click. Che noia. Il calcio
si vede dappertutto: sui giornali, in
tv, ancora un po’ le facce dei calciatori
ce le stampano sulla cartigienica.
Io sinceramente sono stufa. Poi non
so voi. Di tutti questi scandali, dei
tifosi che più che tifosi mi sembrano
degli animali in gabbia. Beh, certo,
distruggono tutto ciò che gli capita fra
le mani. Tra gli scandali più gravi c’è
Calciopoli (72 partite sotto inchiesta
in sole 2 stagioni), negli anni ’80 per
il doping e bilanci truccati. Ma allora
siamo solo noi? No. Anche in Spagna e
Francia si sono dovuti fare i conti con
parecchi episodi di razzismo. E poi,
detto fra di noi, non è che i calciatori li
paghino un po’ tantino?! Beh ditemelo
se sbaglio! Insomma poi è ovvio che
non gli viene più voglia di far nulla! E
poi, questi tifosi. A me non sembra che
vadano allo stadio proprio per tifare la
loro squadra, forse più per annientare
gli avversari...io li chiamerei sporchi
assassini..(un po’ pesante?!). E dov’è
finito lo spirito di squadra? Quello per
cui si sta zitti durante un inno nazionale
e non si fischia come degli idioti solo
perché non si sa come passare il tempo.
Insomma dov’è finita l’emozione per
una partita, il desiderio di vincere
insieme? Credo che pur di vincere si
faccia fin troppo. Beh, forse se l’esito di
una partita valesse milioni, ci penserei
anche io due volte prima di perdere.
O forse sto parlando tanto per nulla,
magari c’è davvero qualcuno che ha
capito che non c’è solo il calcio. Non so
se ve ne siete accorti... Qualcuno ha forse
notato che siamo campioni del mondo
di pallavolo da 2 anni? E’ inutile che vi
scervellate per trovare una risposta. No,
certo. E pensare che quando abbiamo
vinto il mondiale di calcio ce l’hanno
menata per un anno intero. Pensandoci
però, non possiamo mica lamentarci.
Il calcio rispecchia perfettamente ciò
che è la società di oggi: falsa nel suo
interno, che pur di arrivare ai propri
scopi è disposta a tutto; assetata di
potere e di denaro. E per fortuna che,
grazie alla mia esperienza ho potuto
conoscere altri sport che spero vi
incuriosiscano almeno tanto da non
farvi addormentare nelle righe seguenti
e vi facciano accendere quella famosa
lampadina che c’è nel nostro cervello,
ma che troppo spesso è occupata a
pensare quanti punti ha il Milan nel
campionato.
Ci sono sport che forse la maggio parte
di voi non conosce, dove non spirito
della gara, il rispetto per l’avversario,
prevalgono su tutto. Un esempio di
questo sono l’hurling (mai sentito
nominare vero?!), il rugby (ben più
noto) e il football gaelico, che a dispetto
di quanto molti pensano, non ha nulla
a che fare con il calcio. Ecco un rapido
accenno al rugby, che anche se qui
in Italia si vede poco, in Irlanda ad
esempio è lo sport nazionale. Si gioca
in 15, la palla è ovale e la partita dura
circa 80 minuti divisi in due tempi. Lo
scopo è come in tutti gli altri sport, fare
più punti, segnando le mete, ovvero
portando la palla oltre la linea di fondo.
La meta per i rugbisti non è il semplice
fare punto: è campo cancellato, la
scomparsa totale dell’avversario. Nel
rugby il capitano non è solo quello con
la fascia bianca al braccio, che nel calcio
sta ad indicare il più pagato. E’ quello
che quando pensi di mollare lo guardi
e ti senti un verme. La logica del rugby
può essere definita quasi primitiva, è
una guerra: bisogna far indietreggiare
il nemico fino a schiacciarlo contro
il muro che ha alle spalle. Nessuno
potrebbe mai osare paragonarlo al
calcio. L’hurling invece è uno sport
molto particolare, di origine irlandese.
E’ simile all’hockey su prato: si gioca
in 15 con una mazza, chiamata hurley
e costruita tradizionalmente con la
radice di frassino e una palla di cuoio,
8
chiamata sliotar. Bisogna mandare
quest’ultima fra due paletti, o sopra o
sotto la sbarra. Questo gioco merita il
titolo di palla più veloce in termini di
gioco. Un buon colpo può raggiungere
la velocità di 150 Km/h (nessuno lo
sapeva vero?!). Spesso la palla è così
veloce che non la si vede volare. La
precisione e la destrezza in questo sport
valgono quanto la forza di muscoli in
altri. Nonostante ci siano molti club,
l’Irlanda è l’unica squadra che ha una
nazionale. Associato all’hurling spesso
incontriamo un altro sport molto
veloce e spettacolare, il calcio gaelico,
lo sport più caro agli irlandesi. A prima
vista il calcio gaelico appare come una
combinazione fra il calcio ed il rugby:
i giocatori avanzano con la palla sul
campo trasportandola, calciandola
e passandosela con la mano fra
compagni di squadra. Il fuorigioco non
esiste e i punti si contano nella stessa
maniera dell’hurling. L’atmosfera che
c’è quando si gioca la finale a Dublino
è indescrivibile: almeno un quarto
della città si trova allo stadio. Se i
tifosi calcistici italiani e non passano
le giornate successive alle partite a
criticare gli arbitri, nel calcio gaelico la
situazione è ancora più incandescente:
gli arbitri vengono spesso criticati e
contestati per le loro decisioni. Una
leggenda metropolitana assai diffusa
(ma falsa) racconta di un arbitro chiuso
nel vano di un automobile dopo una
partita di club nella Contea di Wicklow
da giocatori non soddisfatti. In realtà
ciò non avviene mai: le regole sia nel
calcio gaelico che ne l rugby vengono
seguite molto rigidamente e nessuno
si sognerebbe mai (come oggi succede
troppo spesso nel calcio), di aggredire
un albitro sia verbalmente che
fisicamente.
Attualità/Cultura
La stupidità è anche virtuale - tratto da “Il bimbominkia (nonciclopedia.it)
di Federico Di Matteo 5ªG
Dalla creazione degli SMS, ai giochi
ondine fino alle chat community, si è
potuto chiaramente vedere l’avvento di
un nuovi gruppi di persone (soprattutto
giovani), chiamati “bimbiminkia”.
Questi sono persone odiosissime che
spendono la maggior parte del tempo
davanti ad aggeggi virtuali, e rompendo
i maroni a tutte le persone in contatto
con loro, gasandosi con storie inventate.
Il linguaggio di queste persone si pensa
derivi dal greco,poiché si trovano
molte contrazioni, da “tvb” a “cm va?”
e cose più incomprensibili, fino alla
caduta delle vocali(“k s f?” traduzione
“che si fa”). Altre cose più recenti sono
il cambio della negazione “no” con
“nuuuuuuuuuuuuuuuu”.
Hanno ormai dimostrato che per un
italiano è più facile apprendere il cinese
che il linguaggio dei bimbominkia.
Oltretutto questi bimbominkia si
credono superiori, quindi in grado si
poter sfottere tutti, ma alla fine finiscono
per essere sfottuti loro.
Una cosa che differenzia il bimbominkia
è anche l’appoggio che da per qualsiasi
novità di successo, senza curarsi se la
cosa sia di suo gradimento o vada contro
i suoi ideali.
Infatti è classico dei bimbominkia
femmina (senza offesa) andare in
giro ascoltando i Tokio Hotel o altri
gruppi, sperando un giorno di poterli
incontrare, e perciò ogni volta che questi
idoli vengono offesi (come succede ogni
volta che leggete questo articolo), si
accaniscono contro colui che li ha offesi
(cioè io).
Secondo
alcuni
sondaggi
(non
chiedetemi chi li ha svolti) siamo arrivati
a tali conclusioni:
-Quando un bimbominkia non sa cosa
dire,sfotte l’interlocutore
-Chi sfotte qualcuno è un bimbominkia
-Chi sfotte un bimbominkia è un
bimbominkia
-Poiché sfotto i bimbominkia con questo
articolo, io sono un bimbominkia
-Siamo tutti bimbominkia
-La mattina guardano deliziati i puffi
e alla sera dragonball.guardano anche
“mister lui”, e gli piace quasi quanto i
puffi.
-I bimbiminkia inviano in genere 3512
trilli al giorno. Nel week-end alcuni
arrivano anche a 9843.
-Il bimbominkia tifava Juventus prima
di calciopoli. Ora tifa Inter.
-Io tifo Milan.
Storia degli scioperi - Prima parte
di Diego Begnozzi 5ªC
Scioperare: deriva dal latino exoperare,
composto di ex ed operare (lavorare),
quindi significa non lavorare.
Lo sciopero è un’astensione collettiva dal
lavoro. Questa pratica oggi è riconosciuta
dallo Stato (art. 41 della Costituzione: “Il
diritto di sciopero si esercita nell’ambito
delle leggi che lo regolano”), ma il
cammino per arrivare a questo risultato
è stato molto lungo e arduo.
Il primo sciopero di cui si hanno notizie
avvenne sotto il regno di Ramses III,
verso il 1180 a.C. Accadde che i contadini
che costruivano la tomba sotterranea del
Faraone non ricevettero il salario (pagato
principalmente in cibo) che spettava
loro. Bene, questi contadini decisero
di interrompere il lavoro, sedersi, ed
aspettare che il Faraone pagasse i
salari. Ovviamente non esistevano
sindacati od organizzazioni che avessero
programmato il tutto, ma nonostante
“l’improvvisazione” il primo sciopero
noto della storia funzionò, infatti agli
scioperanti furono consegnati grano ed
orzo. Inoltre pare che nei mesi successivi
siano stati organizzati altri scioperi, in
quanto continuavano a non essere pagati.
E la cosa interessante è che nessuno
venne punito! (sempre secondo quello
che ci è stato tramandato, ma va anche
detto che gli scribi erano tutti pagati dal
Faraone che certamente non voleva fare
brutta figura con i posteri...).
Andando avanti negli anni, uno sciopero
passato alla storia è quello compiuto
dai plebei romani nel 494 a.C. (questo
evento viene più comunemente chiamato
secessione, ma si possono ravvisare
analogie con gli scioperi odierni).
Riassumendo
una
storia
molto
complicata, si può dire che a Roma
erano presenti due classi sociali: patrizi e
plebei. I primi, discendenti dei fondatori
della città, erano gli unici che detenevano
il potere politico. Infatti come consoli
e senatori, le massime cariche della
repubblica, erano eleggibili solo patrizi.
I plebei, esasperati da questa situazione,
decisero di scioperare e si ritirarono
sull’Aventino. Grazie alla mediazione
di Agrippa, la plebe interruppe il suo
sciopero e tornò in città. Da quell’anno fu
istituita la carica di tribuno della plebe, il
protettore dei diritti della plebe.
Nella storia romana ci furono molti altri
scontri fra le due classi sociali, che spesso
sfociarono nel sangue.
Tornando agli scioperi, per trovare le
prime forme di associazione simili ai
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moderni sindacati bisogna andare nel
1300, con la nascita delle corporazioni.
Esse erano gruppi di lavoratori che si
associavano per tutelare gli interessi
inerenti la propria professione. Esistevano
corporazioni per quasi tutti i mestieri: si
andava dalla Corporazione dei Medici a
quella dei Sarti. Corporazione famosa fu
quella dei Ciompi.
I Ciompi erano gli addetti alla filatura
della lana, ed erano nei più bassi gradini
della scala sociale.
Venivano pagati molto poco, e l’inflazione
che colpì l’Europa verso il 1350 li rese
ulteriormente poveri.
A Firenze la situazione degenerò in
quello che fu definito “Tumulto dei
Ciompi”, ovvero uno sciopero generale
presto trasformatosi in una vera e propria
ribellione, che portò Michele di Lando,
leader della Corporazione, ad insediarsi
al Palazzo dei Priori. I ricchi, esautorati,
capirono che la situazione si sarebbe
risolta sa sola, e così fu. La rivolta, infatti,
non ebbe un esito felice. Di Lando non
seppe gestire bene l’enorme potere che
aveva nelle sue mani, scontentando sia i
ricchi che i poveri. La rivolta fu facilmente
domata da una coalizione della borghesia
medio-alta.
Gli Stornelli del Manzoni
Ciclopedia del Cinema B
di Elia Zenoni 2ªH
Braveheart:
Film
storico
di
ambientazioni
scoscese, amato dai
fan di Scorsese, è
un classico pippone
scozzese. Comunque
ci recita l’impiegato
di Dio, Mel Gibson,
che è anche il
reg ist ratore...i l
regista. Regia...bella,
la storia è di questi
in gonna che sfidano il freddo e siccome
gli inglesi, invidiosi della loro impavidità,
gli bruciano le case in modo da alzare la
temperatura e rendere innocuo il freddo
scozzese, questi vanno su tutti i furia
cavallo del west e gliele danno di santa
cagione. Naturalmente però gli inglesi
se la prendono di rimbalzo con la bella
mogliettina di Mel e le spezzano i dischi
dei Simple Minds. Siccome la mogliettina
di Mel era l’unica donna scozzese
apprezzabile, essa aveva tanti amici, non
so se mi spiego; quindi quando Mel vuole
vendicarsi della vendetta, molti sono a
seguirlo (come molti sono a precipitarsi
a casa della moglie appena lui è assente).
Così si macellano tantissimo e le budella
schizzano ovunque, e alla fine Mel
ringrazia dio per tutto quel sangue.
Solo che mentre sta sbudellando con
un’ascia un inglese già morto da qualche
settimana, i figliuoli suoi (di Mel) lo
vedono e rimangono turbati. Ma almeno
con l’impresa lui riesce a salvare il figlio
maggiore demente. Poi fortunatamente
alla fine della guerra arrivano i francesi
con le navi e salvano....no aspetta...c’è
qualcosa che non va, questo è Il Patriota...
dio mio siamo già alla P!!! No non è
possibile, un momento fa ero alla...alla...
sarà meglio ricominciare dalla A, cribbio
sul naviglio!!
A cavallo della tigre:
Guardate che il titolo non c’entra una
cazzuola col film. O sono orbo o proprio
non c’entra. Di cavalli e di tigri non se
ne vedono. In compenso l’ho visto due
volte quindi posso dirvi qualcosa di
più. Si insomma è un film italiano di
quelli un po’ italiani anni ’90 che parla
di sti due...no scusa di sto qua che è in
prigione perché ha organizzato una
rapina con la fidanzata che poi si tiene
i soldi mentre lui lo beccano e viene
coinvolto in un’evasione da due tipi
Cinema
poco raccomandabili, si insomma degli
albanesi. Così scappa e diventa amico
di uno degli albanesi che poi si scopre
essere una brava persona, nonostante
albanese, e lo aiuta a tornare in patria
ma mi sa che muore prima (l’albanese)
e quindi boh. Si perché c’aveva qualcosa
ai denti e poi c’è una scena coi tralicci e
i neon, si perché si fanno un bel viaggio
a piedi, i due. Allora poi lui torna da
lei che sta con un altro che è un pirla
in una casa con vista mare ed arriva la
polizia e poi c’è il finale a sorpresa che
però non mi ricordo, forse lui si getta da
qualche rupe, non lo so, fate un po’ voi.
Auguri professore:
Credo che sia il
continuo
tematico
de La Scuola con
Silvio Orlando...però
non mi ricordo una
grancassa sapete?
Anastasia:
Ma si! Questo è il classicone polpettone
pirandella!!! Bello, si, si. La storia di
Anastasia la conoscete vero? C’hanno
fatto anche il cartone! Si è la storia di
questa qui che assomiglia alla figlia di
una regina di non so dove là ad est e in
pratica si cerca la figlia che non so perché
si era persa o perduta o smarrita e allora
ci sono sti qui che per beccarsi la grana la
prendono e la convincono a fare la burlata
per infinocchiare la regina decrepita ma
poi si scopre che è proprio lei la reginetta
perché aveva una tossicina stitica che la
si riconosce subito yeah! Si che poi lei si
innamora di uno dei coniurati! Che poi
è il fantomatico Jour Brinner!! Il rapato
arrapante! Si insomma questa è roba
grossa, roba molto grossa.
L’anatra all’arancia:
Uhm...ragazzi, non so se avete presente,
zio nababbo, è una di quelle cose che
non ti dimentichi. Naturalmente non sto
parlando del film ma della pietanza, che
te credevi?!
Beh se proprio però devo parlare del
film (e con quel saporino agrodolce, non
so se mi spiego, uhm) posso dire che si
tratta di una commedia all’italiana inizio
anni ’90 (e l’arancia...uhm, che sublime
animale!); di ambientazione coniugale
sviluppa il tema della gelosia (unite
poi il tutto con il più nobile dei frutti;
l’anatra) dal punto di vista dell’absurdus
sentimentale.
Insomma una commedia frizzante
(consiglio la degustazione della pietanza
in ambiente rilassato e poco luminoso)
non priva di arguta ironia (fiammeggiate,
10
pulite e lavate l’anatra asciugandola alla
perfezione) e di ironica arguzia (quindi
mettetela a rosolare in una pirofila con
olio e burro).
E’ stato definito dai critici (appena la
doratura sarà uniforme, mettetela a
cuocere in forno a calore moderato)
un inno alla famiglia ed al matrimonio
indissolubile (passate al setaccio il fondo
di cottura e aggiungetevi il succo filtrato
di due arance con la parte gialla della
buccia di limone tagliata a listerelle
sottili e scottata in acqua bollente).
La regia di Luciano Salice (in una piccola
casseruola fate sciogliere due zollette di
zucchero sfregate sulla scorza d’arancia
e allungate il “caramello” così ottenuto
con l’aceto) permette ai due interpreti
principali, Monica Vitti ed Ugo Tognazzi
(la salsa all’arancia va versata sui pezzi
di anatra trinciata disposti su di un largo
piatto di servizio), di recitare (decorate
il bordo del piatto con gli spicchi delle
rimanenti arance, sbucciate e private dei
semi) nonostante l’acquolina in bocca.
L’amore è eterno finché dura:
Seh, è arrivato il geniaccio.
Alice e Martin:
No, vi prego, ma che arazzo di film è? Ma
probabilmente non l’ho nemmeno visto!
Ma si figurati che è pure un film francese,
cioè PUPPA che me lo vedo.
Ho avuto brutte esperienze con i film
francesi; da piccolo sognavo spesso di
essere in un film francese e praticamente
io ero lì, prendevo i miei salatini, un
aperitivo, un sorrisino qua e là, e non
succedeva nulla, ma proprio nulla!!! Un
incubo che non dimenticherò mai!
Alien:
Il capolavoro tensionico (si potrà dire?).
Sto parlando del primo, non dei successivi
che sò delle stronzate...non mi ricordo
nemmeno i titoli (mica li ho visti!), ma
son roba tipo “Alien vs Woody Allen” e
“Alien: il ritorno del micio cibernetico”.
Comunque io sto parlando del vero
Alien, quello vecchio. Che c’è da dire?
Va visto, questo è certo. Ma come posso
recensire un film che ha già recensito
Guzzanti quando imita Ghezzi?
A proposito andatevelo a vedere su you
tube (“Guzzanti-Ghezzi recensisce Alien”
per gli stolti). Comunque stupendo,
grande tensione, mitica la scena in cui
esce dalla pancia e ancor più leggendaria
la scena del gatto, che, per chi l’ha visto,
se ci pensate, è la causa efficiente di
quasi tutte le migliori scene di tensione;
insomma è fondamentale. Lode al
director’s cat (eh eh...).
Gli Stornelli del Manzoni
Ararat:
Ora vi dico una cosa, sedetevi, poggiate
il palmo della mano destra sul palmo
della mano sinistra senza farvi cadere il
foglio dalle mani e poi fate un bel respiro.
Cinema
Fatto?. Ecco. Bravi..
NELLA COLONNA SONORA CI
SONO I SYSTEM OF A DOWN...cos’è
st’agitazione, calma. Ehmbeh è logico
dato che il film parla dello sterminio
degli Armeni e i System of a Down sono
di origine armena. Comunque sia, oltre a
ciò è un bel film, interessante soprattutto
per chi non sa nulla su uno dei più grandi
genocidi della storia (si non metterti a
Sono tutti sprofondati nel grigiore e nella
pena del loro animo stagnante nella
precarietà del nulla, nella loro misera
impotenza, nel loro panico di solitudine,
nella loro ricerca di qualcosa, di qualcuno,
di qualunque cosa, di qualsiasi qualcuno,
nella loro vita, nella nostra vita, la vita
tocca a tutti, o è un diritto di tutti? O una
fortuna di tutti?
Questi personaggi sembrano annegati
nella più instabile insicurezza, sono
sull’orlo, sull’orlo di una sconfinata
pozzanghera di non senso, l’unico antidoto
rimasto per oscurare i dolorosi conflitti
fisici ed emotivi è la rassegnazione, presa
di non posizione, stato di giustificazione
all’impotenza e allora che restino
immobili, impiastricciati di muta
insofferenza, diventano il paesaggio
fermo di un treno in corsa, il mondo ci
rotola intorno ma rimaniamo lì, al nostro
posticino comodo di sempre, rassegnati,
siamo noi, chi siamo noi? Siamo proprio
quelli lì?Quella tristezza malaticcia?
Quegli innamorati carichi di aspettativa
e delusione? Quelli lì che tremano per un
incubo e uccidono gli innocenti? Quelli
lì che nemmeno lo psicanalista non
sopporta più? Mah...forse si.
Questo film riesce a falsificare la vita per
renderla ciò che è, impossibile, assurda,
una farsa, uno spettacolo lugubre e
grottesco di attori grigi e verdognoli, così
monotoni, imprevedibili, contradditori,
così somiglianti e lontani.
È un film che consiglio a chi cerca
sempre di interpretare, di dare un senso,
di guardare dietro e trovare l’originalità
e l’autenticità di un’opera così semplice e
complicata allo stesso tempo.
È un film che ha la libertà di venir
interpretato, di venir sfogliato nelle
sua varietà di voci, di venir aperto con
qualsiasi chiave di lettura, è un film per
tutti, dedicato alla fantasia di tutti.
Io, aiutata dal titolo originale, ho
identificato il suo messaggio globale con
la vita, con me, con te, con noi.
Siamo scolpiti sullo schermo con qualcosa
che accomuna tutti, l’umanità, il piacere
e il dolore di vivere.
La nostra grottesca presenza sul
mondo, il nostro estenuante sforzo di
comunicazione preferita, il silenzio,
comodo e noioso, ma poi si scorge uno
spiraglio di brillante speranza, di dolce
ottimismo, c’è un anziano che suona
una tromba, un tamburo, una batteria,
lui suona e di fronte a lui, una finestra,
dietro questa, la vita, inzuppata di
pioggia e calpestata dai tuoni, allora è
meglio rimanere a suonare...e lui suona,
suona, continua a suonare, sente solo la
melodia del suo strumento, solo lui, e
qualcuno là intorno, si accorgono della
straordinarietà della vita, un’illusione?
A un certo punto però un uomo si sveglia,
ha fatto un incubo, c’erano dei rumori,
tutti vanno a controllare il cielo, ci sono
degli aerei...
You the Living
di Anna Crosta 2ªA
Un uomo è appisolato in una stanza,
accartocciato sul divano, c’è un tavolo, lo
spazio restante, vuoto.
Geometria casalinga, così artficiosamente
armonica, così terribilmente muta.
Non è giovane, né molto anziano, pare
un cucciolo d’uomo incastrato nella
nudità dei suoi cuscini.
Improvvisamente, balzando, si sveglia,
ricorda di un uncubo, ha sognato...che
cosa ha sognato?
L’essenzialità agghiacciante della camera
si colma di una confusione contorta e
itinerante...”You the living” comincia
così, squallidamente, con un uomo in
canottiera seduto sul letto spaventato e
perplesso.
Da questa quotidianità e normalità
nascono, in un vorticare lento e fitto
di atmosfere ferme, individui, uomini,
donne, chi consumato dalle rughe, chi
illuminato dal pallore metallico di una
giovinezza lucida e piatta, striscianti
sull’immobilità di uno sfondo nebbioso
e spoglio, lo riempiono, lo svuotano, si
incrociano, respirano, parlano, piangono,
ridono, suonano, suonano sempre, col
pensiero, con la speranza, con la musica,
e appoggiati sulle loro note d’emotiva
rassegnazione compiono l’impresa più
ardua dell’esistenza, vivere.
“You the living”( la cui traduzione
italiana risulta eccessivamente artefatta
e poco significativa), è una minuscola ma
abbagliane perla di un cinema che grazie
alla sua essenzialità e genuinità permette
di cogliere il suo significato fondante, di
rendersi bello, originale, spontaneo e
unico mettendoci di fronte alla semplicità
del quotidiano, mostrandoci la banalità
di vivere, il tutto avvolto da un clima
assurdo, paradossale, surreale che non
fa altro che rivelarci per quello che non
sappiamo di essere.
Individua quelli che sono i sentieri più
oscuri e scoscesi dell’esistenza ma nello
stesso tempo i più normali, i più soliti,
i più umani, nel senso proprio della
parola.
Ci sbatte in faccia lo spaccato
impressionante e inquietante di una
società umana sconfitta, desolata,
assente, rassegnata.
11
Gli Stornelli del Manzoni
Cinema
Videogiochi
Presentazione Rubrica “So Trash So Rude”
di Filippo “Mr. Fix-It” Siracusa (ex Filippo “Rude Boy” Siracusa) 2ªB
Salve amici lettori! Devo ammettere:
un mio articolo, sul numero precedente,
mancava a causa di piccole divergenze
avute da me con alcuni componenti del
giornalino; ma la voglia di scrivere ha
trionfato come S. Giorgio sul drago. Così,
ho deciso di abbassare di un poco il livello
di cultura del giornalino, pensando di
creare una nuova rubrica cinematografica.
Ma non film d’essai, anzi, tutt’altro. Come
ben si può intendere dal titolo, tratterò il
cinema Trash Italiano anni ’60-’70-‘80,
così troppo spesso ignorato ed insultato,
che però ha dato alla luce dei proiettori
grandi “capolavori”. Farcito di umorismo
stupido come la Commediasexy, di
Buoni-Cattivi non sempre divisi da una
linea netta come gli Spaghetti Western
(ma non quelli di Sergio Leone, che più
che Trash sono capolavori) e di umorismo
grottesco come i Poliziotteschi, questo
genere ha segnato e descritto com’era
la vera Italia, i desideri nascosti di molti
Italiani e l’ipocrisia, e, diciamocela tutta,
sono una pietra miliare del cinema
Italiano. Si pensi che attori del calibro
di Diego Abatantuono (che poi ha fatto
film come Mediterraneo e Marrakech
Express) sono nati e cresciuti grazie a
questi film. E poi sono film semplici, di
un’ironia spesso molto popolare non
incomprensibile ed accessibili a tutti.
Questo non vuol dire che non apprezzi le
altre commedie, quelle più cervellotiche,
badate bene; però rido e mi diverto
grazie anche a film come “L’Onorevole
con l’Amante Sotto il Letto” o “Il Ras Del
Quartiere”. E poi, come faccio da più di
due anni – infatti i primi tempi trattavo
anche io temi di grande importanza e di
alto livello – cerco di dare una pausa alla
mente dell’attento lettore, che rischia di
esplodere con tutti questi temi così seri
trattati dai miei “colleghi”. Perciò spero
che i miei consigli siano apprezzati, e che
vi godiate la mia rubrica.
Ah, un’ultima puntualizzazione: di certo
non tratterò i film nuovi dei Vanzina,
ma solo quelli vecchi; infatti, un tempo,
grazie alla loro originalità, al loro
umorismo nuovo, avevano un senso:
oramai i loro film sono semplicemente
farciti di insulse volgarità continue e
di nessun elemento ilare, a mio parere
(MIIICHELLINGUAGGIOFFORBITO!).
Videogiochi
di Giuseppe Cassone 4ªG
Non è molto tempo che scrivo per questo giornalino, ma credo che mi abbiate più o meno conosciuto dal mio primo articolo del primo
numero. Be’ sono ancora qui, Cassone Giuseppe pronto per placare la vostra sete di videogiocatori! Ho ricevuto molte richieste di
consigli da alcuni di voi, perciò tratterò gli argomenti che mi avete indicato come più interessanti.
Inizierei dalla domanda base che un videogiocatore vero si pone in questo periodo ricco di nuovi titoli molto allettanti: è meglio il nuovo
Pro Evolution Soccer Stagione 2008 o Fifa 2008? Per dare un’adeguata risposta ho pensato di creare una piccola griglia che vi illustro
di seguito:
Fifa 2008
- Sembra di giocare contro un macaco.
- Grafica con gravi pecche (come si fa a farmi Kakà che indossa la
parrucca di Pirlo!)
- Aggiornamenti precisissimi (stiamo sempre parlando della
Fifa!)
- Maglie troppo rigide e scarpini che sembrano padelle in acciaio
inox!
- Esaltante telecronaca di Fabio Caressa e Giuseppe Bergomi.
Voto finale: 8
PES 2008
- Intelligenza artificiale a dir poco sorprendente
- Grafica eccellente ma troppo simile a quella della versione
precedente
- Campionati e licenze aggiornatissimi
- Maglie e scarpini riprodotti al dettaglio!
- Telecronaca a dir poco soporifera del solito Marco Meccia.
Voto finale: 9
Commento: PES e il team Konami risultano anche quest’anno i vincitori! Fifa ha fatto notevoli e ammirevoli passi avanti che non sono
però stati sufficienti per avere il titolo di miglior simulatore calcistico 2008.
Approfitto della situazione per tenervi lontani da certi titoli. Questa volta ho preparato delle regole d’oro che vi spiegheranno come
evitare le truffe: controllate sempre la casa produttrice del gioco: evitando le sconosciute; procuratevi se vi è possibile delle recensioni
sul gioco che vi interessa prima di comprarlo; se vi recate in un centro specializzato come EB Games o GameStop, chiedete consiglio ai
commessi: lavorano in quei negozi perché di videogiochi sanno il fatto loro; non esitate a recarvi da me in momenti di indecisione.
Per questo mese vi consiglio di procurarvi una copia di PES 2008 (50,00 euro) e il cofanetto Half Life The Orange Box (49,90 euro) che
racchiude 4 splendidi CD che compongono la mitica saga di Half Life.
Come il mese scorso segue all’articolo una serie di titoli che compongono una guida all’acquisto molto utile:
Sport: - Fifa 2008 - Pro Evolution Soccer 2008 - NBA Live 2008 - NHL 2008 - F1 2008
Strategia: - The Settlers - Tzar: Excalibur e il Re Artù
Sparatutto: - Call of Duty 4 - Medal of Honor: Airborne - F.E.A.R. - Half Life
Simulatori: - The Sims 2 - Singles - Desperate Housewives
Spero di avervi aiutato anche per questo mese a capire il mondo di videogiochi che vi circonda. Ricordatevi di venire in 4a G se avete
bisogno. Ciao amici videogiocatori! Il prossimo mese, su questa rubrica, un sacco di sorprese!!
12
Gli Stornelli del Manzoni
Bloc Note
Depeche Mode
di Michele Di Masi 3ªD
La carriera dei Depeche Mode iniziò
ufficialmente nel 1980 dopo che fu
ingaggiato come cantante Dave Gahan,
un diciottenne ancora sconosciuto nel
mondo della musica, che poi divenne ed
è tuttora una delle più grandi voci del
panorama britannico, quanto a calore,
timbro romantico e struggente, ma capace
di impersonare ancora oggi quell’ideale di
musica elettronica, che spesso è confusa
con musica dance (molto lontana dal farsi
considerare musica).
Salta subito all’occhio il nome
caratteristico della band, tratto da
un’omonima rivista di moda francese
dell’epoca, che può essere tradotto
come «gazzettino di moda», ma che
viene spesso erroneamente tradotto
come «moda veloce», «moda pronta»
oppure «nuova moda», confondendo la
parola francese “depeche” col verbo “se
dépêcher” («spicciarsi» o «sbrigarsi»).
Definire il genere musicale dei Depeche
Mode non è semplice: avendo all’attivo
una carriera ultraventennale, 21 album
e 70 milioni di cd venduti nel globo, il
loro stile ha subito molte variazioni;
però posso tracciare dei termini guida:
Synth Rock, Synth Pop o New Wave...a
voi la scelta. Generalmente sono collocati
nell’ambito elettronico tra gruppi storici
come Kraftwerk, Massive Attack,
Radiohead e Boards Of Canada.
I temi trattati dal quartetto britannico
variano con la loro età; si passa da
un amore giovanile come nel singolo
celebre “Just can’t get enough” (1980)
a temi più intimi come “Precious”
(2005) oppure legati alla famiglia o su
problemi esistenziali/religiosi come
“Personal Jesus” o “Enjoy the silence”
(1991). Caratteristico del loro stile sono
i testi ben curati di Martin Gore, abile
chitarrista, bassista, tastierista e cantante
del gruppo, e del cantante Dave Gahan.
Strumentalmente si affidarono all’inizio
ai cosiddetti campionatori, (in inglese
Sampler) strumenti musicali elettronici
in grado di acquisire campioni audio
per riprodurli a differenti altezze (mai
visto o sentito uno?allora guardatevi su
youtube Jay-Z e i Linkin Park in Numb/
Encore); poi i DM si orientarono sull’uso
di sintetizzatori, non dimenticando
comunque le loro radici musicali. Perché
annoverare i Depeche Mode tra le band
più famose al mondo?Trascurando i
milioni di album venduti e l’entrata nella
hall of fame inglese, il quartetto inglese
vanta:importanti innovazioni in campo
musicale, singoli che hanno fatto la
storia (e portato guadagni agli imitatori:
confrontate “Personal Jesus” con
“Beware the dog” di Jamelia e ascoltate
gli innumerevoli orrendi re-make di
“Enjoy the silence”!). Non solo, vantano
dei video musicali molto innovativi,
realizzati dal più grande fotografo degli
ultimi 40 anni, Anton Corbijn, autore di
alcuni tra i più grandi concerti e video
(vedi U2, Coldplay, Rolling Stones). Non
esiste solo Lachapelle!!
Alcune
coordinate:
ascoltate
i
seguenti album “Construction time
again, Violator,Ultra o Playing The
Angel” per ascoltare il meglio del
quartetto,secondo me, oppure i singoli
del “best of” tra cui precious, never let
me down again,new life, barrel of a
gun,personal jesus,strangelove,just can’t
get enough,policy of truth, everything
counts...scusate sono davvero molti...
a voi l’ardua sentenza!Date un ascolto...
non vi lasceranno indifferenti...
Avenged Sevenfold fanno schifo, l’acuto
lettore avrà certamente capito dov’è
l’errore sostanziale in questo aforisma
( o aforismo, come sottolinea Giulia
La Scala): una persona in teoria non
dovrebbe svegliarsi un bel giorno e dire
‘’Massi voglio farmi crescere i capelli
lunghi, vestirmi di nero, bere birra come
un idrovora e diventare Metallaro!’’ ma
dovrebbe seguire i propri gusti musicali
o linee di pensiero o compagnia o
checcazzonesò, di certo non decidere a
caso pensando che sia una cosa tanto
immediata.
Un altro esempio di Poser sono quei
personaggi che purtroppo esisteranno
sempre nonostante le guerre e le carestie:
i True... ovvero quelli che dicono frasi
del tipo ‘’ non ha i capelli lunghi... è un
Poser!’’ e vogliono far vedere al mondo
che loro sono tanto diversi dagli altri...
che sono speciali...
A mio parere chi vuole far vedere al
mondo di essere un metallaro ( o punk
o emo o qualsiasi genere possa venirvi in
mente) comportandosi in modo forzato
ostentando la propria ignioranza coperta
da un’ego mostruoso sono solo da
compatire o disprezzare; queste persone
si definiscono ‘’True’’... ma di reale non
hanno proprio nulla.
Quindi paradossalmente più si è True
più si è Poser...
Ma io mi chiedo... è così necessario
incasellare e catalogare le persone
per quello che ascoltano o per come si
vestono?
È necessario vivere in questo ambiente,
dove tutti credono di essere meglio degli
altri, dove non si sa mai chi ha torto e
chi ha ragione perché tutti sono così
assordati dalle loro stesse urla stentoree
da non sentire altra ragione se non la
loro?
Sui Poser
di Giacomo (Sommo) Sommella 1ªD
Dato che la
parola ‘’Poser’’ viene
stuprata e utilizzata almeno 20 volte al
giorno da un metallaro medio ( o anche
da quelli che non sanno nemmeno
cosa dicono e ripetono come pappagalli
questa parola che sembra gli piaccia
molto lo stesso) vorrei spiegare il vero
significato dell’appellativo tanto amato
da metallari ( io stesso lo utilizzo molto
spesso in modo scherzoso) e dai vari
uccelli canterini della fauna italiana. La
parola Poser è traducibile dall’inglese
‘’ colui che assume una posa’’, quindi
una persona che si fa trascinare in mode
come possono essere quella truzza,
quella punk, metal o emo senza di per sé
‘’crederci’’ realmente; riporto una frase
letta su Msn mesi fa scritta da un mio
amico per farvi capire meglio:
‘’quando stavo decidendo se essere
punk o metal ascoltavo gli Avenged
Sevenfold’’... tralasciando che gli
13
Gli Stornelli del Manzoni
Bloc Note
Commento sul gruppo - Death
di Giacomo (Sommo) Sommella 1ªD
Non credo ci sia una frase adatta per
cominciare questo articolo. I Death sono
forse il gruppo più sobrio, illuminato e
geniale del nostro tempo, o se vi sembra
troppo, solo del metal. Il gruppo si formò
nell’87 grazie a Chuck Schuldiner,
chitarrista, voce, e scrittore del gruppo
nonché genio assoluto; questo grande
artista non solo compose delle canzoni
dalla coerenza e bellezza sconcertante,
ma scrisse inoltre dei testi per le proprie
canzoni simili a poesie (molti peraltro
ispirati alla filosofia di Nietzsche).
I Death possiedono le migliori qualità
che un qualsiasi gruppo desidererebbe
vantare: anima, talento, tecnica, genio e
passione ( non solo Schuldiner ma anche
tutti gli altri membri del gruppo che
purtroppo però sono oscurati dal genio
accecante di Chuck). La prima volta che
ascoltai i Death, rimasi assolutamente
esterrefatto quasi sbigottito da una così
potente passione penosa ma allo stesso
tempo piacevole trasmessa dai Cd “The
Sound Of Perseverance”, ”Symbolic”,
“Individual Thought Pattern” o
“Human”, che sono l’emblema stesso di
ciò che amo e ammiro del metal.
Chuck Schuldiner, morto all’età di
trentaquattro anni per un tumore al
cervello, lasciò questo mondo nel 2001
creando una voragine nel mondo del
Death metal che nessuno è ancora
riuscito a colmare.
Non riesco nemmeno a descrivere
il disprezzo per quelle persone che
danno soldi a degli idioti patentati
come Vasco Rossi o altri fantocci come
lui che garantiscono a queste persone
un incasso mensile medio di quello che
prenderebbe un impiegato in 50 anni di
lavoro, mentre dei geni assoluti diventati
grandi solo grazie alla loro grandissima
capacità creativa debbano morire per
un’operazione che nn possono pagarsi.
Invito tutti voi ad ascoltare questo
gruppo che ha cambiato il mio modo
di vedere ascoltare la musica, e spero la
cambi anche a voi (anche se magari non
è il vostro genere). Questa è arte, questo
è metal.
Radiohead - In Rainbows
di Tommaso Sciotto 2ªE (con la partecipazione di Amar Hadzihasanovic 3ªB nel tradurre i testi originali, ma le grossolanità saranno di Sciotto)
Quattro anni di attesa, appagati.
Per me che ascolto i Radiohead dal 2005,
due. Ma proprio appagati.
In / Rainbows, o In Rain/Bows, o In
Rainbow/s o In Rainbows/ o In Rain_
Bows (come su copertina) è uscito il 10
ottobre 2007, in due modalità.
1) Cofanetto contenente cd, vinile, cd
bonus (otto canzoni extra, artwork,
foto), libretto dell’artwork e libretto dei
testi. Spedito dall’Inghilterra intorno al
3 dicembre. Prezzo £40.
2) In forma di download dal sito ufficiale.
A offerta libera.
“Pay what you want”, “It’s up to you”,
“No, it’s really up to you”.
Questo compariva sulla schermata del
sito nella pagina dalla quale il download
veniva effettuato.
Uno si chiede quale major possa aver
permesso una cosa del genere?
E appunto i due fattori che rendono
l’uscita del settimo album in studio
dei Radiohead “semplicemente l’evento
più importante nella storia recente del
buisness discografico” (Time 1-102007), sono appunto il prezzo e la casa
discografica.
Nessuno il primo, nessuna la seconda.
Con Hail to the thief (or, The Gloaming),
il contratto per sei album, che la EMI/
Capitol aveva stipulato con i Radiohead
nel lontano 1992, era scaduto, e molti
presumevano un’uscita via download
del settimo album, magari su iTunes
Music Store o simili.
Con l’uscita del disco il 28 dicembre
(dopo
natale,
altra
provocazione
anticommerciale), il disco non è più
stato disponibile a offerta libera sul sito.
Il download digitale è su iTunes Music
Store, insieme ai podcast (disponibili
comunque gratis anche senza acquisto)
delle pre-registrazioni dei nuovi brani
(uscito per capodanno come filmato
unico su Youtube sotto il nome di
“Scotch Mist”).
Il disco nei negozi, invece, è un kit
14
per farsi da soli l’album. Scatola del
materiale, busta del CD, libretto e
adesivi per copertina, retro e bordi.
L’uscita di In Rainbows ad offerta libera
è stata anche discussa dall’Università
di Pennysilvania, e da diversi esperti di
economia, che l’hanno trovata un’idea
geniale sotto ogni aspetto. Ma cosa ha
portato alla rottura con la EMI Records,
casa dei sei album precedenti dei
Radiohead? I Radiohead, per il nuovo
album, avevano chiesto di poter avere un
maggiore controllo sul proprio lavoro, la
EMI non si è mostrata interessata, e il
gruppo, potendoselo permettere, non
ha firmato. Come fine della relazione, la
EMI ha pubblicato un cofanetto dei sei
album da Pablo Honey a Hail to the Thief
La band più interessante e innovativa del
rock ha superato un nuovo orizzonte.
E ora, l’album. Dieci canzoni.
Traduco e commento le prime cinque.
15 Step, Bodysnatchers, Nude, Weird
Fishes/Arpeggi, All I Need.
Gli Stornelli del Manzoni
Bloc Note
15 step
Com’è che finisco dove sono partito?
Com’è che finisco dove ho sbagliato?
Non toglierò più gli occhi dalla palla.
Prima mi srotoli, poi tagli il filo.
Eri a posto, che è successo?
Il gatto ti ha preso la lingua?
Ti si è disfatto il laccio?
Uno per uno, arriva a noi tutti.
È soffice come il tuo cuscino.
Eri a posto, che è successo?
Eccetera eccetera.
Manie per qualunque cosa.
Quindici passi, poi una goccia pura.
Una relazione sembra andare. Poi,
all’improvviso, lei non parla più, e lui
“Non andava tutto bene? Starò attento al
gioco, adesso! Prima spieghi il problema,
poi mi pianti”. Fa per parlargli, troppe
manie, troppe paranoie: quindici passi di
silenzio, poi una goccia di pura verità.
Bodysnatchers
Nude
Non capisco cos’è che ho sbagliato.
Tutto un buco.
Controlla il polso*.
Batti le palpebre,
una volta per “sì”, due per “no”.
Non ho idea di quello che sto dicendo.
Sono intrappolato in questo corpo
e non riesco ad uscirne.
Hai ucciso il suono,
strappato la spina dorsale.
Una pallida imitazione,
coi bordi segati via.
Non ho idea di quello che stai dicendo.
Muovi la bocca
solo con una mano su per il culo.
È uscita, per te, la luce?
Perché per me, la luce, è uscita.
È il ventunesimo secolo.
Può seguirti come un cane.
Mi ha messo in ginocchio.
Hanno preso una pelle
e mi ci han ficcato dentro.
Le linee avvolte intorno alla mia faccia,
visibili a chiunque altro.
Sono una bugia.
L’ho visto arrivare!
L’ho visto arrivare!
L’ho visto arrivare!
Non farti grandi idee, non si realizzeranno.
Ti dipingi di bianco e riempi di rumore,
Ma qualcosa mancherà sempre.
Ora che l’hai trovato, non c’è più.
Ora che lo senti, non ci riesci davvero.
Sei uscito dai binari.
Quindi non farti grandi idee,
non si realizzeranno.
Andrai all’inferno,
per quel che la tua sporca mente
sta pensando.
Parla di uno che si ritrova in dei
panni che non gli appartengono,
irreversibilmente
in
trappola.
Comunicazione, verità, identità, tutto
in mille pezzi, rovinio nella voragine.
Angoscia pura, la canzone si intrufola
nel cervello, per non uscirne più. L’ho
anche imparata sulla chitarra.
*”Check for pulse” significa lett. “controlla
se c’è pulsazione”. “Controlla il polso” rende
meglio l’idea di suono, ed è più usato.
Sopravvalutare logora. Chi meglio di
un uomo, si illude? Perde di mira il vero
obiettivo, corre troppo, deraglia. Nutre
fantasie, guarda il mondo e non vi vede
più nulla. E chi, meglio di una donna,
illude? Puro spazio all’immaginazione.
Magra consolazione, cui fa eco il
pentimento, quando l’inferno della
solitudine spalanca le fauci.
Weird Fishes/Arpeggi
Nel punto più profondo dell’oceano,
il fondo del mare,
i tuoi occhi mi fan voltare.
Perché dovrei stare qui?
Sarei pazzo a non seguirti dove mi porti.
I tuoi occhi mi volgono a un fantasma
che seguo fino al bordo della terra,
e cado giù.
Tutti se ne vanno, se ne hanno l’occasione,
E questa è la mia occasione.
Sono mangiato da vermi e strani pesci,
pizzicato da vermi e strani pesci.
Toccherò il fondo, e evaderò.
15
Sembra davvero di stare sott’acqua. Un
amore è morto, il narratore è perduto,
vuole seguire la sua amata dove il
suo sguardo lo porta, nel punto più
profondo dell’oceano, al bordo della
terra (nell’antica concezione circondato
d’acqua). Cade giù, tocca il fondo, trova
scampo, mangiucchiato da vermi e strani
pesci (altri scampi? Non affogatemi, ho
toccato il fondo).
All I Need
Sono il prossimo atto, che attende nelle ali.
Sono un animale
chiuso nella tua auto rovente.
Sono tutti i giorni che scegli di ignorare.
Sei tutto ciò di cui ho bisogno.
Sono in mezzo alla tua foto,
sdraiato tra i giunchi.
Sono una falena
che vuol partecipare della tua luce.
Sono un insetto
che cerca di uscire dalla notte.
Mi attacco solo a te
perché non esiste un’altra.
Sei tutto ciò di cui ho bisogno.
Sono in mezzo alla tua foto,
sdraiato tra i giunchi.
È tutto giusto, tutto sbagliato,
tutto giusto, tutto sbagliato.
Una canzone d’amore. A una che non
ne tiene conto. Thom è un un insetto
attaccato alla sua luce, in preda al dubbi
e rimorsi (tutto giusto e meritato/
sbagliato). Così rassegnato e avvilito il
testo, così catartica la musica. Il vibrafono
sul rhodes è la voce della perfezione.
Gli Stornelli del Manzoni
Rac_conti
Morte sulla strada - Parte seconda
di Luca Ziviani 3ªD
“Mi spieghi cosa...?!”, chiedeva
Valentina, disperata, e preoccupata
perché la velocità del veicolo era, di
notte, su una statale a due corsie, già
a cento all’ ora. Alessio, inoltre, con
gli occhi spalancati e vitrei, le mani
tremanti sul volante, aveva tutta l’
aria di essere fuori di testa. “Dimmi
cosa è successo e, per l’ amor di
Dio...rallenta!”, esclamò la ragazza
piangendo, temendo per la propria vita
e pregando, altra cosa che non faceva
da quando aveva sette anni. Ma era
troppo tardi.
Improvvisamente, nel chiaro dei fari,
nel mezzo della strada, apparve un’
altra figura, che stava agitando le mani.
Ma Alessio, nel pieno del delirio di chi
è disposto a tutto per portare a casa la
pelle, non si fermò per evitarla, e con
un fragoroso suono di metallo e tessuti
organici, un corpo si spiattellò contro
il vetro anteriore della macchina e lì vi
rimase, la faccia morta rivolta verso l’
interno del mezzo.
Metà dell’ involucro che una volta
ospitava l’ anima di un ragazzo era ora
premuto conto il vetro, a osservare in
modo ironico e blasfemo il pilota che
lo aveva investito. E che ora non si era
ancora fermato. Valentia aveva urlato
(che eufemismo: più propriamente
aveva lacerato l’ aria intorno a lei): non
si può dire se nel comprendere che il
suo ragazzo aveva totalmente perso la
testa, o per il mezzo cadavere che aveva
inondato di sangue parte del vetro
anteriore e del cofano, questo anche con
qualche parte di fegato e intestino, o per
il sangue che toglieva gran parte della
visuale o perché Alessio, imperterrito
e spiritato, o indemoniato, continuava
a viaggiare. E Valentina piangeva, e si
disperava, e Dio sa senza volerlo, era
costretta a osservare costantemente l’
abominio che le si presentava davanti.
La macchina viaggiava nella notte,
sempre in mezzo al bosco, ormai
disperatamente conscio dell’ orrore
compiutosi dentro di sé. Era come una
prigione. E dentro di essa un’ altra
prigione, targata NI 763 BU. “Nonvogliomorirenonvogliomorirenonvogliomorire...”, disperata litania nella mente
di una ragazza sull’ orlo di impazzire,
proprio come la persona accanto a lei.
Ma non c’era tempo di compatire lui.
Doveva essere salvata lei. Ma come?
Lui era un muro di agghiacciante
e terribile silenzio, vicario tra vita
e morte, bastava un nonnulla, una
sbandata, e... no. Era passata la parte
del “Santo dio!” ed era cominciata
la parte del “E ora?”. Gia, e ora?...
tanto per cominciare, allacciamoci le
cinture... lo fece, giusto in tempo per
pentirsene, per pentirsi, poco dopo, di
essere viva. Davanti a lei, un misto di
rosso, cadavere squartato, nero, bianco.
Non sapeva perché, non lo seppe mai,
ma ad un tratto Alessio, forse troppo
assorto nei suoi pensieri di morte,
prese male una curva... e la macchina
sbandò. Prima girò troppo a destra,
Alessio provò a sterzare, poi troppo
a sinistra, Alessio provò a sterzare,
ormai assatanato e irriconoscibile, il
cadavere scomparve dal cofano per la
forza centrifuga della curva, il rumore
stridente dei freni, l’ asfalto pareva
urlare, un albero sempre più vicino,
sempre più vicino davanti... Valentina
urlò e chiuse gli occhi. Fracasso, caos,
uno strattone, altro fracasso. Quando
riaprì gli occhi, non seppe dire se
sentirsi sollevata o sciagurata.
Accanto a lei Alessio giaceva inerte
contro l’ airbag, che evidentemente era
entrato in funzione. La sua faccia era
girata verso di lei, orribilmente bianca,
con gli occhi che la fissavano, le braccia
penzoloni che oscillavano come un
freddo pendolo. Molto probabilmente
tra i rumori dovette aver sentito almeno
un “crack”, perché la posizione del collo
di Alessio e era del tutto innaturale
e grottesca. Non aveva indossato le
cinture, e tutti sanno che l’ airbag
senza cinture... il suo pensiero passò
ad altro: l’ albero schiacciato contro la
macchina, la carrozzeria deformata, la
macchina ferma.
Si, la macchina ferma. Era quasi del
tutto al buio, perché i fanali anteriori
non funzionavano; ma a questo ci
avrebbe pensato dopo. Ora era salva.
Bastava togliersi la cintura, aprire la
porta e uscire... ma la cintura non si
slacciava. Riprovò con calma, poi un po’
più nervosa, poi schizzata, poi stanca.
Disperata, si abbandonò allo schienale
e pianse. Alessio la fissava morto.
Nel frattempo, poco più oltre, una
figura si avvicinava alla macchina.
Avendo visto cos’ era successo, aveva
deciso d’ affettarsi. Correva verso l’
abitacolo e nel silenzio nella notte i
suoi passi echeggiavano... suoni di
16
speranza per Valentina. Attraverso
il vetro la ragazza vedeva la persona
avvicinarsi, nero nel nero, e subito si
tranquillizzò, avrebbe ricevuto aiuto.
Essendo stremata, non pensò neppure
di aprire la portiera... si abbandonò di
nuovo allo schienale, cercando invano
di non pensare a nulla. I passi erano
più vicini.
Valentina, gli occhi socchiusi, sorrideva
appena. I passi erano molto più vicini e
nitidi. Il respiro della ragazza si faceva
più lento, il petto si alzava e scendeva
ad un ritmo sempre meno veloce. I
passi erano a pochi metri. Respirando,
la ragazza sentiva già l’ aria di libertà
e i muscoli, fino a quel momento tesi
come i cavi del ponte di Brooklyn, ad
uno ad uno si rilasciavano. I passi erano
prossimi alla porta, e si fermarono a
pochi centimetri da essa.
La porta si aprì, Valentina guardò
distrattamente verso destra, e , per l’
ultima volta nella sua vita, finchè le fu
possibile, urlò.
Una macchina, una Opel Zafira,
percorreva la statale percorsa la notte
precedente da una Punto targata NI
763 BU, ma nella direzione opposta
alla Fiat. A bordo, una donna guidava
ascoltando il giornale orario. La strada
aveva da poco cominciato ad inoltrarsi
in un bosco di castagni, di giorno molto
più mansueti, ma memori dell’ orrore;
ad un tratto vide, schiacciata contro
un albero, una Fiat Punto. Sussultò,
parcheggiò appena fu possibile, scese
dalla macchina e si diresse verso il
luogo dell’ incidente. L’ abitacolo era
situato per metà sul bordo sinistro della
strada, per come l’ aveva visto la signora
percorrendo la strada, per metà, quella
anteriore, sulla striscia di terreno che
separa il cemento dal bosco. Mentre si
avvicinava la donna urlava :“Ehi, c’ è
qualcuno?”, ma senza ricevere risposta.
Si avvicinò ancora un po’ e urlò di
nuovo, ma senza ricevere risposta
nemmeno stavolta. Quando fu ancora
un po’ più vicina, l’ attanagliò un fetore
di... boh, non seppe spiegarselo, ma era
nauseabondo. Fermandosi, esitando, e
riprendendo a camminare si avvicinò
alla macchina dal lato del guidatore.
Quando fu vicina ebbe tremò... perché
quel sangue sul parabrezza? Poi un
sussulto, il pilota è morto!...Poi...
quando posò gli occhi sul sedile del
passeggero, senza volerlo, vomitò.
Gli Stornelli del Manzoni
/Racconti
La vie
di Rossana Martinelli 5ªC
C’era un pianoforte a coda in mezzo
a un parco ricoperto di neve, e quel
nero lucido contrastava col bianco
immacolato della natura.
Quello era un parco ai confini del
mondo, intrappolato in un quadro
espressionista, disertato alla guerra e
alla pace, disertato ai passaggi dell’uomo,
visitato soltanto da neve intonsa che
arricchiva ogni volta l’altezza dei pini
marittimi, delle panchine, dell’erba,
talvolta ricoperta da coltre uniforme,
talvolta separata in singoli fili di fiocchi
di neve in cristalli.
Quello era un parco disertato agli
uomini.
Un giorno passò un pianista.
Fu il giorno in cui troppi si chiesero
perché mai in un parco contenente solo
un pianoforte avrebbe dovuto passare
proprio un pianista.
Quello era un parco abbandonato da
tutto, tranne da quella sottile coerenza
che rende ogni giorno un po’ meno
nulla del ieri.
Egli sedette sullo sgabello di velluto
nero, poggiò le mani sui tasti, pelle
chiara, vestito scuro, capelli di pece,
camicia candida.
Erano mani gelate dal freddo, che in un
istante composero sui tasti del piano
una canzone che a mai nessuno fu dato
di trascrivere.
Fu in quel istante che la neve iniziò
a sciogliersi lentamente, rivelando
d’essere raggruppata in forme fini a se
stesse, senza nessun albero o panchina
o filo d’erba vero sotto, solo forme
nevicate nella loro integrità.
Il pianista smise a metà d’uno spartito
la musica, la smise per sempre, e svanì,
nel suo tempo, lasciando ricostruirsi
quel parco evanescente che nonostante
la sua mancanza di senso profondo
meritava d’esistere, non fosse altro
che per donargli la parvenza d’una
speranza.
C’era un pianoforte a coda in mezzo
a un parco ricoperto di neve, e quel
nero lucido contrastava col bianco
immacolato del mondo.
riempiva la bocca di lunghi sproloqui
altisonanti, proposti però con grande
solennità, come fossero verità assolute.
Con lei erano due ometti magri e storti
che amavano passare il tempo tra il
gioco d’azzardo e il fumo. Il primo, il
più trasandato dei due, si chiamava
Menefreghismo e con aria distratta e
superba si portava sempre appresso una
compagna rozza e pesantemente truccata
di nome Indifferenza. Il secondo invece,
Opportunismo, aveva un’aria più scaltra
e posata, al tavolo vinceva quasi sempre
e rideva con un ghigno artefatto, simile
a quello dei cattivi nei cartoni animati.
A tutti loro si accompagnavano poi una
madre e una figliola dal portamento
stanco e annoiato, spesso vestite
di grigio: si trattava della matrona
Abitudine e della figliola Pigrizia. Tutti
costoro conducevano una vita noiosa e
ripetitiva ma a furia di elemosinare e
importunare erano riusciti a portare la
loro mala influenza in molti paesi.
Idealismo stando con loro si faceva
sempre più confuso e finì con il
raccontare all’amata febbricitante delle
sue nuove conoscenze per chiederle
consiglio su come comportarsi con loro.
Intraprendenza si appassionò ai discorsi
dell’adorato compagno ma, anche per
colpa della malattia, non seppe giudicare
severamente quei farabutti e anzi rimase
ammaliata dai racconti e pregò Idealismo
di presentarle i suoi amici.
Fu così che i due amanti e il manipolo
degli accattoni divennero un tutt’uno, tra
la febbre e la cattiva influenza nessuno
fu più in grado di metter giudizio
nelle nuove imprese e figli e nipotini
della coppia per generazioni crebbero
tra le braccia di Ignoranza, coccolati
da Abitudine e Pigrizia, educati da
Menefreghismo e compagni. L’atmosfera
festosa dell’infanzia di Idealismo si
trasformò in un ambiente cupo di noia
e grigiore, le piazze si svuotarono
prima di persone e poi di contenuti,
ma in pochi sembrarono accorgersi del
peggioramento.
Un bel giorno però Idealismo trovò per
strada un libro e ci si appassionò tanto che
volle leggerlo ad alta voce ai compari e in
particolare all’amata che da tempo non
riusciva più da sola ad apprezzare queste
cose. Nei lunghi monologhi di Idealismo,
mentre
Intraprendenza
sembrava
risorgere da un lungo letargo, Ignoranza
sbuffava infastidita, Menefreghismo e
Indifferenza chiacchieravano in fondo
alla sala per conto loro, Opportunismo
protestava su molte cose e pretendeva
di travisare le parole del lettore, mentre
Abitudine e Pigrizia sonnecchiavano.
Fu faticoso, ma Idealismo riuscì a finire il
libro anche grazie all’aiuto delle vecchie
cugine Curiosità e Determinazione e
allora ne volle un altro e poi un altro
e un altro ancora e sulla stessa onda
riscoprì la gioia della politica, della
musica, del teatro, della filosofia e di
un’infinità di mondi che gli aprirono
coscienziosamente le porte di una nuova
era, mentre l’amata finalmente guariva.
Il mito della rinascita
di Giorgia Stefani 2ªD
C’era una volta Idealismo, un giovane
di umili origini alto e allampanato con
lo sguardo spesso rivolto al cielo e alle
stelle. Pur rimanendo sempre sognatore,
questi era capace di grande vitalità
ed entusiasmo e quotidianamente si
tuffava nella ricerca di nuove ambiziose
imprese.
Fu così che un giorno si imbatté in
Intraprendenza, una giovane colta
e curiosa, sempre infervorata dalla
necessità di mettere qualche cosa a posto.
Bastò poco perché tra i due nascesse un
appassionato legame: Intraprendenza
era rimasta affascinata dai profondi
respiri e dai mirabolanti discorsi del
compagno e Idealismo dal canto suo
non aveva saputo resistere al vortice di
animosità in cui la bella lo trascinava. I
due diventarono una cosa sola e il loro
amore crebbe nelle piazze e nelle scuole,
dove molti li ammirarono discutere e
scherzare, suonare e correre insieme.
Con il tempo però Intraprendenza si fece
sempre più debole e stanca, arrivò ad
ammalarsi gravemente e rimase bloccata
a letto. Idealismo allora, pur restandole
sempre accanto, dovette cercarsi qualche
altra nuova compagnia, almeno per non
trascorrere da solo le lunghe ore in cui
l’amata doveva riposare.
Accade perciò che gira e rigira Idealismo
venne in contatto con un gruppo di
loschi figuri che vivevano di stenti
elemosinando ospitalità a destra e
a manca. Tra loro v’era una signora
grande e grossa, Ignoranza, che si
17
Racc ont_i
Gli Stornelli del Manzoni
40 Anni
di Victor Campagna 3ªD (Non 2ªA! Tutta colpa di Sciotto!)
I
40 anni: sono passati 40 anni. E sono
ancora qui: la guerra è finita ed io sono
ancora qui ad aspettare Dio. Ne hanno
fucilati 20, 30 imprigionati, 40 deportati,
800 feriti. Io sono sopravvissuto con altri
4: Thomas, Stesicoro, Don Licurgo ed un
bimbo.
Il bimbo si chiama Ilio... è tuo nipote,
ricordi?
Stearns è morto: una mina l’ha spento.
Ho pianto per ottantamila anni la sua
morte.
E sono ancora qua: da 40 anni. Ho paura
anche dei topi.
Un giorno vidi Ilio affacciarsi alla finestra
della mia capanna grigia, in cui eravamo
tutti rifugiati. Io lo presi per il braccio
con forza e lo allontanai dalla finestra.
Gli dissi che se non voleva fare la fine
di Stearns doveva stare attento, che non
poteva prendersela con comodo, che
eravamo in guerra. Lui mi guardò con gli
occhi lucidi e disse una frase che ancora
adesso ricordo: “ma la luce è bella!”
Io lasciai il suo braccio ed andai verso la
finestra. In effetti le luci erano belle. In
quel momento non riuscivo a pensare
alla guerra, alla morte, alle urla, ai pianti:
potevo pensare solo a quegli zampilli di
elettroni, così leggeri, piccoli e lontani.
Non ne avevo paura: i rumori sembravano
cicale cresciute troppo che cantavano.
Il giorno dopo mi alzai. Vidi Ilio giocare
con il suo giocattolo preferito: un
soldatino piccolo, ammaccato e tutto
nero. Giocava con la guerra, ma rimaneva
tenero. Stesicoro era sull’amaca, steso,
con una sigaretta in bocca. Canticchiava
qualcosa che non ricordo. Thomas
guardava la finestra. Io non facevo nulla:
ero solo seduto sul letto.
“Cos’è successo Thomas?”, chiesi
stropicciandomi gli occhi.
“Nulla... Nulla... Solo spari su spari.”
“Dov’è il Don?”
“è fuori...”
“Cosa?! È fuori?! Ma è scemo? E se lo
prendono? Eh? Se lo prendono che
facciamo? Non ha nessuno che lo
accompagni?”
“Sì: c’è Marcello.”
Feci cenno di sì con la testa. Ero sollevato
che fosse con Marcello: era il migliore dei
miei uomini. Ed io lo conoscevo bene:
da trenta anni. Ci siamo conosciuti in
terza media, alla Cardarelli di Milano.
Una scuola di merda, ma con dei buoni
professori. Ma non importa. Siamo
entrati nell’esercito insieme, come due
pazzi. Sì: abbiamo fatto una grande
cazzata. Il problema è che ce ne siamo
resi conto troppo tardi.
D’un tratto si spalancò la porta: era il
don. Era tutto sudato e perso. In volto
aveva dipinto la paura.
“Ci hanno sorpresi! Ci hanno sorpresi!
Stavamo cercando un po’ di legna e ci
hanno sorpresi!”, urlò Don Licurgo.
“Calmati,
calmati!”,
feci
io
avvicinandomi e cingendolo col braccio.
“Adesso Marcello dov’è?”
“L’hanno preso”, rispose guardando per
terra.
“Thomas! Stesicoro! Prendete i fucili e
venite con me!”
“Sì”, dissero in coro.
“Vengo anche io!”, disse Ilio.
“NO” urlai, “ci saresti solo d’impaccio.
Non fare l’idiota. Starai qui col Don”
Ilio guardò a terra, evidentemente
offeso. Io lo ignorai.
Uscimmo senza sapere bene dove
andare, ma ci andammo. Ci dirigemmo
verso la foresta. Il campo avversario non
era lontano: doveva essere a 1 km dalla
capanna.
Il tempo era umido e c’era nebbia.
D’un tratto sentimmo delle voci tra cui
riconobbi quella di Marcello. Lo vidi,
circondato dagli avversari. Saranno
stati una ventina. Gli chiedevano dove
fosse il nostro accampamento. Lui non
rispondeva: diceva solo che si dichiarava
prigioniero politico.
Dopo pochi minuti si misero in linea,
marziali e feroci. Gli chiesero un’ultima
vota di dirgli dove eravamo. Lui rispose:
“Mettetemi tutte le vostre fottute pistole
in gola e uccidetemi! Io non parlerò!”
Allora prese a ridere. Uno di loro si
avvicinò e gli sparò.
Noi non potevamo fare nulla: saremmo
morti tutti. Allora osservammo e basta.
Tornammo alla capanna senza farci
vedere. Io pensavo che Marcello sia stato
un eroe e che si meritasse una medaglia,
ma non l’avrebbe mai ricevuta perché era
un soldato ed i soldati hanno il compito
di morire. Così, finiti nella capanna
rimanemmo noi 5; gli altri erano morti,
tutti. E siamo ancora qui: la guerra è
finita e noi siamo qui da 40 anni.
Alla fine è inutile recriminare: abbiamo
fatto il nostro dovere, abbiamo difeso la
patria, abbiamo lottato. Eppure che cosa
abbiamo ottenuto da tutto ciò? Abbiamo
18
idealizzato la lotta con musiche africane.
Ma a che è servito ora che siamo qui,
inerti, soli e affamati? Non sappiamo
nemmeno dove siamo: sappiamo solo che
siamo in una foresta, che il nemico non
c’è più e che non crediamo più nell’arrivo
di dio. È lontano. Non lo sentiamo.
Adesso sappiamo bene cosa fare: o
suicidarci o correre. Thomas opta per la
seconda, io per la prima. Don Licurgo si
proclama per la vita, perché ancora spera.
Ogni volta che parla, che fa sermoni di
speranza, lo guardiamo e abbassiamo
il capo, cercando qualcos’altro da fare.
Sai: a volte lo invidio. Almeno lui ha una
qualche speranza: in fondo è più vivo
di noi. Tende ancora verso un qualche
ideale spento.
Noi non vediamo più la fiaccola della
libertà, della patria, della ricchezza:
vediamo solo quelle urla, quei pianti,
quei cadaveri puzzolenti e schifosi,
morsi dal vento e dalle mosche.
L’unica cosa che ci distingue dai morti è
che ci muoviamo.
II
Oggi non c’è altro: il monte è vuoto,
come al solito, e noi siamo sul punto
di spirare. Solo Ilio dimostra vivacità: è
ancora un bambino. Quanto lo invidio.
Gioca sempre con quel suo soldatino.
Eppure la guerra è finita.
Thomas e Stesicoro sono acciaccati, ma
forti ancora. È come se si fosse fermato
il tempo: mi ricordo come fosse ieri
l’Esecuzione. Non abbiamo il coraggio
di parlare della morte di Marcello se non
chiamandola così: l’Esecuzione. È stata
crudele perché era un nostro amico. Sì,
ne sono morti tanti, molti più di lui.
Ma lui era Lui: era mio amico, era mio
parente.
Fa male saperlo morto. Oggi abbiamo
deciso di andare fuori per l’ennesima
esplorazione. Ogni volta ci dirigiamo
verso la foresta e ogni volta ci troviamo
all’inizio della foresta di fronte alla
capanna, senza saperne il perché. Così
ogni volta entriamo nella capanna, ci
sediamo attorno al tavolo e tacciamo,
mentre Don Licurgo prega e Ilio gioca.
Sapevamo che la nostra ora era vicina:
non riuscivamo a capire quando, ma non
ci era dato saperlo.
Don Licurgo diceva che non importava,
che in fondo ci saremmo uniti a dio quel
giorno, che lui ci aspettava lì, che non
Gli Stornelli del Manzoni
c’era altra situazione.
Ma ciò non ci consolava: era un circolo
vizioso. Ormai io avevo 70 anni, Thomas
95, Stesicoro 100, Ilio 40, Don Licurgo
119. Eppure non siamo cambiati per
nulla: in 40 anni abbiamo mantenuto lo
stesso aspetto. Sembra di essere in un
limbo.
Non sappiamo nemmeno se il tempo sia
quello che pensiamo che sia, perché di
solito corrisponde al nostro invecchiare;
ma noi non invecchiamo, quindi non
sappiamo bene se sia corretto dire che
sono passati 40 anni.
Sì, pensiamo di essere sul punto di
morire, ma non moriamo mai. Ogni
giorno sentiamo l’anima che sta per
uscire come un vomito, ma non esce
mai del tutto: si sospende all’altezza del
Ra/cco nti
palato e scende di nuovo giù. Solo una
piccola parte esce.
Ci nutriamo solo di legna e cenere.
Ormai ci siamo abituati, nonostante
all’inizio fosse difficile.
III
Succedesse qualcosa, anche negativa,
sarei contento. Davvero.
Invece mi annoio. Anzi: ci annoiamo.
Siamo tutti i giorni al punto di partenza,
letteralmente.
Entriamo nella foresta, avanziamo e ci
troviamo ancora davanti alla capanna.
Che schifo. Non mi piace: è una brutta
situazione. È, come dire, fastidiosa.
Alla fine abbiamo deciso di fare qualcosa
per risolvere questa situazione. Ci
siamo seduti attorno al tavolo. Ci siamo
guardati. Abbiamo preso la pistola e ci
siamo sparati.
Quando mi accasciai al suolo stetti un po’
a terra, inconscio. Dopo un po’ rinvenni
e mi rialzai. Con me vidi rialzarsi Don
Licurgo, Ilio, Stesicoro e Thomas.
Non potevamo nemmeno morire. Ci
mettemmo a piangere. Tutti, in coro.
Sì: eravamo un coro stonato. Il direttore
era Marcello, me lo ricordo bene. Ma
Marcello era morto. Quindi non avevamo
più alcun controllo: eravamo senza vita.
Le pistole non servivano.
“Le pistole non servono”, dissi piantando
gli occhi a terra.
“Già”, rispose Stesicoro.
Don Licurgo prese in mano un mestolo e
lo picchio contro il tavolo.
Ecco cosa accade a coloro che se ne stanno sul tetto indossando solo un paio
di mutandoni fucsia a pois rossi
di Francesca De Prez 2ªC
È u na serata d i g iug no e, i n u n paese
lonta no lonta no, u n l ieve vent icel lo
sf iora appena i tet t i del le g ra ziose
v i l let te d i u n qua r t iere residen zia le.
Tut to
appa r i rebbe
ug ua le
al
sol ito, per così d i re nor ma le,
se u n sig nore su l la qua ra nt i na
da l l’aspet to st ravaga nte non se ne
stesse i n pied i propr io su u no d i
qu i tet t i. L’aspet to assa i pa r t icola re
d i questo bel l’i nd iv iduo è dato
pr i nc ipa l mente da l le m i rabola nt i
muta nde f ucsia a pois rossi che
i ndossa con g ra n f ierezza, pr ivo
d i og n i a lt ro i ndu mento. È u na
cosa assoluta mente sca nda losa :
i mpossibi le che passi i nosser vata
i n u n qua r t iere così per bene ;
i n fat t i, casua l mente, u na ser ie d i
persone ha i n quest i mag ic i ista nt i
la possibi l ità d i a m m i ra re l’uomo
completa mente i m mobi le (sa rà i l
f reddo?) , ma a l contempo nat u ra le
nel suo appogg ia rsi con u n gom ito
a l ca m i no acca nto a lu i.
<<Gua rda l ì !>> escla ma esa ltato u n
bi mbet to d i set te a n n i, quasi ot to,
sporgendosi da l la f i nest ra del la sua
ca mera. La g iova ne baby-sit ter che
bada a lu i g ua rda a n noiata verso
i l pu nto i nd icato da l d ito teso del
raga zzi no ma, non appena vede
quel t u rbi n io d i muta ndon i f ucsia
su l pa io d i ga mbe schelet r iche del
sig nore su l tet to, t rasc i na dent ro
i l bi mbo e ch iude velocemente le
tappa rel le : i gen itor i del piccolo
l’av rebbero sic u ra mente l icen ziata
se avesse per messo a l loro pa rgolo
d’oro d i assistere a quel l’i ndeg no
spet tacolo !
I l v iso quasi sch iacc iato cont ro i l
vet ro, u n quat tord icen ne sba r ra
g l i occh i a l la v ista d i quel t ipo così
st ra no appogg iato i n modo ta l mente
d isi nvolto a u n ca m i net to. I l
raga zzo resta i m mobi le a g ua rda re
per c i rca nova ntac i nque second i,
poi si rende conto che sono g ià le
nove e d iec i e sta i n i zia ndo i l suo
prog ra m ma prefer ito su mt v, qu i nd i
prov vede a i ncol la rsi d i nuovo a l
piccolo scher mo.
Indescrivibile la smorfia di disgusto
sul viso della vecchia e irragionevole
“gattaia” del quartiere quando scorge
un uomo seminudo sul tetto della
casa di fronte. Ma la cosa che le fa
19
più ma le a l c uore è vedere i l suo
adorato Gr ig i no m iagola re e fa re le
f usa, st r usc ia ndosi sug l i st i nch i d i
quel lo sconosc iuto. <<Gr ig i no, se
non tor n i subito qu i non t i vor rò
più bene ! !>> u rla l’a n zia na sig nora
a l l’a n i ma le. Q uesto non le da
ascolto e, d i conseg uen za, la don na
dec ide d i non volerg l i più bene.
Un t u r ista g iapponese sperduto, a l la
r icerca del l’a lbergo, quel la f resca
serata d i g iug no passa propr io
da quel qua r t iere l ì. I mpossibi le
per i l suo sg ua rdo a l lenato non
nota re l’uomo i n boxer f ucsia a
poi rossi e, non facendosi sf ugg i re
l’occasione, lo fotog ra fa con g ra nde
ent usiasmo.
Sfor t u nata mente g l i occh i del t ipo
su l tet to sono ch ia r i e qu i nd i molto
fotosensibi l i : i l fash del la macch i na
fotog ra f ica lo acceca e, non vedendo
più nu l la, lo s vent u rato cade nel
ca m i net to d i f ia nco a sé.
Sa rà mor to?, v ien da ch iedersi. A l la
f i ne non i mpor ta, perché t ut to si è
s volto i n u n paese lonta no lonta no
da qu i. E soprat t ut to i l f ucsia non
fa penda nt con i l rosso.
Gli Stornelli del Manzoni
Rac co/nti
L’acceso cammino
Le simpaticissime ganasce del signor Piccione
di Francesco Fiero
di Tommaso Sciotto 2ªE
Avanzava affamato.
Mangiava l’asfalto come cereali, e non
avanzava niente.
Nonostante questo avanzava affamato.
L’incedere dei passi, incessante, il cedere
della gamba, a tratti, le edere distrutte a
calci.
Fissava giù, per terra, non guardava mai
dritto.
E i ciottoli intanto ballavano mentre lui
passava, nella ghiaia fattoria.
La polvere saliva, sempre più. La saliva
invece non polvere. Polvere di desiderio,
generata dalla velocità con cui le sue
gambe divoravano il terreno.
E in sottofondo di bicchiere, il rumore
dell’accendino che infuocava l’estremità
della sigaretta. La sigaretta però non
andava alla bocca. No. Una volta accesa,
veniva buttata a terra, per il gusto di
schiacciarla con la scarpa, farci un giro
sopra e alzare ancora polvere.
Allungò il passo, che diventò
“passooooooo”, il ritmo si fece più
spedito, con tanto di francobollo.
Cominciarono a sentirsi i primi “Uff,
uff”.
Era contento di quella stanchezza.
Voleva distruggere la milza, a furia di
correre. Correva l’anno 2007. Gli anni
corrono ma non si stancano mai.
A un certo punto inciampò. Cadde a
terra malamente, ma il suo buonumore
non si placava per così poco, anzi. Era
aumentato. Del 5%. Tu guarda di che è
capace l’inflazione.
Una pulita ai pantaloni e di nuovo in
marcia, da uomo maturo, testardo,
petardo, abelardo, convinto interamente
dei suoi mezzi.
Altra sigaretta. Accesa. Spenta. Buttata
a terra. Giro con la scarpa.
Altro periodo concernente “Sigarettaaccesa-spenta-buttata a terra-giro con
la scarpa”. Aperto. Chiuso. Buttato
all’angolo. Giro di parole.
L’orizzonte il desiderio, il cielo
l’obiettivo, i passi robotici governati da
un istinto estinto, ancora un paio.
Raggiunse
la cima, la raggiunse.
La punta, il picco. La piccola punta,
temperata poco, iraconda.
Si appoggiò a terra piegando le gambe
e incrociandole, poi chiuse gli occhi
lentamente e respirò a pieni polmoni.
Sospirava, in effetti.
Li riaprirà seduto lì, gli occhi, sul suo
incubo a due ruote.
La fine. La fine del sogno di un
paraplegico.
Era sempre sera, sempre quella tarda
serata di stanchezza.
Un sonnellino tra i bracci carmini della
poltrona, impolverato dalla stoffa,
arruffato dal giradischi, dondolato dagli
spifferi - dolce, solitaria, stanchissima
sera.
Ma deve sempre svitare qualcosa nel
collo, dio Acciacco?
“A chi lo dite!” borbottava il signor
Piccione.
Con le piume rigonfie, rintanato come un
gufo nel cavo del suo tronco, al calduccio
della stufa troneggiava, bofonchiando
quasi fosse una teiera.
Una carie profonda fino alle caviglie
lo incatenava a uno stato di perplessità
nauseante. “Proprio a me una carie? Che
non ho denti? Bah, a volte perdo le staffe,
meglio non pensarci”.
Il signor Piccione non era una specie di
mutante. Semplicemente, un piccione
ad ormoni accelerati. Tanto accelerati
che avevano superato la velocità della
luce, piegato lo spaziotempo, navigato
le ere in cui i piccioni vivevano a fianco
dei dinosauri, solcato l’etere, penetrato
un buco nero per precipitare dal punto
opposto dell’universo esattamente sulla
poltronuccia (carminia) di casa.
Giusto un po’ più grande, quanto un
uomo col torcicollo.
“Che sia la c-carie-a-paralizzar-mi... la
ce..rv- la cerv- la c...croc...-BRBRBR!”
. . .
Clack clack.
. . .
Cielo, avete visto? Comodo come un
pescecane, rapido come una lucertola,
al signor Piccione il becco ricresce in un
istante!
“Via il dente via il dolore! Meglio pensare
alla partita di stasera: devo recarmi
all’Olympia Stadium entro le otto. Sarà
meglio che mi prepari”.
Calza la maschera, spicca il volo, squarcia
le nuvole. Si appoggia a un traliccio per
sistemarsi la cravatta, poi riparte. I suoi
occhiali da aviatore gli danno un’aria
così squisitamente eroica... Più in alto,
signor Piccione!
Piomba in mezzo al campo. È nello
stadio.
Questo edificio, nel raggio di ettari, era
l’unico ancora di asfalto. A cagion di
ciò spiccava (per qualità, certo non per
dimensione) tra i sottilissimi alveari di
resina e vetro che ricoprivano il paese
del signor Piccione, eleganti come petali
di cera su lame di sangue.
20
Com’era bello arrivare quelle due ore
prima che lo stadio si popolasse! Il
signor Piccione, con il ventre sul centro
di centrocampo, ascoltava nel tremore
del suolo gli pneumatici dei veicoli
asmatici forzati per le fittissime vie di
Capo Fagioli.
Su undici tra quei miliardi di roboanti
motori avanzavano loro, gli eroi, mentre
su undici tra quei miliardi di esausti
macinacaffè arrancavano i barbaracci.
Carezzato dalla brezza autunnale,
trasaliva giusto cinque minuti prima
che i tifosi accedessero alla tribuna, si
nascondeva in bagno e ne usciva con aria
circostanziale dopo quel quarto d’ora che
lo avrebbe confuso tra la folla.
La partita era troppo emozionante.
Perché a Capo Fagioli, il semplice “calcio”
era stato diviso in due categorie: “nelle
costole” e “nel basso ventre”.
Preferita del signor Piccione era, come si
conviene, la prima categoria.
Fiotti di sangue si dipartivano dalla
lingua dei poveri gladiatori, affranti come
buoi di gomma. Restavano in ginocchio,
con la testa a torre di Pisa, dimostrando
una fermezza ma no stoica, marmorea.
“Il sangue, potenza di Dio!”, diceva
un professore di scienze, al liceo di cui
il signor Piccione era custode. Erano
certo altri tempi, prima che un Ministro
della Pubblica Istruzione distruggesse
tutto. Fino allora, al Liceo non ci andava
nessuno, e i professori passavano le
giornate a darsi i bacini sulle guance.
Quando Letizia Moratti seminò il
panico: disintegrò con la Turboignoranza
gli istituti professionali e i cittadini si
rifugiarono nei ginnasi antiatomici.
Per completare le sezioni richieste
dall’affluenza, otto Saggi dovettero
estendere a due le lettere per sezione.
Presto le coppie finirono, e fu necessario
passare a terne, poi quaterne, con tutte le
possibili combinazioni interne. Le lettere
continuarono ad aumentare, finché non
bastò più la carta per le etichette, e si
passò a incidere.
Si combinò per ogni sezione l’intero
alfabeto, ma finì lo spazio incidibile
sulla porta, anche per tutte le
correzioni dei poveri commessi, counfsi
dlal’impnesbaile quatntià di caratetri.
Eserciti A.T.A. furono ricoverati in
ospedali psichiatrici: per indicare i
reparti, non sarebbero bastate le lettere
dell’alfabeto, dannati ospedali. Ma
questo è un problema loro. E poi, un
paziente fa l’altro.
Gli Stornelli del Manzoni
R_accont i
Poesie
Antologia Poetica
di Emiliano Mariotti 1ªF
Quanto al liceo, l’alfabeto terminò
davvero. Furono allora abilitati tutti i
caratteri e simboli, § $ £ & ∫ √ ® @ ¶ †
© ecc. ecc.
Fu integrato il greco, poi il cirillico,
l’armeno, il siriano, l’arabo, l’hindi, il
thaana, il telugu, il malayalam, il tagalog,
il bopomofo, nulla da fare.
Ci si ritrovò in una Torre di Babele, con
classi di migliaia di studenti e un ultimo
piano che non era mai l’ultimo, da cui
niente piccionaia.
Cosa restava, al signor Piccione, custode
di un universo in espansione, costretto a
vegliare al livello del mare, col nido che
usciva dal sistema solare?
Cosa restava, al signor Piccione, privato
delle sue scale di mogano, dei suoi
termosifoni profumati da anni di scorze
d’agrumi essiccate, del suo lavandino di
ceramica blu?
Dove si sarebbe accovacciato a meditare,
anni luce dal suo balconcino su un mare
di foglie verdi ormai distante qualche
diametro di galassia?
Dove si trovava, adesso, quella grata
ingrata e corrosa da infinite carezze
dell’infanzia, quando sognava cornicioni
segreti, inesplorati, tutti suoi, a un battito
d’ala dalle sbarre?
Erano le lacrime di quei ricordi,
gelate come finissime stalattiti, che lo
inchiodavano ai battenti del vulcano
logaritmico.
Era il suo carcere, non più il suo Nido. Il
Suo, Nido.
Mille e mille rivoluzioni terrestri di
eccellente lavoro (che per un piccione
celero-quantistico potrebbe essere il
tempo di asciugarsi le piume in un
minuto dopo il bagno nel barile). . . che
ne fu? Dimissioni rassegnate, Dio, è
troppo stanco!
Questo stupido disco in propilene che
i gestori dello stadio osano chiamare
sedile, scomodo come neanche gli scogli
di Acifortino, ma dove siamo cresciuti?
Questa società non funziona!
. . .
Che importa.
Così morbido, il fremito delle piume,
quando sente la fine.
. . .
La partita si concluse con un pareggio.
Per la prima volta, la squadra di casa era
stata superata in classifica.
Dall’alto dello spalto, gioì il signor
Piccione.
I suoi eroi, certo non erano “gli eroi” di
cui tanto si parlava. IP IP - I Pic Cioni!
Quest’anno, avevano davvero meritato
la torta.
Gonfiò il torace, dispiegando le ali.
L’effondersi del suo cuore spalancò
un’anima di calore e dolcezza tanto
profondi da produrre un’ola immensa, che
attraversò lo stadio, tutto, in entrambe le
direzioni. E anziché infrangersi contro se
stessa dal lato opposto dell’anello, l’onda
proseguì: metà defluì verso il limite
esterno, e metà verso quello interno, nei
versi opposti, accelerando.
Il signor Piccione era già alto nel cielo,
quando guardò giù, e vide.
“In fisica ciò non avverrebbe!”
considerò.
“Già, ma questa è metafisica!” rispose
Dio.
“E adesso muori!” ingiunse il dio
Acciacco.
...
Clack.
Sei un dipinto
di Ivan Ferrari 3ªA
Occhi di tempera scura,
sorriso fuggiasco:
tu sei un dipinto.
Non mi sembri materia,
sole negli occhi,
mi sembri Arte.
Un’immagine lontana,
un concetto inafferrabile;
solo queste cose eri prima,
ma ora sei anche segni,
piccoli simboli di suoni,
parole scritte da me.
Sei un dipinto perduto nel buio.
Capelli che nuotano nell’aria.
Sei un dipinto pensabile nella luce.
Mani che carezzano il vento.
Un pensiero è dentro di me.
Può essere fuori?
Un pensiero lontano e vicino.
Tu lontana e vicina.
Sei un ritratto:
non sei nella carta,
non nella penna o sul tavolo,
non in questa casa...
Un po’ di te è nel mio cuore,
ma il resto dov’è?
Dove sei tu?
21
AGENORE
Intriso di porchetta
viaggia verso Caccamo
il vecchio sarto armeno.
Ed è subito circo.
LURIDI
Steso sulla nuda pietra.
Rombanti motori
rimbombano nel garage:
Dio è morto?
ARNIA DI API
Lontano, oltre Merano:
un bosco ameno,
bestie sgozzate.
L’ora del miracolo.
ARTICOLO DI RIVISTA
Alba polare. Una mosca
sconquassa la palude
zigzagando.
Effimero è il burro di yak.
LISTINO PREZZI
Sdentato, sbrindellato,
avanza carponi, si blocca
poi sospira, osserva
crolla nella melma della vita.
ARMIGERO LENTIGGIONOSO
Tu, che ribaldo e
baldanzoso, ti aggiri
fra i vespasiani, sappi:
non sei l’unico.
AGNOSTICO SUL BALCONE
Natura morta. Un
cardellino svolazza, esanime
esamina. Non c’è scampo:
è finito nel sugo.
LANTERNE
In un cinema, la sala
buia è vuota;
qualcuno sospira.
Il vecchio cow-boy non
ne può più. Si spegne
il neon dell’insegna del bar.
Dipingo
di Leopoldo Morara 4ªD
Dipingo la mia ombra nei tuoi occhi
Per lasciarti solo un’immagine sfocata di me
Per nascondermi,
per celare la mia identità.
Lasciandoti solo il mio puro gelo sulle labbra.
Gli Stornelli del Manzoni
Il Buio
di Ivan Ferrari 3ªA
Toltagli la luce, il mondo cambia.
Un’ombra solida e uniforme si condensa
in un sentore stantio di morte.
I diurni rifuggono nel sonno
e una vita cieca ne prende il posto
sul trono atavico della Terra.
Essa brulica e si moltiplica nel buio.
Il buio che è come una cosa viva
e ti cattura, ti avvolge, ti soffoca,
ti muta nel suo nuovo regno.
D’improvviso ti ritrovi solo e atterrito
e guardi il tuo caro mondo con gli occhi
sbarrati
di una bestiola presa in trappola.
Ti sembra di fissare con orrore
le sinistre cavità di un teschio.
E ti senti sbalzato, assorbito
nel vuoto ghiacciato delle sue orbite.
Le alte piante vengono scosse
al soffio di un vento implacabile.
Sembrano sospirare mestamente,
lì, fuori dalla tua finestra,
animate da forze proprie, antiche e
immense.
La vastità del buio fuori è come un abisso
infinito
che si riflette nel buio interno dove i
mobili
e i familiari oggetti intorno a te
sembrano del tutto fuori dal loro spazio,
appoggiati ai muri che spirano freddo
dalla loro superficie
mutata in una viscida e organica
corteccia.
Cosa celano ora le altre stanze vuote
e i legni scricchiolanti degli armadi?
Dentro di loro si agita una parte di te
stesso...
Tra i vestiti che vi hai gettato alla
rinfusa
il buio ha fatto nascere una chimera
che si dimena orribilmente
e divora lesta la tua fantasia,
quando l’allunghi nella sua direzione.
Se ne nutre, la maledetta... si nutre di te.
La tua disperata fantasia urla lo sgomento
che respiri.
Qualcosa di antichissimo ti pulsa
dentro,
nelle incognite profondità del tuo corpo.
Dietro ogni angolo il buio è più spesso
e giureresti di poterlo accarezzare.
Come giureresti di vederne promanare
quei brevi movimenti.
Movimenti schivi, silenziosi e misurati,
i movimenti dei predatori.
Questo buio è il predatore e, se lo vedi,
ti ha preso.
Poesie
Ode ad un passato
recente
Poesia sul Natale
di Victor Campagna 3ªD
Ritorna a passi grevi l’inverno bardato
Di voti, vuoti e lavori
Ritorna per la mia felicità l’inverno
Con sciarpe di calore umano e guanti di
carezze gioiose
Ritorna minaccioso l’inverno
Carico di malanni, armato di fortunali
letali
Avanza alla carica l’inverno
Protetto dalle nubi colossali, scortato dai
venti elettromagnetici
Brande un’arma mortale, il Natale...
Con esso soldi stillerà alla società,
annebbierà le coscienze
Miete vittime l’inverno impietoso
Come una macchina perfetta sevizia i
corpi
Come un killer irato distrugge
l’ambiente
Come una famelica fabbrica divora vite,
sogni e speranze.
Rimane l’inverno.
Alberga indifferenza,cambiamenti per
pochi. Solitudine a volontà
Natale e famiglie, alberi e giunchiglie,
calorie e sensi di colpa a volontà
I panettoni giungono come nunzi, le
decorazioni suonano le trombette
I soldi si stendono come tappeti leziosi
,la golosità getta fiori per le strade
L‘avidità apre le porte del regno e urla
“L’inverno è qua! Croce e delizia!!!”
S’è salvata, quell’onda di sole:
s’è messa in quell’angolo,
protetta dalla sparuta folla,
che ardeva immensa,
che osservava curiosa quel volto
madido di altura,
strano e gentile, feroce e dolce,
come una mansueta pantera.
Era sola, lassù, bella,
come una cascata estiva,
che fioriva
accanto agli artifici delle stelle.
La luna l’osservava,
meravigliata e meravigliosa,
dando voti a sproposito, coiti
nascosti ed eiaculazioni passate:
ogni cosa era erotica, ma dolce,
quasi errante.
Come un vento stretto
dalle mani del destino,
ella va, con corsa maledetta,
senza fermarsi: vede solo un avanti
perpetuo, un sogno ardito,
un casolare vacillante,
lei,
lì, seria e assorta, a volte
vola in un riso, quasi esterna,
moglie del sole, figlia
della luna, fumo delle nuvole,
cielo del mare,
ogni masticata affermazione:
lei sosta lì, erosa dall’attimo,
come al solito,
figlia del vento, figlia del mare;
sosti qui, ora, accanto a me, con
un gomito sullo stomaco,
dolce e forte, quasi mortale, quasi
divina, quasi eterna:
sei te, veramente semplice,
come un bacio.
Confusione
di Rossana Martinelli 5ªC
Sospesa a dubbio o domanda, tale
nuvola all’alba, distesa.
Cercava tra rimpianti ed attese,
libertà e paure, inversioni
di rotta.
Tempesta di mare gorgoglia e
ghermisce la nave, tuttavia il sole
rimane,
ostinato.
Libertà d’odio, d’amore, di caso,
di schiera, di errore -di un altro?a tutta una vita il beneficio del dubbio.
22
di Michele Di Masi 3ªD
Alla finestra
di Victor Campagna 3ªD
Sono momenti strani
in cui non capisci cosa sia la vita:
sai solo che sarai sotto il volto
delle tende...
sotto la luna... ad aspettare...
il parco vuoto... le luci dei lampioni
ancora vive...
ed io aspetto...
invidiando le facce dei felici.
Questi sono momenti infelici...
strani e infelici. Quasi morti...
ed io... davanti alla finestra... aspetto
sotto il vento del tempo
In attesa d’una chiamata,
in attesa di qualsiasi braccio.
Ma non arriva
e si fa tardi...
la barba cresce...
ed io aspetto... inerte.
Gli Stornelli del Manzoni
Saga
Sinossi dei primi due episodi.
Ivan scarica un gran pugno sul volto del baffuto Dott. Giuseppe Mengele, poi chiede la mano della di lui figlia. Quello acconsente e invita
tutti a un Natale sul Monte Orso - purché Nevio rimanga con lui. Eva ascolta Peter Gabriel e Pedro gioca a Sonic & Knuckles.
Pedro, Dario, Ringo e Nevio sono nipoti di Ivan. Eva la sua fiancée.
Bear Mountain - episodio 3
di Ibrahim Muhamed Ahradji
Cargo, cargo, gigante dei cieli! Quanto
immenso tu voli! Consegni la posta,
consegni le merci, così oggi come nel
dicembre del 1958!
«I’m dreaming of a White Christm--»,
virata, sobbalzo. «Ehi, pilota! Piano, lì».
«Papà, stiamo arrivando, guarda».
«Sì: riconosco la caratteristica pianta
alata. Meraviglioso!». Opaco oltre il
finestrino; luminoso di avvenire; il
grande cantiere di Brasília, la pista
protesa verso l’aeroplano. Esotici pennuti
s’avvicendano, turisti delle cose umane la novità, la curiosità; poi fuggono, con la
polvere balzano ai lati. La strada si apre
al maestoso atterraggio.
Attrito stridente di freni e riposo. Toot.
O Aeroporto Internacional de Brasília
dá-lhe as boas-vindas... «Capitano,
congratulazioni. Ottimo volo. Bravo».
«Buona permanenza a voi, dottore».
«Come on, Giuseppe». Tlac di cinture
slacciate.
Dalla foschia di luce artificiale, verde
nel verde, emerse un vecchio decorato
dei gradi di colonnello. A passi sincroni
lo incorniciavano due soldati semplici.
«Rodolfo! Ma perché non hai preso un
volo di linea!»
«È dura da noi. L’America è ingiusta,
così... si risparmia. Piuttosto il vostro
aeroporto è uno spettacolo: avanguardia
funzionale, bellissimo. Sono felice di
vederti».
«Potevo farti finanziare dal ministero,
e...», l’occhio di Giuseppe si pianta
sui fucili, il discorso si blocca contro
i timpani spenti. Armi. Spettacolo
meccanico inquietante sensuale. Scorre
per la mente una pellicola, mille scenari
possibili di morte grottesca, buffa e
straziante, una rassegna di corpi pucciati
nel sangue tipo pane nel sugo.
«Queres um também, rapaz?» ridacchia
il soldato. L’umanità per un secondo
accantonata sentenzia: pensieri impuri;
scuoterli via, tornare alle conversazioni
degli adulti, il suo mondo a venire.
«...la costruzione di questa incredibile
capitale, l’immagine che ne viene è
quella di un paese in crescita».
«Penso che finché i soldi per finanziarsi
se li stampa... Cinquant’anni in cinque,
figuriamoci. E poi conosci la politica dei
tuoi Stati Uniti», qui l’aeroporto termina,
in cinque si dirigono a un veicolo,
«Credimi, dureremo un lustro, due al
massimo. Vargas aveva... Qualcosa dovrà
cambiare».
S’accomodarono sui sedili scomodi della
camionetta. Turbava il silenzio soltanto
il grattare del motore in accensione.
Nuova occasione per estraniarsi:
Giuseppe agguanta il borsone di
cuoio con il logo Luftwaffe, vi rovista
dentro, ne cava fuori un rotocalco per
la gioventù, acquistato prima di partire.
Senza mutare l’espressione pensierosa o
volgere lo sguardo: «Dunque è così che la
vedi», interviene Rodolfo. Sospensione,
«Ma, neppure se riuscissi a trovare il tuo
nuovo eroe?».
Teatralmente esasperato, il colonnello:
«No. Non qui! Conosco il tuo amore
per il Brasile – lo condivido. Ma non è
momento, proprio. E mi dispiace!». Gli
occhi vibravano letteralmente di energia.
«Guarda piuttosto altrove. Non so
quanto tu possa aver saputo degli eventi
di Cuba...»
«Certo, intendi la guerriglia contro
Batista», con aria di sicurezza. Rovesciato
dall’umiltà, «No, ne so quasi niente. Ma
pensavo a un conflittuccio locale, uno di
quelli che i regimi sedano facilmente».
«Sono tornato da lì tre giorni fa. Non
chiedermi come, ma sono riuscito a
contattare il 26 luglio». Le rivelazioni
sono più che mai succose, se schiaffate
come trote in faccia a un addormentato.
Attese l’effetto.
«Hai avuto colloquio con il generale
Castro?», eccolo, «E tutti gli altri? Capirai
perfettamente che muoio dal desiderio di
apprendere come».
Compiaciuto, «Ti basti sapere che Santa
Clara è alle strette. Se il caro Fulgencio
non s’inventa qualcosa, entro una
settimana Guevara e i suoi dovrebbero
entrare. A quel punto L’Avana è a due
passi». Si accende un sigaro, «Quelli sì,
che potrebbero sorprenderci. Se una di
queste rivoluzioni funziona, chissà...».
L’aver appreso tali informazioni di
prima mano – e il sigaro che lo rendeva
trascurato e fascinoso - ponevano
il colonnello in una condizione di
superiorità assolutamente inaccettabile
per un intellettuale come il Dott.
Rodolfo Mengele. Il fatto lo metteva a
disagio. Controbattere con osservazioni
23
argute era urgente, e imprescindibile.
Obietta: «A meno che non si mettano
con i sovietici. Sarebbero guai per tutti.
Ma forse tu desideri il conflitto nucleare
su scala mondiale, ne avresti tanti dei
tuoi eroi! Ah! Ah!», che smacco per il
colonnello.
Due boccate di fumo. «Per prima cosa,
si metteranno indubbiamente con i
sovietici. Almeno in un primo momento».
Guarda fuori, mormora: «Uh, siamo
quasi arrivati», poi continua, «In secondo
luogo: i miei eroi non sono martiri. I
martiri, o sono sfortunati, o sono idioti».
Il veicolo accostò uno dei deserti
marciapiedi della città-cantiere. Il
colonnello aprì la portiera. «Ci vediamo,
Rodolfo. Uno di questi giorni dovremo
parlare di lui». Il giovane Giuseppe
Mengele, assorto nelle strisce di
Mandrake the Magician, si trovò tutt’a
un tratto trapassato dalla traiettoria del
suo indice.
«Sai chi era quell’uomo, Giuseppe? Prova
a indovinare».
Inutili
indovinelli
inindovinabili!
«Dimmelo, papà».
«Quello, ragazzo», pausa, «era un
grand’uomo». Si ferma finché la
suspense non è al grado giusto, «Quello
era Don Diego de la Vega – il fuorilegge
conosciuto come Zorro».
Giuseppe sbuffò come una caldaia in
procinto di esplodere, facendo strage di
tecnici. «Di tutte questa...», si alza dal
letto, «A parte che Zorro non esiste:
ma le sue avventure sono ambientate
all’inizio del diciannovesimo secolo,
quindi è anche morto».
«E invece era proprio lui! Maledetta la
mia stupida incredulità», sprofondato
nella poltrona rossa di casa sua, in
grembo un volume rilegato in cuoio nero,
di fronte un caminetto acceso. Attorno,
un salotto d’epoca già addobbato per
Natale. «Basta parlare di me. Dimmi, tua
madre, piccino?»
«Il mio zio ha detto che è partita per un
viaggio molto lungo» risponde Nevio,
vocina infantile.
«Oh. Poveri noi». Solleva gli occhiali da
lettura sulla fronte corrugata. «Lo vuoi
un po’ di cognac? Ah, no: sei troppo
piccolo».
Gli Stornelli del Manzoni
Bacheca
FUORI TARGET - LE NUOVE GENERAZIONI SI RACCONTANO IN VIDEO
Edizione 2008
I giovani, il loro mondo, le loro abitudini, le loro passioni. Un argomento che viene analizzato e studiato, descritto e definito molto
spesso attraverso stereotipi e cliché che non fanno altro che immobilizzare un universo che, per sua natura, è in continua evoluzione.
E troppo spesso le nuove generazioni sono bersaglio inconsapevole dei media, subendo passivamente i messaggi senza sapere come
reagire a questi attacchi. Manca un momento in cui la parola passa ai giovani, in cui possano esprimersi e raccontare in prima persona
i propri pensieri, le proprie emozioni, senza che questo sia giudicato “utile per fini commerciali”.
Fuori Target nasce da questa mancanza, con queste esigenze. Un momento liberatorio e provocatorio, rivolto a tutti quei giovani che
non vogliono sentirsi ingabbiati, che non si accontentano di come vengono descritti dai media, che sentono l’esigenza di esprimersi e di
raccontarsi. Fuori Target offre la possibilità di maturare critica e autonomia, e li incoraggia a non accettare passivamente orientamenti
e modelli stereotipati, ponendosi come soggetti attivi della comunicazione. Non solo li spinge a sviluppare la creatività, a sperimentare
e a mettere in gioco le proprie capacità, ma anche a porsi in modo critico nei confronti della dilagante cultura delle immagini.
Fuori Target è:
• un festival di cinema rivolto alle opere di registi, videomaker e operatori dell’immagine di prima generazione;
• una rassegna in cui i giovani raccontano in video il loro mondo, le loro storie, il loro immaginario;
• un laboratorio dove approfondire le tematiche legate all’immagine
L’edizione 2008
La seconda edizione di Fuori Target si svolgerà dal 28 al 30 marzo 2008. Non solo cinema dei giovani ma anche cinema per i
giovani: incontri e workshop con esperti, professori e tecnici; occasioni di scambio e di confronto fra i registi di nuova generazione e
personalità dello spettacolo; rassegne tematiche legate al mondo dell’animazione e della musica; CONCERTI e DJ SET .
La nuova edizione è ancora in costruzione e aperta alla collaborazione e al suggerimento di tutti, perché questa sia un’iniziativa che
veramente appartenga ai giovani, che sia lo specchio di un mondo ancora sconosciuto, un’occasione di conoscenza e presa di coscienza,
per chi guarda ma soprattutto per chi fa l’immagine.
Il bando
Il bando di partecipazione è rivolto a opere video prodotte in ambito scolastico ed extrascolastico, realizzate da giovani di età compresa
tra i 14 e i 20 anni, in Italia, ed ultimate dopo il 1° gennaio 2007. Sono ammesse al concorso opere di ogni genere ( fiction, video inchiesta,
animazione, videoclip, spot, mobile phone movie...) e formato. Il bando si chiuderà alla fine di febbraio 2008.
Per informazioni chiedere a Irene Belluzzi II E, o contattare direttamente:
Ufficio stampa esterni - tel/fax 02 713 613 - via Paladini, 8 - 20133 Milano
www.esterni.org - www.designpubblico.it - www.milanofilmfestival.it - [email protected]
UNIVERSITÁ BICOCCA - RADIO DI ATENEO
Cari studenti,
L’esperienza della scuola superiore per molti di voi sta per giungere al termine. Dopo l’ultima grande fatica della maturità, sarete
proiettati in nuovo universo, ricco di nuove esperienze, saperi, conoscenze: l’Università.
Un mondo decisamente diverso, che ai più risulterà affascinante e veramente formativo, un luogo dove la cultura più avanzata incontra
le vostre esperienze quotidiane, fatte di studio, esami, ma anche divertimento, amicizie, amore, ecc..
Per vivere meglio l’Università e per unirne concretamente i vari saperi che la compongono, alcuni studenti universitari, tra cui il
sottoscritto, nel 2005 fondarono una web radio d’ateneo, la chiamarono B-Radio e si posero l’obiettivo di fare la prima radio d’ateneo
milanese, cosa che effettivamente avvenne nell’aprile 2006.
Per continuare a vivere e migliorare nel tempo, B-Radio ha bisogno continuamente di nuove risorse, giovani volenterosi che per pura
passione si mettono a fare la radio, magari a casa propria. Sono infatti solamente necessari un PC, un software di registrazione, un
microfono e tanta fantasia per fare un programma radiofonico sul web!
Ed eccoci arrivati al senso di questo articolo: per tutti coloro che andranno a studiare
in Università Bicocca, ma non solo vista la mole di collaborazioni esterne, preghiamo di
ascoltare B-Radio, di comunicare con lei, di provarci a farne parte quando farete parte del
circuito universitario. Ad alcuni di noi, questa esperienza ha cambiato la vita.
Potete trovarci sul web all’indirizzo www.b-radio.it e potete scriverci all’indirizzo
[email protected] , risponderemo ad ogni vostra domanda.
B-Radio.
Your Favorite Station,
Music Satisfaction!
David Marelli
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