Storn A4N1.indd - Liceo Classico Manzoni
Transcript
Storn A4N1.indd - Liceo Classico Manzoni
Gli Stornelli del Manzoni Anno IV Numero I Gli Stornelli del Manzoni Editoriale Articola un pensiero. Pensa un articolo. di Nitore Artico - Piano Tirreno No, vero? Sapevo che non ti saresti fermato a leggere il mio piccolo editoriale, ma come mi sbagliavo! Mi presento, sono Nitore Artico, Conte del Piano Tirreno. Tuttavia, certuni si trovano da lungo tempo adusi ad appellarmi “quella cosa lì”. Se non vi spiace, mettiamoci d’accordo. Chiamatemi pure Conte Nitore Artico lì. La mia storia è un breve viaggio di casa in casa, apolide in un mondo ottuso, affollato da manichini di gomma, insonorizzato dal sughero degli edifici. Almeno per me, sapete, non c’è problema, nato come sono sprovvisto di corde vocali. Neppure posseggo un cervello per pensare, né un braccio per articolare. Una mano di vernice, la domenica mattina. Ma la mano non è mia, sapete, e non è mia la vernice, l’inchiostro, niente. Vuoto e lieve, come se un palloncino d’alluminio io fossi. Queste precise parole, non so chi le abbia scritte. Sono una tara senza carico, una giara senza manico. Non penso e non articolo. Contengo. Non negatemi una rata di cibo, voi che generate! Date una ragione al giarone, rendete ponderoso il suo pendere! Non nutritelo di reiteri triti e ritriti, nutritelo di tritolo e di miti, fatelo esplodere! Tu, sapevo che non ti saresti fermato a leggere, ma ormai è troppo tardi. Gnam. Sommario 2 - Editoriale 3 - Attualità 7 - Cinema 8 - Bloc Note 12 - Videogiochi 13 - Racconti 22 - Acchiappasogni 23 - Poesie 24 - Esperimenti II Copertina e vignette di Costantino Orlando Impaginazione di Tommaso Sciotto con Costantino Orlando, Lea Di Salvatore, Diego Begnozzi, Franxesco Fiero, Costantino Orlando Scadentissimo logo di Bloc Note di Tommaso Sciotto (ma non doveva chiamarsi Diapason?) (e che è un diapason?) (è una specie di flauto?) (non è quella cosa che vibra nell’aria?) (è tipo uno strumento musicale?) (serve a far su?) (è una balena?) (oh dai andiamo a comprarne uno?) Gli Stornelli del Manzoni Attualità Generazione Putin di Giorgia Stefani 2ªD “Lei voleva dir loro che dietro il comunismo, dietro il fascismo, dietro tutte le occupazioni e le invasioni si nasconde un male ancora più fondamentale e universale, e che l’immagine di quel male era per lei un corteo di gente che marcia levando il braccio e gridando all’unisono le stesse sillabe.” Milan Kundera - L’insostenibile leggerezza dell’essere E’ l’otto luglio 2007 e i telegiornali trasmettono due servizi curiosamente accostati. Il primo è uno sguardo su non-soprecisamente-quale raduno scout: le telecamere riprendono sorridenti giovani in divisa che cantano, pregano e organizzano giochi di gruppo. Per quanto incorniciate in un felice quadretto quasi esasperato, le immagini strappano un bonario sorriso ai telespettatori. Il servizio posto a seguire, non si capisce se per analogia o contrapposizione, è la ripresa del Campo Estivo dei Nashi (lett. ‘I Nostri’), il nuovo fronte attivista della gioventù russa filo-putiniana. Ragazzi e ragazze tra i 18 e i 25 sfoggiano magliettedivisa rosse e bianche, i colori della croce di Sant’Andrea simbolo del movimento, con il testo del nuovo inno nazionale sulla schiena. Tremila giovani in questo campo a nord di Mosca trascorrono le loro giornate tra esercizi ginnici in lezioni di gruppo in stile marziale, prove di coraggio e conferenze di politica antioccidentale. In questi comizi i politologi del Cremlino, da cui si vocifera che i Nashi siano generosamente finanziati, spiegano ai ragazzi come la rivoluzione arancione ucraina sia stata pianificata dall’estero e addirittura come il presidente dei ribelli sia stato avvelenato dai suoi stessi seguaci per attirare la simpatia di nuovi elettori. Il movimento Nashi è nato infatti pochi mesi dopo la rivoluzione ucraina con altre correnti che sono andate a costituire nel complesso un fenomeno che ha preso il nome di “Giovane Russia” o “Giovane Guardia”, secondo molti istigato dai politici che temono pericoli per Mosca. Insomma la rivoluzione arancione prova che la Russia è minacciata da dentro e da fuori e il compito della gioventù Nashi è proprio quello di <<difendere l’ordine costituzionale se ci troveremo davanti ad un’insurrezione>>, come spiega il politologo del Cremlino Gleb Pavloskij. Il tutto, ricordiamolo, in vista delle nuove elezioni presidenziali del 2008, in cui il nuovo idolo giovanile Putin dovrà passare il testimone. Informandosi si viene poi a scoprire che in interventi precedenti, come la contestazione alla propaganda di opposizione del campione di scacchi G.Kasparov, i Nashi hanno arruolato nelle loro fila hooligans e varie tifoserie. Nelle stesse lezioni del Campus d’altronde uno dei leader incoraggia i ‘Nostri’ ad integrare nel movimento i pericolosi skinhead – naturalmente ammansiti- , che con le loro bravate tanto danno fastidio alle autorità. Insomma delle educative riunioni boyscout. Su una rivista italiana ho trovato un servizio della giornalista Margherita Belgioioso che ci dice che <<quei ragazzi si creano come possono un nuovo mondo di sicurezze bianche e nere dove il grigio non ha spazio, un mondo dove loro hanno ragione e gli altri torto, dove la Russia è una grande potenza e gli USA troppo arroganti, dove i soldi e il potere sono importanti e i diritti umani chissenefrega, dove la Cecenia è loro e se la terranno, gli immigrati servono ma non hanno diritti e i gay sono dei deviati.>> Mi conforta sentire che la mia angoscia per il servizio sul Campus è sensazione condivisa per lo meno dalla stampa italiana, e in fondo anche russa, nonostante secondo i Nashi non sia vero che in Russia non esista sempre libertà di stampa, ma che anzi spesso siano i fatti omessi a non esistere. Perché l’opposizione in sé non ha senso di esistere nell’ottica dei Nashi, convinti che in un ‘vero stato ’ come la Russia il popolo sia fedele soltanto al presidente Putin. E io penso ad Aristotele che ci insegnava 3 che “se uno stato nel suo processo di unificazione diventa sempre più uno, non sarà più neppure uno stato, perché lo stato è per sua natura pluralità”. Comunque anche in Russia il movimento sconvolge e allarma l’opinione pubblica, o almeno una parte; eppure sono lì, sono migliaia, li si vede e sfilano nel parco tra manifesti e stampe di eroi patri, attendendo la visita del presidente-messia. Sono uniti e ci credono davvero, per quanto le accuse di manipolazione del Cremino possano essere fondate, ed è comprensibile perché noi giovani, si sa, abbiamo un bisogno naturale di trovare alti ideali e farci forti di un adesione comune. Insomma che le cose stiano proprio così o meno, è pur inevitabile che saltino alla memoria immagini come quelle dei documentari storici sulla Russia sovietica o, azzardo, sulla gioventù balilla; e forse più ancora la scena ricorda alla lontana gli alienanti scenari di 1984 [G.Orwell], in cui i cittadini, ormai vittime di un totale lavaggio del cervello storico-politico, sfilano come robot in metropoli alla Blade Runner, sovrastate da giganti teleschermi del Grande Fratello e da altoparlanti che ripetono “La guerra è pace- La libertà è schiavitù- L’ignoranza è forza”. Da un misto di queste immagini il mio terrore per il movimento dei Nashi, una corrente che trascina l’entusiasmo giovanile in un circolo forse non del tutto sano. Gli Stornelli del Manzoni Attualità Esami a settembre di Stefano Bassini 4ªE Pronti e via: dopo nemmeno due settimane dall’inizio dell’anno scolastico, già sentiamo parlare di nuove riforme. Proprio così: il ministro della pubblica istruzione Giuseppe Fioroni ha varato un decreto con il quale si prevede il ripristino dell’esame di riparazione a Settembre. Esso verrà sostenuto dall’alunno carente in determinate materie al termine delle vacanze estive, per verificarne i progressi e l’impegno. La cosa che ovviamente però spaventa tutti, alunni e famiglie, è il pericolo di perdere l’anno scolastico. Basta quindi non saldare anche solo una lacuna in una materia, che ci toccherà ripetere l’anno. L’esame di riparazione venne abolito nel 1995 dall’allora ministro Francesco D’Onofrio, e che oggigiorno dovrebbe rimpiazzare il sistema dei debiti formativi, utilizzati da ormai dieci anni a questa parte. In merito alla riforma, ha parlato proprio Fioroni: dai dati riportati dal ministro, si afferma che in media, gli alunni promossi con lacune è pari al 41%; tuttavia solo 1/4 di essi riesce a saldare i debiti. Il restante 30% invece, consegue e supera la maturità pur non essendo mai riuscito a superare le proprie lacune. Il debito più comune tra gli studenti? Matematica. Si constata infatti che un alunno su due ammesso con debito riscontra problemi con questa disciplina. Uno studente su tre invece ha carenze nello studio delle lingue straniere. In ogni caso, le scuole saranno tenute ad organizzare “corsi di recupero” per i meno bravi, specialmente subito dopo gli scrutini intermedi. Essi saranno tenuti da professori dello stesso istituto, eventualmente supportati da soggetti esterni alla scuola, tutto però a discrezione dei presidi. Arrivano novità anche per gli alunni che nell’anno scolastico 08/09 dovranno sostenere gli esami di stato. Nel caso in cui uno studente presenti insufficienze al termine del primo quadrimestre, il Consiglio di classe predisporrà iniziative di sostegno e relative verifiche, in modo tale che i ragazzi possano venir ammessi agli esami. Ma alla fine, questo decreto, verrà davvero approvato? Di recente Fioroni ha voluto precisare che gli esami possono essere nuovamente messi in vigore tramite una legge, e il vero cambiamento tratterà sui tempi per il recupero dei debiti formativi: si prevede infatti la somministrazione di verifiche particolari prima dell’inizio dell’anno scolastico, che permettano i professori a promuovere o meno l’alunno carente. Sostanzialmente si tratterà di un obbligo per il recupero dei debiti. Dunque, nessun ritorno alle origini? Oppure, come ha dichiarato recentemente Roberto Calderoni, “il ministro Fioroni ha reintrodotto gli esami di riparazione a settembre, sotto un nome differente, attraverso un semplice atto amministrativo”? Intervista al Professor Leonardi (vicepreside del Manzoni) di Cip e Ciop Quando lei frequentava il liceo erano presenti gli esami a settembre, vero? Certo (anzi, per essere sinceri ne ho anche persi un paio…). Secondo lei aiuteranno lo studente a migliorare il suo rendimento scolastico? E’ un dato statistico che da quando hanno tolto gli esami a settembre il rendimento scolastico medio è sceso. Ovviamente gli esami mettono molta ansia e rovinano l’estate, però in questo modo si spera che gli studenti si rimettano a studiare seriamente. Quindi li giudica positivamente? Direi di si. Il debito formativo non si è rivelato essere un’alternativa efficace. Un’ultima curiosità. Cambieranno i metri di giudizio per l’assegnazione dei voti? Non ne abbiamo ancora parlato in maniera ufficiale, ma certamente cambieranno. Non tutti i voti che davano il debito faranno sì che lo studente sia rimandato. Si cercherà di venirgli incontro. 4 Gli Stornelli del Manzoni Attualità Cosa ne pensano i manzoniani? di Lea Di Salvatore e Davide Canzano 2ªB In seguito alle varie manifestazioni avvenute nel corso dei primi mesi scolastici, abbiamo deciso di indagare su quale fosse realmente il pensiero dei manzoniani riguardo alla temuta riforma Fioroni. Abbiamo intervistato una trentina di studenti di tutte le età riuscendo così a ricomporre le principali correnti di pensiero che si sono formate all’interno della scuola. Abbiamo quindi diviso la nostra indagine in base a fasce di età: la prima comprende le quarte ginnasio; la seconda le quinte ginnasio, le prime e le seconde liceo; e la terza ed ultima fascia comprende invece i ragazzi di terza liceo. Molti studenti di quarta ginnasio non sono favorevoli al reintegro degli esami a settembre dal momento che saranno sicuramente quelli più toccati dalla riforma, allo stesso tempo però non vedono nei debiti formativi una qualche utilità; solo un coraggioso debuttante ha affermato che questo provvedimento era del tutto necessario. Nella seconda fascia di età, invece, non abbiamo riscontrato molta unanimità. In cosa consiste la riforma? È il decreto ministeriale n. 80 che di fatto obbliga gli studenti, già a partire dal 2008, a recuperare tutte le insufficienze entro l’inizio del nuovo anno scolastico. Il ministro Fioroni ha reintrodotto, chiamandoli in forma diversa, attraverso un semplice atto amministrativo come un decreto ministeriale, gli esami di riparazione, i famosi esami di settembre, cosa che aveva determinato la massiccia protesta del mondo studentesco”. Prima di tutto dobbiamo distinguere i ragazzi di questa fascia in“debitori”e“non debitori”; tra i debitori, la maggioranza lamenta la cattiva organizzazione dei debiti affermando però che gli esami a settembre risulterebbero troppo impegnativi. Tuttavia, una parte importante dei debitori dichiara, con nostro grande stupore, di reputare gli esami a settembre risolutivi e assolutamente necessari e i debiti del tutto inutili. Un’altra idea che accomuna un gruppo abbastanza grande di debitori è quella che i debiti siano poco efficaci, ma che gli esami a settembre fossero fuori tempo, troppo vecchi e quindi non attuabili. Malgrado le molte proteste, però, solo una persona è in totale disaccordo con la riforma e rivendica l’efficacia dei debiti. Tra i non debitori, invece, vi è un po’ più di concordia, infatti c’è una sola grossa maggioranza che ritieni i debiti abbastanza efficaci e gli esami troppo impegnativi per essere attuati. Poi vi sono due piccoli gruppi, l’uno afferma che entrambi i provvedimenti non servono a nulla, mentre l’altro si mostra invece d’accordissimo con il provvedimento ministeriale. Abbiamo inoltre percepito che in questa fascia, sia tra i debitori sia tra i non, molti ragazzi ritengono non sia giusto venire bocciati per una sola materia e per lo più magari una materia non d’indirizzo. Interessandoci invece alle terze, possiamo notare sia tra i debitori che tra i non debitori una comune disapprovazione per la riforma: ritengono gli esami a settembre troppo impegnativi, ma allo stesso tempo sono contrari pure ai debiti, definendoli assolutamente non efficaci e lunghi da saldare. Qualcuno ha definito gli esami a settembre persino anacronistici! Da questo sondaggio possiamo dedurre che non è vero che tutti gli studenti sono completamente contrari alla riforma, mentre possiamo notare un malcontento comune per la non funzionalità dei debiti; molti alunni ritengono che gli esami a settembre siano un rimedio estremo e che si dovrebbe trovare invece una via di mezzo. Come giudichi i debiti? E gli esami a settembre? 29% Inutili 45% Male organizzati 13% Troppo lunghi 10% Abbastanza efficaci 3% Efficaci 26% Necessari 23% Troppo impegnativi ma giusti 10% Onesti 19% Inutili 16% Troppo impegnativi e ingiusti 6% Troppo vecchi 5 Gli Stornelli del Manzoni Attualità Un anno di Moratti di Alberto Pozzi 2ªI Poco più di un anno è trascorso dall’insediamento Moratti in quel di palazzo Marino. Che, tradotto, significa poco più di un anno di danni. Cominciamo dalle vicinanze scolastiche: eletta a giugno ’06, già a dicembre dello scorso anno le riesce una delle sue migliori mosse: sposta gli “U bej U bej” dalla loro sede storica (e non è un modo di dire, la fiera si teneva qui dal 1400) di S. Ambrogio a quella del castello Sforzesco. Risultato? Un vero e proprio schifo, a detta di tutti. Le motivazioni prese come scusa poi facevano ridere (per non piangere): costruzione parcheggio a pagamento e la solita “legalità”, scusa oltremodo abusata da qualche tempo a questa parte a Milano e non. Anche perché si sa bene che lo spostamento non sarà temporaneo come vogliono farci pensare... Altro bel punto del programma morattiano è stato l’allargamento delle amatissime strisce blu... a mo’ di esempio: si è eliminato il parcheggio vicino a piazzale Cantore e si sono ricominciati gli scavi per ulteriori parcheggi (a pagamento, ovvio!) in quel del naviglio. Beh, visto che l’amatissimo sindaco milanese e di Milano conosce la città, ovviamente come poteva sapere che sotto al naviglio si trovassero reperti delle mura spagnole? D’altro canto quella è solo la cosiddetta “Cerchia dei Bastioni”... ma, come si suol dire, oltre il danno, la beffa: poco prima delle elezioni ‘06 i molteplici lavori per rimettere a posto il naviglio erano appena finiti. Questa invece viene eletta e spacca tutto e subito... Tante grazie! Inoltre la grande barzelletta dei parcheggi sotterranei a pagamento è continuata anche in piazza 25 aprile. Là i lavori sono fermi (come per S. Ambrogio e Naviglio grande) per dei ritrovamenti archeologici... ma come mai? Forse perché se si scava si trova la porta romana, che chissà come mai è situata sotto l’altra porta, costruita successivamente? Particolari... Ma oltre queste cosuccie, ha aumentato i poliziotti e ha promosso i vecchi vigili: ora sono Polizia Locale e girano armati... stesse mansioni ma hanno il ferro (oltre che il manganello)! Ma capiamoci, Milano è l’unica città (tolta Roma, che però ha anche il governo...) ad avere così tanti poliziotti, ma per Lei non bastano e ne chiede sempre altri ma in nome della sicurezza! Tra i nuovi slogan subliminali figura infatti: “Un poliziotto per tutti”. Oltretutto le telecamere spuntano come funghi a ogni angolo: tutto e sempre sotto controllo, questo è uno dei cardini principali della filosofia morattiana. Ma tutto questo è solo un’inezia rispetto a uno degli atti più riusciti: la “riabilitazione” dal degrado delle Colonne. Ma su questo son già state spese troppe parole e non ne parlerò certo io, su questo caso particolare c’è poco da dire e tanto da recriminare. L’unica cosa che quasi nessuno sa è però un’altra. La Moratti prese questi provvedimenti perché la zona navigli/colonne è troppo frequentata, c’è troppa movida e disordine, visto che la maggior parte dei locali milanesi si trova lì. Bene questa politica di accentramento dei locali in una sola zona è però frutto di qualche decennio fa, e chissà come mai, nel passato andava bene, poi quando si ha rumore sotto casa, non più... Una cosa però spicca dai vari provvedimenti del sindaco, una linea di fondo comune a tutti i vari provvedimenti: una sorta di protezionismo nei confronti del centro e di una sorta di emarginazione della periferia. Riprova di questo è l’ormai approvato ticket antismog. Bene, questa geniale idea vorrebbe essere il modo per ridurre l’inquinamento (entro la cerchia dei bastioni però!...) a Milano; uno stimolo a utilizzare il trasporto pubblico, benché la Moratti stessa abbia ammesso che i soldi del ticket andranno in futuro a finanziare l’ATM stessa, troppo povera di mezzi e linee per soddisfare l’intera città. Ma quanta gente pur di non pagare il ticket invece che attraversare il centro userà le altre strade, intasando ancor di più la già affollatissima circonvallazione? L’inquinamento non scenderà certo per un ticket, visto che non sono le auto a produrre il 60/70% dell’inquinamento, bensì le caldaie. Perché non incentivare al cambio di queste piuttosto che tassare ulteriormente gli automobilisti, che in fin dei conti portano già ricchezza a Milano, visto che ci vanno per lavorare? Ma la Moratti quando s’impunta non si toglie. È una donna assai cocciuta, testarda. Infatti è proprio da giugno 2006, dall’insediamento, che vuole e patrocina il ticket. La prova del 9 a questo punto arriverà a gennaio, il mese, appunto, previsto per l’introduzione della nuova gabella. Anno nuovo, tasse nuove. Ma la Madonnina non respirerà meglio comunque. ιν αττεσα δελλα ϖιγνεττα δι χοσταντινο 6 Gli Stornelli del Manzoni Cinema Enciclopedia del Cinema - A di Elia Zenoni 2ªH Aprile Oh, si comincia bene. Bel film del compagno Nanni sulla vittoria del Silviolo alle politiche; la prima. Non è il Nanni di bianca però vabbè sì dai. Memorabolante la scena del metro: un amico di lui tira fuori al compleanno di Nanni un metro di quelli riavvolgibili e gli chiede quanto vorrebbe vivere. Lui dice, mi sembra, 80 anni e quello apre il metro sugl’ 80 centimetri e toglie gli anni che Nanni compiva quel giorno. Ne rimane ben poco: questo è quel che ti rimane, gli dice, e gli porge il metro con allegria. Poi nella scena dopo c’è il Nanni che va in vespa e ripensa a quella cosa lì e allora si chiede perché abbia detto 80, e perché non 90, 100… Acchiappa animali, l’ Vai cossì!! Noto solo adesso che le casse del mio computer sono della stessa marca della ciabatta che lo tiene in vita. Ace Ventura era il mio mito infantile tanto che credevo che Jim Carrey si chiamasse veramente Ace Ventura e non Jim Carrey. In pratica c’è Ace che è un acchiappa animali e quindi lo chiamano perché è scomparso un delfino che era la mascotte di una squadra di football e poi però si scopre che il capo della polizia era un uomo, non una donna come in effetti appariva e che giocava nella squadra di football ma non ricordo che c’entra bé comunque questo/a cerca di incastrare Ace per la storia del delfino e poi qualcuno vince il campionato e si va tutti a casa. Se a recitare non ci fosse Jim Carrey sarebbe uno di quei film americani con gli animali che danno su rete quattro al pomeriggio quando è festa. Albero delle pere, l’ Ma sai che l’ho visto ma non me lo ricordo!? Cioè si qualcosa si però… Mi ricordo bene che me lo ha consigliato un amico di mio padre toscano che si chiama Sandro. Si è un film italiano di quelli un po’ italiani anni ’90. C’è sto ragazzino che ha la faccia simpatica e si chiama Siddharta ed ha una famiglia disastrosa con la madre nelle nuvole e insomma è un po’ responsabilizzato si… insomma.. Asso Si è un film di Celentano. A mia madre piace un casino Celentano e quindi da piccolo me lo sono sorbito un po’ di volte. A sprazzi mi scorre la memoria visiva. Mi ricordo iniziasse con qualcosa che galleggiava su di un canale tipo il Naviglio, per capirci: dev’essere quello di lui che gioca a poker e non so nient’altro. Americano a Roma, un Bé è famoso. E’ quello di Sordi che fa l’italiano che vuole essere americano. Si è un po’ tanto una stronzata. C’è lui che va a vedere i film western e poi va su quelle moto americane e poi sale sul colosseo e dice la sua. Diciamo che è famoso solo per la scena della pasta asciutta che mi ricordo solo essere bella e null’altro. Amnèsia Oh raga si che sbatti. Il film delle generazioni odierne del caspio. Minchiaabbello! D’altronde è pur sempre un film di Salvatores. Storie intricate una con l’altra chi sopra chi sotto trullallero trullallà. C’è uno che fa il regista di film porno e non vuole che la figlia da poco giunta appresso al di lui lo sappia. Poi c’è uno che spaccia ma non è il tipo stereotipato di spacciatore, si insomma uno sfigato con la coda tra le gambe, un simpaticone coi capelli ricci. E poi ci sono sti ragazzetti deficienti che vanno in giro col gippone e che per chi è interessato si fanno fare delle cose nei bagni pubblici da delle simpatiche sudamericane, dei quali giovinazzi uno è figlio del capo della polizia locale che dopo che gli è morta la donna si dà agli uomini che nonostante in media vivano meno delle antagoniste, costano anche meno e poi paradosso su paradosso tutta la storia si intrica e tutti insieme si ulula all’eclissi imbottiti di pillole colorate. Armata delle tenebre, l’ NOO…troppo forte! L’ho registrato dalla tivvù perché era troppo forte! E’ la storia di questo qui che finisce nel passato, che poi è un po’ un passato fantasy, ed aiuta degli sfigatoni che facevano alla guerra tutto il tempo invece di difendersi dalla minaccia dell’armata dalle tenebre formata da scheletri che con quegli effetti speciali fanno troppo 7 sghignazzare! E’ un film vecchio e forse voleva esser serio ma non ci riesce un gran che. Lui insomma arriva lì e credono sia il prescelto salvatore ariano caduto dal cielo e lui li aiuta ordunque non ricordo perché. Naturalmente poi si innamora della castellana e di consueto c’è la battagliona finale dove spacca tutti gli scheletri di cartongesso e fa vincere l’umanità sull’oscura ombra del signore delle tenebre. Poi non so come riesce a ritornare nel presente di allora…ma non importa, non credo ci fosse uno di quei finali imperdibili….ah no, che dico e dico! Urca il finale è assurdissimo, cioè, una cosa da pazzi!! Armata Brancaleone, l’ Niente da dire. L’avrò visto 10 volte. Un film capolavorifico. Vittorio Gassman, Gian Maria Volonté e regia di Mario Monicelli. Chi non l’ha visto sia lapidato qui di fronte a queste righe poich’egli non è degno ti toccar pietra alcuna senza ch’essa gli arrechi dolore al contatto. E’ la storia di questi quattro accattoni, in un medioevo tutto italiano, che trovano sul corpo d’un nobile cavaliere deceduto un documento che attesta il possessore di tale carta come proprietario di una certa rocca d’Aurocastro. Così decidon di trovar uno cavaliero che con lor si presenti alla rocca con tale documento per rivendicarne il possesso. Il cavaliere da loro trovato è lo sfigatissimo Brancaleone da Norcia. Con lui s’incamminan per la rocca e si imbattono in un altro cavaliere mezzo bizantino che si unisce a loro, si trovan in un paese appena decimato dalla peste e si uniscono ad un gruppo di autoflagellanti guidati da un santone pazzo finché non trovano una dama il qual padre in fin di vita l’affida a Brancaleone che casta la deve condurre dal marito. Non arriva casta e allora è un casino e vien catturato poi liberato e poi insomma arrivan alla rocca e indovinate un po’ chi c’è che gli salta addosso? Li turchi che sbarcando dallo mare assaltan la rocca e catturan gli sfigati. E mentre questi impalati un per uno stanno per fare una brutta fine, indovinate chi li viene a salvare? Il cavaliere al quale il documento era stato sottratto, evidentemente non era mica morto. Il finale lo lascio a voi perché son buono. Gli Stornelli del Manzoni Bloc Note Introduzione all’opera di Animanimale Ehi, cos’è? Che c’è? Che c’è di nuovo? Tutto qua? Ci conosciamo? Chi vi vuole a voi? Chi vi vuole a voi carne da macello vocale, intirizziti dall’aria buona, maleodorati dal maleodorante? Chi vi ama così tanto da sopportare le vostre stridule congetture? Chi mi ama? Chi mi ama mi segua? Chi mi segue mi Amar? Tanto non vale la pena nemmeno parlarne, sono parole contro suoni e suoni di parole sonore contro parole di suore suonate. No, ma il concetto estremo è: le cose non fatte così, non ispirano che alla noia, la noia dei morti di noia. Quindi se volete vivere, fate quello che da vivi fareste ma fatelo come da morti. Non so se mi spiego. Psikedelia di Alessandro Re 2ªH Ricordo che da bambino provavo un piacere ambiguo nel guardare il cartone animato dei Beatles “Yellow Submarine”, in particolare la scena dove c’è Eleanor Rigby (seconda canzone dell’album Revolver). Infilavo la cassetta nel videoregistratore, mi sdraiavo sul divano e cominciava il viaggio: venivo rapito da mille colori, luci e suoni, soprattutto dai suoni, dalle canzoni... Insomma, era il mondo dei sogni, era quello che sognavo di notte. Crescendo, tuttavia, ho lasciato da parte questi ricordi e solo quest’anno mi sono di nuovo interessato a quel mondo sì felice, ma anche melanconico, strano e che nasconde sempre qualcosa. Quel mondo è la psichedelia. La psichedelia (che d’ora in poi chiamerò psike per ragioni di noia assoluta) nasce nei primi anni sessanta in America, nelle zone di San Francisco. I padri fondatori di questo genere sono Bob Dylan, con Mister Tambourine Man, i primi Beatles e i Beach Boys con Pet Sounds (album capolavoro, fondamentale per la musica in generale). Le sostanze che crearono questo strano e nuovo suono furono l’acido lisergico, noto come L.S.D, allora legalmente disponibile, hashish e marijuana, già da tempo usata nell’universo musicale. Dopo questa piccola introduzione possiamo parlare di musica. I primi gruppi a usare il termine psike nei loro album sono i Blues Magoos e i 13th Floor Elevators: i Blues fanno un garage rock-blues di forte impatto, spezzato da incredibili improvvisazioni su canzoni popolari (Tobacco Road), mentre i 13th suonano una musica ora grezza e agitata, ora calma e sussurrata; le loro canzoni non hanno retto molto al tempo ma restano comunque dei capisaldi della psike (vedi Splash 1, Reverberation, Kingdom of Heaven). Passando da un gruppo all’altro senza seguire un filo logico si possono citare i Count five per aver fatto una bellissima canzone (Psychotic Reaction) che è entrata di diritto nel carrozzone della psike. Chi invece, a mio parere, appartiene all’olimpo della psike sono i Chocolate Watchband, gruppo formidabile di punkpsike dove appaiono sfuriate di chitarre “acide” e ritmo ipnotico, un esempio su tutti è The Dark Side of the Mushroom, uno dei più grandi strumentali della storia. Dato che sono sulla C non si può non parlare dei Country Joe and the Fish, band composta da hippie mezzi idealisti e mezzi fuori di testa che fanno una musica molto orientaleggiante; i momenti migliori sono nelle jam session kilometriche con la chitarra che parla da sola. Ora purtroppo mi trovo davanti all’ostacolo dei Cream. C’è chi li considera psike, chi blues, chi entrambi, io li considero solo dei grandi per aver composto Sunshine of 8 Your Love, canzone col riff di chitarra celeberrimo ma non molto originale che resta comunque una pietra miliare della musica. Seguendo l’alfabeto abbiamo la D, D come Donovan, considerato il Dylan scozzese e autore di bellissime canzoni leggere e sempliciotte ma anche di pezzi filo-progressive (Cosmic Wheels), tanto da essere riprese dai King Crimson (capito?). Donovan era il poeta della psike, non solo inglese, e l’alter ego felice di Tim Buckley; si, Tim, non Jeff (il figlio). So che molte ragazze non saranno d’accordo ma il padre era due spanne sopra il figlio: la voce è sublime, va bene, ma il fatto è che la musica lo è ancora di più. Era l’anima più sensibile della psike, lontano anni luce dalla stravaganza e dalla frenesia della scena di San Francisco: struggente, malinconico, in ritardo rispetto ai tempi della psike ma inevitabilmente portavoce del verbo colorato. L’articolo è finito, ma ci sono altri mille gruppi di cui parlare e i pezzi grossi devono ancora venire, indie per cui scriverò ancora. Bloc Note Musica classica = musica morta? di Luca Marconi 1ªD ovvero, Influenze della musica classica sulla musica contemporanea Non allarmatevi: lo “strano” titolo del mio articolo sarà presto spiegato. Soprattutto non girate pagina: non vi annoierò più di tanto con disquisizioni sulla musica classica. Provate piuttosto a osservare bene questo mio “strano” titolo e a pensare attentamente a queste parole: musica classica e musica contemporanea. Qual è il nesso logico tra le due? Apparentemente, nessuno. Nessuno? Siamo proprio sicuri? No, in effetti. Questo rapporto tra due tipi di concezione armonica e melodica apparentemente agli antipodi mi ha sempre affascinato e intrigato, da quando ho cominciato seriamente ad appassionarmi di musica. Per comprenderlo, bisogna specificare che cosa intendiamo con musica classica e cosa invece con musica contemporanea, in modo che sia più semplice poi determinarne il rapporto. Innanzitutto, bisogna specificare che non si può parlare di musica classica, né di musica contemporanea o moderna come di generi musicali, poiché i termini contemporanea e classica indicano un vasto insieme di generi e sottogeneri musicali nati durante un certo arco di tempo, spesso, anzi sempre, molto diversificati fra loro. Col termine musica classica si indicano generalmente tutti i generi di musica colta (sviluppatasi nell’ambito di una classe sociale colta, contrapponendosi a una musica popolare e folkloristica che trae le sue origini dalle classi popolari) arrivata fino ai giorni nostri. In particolare è considerata classica la musica colta europea che si sviluppa tra il Seicento-prima metà del Settecento (periodo barocco), tra la seconda metà del Settecento-primo Ottocento (il periodo propriamente del classicismo viennese), il grande periodo romantico ottocentesco, che vede l’affermarsi del pianoforte come strumento-protagonista sia di pezzi solistici, sia di concerti (si pensi allo stupendo Concerto per pianoforte e orchestra in la minore del compositore norvegese Edward Grieg). In realtà i confini della musica classica sono tuttavia imprecisi, relativi ed aleatori, in quanto ciò che noi definiamo classico, può benissimo non essere tale in altri periodi o in altre culture; nell’ambito della stessa critica musicale contemporanea brani, canzoni o gruppi che si inquadrano nell’ambito della musica moderna sono considerati classici, poiché pongono le basi per la musica successiva (es. espressioni come classici del rock, del metal...). Bisogna adesso precisare che cosa intendiamo per musica contemporanea e moderna: la prima è l’insieme dei generi musicali d’avanguardia nato nel corso del XX e del XXI secolo, sviluppatasi come reazione alla musica classica e romantica; la seconda è l’insieme di stili riconducibili ai sovrageneri del rock, del pop e dell’elettronica, sviluppatisi circa a metà degli anni ’50 in Inghilterra e Stati Uniti e portati avanti in tutto il mondo. Io mi riferisco con entrambi i termini, tra l’altro spesso sinonimi, al complesso di musica moderna e contemporanea, ossia di tutti quegli stili, generi e correnti che generalmente si contrappongono alla musica colta classica. Qual è, allora, il rapporto tra classica e moderna? Sicuramente la commistione tra classica e contemporanea è stata e sarà sempre presente, dalle avanguardie musicali del primo Novecento fino alle più avanzate sperimentazioni musicali; il Novecento avanguardista, prima epoca di distacco dall’armonia classica, è infatti il periodo in cui, nonostante i molteplici tentativi di allontanamento dalla musica colta classica, influenze classicheggianti sono molto forti: si pensi a Un americano a Parigi di Gershwin, composta per l’omonimo film, in cui sono presenti influenze classiche e jazzistiche in uno stile che per certi versi ricalca il neoclassico. Tecniche musicali “classiche” sono state riprese già nei periodi di sviluppo del rock, nell’evoluzione di quello che sarebbe divenuto il progressive rock, o semplicemente prog, una corrente rock poliedrica, dalle molte sfaccettature, nato in Inghilterra tra gli anni sessanta e settanta, che proprio per la sua natura multiforme (l’”Ulisse” del rock), ha consentito una vasta sperimentazione, dando vita a generi come il prog metal, dalle sonorità e strutturazioni tipiche, spesso dell’heavy metal e di altri generi metal, ma ispirato al prog e al neo-prog. Il progressive rock aveva come scopo un’evoluzione della raffinatezza e della varietà melodica e compositiva del rock precedente, mediante l’introduzione di elementi tecnici e stilistici, anche mediati da altre tradizioni musicali, come, appunto, la musica classica. Tra gli aspetti più propriamente “classicisti” del 9 prog, ripresi in parte anche dal prog metal (si pensi a gruppi come i Dream Theater o al gruppo-orchestra Trans-Siberian Orchestra), vi sono l’utilizzo massiccio della tastiera, con arrangiamenti mutuati dallo stile classico e l’utilizzo di strutture melodiche e armoniche di stampo classicista, sia di tipo barocco, sia di tipo romantico; l’utilizzo di lunghe composizioni a tema, strutturate in suite, organizzate in movimenti interni che ricordano l’utilizzo del poema sinfonico in ambito classico o neoclassico (si pensi alla stupenda Danza macabra, poema sinfonico di Camille Saint Saens, autore classico postromantico). Inoltre, molti gruppi rock e metal, sia di stampo direttamente prog, sia no, sono sati a tal punto influenzati dall’orchestra sinfonica classica da riprenderla totalmente o parzialmente: illuminante a questo proposito può essere la citazione di gruppi di stampo neoclassical metal (il nome del genere è già esplicativo...), come i già citati Trans-Siberian Orchestra, o anche la band tedesca Haggard, che utilizzano massicciamente elementi di musica classica, folk, medievale e rinascimentale, unite a sonorità strumentistiche e vocali tipiche di moderno folk metal (per es., parti in cui predomina l’utilizzo di basso e batteria si alternano a performance in solitario di pianoforte e organo, che spesso danno vita a stacchi malinconici). Dunque è palese, a questo punto, l’utilizzo in epoca contemporanea, di elementi sonori e tecnici tipici dello stile barocco e romantico: in questo senso, si può affermare che il barocco è spesso un modello per quei gruppi dall’approccio strumentale virtuosistico e caratterizzati dalla ricerca di sonorità e di soluzioni complesse, arrangiamenti ridondanti, mutuati, appunto, dal barocco e soprattutto da Bach. In conclusione, si può osservare come il crescente apporto della musica classica nelle tendenze musicali contemporanee, rock e metal in particolare, ma non solo, dimostra come questo “ritorno al passato” non sia fine a sé stesso, ma si inquadri in quel processo di ricerca di rinnovamento, di innovazione musicale, di desiderio di nuove sonorità, che non può non emergere da quella musica che con i suoi ritmi e con la sua armonia ha influenzato in modo decisivo il pensiero musicale dell’occidente. Gli Stornelli del Manzoni Bloc Note De Metallo - Quando il Metal cessa di essere note e diventa carne di Giacomo (Sommo) Sommella 1ªD Vorrei cominciare spiegando la differenza che c’è tra chi ascolta metal e chi è metallaro; la differenza può sembrare minima ma in realtà queste due figure sono due mondi diversi: chi ascolta musica metal è una persona al quale piace il metal, niente di più. Invece il metallaro appartiene a un gruppo di persone a lui ‘’simili’’ che si abbigliano con particolarità come anfibi, chiodo, magliette di gruppi (rigorosamente nere) e borchie. Ok, dopo undici righe e mezzo di pure banalità abbastanza ovvie passo nel dettaglio. La differenza sostanziale tra chi ascolta metal e un metallaro è la scelta della compagnia: essendo chi ascolta metal una persona normalissima tenderà a scegliere una compagnia di persone altrettanto normali (Nb: per normale intendo non metallari, non punk, non emo, non truzzi), questo comporta un interesse per la musica relativamente marginale in confronto ai metallari, che trascorrendo la maggioranza del loro tempo libero con loro simili acquisiscono una conoscenza musicale non indifferente; in effetti, il metallaro ha una insana passione per la musica e per tutto ciò che la riguarda mettendola al centro della sua vita; non ho idea di quante ore io stesso abbia passato su Internet a cercare cercare e cercare nuovi gruppi o nuovi sound o quante ore abbia passato discutendo di musica con i miei amici… questa spasmodica ricerca e desiderio di conoscenza garantisce al metallaro medio una più che discreta sapienza musicale ( a volte anche non solo metal XD) che desidera condividere con il prossimo. Per quanto poi riguardi i capelli lunghi… sinceramente io con i capelli corti sembro una palla da bowling quindi me li sono fatti crescere… per quanto riguarda tutti gli altri metallari il capello lungo è sintomo di un desiderio di ribellione e libertà, non ha nessun valore tribale/ religioso. Già che ho parlato della religione vorrei dipanare questa leggenda che i metallari sono satanisti… ma chi ha messo in giro questa enorme fetenzia? Il metallaro non è assolutamente adoratore del demonio, anzi è nella stragrande maggioranza dei casi ateo ( molte volte magari contro il cristianesimo ma non di certo satanista). Dato che ormai mi sono stancato di scrivere cose di cui a nessuno interessa, voglio soltanto aggiungere una cosa, il metallaro non è cattivo, non morde e non puzza. Commento sul gruppo Beh, che dire? Mi sembrava d’obbligo parlare come primo commento dei signori incontrastati nella scena metal degli ultimi 30 anni. Gli Iron Maiden sono uno dei gruppi più famosi della storia Heavy Metal ma a differenza di sex pistols, beatles e quant’altro non sono famosi per aver aperto le porte a nuovi generi o linee di pensiero ma perché sanno tuttora suonare in maniera impeccabile e passionale, il loro sound è inconfondibile e nonostante siano passati quasi trent’anni dal loro primo Cd (Iron Maiden) il gruppo è rimasto tonico e pieno di energie ( basta vedere Bruce Dickinson che ancora adesso alla buona età di 50 anni salta gli amplificatori mentre canta durante i concerti). Gli Iron Maiden furono fondati nel 1975 a Londra, dal bassista Steve Harris. Harris ebbe l’ispirazione per il nome “Iron Maiden” dal film L’uomo dalla maschera di ferro, in cui compariva lo strumento di tortura detto vergine di Norimberga o “vergine di ferro” (in 10 inglese iron maiden). Cd rimasti impressi come un marchio sulla pelle della storia della musica sono: Iron Maiden, Killers, Seventh Son of a Seventh Son e The Number Of The Beast. Non voglio dilungarmi troppo, la musica degli Iron Maiden parla da sé… quindi a tutti coloro che non sono appassionati di metal consiglio questo gruppo che piace davvero a tutti, in effetti, il loro suond è talmente straordinario che non riuscirete a rimanerne indifferenti. Gli Stornelli del Manzoni Bloc Note Miscellaneous Debris di Elia Zenoni 2ªH Tanti saluti dal mondo di Agenere, sezione dedicata a tutti quelli che non ascoltano Ramazzotti, ma che da piccoli erano attratti da quel suo duo con quella cantante nera..., e che ascoltano un po’ di tutto. Quando uno mi risponde che ascolta un po’ di tutto penso che sia un idiota; ma se rivolgessero la stessa domanda a me? Beh ammetto che risponderei più o meno allo stesso modo: sono un idiota (come dice Silvestri) e me ne compiaccio (..pagliaccio di ghiaccio). Ma il discorso sembrava dover essere serio, e come al solito io non ti piaccio.....no non ricominciamo con queste pagliacciate. Dicevo che sono un idiota perché ascolto un po’ di tutto; ora non mi resta che inventarmi una teoria per proteggere la mia reputazione. Difatti l’esistenza di una classificazione di genere, oltre ad essere sempre e comunque troppo generica (eh...eh), si basa solamente sulla nostra petulante esigenza di dover discendere dicotomicamente a qualche idea che ci identifichi cose che sennò sarebbero completamente amalgamate in un unico enorme ammasso di suoni. E ciò non è poi così da biasimare, cioè un po’ è comodo e comunque anche bello... insomma è una cosa divertente. Ma ciò non ci deve far dimenticare che col nostro dare una definizione alle cose non le abbiamo di certo div ise dall’unita di cui fan parte... abbiamo solo trovato un modo per poter indicare ad un amico di quale parte dell’ammasso si stia precisamente parlando. Tutto qua. Per questo mi da fastidio che uno mi dica di ascoltare, che so, solo heav y metal, o g runge, o psichedelia (drogato!), oppure black metal...ma anche musica classica o jazz...cioè insomma ci siamo capiti. Si ci siamo capiti. Ci siamo capiti che qualunque cosa uno mi risponda alla domanda “che musica ascolti” mi sta sul cazzo. Eh beh ognuno ha il suo carattere. Ma ora volevo parlare di musica....e mi duole iniziare con gli Stounsour, che ragazzi, v i av verto, fanno uno schifo di finto metal. Ammetto di non averli mai ascoltati, Benvenuti nel mondo di Agenere ma informatori fidati uniti al fatto che una mia certa compagna di classe porti la loro maglietta, confermano quello che ho appena detto. Del motivo (perché c’è una teoria anche su questo) per cui insulto gruppi che non ho mai ascoltato, parlerò magari un’altra volta. Vorrei terminare con la parentesi Stounsour, ma mi è inevitabile dire che nel caso la maglietta della mia compagna faccia riferimento ad una loro reale copertina, dovrò av visar vi ch’essa è stata palesemente copiata da quella di un disco molto bello dei Dream Theater (Falling Into Infinit y) che a sua volta riprende molto il retro di un disco dei Rush che potrebbe essersi ispirato alla copertina di un disco dei Jethro Tull di cui non ricordo però il nome. Insomma li abbiamo liquidati abbastanza. Ora passo alle segnalazioni importanti. Esiste un g ruppo italiano che sia degno di succedere ai Black Sabbath. Lo so che ne siete sconcertati, ma è così, provare per credere. Si chiamano Stoner Kebab (non fatevi ingannare dal nome) e per chi ha dei problemi col cantato in italiano dichiaro che cantano in inglese, anzi in verità cantano pochissimo, unica cosa che i Black Sabbath avrebbero 11 dov uto imparare dai loro allievi, e che nonostante gli sforzi non sono riusciti a fare. Per chi volesse firmare la petizione per cancellare dai dischi dei Black Sabbath la voce di Ozzy Osbourne (tranne in Solitude, dai) e volesse sentire una canzone degli Stoner Kebab, aggiunga questo contatto msn.... [email protected] o mandi un e-mail al suddetto indirizzo. Questo perché gli Stoner Kebab si autoproducono, quindi trovare un loro cd è dura. Diciamo che è dura come per me ora ammettere che in effetti i Beatles non sono malaccio. Ho ascoltato Revolver ed in effetti ci sono alcune canzoni molto piacenti. Si, sono sempre e sempre saranno canzonette, però alcune melodie vocali sono geniali ed il riff iniziale di She Said She Said è degno dei migliori Joy Division (di cui probabilmente parlerà meglio qualcun altro). Dopo essermi scusato col metallaro che dice che i Beatles fanno schifo, mi getto nel parlare di una mia nuova scoperta: i Primus. Sono costoro un trio Californiano assolutamente schizzato. Li sconsiglio a chi ha problemi di concentrazione ma li consiglio a chi vorrebbe che i Red Hot Chili Peppers non fossero così pop. Per far vi capire di che si tratta posso dire sia cosa dicono gli altri di loro (Trash Funk), sia cosa dicono loro di se stessi (Psychedelic Polka). Quello che dico io invece è che sono tutti e tre tecnicamente bravissimi, non ho mai sentito uno slap così, il bassista canta pure. Il batterista dice di aver deciso di iniziare a suonare sotto l’ispirazione di Neil Peart (Rush) e ne è un degno erede; ha suonato anche con gli A Perfect Circle e con i Meat Puppets. Il chitarrista invece gira voce che fosse allievo di un certo Joe Satriani... Inoltre il bassista era in classe col carissimo chitarrista solista dei Metallica, dai quali, durante un audizione per far parte del gruppo, fu bistrattato perché il suo stile era troppo funky (‘gnoranti). Si avete sentito; ignoranti. Andate a veder vi su YouTube sotto “Primus Metallica” come suona Master Of Puppets il suddetto bassista e poi mi dite... Gli Stornelli del Manzoni Videogiochi Videogiochi di Giuseppe Cassone 4ªG Siete stanchi dei soliti giochi che non vi impegnano e che terminano in poche ore? (Spiderman 3). Di giochi che hanno un’intelligenza artificiale scadente? (Pirati dei Caraibi). Di giochi che attirano l’attenzione solo nelle fasi iniziali? (Transformers). Allora sarà il caso di guardarsi bene dal comprare certi titoli. Titoli che ci fanno vergognare di essere videogiocatori. Beh, anche se può sembrare strano, questi giochi il più delle volte sono quelli ispirati ai film e ai cartoni animati di grande successo sul grande schermo, e di delusione totale sulle nostre console. Come ho già anticipato, uno di questi fallimenti è “Spiderman 3”. Immaginiamo una famiglia che va in un negozio di videogiochi per fare un regalo al figlio. Subito lui si tufferà negli scaffali dei videogiochi-film. Attirato dal titolo “Spiderman 3”, il suo film preferito, spenderà 60 euro per quest’ultimo. Quando arriverà a casa e proverà il gioco, ci sono due opzioni: a) è un esperto come me e alcuni di voi e capirà che ha buttato 60 euro in un gioco ripetitivo e a prova di scimmia; b) è troppo piccolo per capire la fregatura e vive divertendosi le 8 ore complessive di gioco. Questo ci mette in guardia su cosa non comprare. Può essere interessante spendere 14/15 euro (per andare sul sicuro e non sprecare troppo) in un gioco sconosciuto e abbandonato sullo scaffale. Basta prenderlo, leggere la trama sul retro. Se ci attira prendere, altrimenti lasciare. Ho scoperto in questo modo un vero e proprio “genio incompreso” per Playstation 2: “Farenheit”, un thriller che vi consiglio vivamente (14,90). Vorrei darvi inoltre una dritta sui giochi da non lasciarsi sfuggire: tre per ogni genere che non possono mancare alla vostra collezione. Sport: -Pro Evolution Soccer 6 (Play2) -NBA Live 07 (Play2) -Fifa 07 Sparatutto: -Call of Duty 3 (Play2) -Medal of Honor (Play2) -Max Payne (Play2/PC) Strategia: -Stronghold (PC) -Medieval Lords (PC) -Imperium: le grandi battaglie di Roma (PC) Picchiaduro: -Dragonball Z: Budokai 2 (Play2) -Dragonball Z: Shin Budokai (Play2) -Dragonball Z: Budokai 3 (Play2) Spero di avervi messi in guardia, dato qualche consiglio originale, e avervi aiutato con una guida all’acquisto molto ridotta. Se volete maggiori informazioni contattatemi in 4^G! Ciao amici videogiocatori! 12 Gli Stornelli del Manzoni Cordoglio Ombelicale di Francesco Fiero Era nato. Il figlioletto era nato. E nonostante fosse un figlioletto era destinato alla culla. Il padre Morfeo, come il Dio del sonno, era pronto a cullarlo in quella culla (non che ci voglia tanto, alla fine), ma in quel momento giaceva a terra svaccato come un bovino con bava fuoriuscente tra le sue labia, e con le froge intasate di muco. La madre non vi era. Come l’acqua in una bottiglia di vino, come l’acqua in una bottiglia di birra, come l’acqua in una bottiglia di Whisky. Era in bagno con le alcoliche, e non appena sparò fuori il pargoloso di ciucci già nella prefazione della sua vita, lei si fiondò in bagno senza pistola con la quale aveva sparato fuori il pargoloso di ciucci già nella prefazione della sua vita, ma con la fionda, con la quale è più semplice fiondarsi in bagno. Il bambino piangeva, sentiva già la crisi di abbandono, aveva paura di non vedere più quella faccia amica, che lo avrebbe guidato senza patente latente attraverso intemperie temperate e mitigate dal mitico incedere di un periodo così insensato e idiota. Il cordone ombelicale, non la madre. Quella non l’aveva nemmeno presa in considerazione. Lui rivoleva il suo cordone ombelicale. Nessuno lo aveva avvisato che il cordone ombelicale avrebbe tagliato la corda, e che i dottori avrebbero tagliato la corda del cordone ombelicale, facendo tagliare la corda al cordone ombelicale. E’ una questione di rispetto (ma anche di petto e di ciò che vi è sotto il petto, l’ombelico, solo e soltanto l’ombelico, senza uno straccio di cordone ombelicale), di accordi (ma anche di corde, come il cordone ombelicale, per esempio), che non lascia spazio a eventuali discussioni. Questo il bambino lo sapeva. E voleva far valere i suoi diritti, perchè l’umore lo aveva di traverso, e non voleva che niente andasse storto, e che la faccenda prendesse una brutta piega, e che lui stesso avesse una brutta inclinazione, e che diventasse un deviato, perchè seguiva la sua vita in prima linea, punto e basta (eh, sì, era proprio un dritto). Di Diagonali vincintrici di agoni gliene importava poco, però, e quindi non avrebbe dovuto rintanarsi tra urli di disperazione, lagne insopportabili e pianti da coltivare. No, a quello non si sarebbe ridotto. Senza mezzi termini. Racconti Anzi, ai minimi termini. Ridotto ai minimi termini, sì, rende di più. Lo dicono anche in matematica, “Ridotto ai minimi termini”, numero “Ridotto ai minimi termini”. Sì, suona bene. Però il frugoletto destinato alla culla, figlio di Morfeo e di una madre chiusa in bagno con le alcoliche non era un numero. E allora niente minimi termini, e chiudiamo questa parentesi interminabile anche se non è mai stata sotto parentesi, in nessun momento, e non mento. Niente scene isteriche anche perchè nei paraggi per raggi per 3,14 non c’era nessuno, o perlomeno, nessuno in grado di sentire i suoi lamenti. Il padre ruminava nel sonno e i dottori erano a cena con le mucche smunte. Era solo, solo e abbandonato. Nato “abbando”, povero figliolo infante di quadri. Doveva cavarsela da solo, era abbastanza grande per farlo e capirlo. E allora si rimboccò le maniche, ma non avendo una camicia sì rimboccò e basta, anche se prima nessuno lo aveva mai imboccato per la prima volta. Aveva imboccato una brutta strada dicendo che voleva rimboccarsi le maniche. Allora si diede soltanto da fare, ma lo fece bene quel “soltanto da fare”. Dove potranno mai ficcare un cordone ombelicale quando non gli è più utile? Nel cestino della spazzatura, forse? Mmm...Troppo banale, forse. Forse, però. Però, forse...mmm...Troppo banale, senza il forse. E dopo il tour de force, o meglio, il tour de forse, si diresse al cestino senza fronzoli, pizzi e merletti che eran destinati alla culla anch’essi, ma che non avevano assolutamente un padre di nome Morfeo che li avrebbe cullati senza tanti problemi, e senza una madre chiusa in bagno con le alcoliche, ricordiamolo. Come si diresse è ignoto, ma il bebè era avanti con la testa, ma non con le gambe. Nonostante questo sapeva camminare, perchè era avanti con la testa, e questo contava, nonostante non fosse un numero poichè non ridotto ai minimi termini. Era lì! Il cordone ombelicale era lì! Proprio lì, nel cestino! Proprio lì! Sì, proprio lì nel cestino! Urrà, era lì nel cestino, urrà! Era lì! Era lì! Era lì...ora non c’è più. Pianto. Pianto isterico, inutile. Nessuno lo può sentire. Nessuno lo ode. Nessuno lo odia, ma nessuno lo ama. In bagno la mamma è morta, pace all’anima sua, e il padre non rumina più, è morto anche lui. I dottori hanno contratto la mucca 13 pazza, e il contratto non lo possono stracciare. Morti anche loro. Morti tutti. Morto anche il cordone ombelicale, chissà stipato in quale anfratto, in quale posto, in quale dimensione, in quale algoritmo. Pianto, ancora pianto. Non la pianta di piangere. Continua imperterrito, nel vuoto, nel vuoto, nelle ripetizioni del vuoto. Morirà anche lui, a furia di piangere, in un posto che non gli piaceva, che non gli apparteneva. Morirà anche lui, da disidradattato. Re Stio di Francesco Fiero Il soldato perì, melì, uva passa, mora crossa, bionda alla spina. Lunga battaglia fu quella, ma perì, melì, vuolsi così colà, c’è chi resta e c’è chi va. Quante teste partirono, che i nemici si spartirono, morti molte, volte a torti, e tra esse connesse anche lui, che perì, melì, qui pro quo. Il re scaltro disse poco, cuoco vai, prepara il fuoco, di bollito ce n’è poco, non importa, tu soldato riuscirai, nell’impresa della corrente, c’è chi finge, e c’è chi mente, ma io no, dico il vero, e tu non ci lascerai le penne, ma asce brandirai e di brandelli ti nutrirai, tavole imbandite di bandoli di matasse al bando, credimi, odimi. E invece no, lui perì, melì, nel cammin del dirsivoglia, nella cappa perse il punto, la fuliggine del vuoto, quello sguardo, volto noto. Buio, fine, basta. Morto a torto, certo questo, lento un poco, mica lesto. Armatura via, non c’è. Sangue a schizzi, gesti grezzi, lui è morto, giace a terra. Lui perì, melì, l’uva passa è già passata, la ricito, è rimembrata, ma non membro del cavallo, viva quindi, viva l’uva. Chi è che ha tolto via la vita? Neanche nata è già sparita. La corona, ha su quella, condottiero che ti ha ucciso, spento il viso, acceso fiamma, delta, iota, teta, gamma. Quindi tutti siam padroni, di qualcosa, anche sol nomi. Lui è perito, ha perso tutto, ascia via, lasciati andare, spada vada, do il permesso, te sei l’arma, io il fesso. Perì, melì, uva passa, mora crossa, bionda alla spina. Stacchiamola. TLACK Gli Stornelli del Manzoni Racconti Morte sulla strada di Luca Ziviani 3ªD Alessio guidava la sua Fiat Punto rossa attraverso le strade statali della zona dell’ astigiano. Era infatti diretto ad Asti essendo partito da Milano, in viaggio per andare a trovare i suoi genitori che vivevano nella città piemontese. Era ormai quasi arrivato, ma aveva commesso il terribile errore di affidare il controllo della carta stradale (non ci andava molto spesso a trovare i genitori) a Valentina, la sua fidanzata, ora seduta accanto a lui, che osservava silenziosa il panorama notturno che le si presentava in continuo movimento oltre il finestrino. Erano le 11 e mezza di sera e la strada che stavano percorrendo era una statale a due corsie illuminata dai fanali della macchina, che procedeva regolarmente ad una velocità che si aggirava intorno ai sessanta chilometri orari. Ai lati della strada, come silenziosi guardiani centenari custodi di innominabili segreti, degli alti e possenti alberi informavano chiunque si avventurasse su quella strada che essa si inoltrava in un bosco che in certe stagioni era la delizia dei cercatori di funghi, ma che ora era solo qualcosa che dalla notte traeva un fascino ora misterioso ora inquietante. “Dovremmo riuscire a vedere colline e vigneti, cascine, paesini arroccati sulle colline, campanili...perché ci sono solo alberi?”, disse preoccupato Alessio. Valentina era silenziosa. “Scusa”, era solo riuscita a dire. L’ oscurità rendeva la ragazza poco visibile, un nero fantasma nella pece. “Non importa, dai”, aveva detto paziente Alessio, “troveremo la strada”. Ora viaggiavano, viaggiavano... la radio accesa. Un anonima voce dall’ apparecchio diceva “...il killer dell’ astigiano è ancora in libertà... ha ucciso tre persone... urla... fetore insopportabile....”. Alessio spense la radio... e il suo pensiero andò al killer dell’ astigiano. Ne aveva udito per la prima volta circa una settimana prima al telegiornale. La giornalista aveva detto qualcosa come: “E’ stato ritrovato stamattina il corpo senza vita di una donna, di nome Demetra Alberti, sul ciglio della strada statale nei pressi di Castel Rocchero. Il corpo giaceva senza vita a pochi metri dalla macchina della donna. La donna è morta a causa...” non ci voleva pensare. Che schifo. E il buio attorno non aiutava a sentirsi meglio. La macchina viaggiava, viaggiava, araldo della tecnologia nel bosco, incontaminato solo a tratti, altrove coperto dall’invasivo cemento della statale. I tumori di madre natura, le strade. Valentina dormiva, producendo un lieve ronzio uniforme che conciliava molto il sonno, troppo... le palpebre di Alessio si abbassano...si rialzano. La strada. “Devi guardare la strada, Cristo”. Poi, ad un tratto, a fendere le ombre dei guardiani di legno che gettavano le loro braccia sui passanti che, povere anime, venivano ammaliati da tanta sicurezza, fu un bagliore. Prima lontano, poi più vicino, accompagnato da un lontano ronzio sempre più forte. Una macchina dietro alla Punto. Alessio guardò nel finestrino retrovisore. Un fuoristrada. Poco più dietro, il mezzo si avvicinava sempre più alla Punto, che si trovava davanti ad esso. Ora che il veicolo era più vicino, Alessio poteva sentire, oltre al ronzio, anche il rumore di musica punk a tutto volume provenire dall’ abitacolo... che ora era alla sua sinistra. Lo stava sorpassando, e andava forte. In un attimo, giratosi a guardare, vide, come in un teatrino delle ombre sparato a razzo, quattro ombre nere che corrispondevano evidentemente ad altrettanti ragazzi che all’ interno della macchina si agitavano a ritmo di quella musica che Alessio considerava spazzatura. Il fuoristrada passò oltre e, sempre più piccolo, scomparve nel buio. Intanto Alessio era agitato... dove si trovava? Quella stronza dormiva. Prima ci fa perdere la strada e poi dorme. I minuti passavano lentamente... poi la rivelazione. “Ecco come si senti Mosè”, pensò Alessio. Un bivio, un cartello rivolto a destra: “Asti 30”. E la Punto virò a destra. Ma il paesaggio, anche cinque minuti più tardi, non era cambiato. Alberi, il bosco, la lune le stelle. Una curva, poi un’altra, poi un altra. E, dopo l’ ennesima, lo sconvolgimento. Un’ ammasso informe giaceva sul lato destro della strada, ma 14 Alessio dovette sterzare lo stesso per evitare di finirci contro. Gli pneumatici stridettero lasciando sull’ asfalto una scia nera, e un imprecazione sulla bocca di Alessio: “Gesu!”. Valentina, svegliandosi, si sentiva stordita e turbata mentre la macchina inchiodava e si fermava al lato della strada. “’Sti stronzi...”. “Ma cosa..?” disse Valentina, poi guardò indietro. La macchina, un fuoristrada perfettamente identico a quello che li aveva sorpassati prima (ma lei non lo sapeva), giaceva immobile avvolto da un manto di oscurità, rischiarata solo in parte dai fanali accesi del mezzo. Alessio si slacciava la cintura di sicurezza: “Devo andare a vedere, magari hanno bisogno d’ aiuto”. Aprì la portiera, ma prima che si potesse allontanare la bruna che si trovava di fronte gli disse, un po’ sorpresa un po’ agitata: “Fa’ attenzione, mi raccomando...”. Alessio le sorrise, e disse: “Tranquilla...”, poi chiuse la portiera e si diresse verso la luce. Dalla sua postazione, Valentina poteva vedere una longilinea figura nera che si allontanava dalla macchina in cui si trovava e che si dirigeva verso un accecante muro bianco. La figura si faceva sempre più sottile, a man mano che Alessio avanzava verso il fuoristrada. Il cuore di Valentina batteva forte. Quello di Alessio ancora di più. Arrivato ad una certa distanza Alessio dovette portarsi il braccio sinistro davanti agli occhi, socchiuderli e girare un po’ la testa verso destra per non rimanere accecato. “Ehi, tutto bene?”, urlò, senza ricevere risposta. Si avvicinava, passo dopo passo. Ormai era vicino, ma chissà perché una vocetta dentro di lui gli ordinò di fermarsi, e lui obbedì. Non sapeva quanto avesse fatto bene ad andare verso il fuoristrada che dormiva al lato della strada. “Ehi, c’ è qualcuno?”, urlò di nuovo, i tendini tirati, il cuore in gola. “Ma che razza di domanda? Certo che qualcuno c’è, dove possono essere andati tutti?”, si disse. Eppure, nessuna risposta. Allora, con la strana sensazione di star facendo Gli Stornelli del Manzoni qualcosa di tremendamente stupido, avanzò. E gettò un urlo da far gelare il sangue. Qualche minuto prima di udire quell’ urlo, quando la figura nera si portava un braccio davanti alla faccia, a Valentina, chissà perché, era venuto in mente qualcosa che aveva udito alla televisione qualche giorno prima, qualcosa riguardante il killer che terrorizzava quella regione del Piemonte. “La regione del Piemonte in cui vi trovate”, pensò, con un brivido. Le parole erano più o meno “..La cosa che più inquieta di tutto ciò è la straordinaria ferocia con cui sono stati commessi i delitti. Basti pensare che dell’ ultimo corpo non sono state ritrovate ancora tutte le parti...”. Si strinse nelle spalle e, per la prima volta da quando aveva sette anni, ebbe paura del buio, che la circondava fissandola. E non solo. Ebbe la puerile e primordiale sensazione che i castagni che si ergevano neri a pochi metri da lei erano lì per farle del male e portarla in un luogo di morte e sofferenza. Poi, l’ urlo. Il primo istinto di Alessio fu di scappare, ma qualcosa lo tenne lì, fermo Racconti Constatò che era vero che a volte la paura ti paralizza. Dal canto suo, nell’ altro abitacolo, Valentina cominciò a respirare in modo affannoso e, poco dopo, a piangere. Pensò al peggio, per poi mentire a sé stessa dicendo che non era possibile che quello accadesse. Ma una vocetta, forse la stessa di Alessio, le disse : “Si, certo. Potrebbe già essere cibo per i cinghiali.. e lui potrebbe essere morto e tu pensi ai cinghiali...”. Piangeva; piangeva perché aveva paura, perché era lì a far niente e perché non sapeva cosa fare. Poi, all’ improvviso, un rumore di passi fuori dall’ auto, sempre più vicino, taptaptaptap, il rumore di qualcosa che urtava il vetro dalla parte del guidatore... Poi un altro urlo, questa volta non da parte di Alessio, ma anche questo da far gelare il sangue, Alessio, tempo prima, era fermo paralizzato per quello che aveva visto. Poi, pensando che sulla scena di un incidente, perché evidentemente si trattava di quello, fosse una cosa normale, avanzò. Poco prima aveva scorto, sull’ asfalto, in corrispondenza della porta anteriore sinistra aperta, una grossa pozza di sangue alimentata da del liquido rosso che continuava a colare su di essa dall’ interno del veicolo, dal posto del guidatore. Una rossa macchia nel bianco quasi totale, tanto irreale quanto terrificante. Poi Alessio era avanzato, sudando, tremando... e sporgendosi nella macchina. Guardò dentro (porta aperta sulla buia stanza della follia), poi corse verso la propria macchina. Cercando di aprire la porta sbattè una mano contro il vetro, facendo urlare Valentina. Lui non ci badò, entrò nell’ auto, chiuse la portiera e girò la chiave.“Cosa... cosa...”, blaterava insensatamente Valentina, terrorizzata. La chiave girava, il motore sbuffava. Quello che provava Alessio era qualcosa di indefinibile, sovraumano. L’ orrore supremo. “Non può essere vero...là dentro... perché non parte!?”, guaì Alessio. Poi la macchina partì, il guidatore premette sull’ acceleratore, le ruote sgommarono, scie di fumo, alle spalle l’ orrore. O forse no. Non è facile sopportare che i sassi volino via come palloncini, non è facile trovare la cena incastrata nella canna del camino al minimo soffio di vento, neanche il tempo di lavarmi le mani. Perché non ho una scorta di spago? Il poco che avevo l’ho usato per il letto, e c’è da dire che un salame non dorme troppo comodo. La febbre, quella notte, mi spinse a slegarmi, e sapete che accadde di me? Precipitai nella finestra, vetri infilati in ogni ruga del mio volto, e qualche scheggia di legno, poi un tuffo nella terra bagnata. Credete che sia bello aver la pioggia nelle narici? Va bene, sembra salubre, ma da dove credete che venga, tutta quell’acqua? Attraversa l’intero pianeta, pensate! Procede per inerzia da quella porzione di mondo che ancora può permettersi la bolletta della gravità. Così mi arriva addosso, la pioggia, zozza come catrame, calda come catrame, in una parola, catrame. Ma questa è la mia vita quotidiana. La mia vita mensile, per non parlare della mia vita annuale, è finita da tempo. Il motore dei miei pensieri rantola, riesco solo a soffrire delle mie ferite quando una scarpa ammutinata mi salta in faccia e mi prende a sberle, stufa di essere calpestata. Se non altro c’è chi sta peggio di me, a questo mondo. Vita di Flacone di Tommaso Sciotto 2ªE Anche oggi piove verso il cielo. È un bel problema, i miei campi si disidratano e devo sempre rifare tutto di nuovo. Butta le azalee, butta le pertiche e buttati in cielo, mare, tanto si fa sempre come dici tu. Perché devo vedere crollare la casa di giorno e sentire i campi frinire di notte? Ho smesso di appendere i vestiti al pavimento (anche quest’anno non ho pagato la bolletta della gravità, per chi non lo avesse capito). Eh, che ci volete fare. È una vita sanguinosa, quando ti si scuoiano le mani a furia di fare castelli di sabbia in aria. 15 Gli Stornelli del Manzoni Racconti Sinossi del primo episodio. Ivan visita il Dott. Giuseppe Mengele, medico inusualmente provvisto di spirito e di baffi. Questi tenta lo scherzone: ne consegue un pugno per lui, grandi risate per noi. Poi Ivan chiede la mano di Eva Mengele, figlia del dottore; ottiene quella, e un invito a trascorrere un Natale sul Monte Orso. Don Diego de la Vega osserva da un dagherrotipo sul muro. Fine della sinossi. “-- Silence falls the guillotine - All the doors are shut - Nervous hands grip tight the knife - In the darkness, ‘til the cake is cut - And passed around, in little pieces - The body and the flesh - The family and the fishing net, - Another in the mesh.” Bear Mountain - episodio 2 di Ibrahim Muhamed Ahradji «Questa canzone è inascoltabile! Insomma, e che?», urla Ivan, entrando nella stanza immersa nella stereofonia digitale - tentando di sovrastare le onde acustiche nemiche - ma la battaglia è perduta. Vibra il marmo martellato dal basso, il lampadario a mezzaluna oscilla al ritmo spezzato, Eva è impassibile come un sasso, piantata sul divano. «Eva! Dio! Abbassa!»; lei muove le pupille quanto basta a scorgerlo, quindi pigia a ripetizione un tasto del telecomando. «Ti odio, è uno dei miei brani preferiti», offesa e seccata. Guarda altrove. Il noto tema di Shock the Monkey parte a volume impercettibile sullo sfondo. «Dico, ogni tanto sei così inopportuno!», e lei ogni tanto così ovvia, «Sempre a vietarmi questi piaceri, e De gustibus non disputandum, lo dicevano gli antichi, no?». Si dimenava in maniera davvero tenera. «Libera di odiarmi: io invece ti amo, e di conseguenza ti sposo». Con tono così paterno da non sembrare nemmeno un futuro marito; al limite uno zio affettuoso. Eva, prima rannicchiata, balza come una cagna ferita che, rassegnata alla sconfitta, si renda conto, dopotutto, dell’insignificanza delle lesioni; dimentica della durissima bastonata all’orgoglio di melomane, sospesa fra sbigottimento, gaudio, panico, tentazioni varie, terrore puro. «Non riesco a crederci: hai parlato con papà?», ricompondendosi: «Ha acconsentito?» Ivan la squadra col sorriso del buon pastore cristiano, «Eccome: e prepara i bagagli, ché questo Natale lo passiamo sul Monte Orso». Invero, un mese abbondante doveva consumarsi prima delle feste: parlare di bagagli era fuori luogo, ma comunque. La fanciulla, che, per inciso, era una donnina mora, minuta, prima di tutto dolce e strapazzabile come un pupazzo di stoffa – a dispetto del nome, evocativo di forti donnone bionde di stirpe nordica – conosceva a sufficienza il Dott. Giuseppe Mengele. «Ha posto delle condizioni, vero?», s’aspettava un certo imbarazzo e le dispiaceva. Il nostro abbassa il mento, fissa a vuoto il curioso pattern del pavimento marmoreo. «Tre nipoti vanno; uno resta. Ha richiesto Nevio per sé», ora la guardava mortificato. Sul volto irrimediabilmente tenerissimo di Eva si stampa una tenue ma trasparente irritazione. «E hai accettato subito! Sai bene quanto è attaccato ai suoi fratellini!» Si rammaricò subito dopo del rimprovero, il suo caro pareva sul punto di piangere. «Non importa, hai fatto come ti ho indicato. Mio padre è un uomo singolare». Ivan non si scrollava di dosso la patina di rincrescimento: bisognava cambiare direttamente tema. «Piuttosto, la baita sul Monte Orso! Non che ci tenga a tornarci. È un posto strano, e indovina perché si chiama così?». Che cara, un indovinello! Ivan li adora. Opzioni: ci sono gli orsi, altrimenti è un trabocchetto. Meglio fuggire figure meschine. «È una domanda trabocchetto?» Eva ride, le guance zuccherose come pesche sciroppate. «Hai perso, ci sono gli orsi. D’inverno comunque sono in letargo, o almeno ho letto così. Forse ci vanno dopo, ma non credo. Speriamo di non vederne, i bambini ne morirebbero, tranne Ringo, che è un incosciente. Per non parlare di te che sei un fifone». Quale temerario osa asserire questo di Ivan il Terribile, Bis? In posa eroicamente ridicola, «Io gli orsi li divoro a colazione, crudi». Guarda a sinistra, guarda a destra, «Dove sono i ragazzi?» «Dario e Ringo sono ancora a scuola, Nevio l’ho portato stamattina da tua madre. Pedro invece è a casa, è nella sua stanza che gioca con il Saturn». Rapido calcolo: solo un fanciullo da visitare. Corridoio, bagno sulla destra, stanza di Dario e Ringo; il marmo sfocia in un parquet scricchiolante, e, finalmente, la soglia dell’antro del primogenito: luogo buio e arcano, un misterioso lume azzurro nell’angolo, un ticchettio meccanico e inquietante. Accendere le luci elettriche, in verità, 16 avrebbe palesato un arredamento di gusto inqualificabile, orrendi poster, un vecchio misero televisore sgangherato, e questo ragazzo in trance videoludica. «Salve a te, giovane», poi lo schermo ghermisce le attenzioni di Ivan: il dottor Giuseppe Mengele, baffi e tutto, a bordo d’un trabiccolo ovoidale. «Senti, chi è quel tizio grosso nel videogioco?» «Non vedi che sto combattendo un boss?», sgarbato, poi decreta che è meglio mettere in pausa. «Comunque, è il dottor Ivo Robotnik. Il nemico di Sonic. C’è fin dal primo episodio, non l’hai mai visto? Perché t’interessa?» «Somiglia a un dottore che ho conosciuto oggi. Il papà della zia. Un tipo simpatico, lo verrai a conoscere». Start, Pedro ripiglia a giocare nervosamente. «Be’, il dottor Robotnik non è simpatico: continuo a perdere». Per qualche secondo, l’incuriosito Ivan assiste all’epico scontro d’un porcospino blu e d’un grassone meccanizzato. «Comunque, questa console che abbiamo acquistato ti soddisfa? Mi attendevo che avresti desiderato la PlayStation», mentre Pedro perde nuovamente, pausa, l’irritazione faticosamente compressa nell’involucro corporeo, quasi fisicamente traboccante. «La PlayStation fa schifissimo! La Sega è sempre stata la migliore. I miei compagni sono tutti fissati con la Play, ma non capiscono niente». Conflitti ideologici sui videogiochi, assurdo e folle, e ridicolo. E d’altro canto, un nipote militante della Sega era pur sempre più rassicurante di un nipote, che so, nel movimento di rifondazione neonazionalanarchico per l’apocalisse subito. «Non iscriverti mai a un partito, eh», un gigantesco punto interrogativo appare, come una Vergine, sulla testa del ragazzo, «Comunque, questo Natale andiamo tutti sul Monte Orso, sarai contento». «Altroché: sono più gioioso di una pasqua». Una pasqua di sangue, a giudicare dal tono. Fine del secondo episodio. Gli Stornelli del Manzoni Racconti Tre colori di Costantino Orlando - pollaio n°17 Grigio nebbia L’interminabile viale nebbioso è un luogo della mente. Senza tempo il suo cielo assente, senza luce o buio. E da una parte gli alberi alti e scuri e immobili hanno posato la loro flosce radici al suolo, mentre gli stecchi sottili all’estremo dei rami non oscillano più da tempo, fotografati in aria. Tutto è così reale. E dall’altra parte palazzi ben architettati si susseguono affiancati, e stanno, democraticamente uniti contro nessuno, portoni chiusi, compatti concordi congiunti conformi confortevoli. Ogni finestra è coperta da una tenda marrone. Non esiste sottosuolo, e anche quello che il grezzo asfalto non ricopre, come il vuoto stretto e carico di echi umidi dei tombini, riesce la nebbia a renderlo sordo. Non mistero, non astmosfera, non evocazione. La nebbia qui serve solo ad ottundere, smorzare, indurre ad andare avanti lungo il viale. L’aria respirata ha un odore acre, sottilissimo, impersonale. Di colpo, nella mente, qualcosa di spento cede all’inerzia e si trova a procedere, seguendo la linea bianca. Ma la linea comincia lentamente a torcersi, ansiogena, e il viale ora si dilata come un respiro mozzo, con una fitta improvvisa si contrae, si allunga verso il suo orizzonte inesistente e allora tutto viene dolorosamente stirato e assottigliato e teso e i filamenti di ogni singola cellula sono strappati e distorti orizzontalmente fino all’agonia stridente e acutissima che passa nell’ago delle siringhe e la sofferenza lancinante della disperata passività risucchiata e divelta dai capillari e dalle ghiandole e dagli alvei e staccata brutalmente dalla cavità del teschio ingoiata da un punto minuscolo e accecante che con un’ultimo strappo spezza la tensione e frantuma l’immota paralisi del viale. E allora gli alberi si scuotono e lanciano stridulo e profondo il lamento del germe che serbano dentro, e stendono di colpo, con uno spasmo, i rami al cielo, che ora vomita pioggia violacea e nodi di fulmini sanguigni, mentre le nubi si rovesciano, liquide, trapassando la nebbia, dirompendo nei tombini, da cui escono giganteschi mostri neri abissali che fanno gonfiare e crepitare l’asfalto prima di uscire dalle enormi voragini che li generano. E, di scatto, si aprono tutte le tende marroni di tutti gli infiniti palazzi del viale e scoprono con orrore le stanze sempre nascoste, dove non si è mai guardato, dove non si deve guardare, dove c’è la cosa più spaventosamente orribile, dove non c’è nessuno. Solo la moquette grigia in cui ora sembra di sprofondare e sprofondare e sprofondare, con il grigio sulla pelle sempre più intenso, sempre più confuso, sempre più morbido, sempre più torpido. E lentamente da questa nuova nebbia cominciano ad affiorare dei contorni, crudi ma indistinti, via via più chiari e realistici. Ora c’è calma, immota, spezzata e sedativa, sul viale. Giallo Io amo Vanna.Ha le mani grandissime e morbide.Tutto è grandissimo e morbido, ma lei meglio: lei profuma. E i suoi palmi grandissimi e freschi si chiudono sulle mie braccia. Non mi guarda mai gli occhi, ma sorride senza aprire la bocca. Prima mi tiene tutte le braccia. E mette uno spago di gomma dopo il gomito. Poi mi fa guardare il disegno che fa il sole sul pavimento. Quando lo guardo sono sempre contento e cado. Cado giù all’indietro e faccio le capriole ma Vanna non mi lascia. C’è rumore di cuscini di paglia che strusciano intorno a me. Io e Vanna nel cielo morbido, nell’aria morbida. Guardiamo i campi di granturco da lontano, non so se sono sopra o sotto di noi. Non importa. Il granturco comincia a ruotare e forma una palla.Una grande bellissima palla rotonda. Piena e tiepida e avvolta dal cielo solido come me e Vanna. Come il tuorlo di un uovo. Ora so che questo è un uovo dall’albume soffice, e che ci siamo dentro. Il tuorlo è come gommapiuma. Cresco. Cresco attraverso l’albume fino a toccare le pareti del guscio. Vanna non se n’è andata, ma ormai ci sto solo io nell’uovo. Ecco, ora io sono l’uovo. Sul mio guscio pallido e poroso sento il palmo grande e fresco di Vanna che mi prende e mi tiene, accogliente, da sotto. Poi si alza sugli zoccoli bianchi e mi ripone dolcemente nel mio scomparto. Mi lascia. Chiude bene la grossa porta imbottita. Se ne va. Sono solo.Tutto è grande e morbido. Il sole continua a disegnare sul pavimento. Bianco Incudini e cusciniIl verde è matematico. utroh r tgjrhj adjssir mho a lei megfuaarh. imi e freschi si chiudonoo prima di affrontare la sconfinata distesa di minuti scolastici, e proprio mente stavi ptipt7il, poi, notata al sulle mie braccia. Non mi guarda mai gli occhi, ma sorride senza aprire la bocca. Prima mi tiene tutte le braccianon so se sono sopra o sotto di noi. Non importa. Il granturco comincia a ruotare e fomoun posto strano, e indovina perché si chiama così?». Che cara, un indovinello! Ivan li adora. Opzioni: cyir l’apocalisse subito. «Non iscriverti mai a un partito, eh», un gigantesco puntomovimento di rifondazione neonazionalanarchico per l’apocalisse subito. «Non iscriverti mai a un partito, eh», un gigantesco puntorma 17 una palla.Una grande bellissima palla rotonda. Piena e tiepida e avvolta dal cielo soiavre ejnfijg r eifnonvkde bvn molte moe dmom etmo cicmacmsima che passa nell’ago delle siringhe e la soffeante dellerata che passa nell’ago delle e la stukdukofferenza lancinante della disperata passività risucchiata e divhiata e divamammera eii me hehhrer rjjklla mantare do ereo ere y b g rotre. Racconti Gli Stornelli del Manzoni Diario - secondo episodio di Victor Campagna 2ªA Oggi. Da tre anni sono in questo luogo. Sbarre. Null’altro. E mi fa schifo: ogni cosa è disgustosa. Eppure ci devo vivere. Ovviamente lui non c’è più; se n’è andato dopo il nostro litigio. Non penso che sia morto perché a volte lo intravedo dalla finestra. Loro intanto tentano di uccidere me e Lui con la solita dose di pastiglie, ma so che sta per tornare... C’è un medico in particolare che ci odia: si chiama Olivi. ? Sì, dovrei ucciderlo! Questo pensiero risiede ancora adesso nella mia mente, ma sono abbastanza lucido da capire che non devo: sarebbe inutile e stupido. Quindi non lo farò. Tutto mi andrebbe contro: i medici chiamerebbero la polizia, che scoprirà l’identità dell’assassino prima o poi e non penso che la pazzia mi sarà d’aiuto in tal caso... In tal caso... In tal caso... In tal caso... Ma perché continuo a scrivere in tal caso?! Non ci riesco: la mia mente sta fuggendo. Non riesco a trattenerla. Mi sa che devo chiamare l’infermiere. Dopo oggi, È venuto, ma non ha capito. Nessuno mi capisce. Mi ha detto che devo calmarmi, che devo usare la testa, o almeno tentarci; che è difficile, ma devo combattere contro la malattia. Ma lui che ne sa! Ogni giorno mi siedo su quella poltrona subendo domande a cui non ho voglia di rispondere. “Com’era il tuo rapporto con lui? Quando è iniziato?” ecc.. Mi fanno solo soffrire queste domande. È davvero uno schifo questo posto. Vorrei tanto che lui tornasse almeno a farmi compagnia almeno per un attimo. Magari se lo vedessero gli altri capirebbero che è vero, ma gli altri non lo vedono purtroppo. Finché non lo vedranno non capiranno. Non capiranno, accidenti! Ed io dovrò rimanere qua. Mi viene quasi da piangere, ma non posso fare neanche questo perché se no scoprirebbero il mio diario accorrendo per i miei singhiozzi. Mi calmerebbero, per poi mandarmi da quell’Olivi e leggerebbero ciò che sto scrivendo. Sì, lo psichiatra che odio: non ha spina dorsale, è stupido, non capisce e, soprattutto, non ascolta. Ed io? Cosa dovrei farci? Del resto sono io il malato, no? E sono nelle mani di un idiota che dovrebbe capirmi, invece è solo pronto a prendersi la parcella a fine mese. Ed io sarei quello matto. In realtà sono gli altri matti. Io sono solo colpito da lui. E non vuole venire da me. Ho preso troppe pillole e me le somministrano obbligatoriamente, maledizione! Stanno accanto, guardando, osservandomi, finché non le prendo e ingoio, non permettendomi di sputarle. Ma cosa dovrei fare? Mi manca, mi manca! E le pillole non fanno altro che distruggerlo. Ma lo sento lo stesso. Lo intravedo dalla mia finestra a volte: bello, dolce e gentile; totalmente uguale a me, ma più bello. Ho come la sensazione che un giorno di questi tornerà da me. E mi sarà vicino allora: saremo sempre assieme. Nessuno ci potrà più allontanare. E dimostrerò agli altri che esiste, che è reale, che non è la fantasia di una mente malata. Non può esserlo assolutamente. E poi... Ah, sto delirando! Non posso continuare a vivere con lui, non posso. È troppo. Accidenti! Ne ho bisogno, ma non ne ho bisogno. È strano. Non riesco più a capire nemmeno me stesso. So che tornerà, ma non lo voglio. Non lo voglio... Adesso mi sa che dormirò un poco, per chiarirmi le idee. Ieri, Ieri ha aperto la porta, l’ha spalancata, come un vento improvviso. È venuto da me: ha voluto prendermi per un attimo, ma se n’è andato quasi subito. Ed io rimasi lì, stupito di me stesso, allibito, a bocca aperta. Poi, con le mani tra i capelli, mi sono sdraiato di lato. Dopo ieri, Quell’appunto era delirante. Basta! Il mondo non è mio e non lo sarà mai. E anche se lo fosse non sarebbe bello: troppa gente da amministrare. E a me non piace la gente. Tende a non capire, o meglio, a non voler capire. Ed i medici? I medici... Sì!, creature, omuncoli, vestiti bene, con camici e tutto il resto, le loro belle targhette e le loro ricette. Bella la loro vita, bella! Tanto non sanno: non sanno chi sono, né che cosa credo, né nulla. Domani, Quanto odio il mondo. Non ne posso più. Non ne posso più. Ho bisogno di un po’ d’acqua da quel deficiente dell’infermiere. Dopo domani, Non ho voglia di chiamarlo. Preferisco scrivere. Qualche ora fa, Ormai non so più dove sono. Mi pare vicino a Berna. 18 Ma non lo so e non m’importa. Solo una cosa: dov’è?” “Qualche giorno fa.” “E cosa ti ha detto?” “Nulla.” “Me lo devi dire se vuoi uscire di qua e guarire” “Cosa vuole che mi dica?! Le solite cazzate! Che mi vuole bene, che mi ama e che non mi vorrebbe abbandonare ma deve per colpa vostra!” Qualche ora dopo, Mi sono alterato. Come al solito. Olivi fa solo domande stupide ed insensate. Non capisco il nesso... Vuole soffocarmi o aiutarmi? Ah, cosa vai pensando?! Con queste cose non guarirò mai: l’unico modo per star bene è averlo accanto, ma è lontano per colpa loro. Maledetti! Maledetti! ? Mi sa che mi conviene cercarlo. Deve pur essere da qualche parte. Oggi, È qui vicino. Lo so. Lo sento. Dove però?” Il dottor Olivi si sedette in uno studio. Di fronte a lui c’era un uomo. “Ma come possiamo fare con lui? È impossibile controllarlo. Ancora una cura per la schizofrenia non esiste. E lui non lo vuole capire che Lui non esiste. Io sto facendo di tutto. Ma non capisce.” Disse Olivi. Si tolse gli occhiali e si stropicciò gli occhi. L’altro uomo non parlava: rifletteva. Non guardava neanche l’Olivi. “Non so che dire” proruppe improvviso lo psichiatra “Bisogna però fare qualcosa. È un nostro paziente e va curato. Ricorda che non è una minaccia per nessuno: lo è solo per se stesso. Quindi male non ne fa.” “Questo è il problema...” lo interruppe l’altro “da risolvere.” Olivi stette zitto. Si appoggiò sempre più allo schienale come rassegnato. Sapeva che non poteva fare nulla: era sconsolato e guardava nel vuoto. Quello era il primo paziente che non riusciva a guarire. Non poteva sopportare un tale fallimento. “È letteralmente impossibile che non lo capisca. Ci deve essere qualcosa che lo conduce a persistere. Quell’uomo non è stupido, anzi! È molto brillante: non ha difetti particolarmente gravi. C’è qualcosa che non quadra nell’insieme. Io non posso guarirlo. Non ce la faccio, perché è impossibile.” Poi sussurrò: “Comincio a pensare che abbia ragione”. Racconti Gli Stornelli del Manzoni “Ma non dica idiozie per favore! Nulla è impossibile! Nulla è incurabile! Quel Lui non esiste! Non esiste!” Olivi guardava in un punto disperso nel vuoto. Non ascoltava le parole del suo collega. Stava pensando amaramente. Stava riflettendo su ogni cosa. – E se noi sbagliassimo? – così cominciò a perdere un poco della sua ragione. “Devo andare”, disse alzandosi di scatto l’Olivi. “No, aspetti!” urlò l’uomo, ma troppo tardi. L’Olivi era uscito. “Assomiglia davvero tanto al nostro paziente...” Rimuginò tra sé, sprofondando nello schienale della sua poltrona. Il dottor Olivi intato si dirigeva verso il suo ufficio. Giunto lì si sedette e si appoggiò sempre più sullo schienale con le mani dietro la nuca. Il suo volto era estremamente pensieroso. D’un tratto allargò gli occhi. Si allungo verso il telefono e digitò pochi numeri. “Mi mandi il paziente numero 123.”Attaccata la cornetta iniziò a guardare la porta marrone dirimpetta a lui. Si vedeva il nervosismo nel suo volto e nel continuo torturare un povero tagliacarte tra le sue mani ossute. Infine sentì dei passi che subito riconobbe. Bussarono alla sua porta. “Prego” disse gentilmente. Entrò così il paziente numero 123. “Si sieda”, disse Olivi “Allora, mi dica, qual è il problema?” “Qual è il problema?”, rispose il paziente, col volto disperato, “Mi dica lei: cosa devo fare? Il mondo mi è contro. Tutti pensano che io sia schizofrenico, ma non ho visione di alcun genere: non mi credo né padrone del mondo, né signore di un qualche altro pianetuccolo. Cioè: come possono dire che io sono pazzo?” “Hai ragione. Stavo cominciando a riflettere sull cosa: tu non hai allucinazioni costanti. Hai solo quel... Lui, giusto?” Fece di sì con la testa. Si guardarono. Cominciava a sentirsi strano, quasi fuori di sé. Sentiva di non odiare più l’Olivi. Ma sapeva che questa era una consolazione deleteria: lui aveva bisogno di Lui. Non aveva un’identità senza Lui: aveva bisogno di Lui per trovarla; se lo sentiva dentro. Ma i medici non lo aiutavano: lo sorvegliavano. Gli impedivano di vederlo. E Lui? Che poteva fare? Solo l’Olivi cominciava a capirlo. Solo lui. Allora il paziente lo guardò meglio negli occhi. Lo osservò con cura. Lo penetrò quasi. E poi scoppiò a piangere. Abbracciò l’Olivi. “Finalmente ti ho trovato!” Leggende Filosofiche - Parmenide e il problema della Doxa di Francesco Fiero Ci fu una volta un uomo lungimirante (ovviamente siamo ironici) chiamato Parmenide, residente a Elea, colonia greca a sud di Pastal Paestum. La sua vita scorreva tranquilla come il panta rèi di Eraclito, quando a un tratto tutto (letteralmente tutto) smise di scorrere. Infatti, il suo grattacapo principale, in quel momento, era la sua amata dòxa, con la quale si lavava il suo essere unico ed omogeneo. Peccato che seguendo le sue stesse teorie ignobili, Parmenide era arrivato alla conclusione che la dòxa, giunta al punto massimo della sopportazione, si rifiutava di emettere il suo getto, in quanto definito immobile dallo stolto uomo. Parmenide sapeva di aver ferito nel profondo la dòxa, anche se la sua era una semplice opinione. Il broncio della sua amica, però, non era apparente. Per farsi perdonare, Parmenide cominciò a tessere lodi nei confronti della dòxa, attribuendole dei pregi, e proponendo delle congetture del tutto discutibili: “Sei eterna, sei immutabile, sei immobi...Ehm, no, quello no! Sei unica, sei finita!”. Interpretando male quel suo ultimo inconcludente elogio come una minaccia, l’offesa e vituperata dòxa prese la giacca e se ne andò a casa del padre, Talete. In preda alla disperazione, Parmenide si lasciò andare a pianti incontrollati, urlando a squarciagola le sue più famose massime, che siamo sicuri verranno attribuite a lui e soltanto a lui: “Essere o non essere! Questo è il problema!” “Ei fu siccome immobile...” “Eppur si muove” Così come l’aforisma più celebre, talmente subilime da fargli vincere il premio Strega: “L’apparenza inganna!”. Non potendosi fare nemmeno il la vaggio del cervello in quanto sprovvisto di dòxa, Parmenide ovviò al problema acquistando a un prezzo stracciato una vasca da bagno nuova di zecca. Il venditore? Empedocle di Agrigento. Il motivo? Era dell’idea che le vasche da bagno sono le tombe dei padri. A ognuno le sue grane... Morale della favola: -Se stai fermo come il vino, l’unica cosa che puoi fare è ubriacarti, o proprio volendo, filosofeggiare. -Se la tua dòxa in preda a una crisi isterica prende la giacca e se ne va, non ti preoccupare: Sei ubriaco, è normale vedere certe cose. Altrimenti per esclusione sei un filosofo. 19 -In fondo in fondo, come dice Eraclito, il filosofo e l’ubriaco non possono stare uno senza l’altro. Il filosofo è ubriaco di suo, ma ubriacandosi filosofeggia, di conseguenza l’ubriaco è un filosofo. Questa è filosofia, ragazzi. Ah, e non venitemi a dire che sono ubriaco. Io sono astemio. Gli Stornelli del Manzoni Mr Lonely di Anna Crosta 2ªA Ma chi è questo assurdo individuo che attraversa tranquillo e indisturbato i sentieri del nostro corpo? Sei tu Mr Lonely? Dove sei, ti percepisco come un adesivo appiccicato sulla pelle ma mi risulta davvero complicato scorgerti, che fai? Giochi a nascondino nel mio corpo? Così non vale però...dove si è intrufolato adesso Mr Lonely? Appoggiato sui miei lineamenti irregolari, intrappolato nel mio corpo goffo ed impacciato, strisciato nei miei vestiti trasandati o, più semplicemente, riposa cullato dalle fantasticherie del mio pensiero? Mr Lonely sei tu o sono io? Sia tu che io? Le mie fantasie o le tue? O nessuno di noi due? Mr Lonely è il più abile trasformista di tutti i tempi, il più stupefacente mago, la pelle più variopinta, quella più neutra, il personaggio multiforme più originale, e l’uomo più banale. Mr Lonely è l’amico a cui tutti vorrebbero strappare qualcosa, Mr Lonely sono i vestiti che tutti vorremo indossare, sono le gambe con cui tutti desidererebbero poter fare una corsa, Mr Lonely siamo noi, la nostra apparenza, l’articolata impalcatura costruita su misura per la nostra sagoma che, privata anche solo di un minuscolo pezzetto, risulterebbe completamente smontata e sola nella sua unicità. Mr Lonely è l’abile controfigura che si muove per noi, che ci protegge dagli eventuali e sempre vicini pericoli quotidiani, che soddisfa le nostre ambizioni, che raggiunge i nostri successi, è quel costume di scena in cui accuratamente ci infiliamo per sormontare il palcoscenico del mondo e da cui ci spogliamo in presenza di noi soli. Questo travestimento elastico e mimetizzante ci carica di sicurezza, disinvoltura, intraprendenza, modella il nostro corpo, lo tagliuzza, lo modifica, lo ritocca, lo copia, lo incolla secondo la convenienza dell’ambito e del luogo. Corpo sciolto e rilassato, viso affascinante, sguardo penetrante, tutto in regola, Mr Lonely sta facendo il suo dovere; ci ripara dalle costanti intemperie del giorno e della notte, ci protegge col suo guscio fragilissimo dal caso, dal mistero, dalla solitudine, dal timore, dall’incapacità di orientarci in una realtà sconfinata e dispersiva. Bè, che dire, ho come il presentimento che questo signor Lonely, con il quale, nonostante gli estenuanti sforzi, non sono ancora riuscita ad instaurare una confidenza Racconti salda e profonda, stia diffondendo il suo microscopico virus un po’ dappertutto a nostra, suppongo, quasi totale insaputa. L’etichetta Lonely però non può venir pienamente compresa in tutte le sue sfaccettature senza evidenziare i casi di contagio più evidenti. Erano circa le otto, la tua personcina barcollante e sonnolenta, ti ha spinto in bagno prima di affrontare la sconfinata distesa di minuti scolastici, e proprio mente stavi per varcare le sacre porte d’uscita non sei riuscita a trattenere quell’occhiatina, prima di sbieco, poi, notata al volo un’ irreparabile imperfezione, ti fermi, ti giri di poco, poi del tutto, ed eccoti lasciata scivolare nelle attraenti e robuste braccia del Signor Specchio, è andata così stamattina? E ieri? Com’erano i capelli? Su, giù, di lato da una parte, dall’altra, davanti, di dietro, mossi, fermi, ondeggianti, gialli, neri, rossi, verdi, blu, oh Dio! Quante incertezze! Hai obbedito correttamente a tutti i gesti di scena mattutini, occhiatina, sorrisino, come va, che palle, ciuffetto, mutande, non troppo su, non troppo giù, equilibratamente a metà, cintura, pantaloni, abbinamenti, trucco, aggiusta qui, ritocca lì, tutto a posto, pronta, meravigliosamente pronta. Talmente sicura di te che pur di non spostare di un millimetro il fine capello platinato dalla posizione faticosamente raggiunta, ti irrigidisci, stai lontana dalle finestre aperte per evitare catastrofiche correnti, non guardi in faccia nessuno, e orgogliosa della tua accuratissima applicazione, esci terrorizzata dalle tue quinte sanitarie e cominci la messinscena scolastica, come, ogni, sacro, santo, giorno. Cara amica e, perché no, caro amico, la sindrome Lonely vi ha definitivamente colpito, il contagio ha raggiunto ogni parete del tuo corpo, si è spalmato su ogni poro della tua pelle, ti è scivolato dentro, ma prima o poi se ne andrà? E se riuscirà ad abbandonarti, cosa rimarrà di te, di lui, di loro e di me? Se quel ciuffetto cadesse, se i pantaloni salissero senza possibilità di discesa, se il mascara ci vomitasse in sbaglio il suo nero denso su tutto il corpo, se le maniche si accorciassero, le cosce si ingrossassero, se la penna ci scarabocchiasse nel bel mezzo della classe, se lo specchio si rompesse...sarebbe l’inizio di un incubo tremendo...o solo un mondo costituito da persone diverse? E quale significato assumerebbe allora in questo caso la parola diverso? Mr Lonely è partito , per quanto non si sa, forse per sempre, per dove poi, forse se ne va da chi nemmeno lo conosce, da 20 chi non lo desidera, o da qualche scemo che ancora non ha capito chi è...ma siamo sicuri di sapere con certezza chi saremmo noi se Mr Lonely ci lasciasse? Chi saremmo senza quel volto colorato, senza quell’armonia di accostamenti dipinta sul nostro corpo, senza quell’andatura ondeggiante e seducente che ci ha sempre reso così miracolosamente fichi, chi diventeremo, dove ce ne andremo, spogli di tutto ciò che abbiamo costruito e plasmato su di noi per essere chi pretendevamo di essere? Saremo deboli, indifesi, disorientati, scoraggiati, in preda ad ansie incurabili, a drammatiche insicurezze, a ingestibili imbarazzi, a incomprensioni reciproche... l’assurdità, non la capiremo mai. Ecco che giunti a questo punto, subita la mostruosa trasformazione, rimaniamo nudi, scomposti dalla nostra imperfezione, pieni della nostra integrità, saremmo pezzi unici molto rari e preziosi che un domani tutti desidereranno possedere. Sembrerà all’inizio un’impresa impossibile rompere le solide barriere della nostalgia dell’immagine, del pregiudizio,della differenza, dell’estetica, dell’inconsistenza che ci ha abbandonato senza il minimo preavviso. Dovremmo squadrare il nostro corpiciattolo estraneo e spoglio, ci basterà una rapida occhiata per capire che non sarebbe un buon amico, dovremmo risalirlo fino a raggiungere la mente e stabilire lì la sede del significato di una vita nuova e originale, in profondo e sincero contatto con la realtà del nostro ambiente, dovremmo risolvere con la parola e con la voce l’insicurezza e l’incomprensione verso una realtà che non conosciamo e che non capiamo, dovremmo cominciare ad essere ciò che non siamo mai stati, ciò che non avremmo mai voluto essere. Dovremo cominciare a meravigliarci della varietà del mondo, a stupirci della sua originale scomposizione, e ad essere orgogliosi di farne parte, interpretando il ruolo che nessun altro può interpretare, quel ruolo che si chiama Io. Dovremmo cominciare a non essere nulla, eccetto che noi. Dovremo avere il coraggio di sederci fra il pubblico e ridere insieme della finzione, della menzogna, della falsità, degli scambi di ruoli, perché se tutti ne ridessimo, tutto questo non esisterebbe più. Gettiamo i panni del nostro personaggio, abbandoniamo le sue meccaniche abitudini, smascheriamoci dal trucco, strappiamoci di dosso tutti i microfoni che parlano per noi, e caliamo il sipario della nostra farsa ridicola farsa, perché solo gli attori sanno recitare, tutti gli altri potranno sempre e solo fingere. Gli Stornelli del Manzoni Racconti 15 Marzo 1987, pomeriggio ventoso e occhiaie di Sofia Simonetti 5ªE (diciassette e quarantuno.) Oggi è stato uno di quei giorni freddi, apatici, meravigliosi, quando esci con le scarpe buone e pochi marchi in tasca. Stamattina il mio letto era sfatto e la mia stanza puzzava di fòrmica; per la strada si vedevano solo distinti signori con lunghi cappotti di cammello e studentelle che hanno perso la retta via. Per salutare il nuovo giorno sono andato nei cessi di un free shop e ho conosciuto una ragazza dai capelli biondo fragola, che mi porge un sorriso sbrecciato come una vecchia tazza rotta e mi dice di chiamarsi Rashida. Profuma di china e di frutta fresca e la prima volta che mi bacia sento il sangue che si fluidifica e le orecchie mi fanno male; è deliziosamente naif, si è appena trasferita da Völklingen. È da quando ho sentito queste parole che le dieresi non mi rimandano solo a due maledetti puntini su una lettera, bensì a una danza spregiudicata disegnata sulle sue labbra sanguigne. Ci siamo seduti, abbiamo chiacchierato su una panchina verde bottiglia in un parco della zona Est. Pochi minuti dopo la brandina cigolava e noi consumavamo il nostro primo incontro in silenzio, con la brina fuori e le sigarette postcoito che languivano dalle nostre bocche imbarazzate. Subito dopo ha borbottato qualcosa e se n’è andata. Così. È un vero peccato che troppo spesso i grandi romanzi d’amore abbiano un solo protagonista. A presto, R. Klaus Tabù di Elisa Monti 1ªE Parlava da sola,sapeva di essere un pochino pazza, o meglio, sapeva che se solo avesse parlato alla gente comune di tutti quei discorsi privi di interlocutore che buttava giù ogni notte, gli altri sì che l’avrebbero definita “pazza”. Lei non è che si facesse poi tanti problemi insomma, non emergeva nessuna forma di male del resto. Parlava con le sue maschere, quei centomila se stessa che il caro Pirandello le aveva detto di essere, lo faceva quando era uno e si sentiva nessuno. Una voce del momento dava il via, in un contesto fuori luogo, fuori realtà. Le altre voci rispondevano a turno, fino a confondersi e sovrapporsi, un’ esplosione di suoni, di personalità, modelli, sprazzi di vita reale, passata, verosimile. Messe alla prova le sue voci, le maschere, la ragazza dagli occhi di miele ne sceglieva due o tre per il giorno dopo, una sola per ventiquattro ore non bastava, si sgualciva, stancava. Selezionava la maschera vivace per la scuola, quella scorbutica per la famiglia, quella con difetti vocali, troppo silenziosa, per la compagnia delle compagne di pattinaggio sul ghiaccio. Era felice, stupita di aver imparato a dominare totalmente se stessa, a capirsi, a governarsi. Ben presto però si rese conto che tutto questo sistema di autocontrollo che aveva messo in piedi con maschere di ricambio andava sempre più verso il degenero. Le figure si corrodevano al solo contatto con gli altri, doveva cambiarne continuamente, tanto che affannata rinunciò a tutto, andò allo sbando, non era più in grado di autogovernarsi, si era totalmente lasciata andare al corso degli eventi, ma pensava; se si arrabbiava taceva, perché capiva, capiva gli altri, forse fin troppo; agiva per se stessa ma in funzione degli 21 altri e quindi anche per loro, a volte troppo. Sperava e sorrideva, sbarrando dietro ai denti quella rabbia superficiale e reazionaria che non aveva alcun senso dopo un ragionamento fondato perché la situazione già l’aveva risolta tutta. Esprimeva questi suoi sentimenti nascosti borbottando durante il ritorno a casa, coi capelli davanti agli occhi e un dizionario che copriva la bocca. Con gli amici parlava, ma dopo; quando voleva solo ed esclusivamente tirar fuori la sua rabbia superficiale che se ne faceva dei consigli ed i giudizi degli amici? Già se li era dati da sola, non è che ci fosse molto da dire! Inversione logica e cronologica. Lei cercava solo un istantaneo posto da urlo, ma la gente si domanda… cavolo!, ti domanda; cerca sempre un perché che non si è sempre e comunque disposti a dare, per pura pigrizia e pure per incoscienza. Aveva bisogno solo di una piccola scatola di cartone insonorizzata, bastava. Allora parlava da sola , come se i pensieri ottundenti la mente, inutili ad una realtà ormai trascorsa o fisicamente impossibile, venissero liberati definitivamente, varcando le labbra panciute, verso un altrettanto ormai inutile o fisicamente impossibile interlocutore con la risposta già pronta e dalla voce multicolore. Gli Stornelli del Manzoni Acchiappasogni Non c’è niente di più bello di me L’indimenticabile ragazzo di Mara Passerini 4ªE di Ika Non c’ero riuscita….. non ce l’avevo fatta! Il suo sguardo mi trafisse il cuore, ed un suo sorriso sfiorò la mia anima. Era sempre così quando, per un solo istante, i nostri sguardi s’incrociavano. Lui era il sogno più bello la notte e, di giorno, il pensiero più fitto nella mia mente. Non riuscivo proprio a spiegarmelo: perché era successo a me? Proprio a me, la ragazza col cuore di ghiaccio. Mi stavo preoccupando troppo…. era solo una stupida cotta!! Doveva essere così... invece mi sbagliavo… La mai passione per lui accresceva di giorno in giorno; arrivai persino ad illudermi di potergli piacere… ma in me sapevo che non era così. Nel suo cuore c’era probabilmente già un ‘altra, più grande , bella e simpatica di me…non avevo speranze! Dopo essermi demoralizzata per bene, cominciai a fantasticare su di lui e sul suo fisico possente, ignara che il giorno dopo sarebbe arrivato il momento della verità. Quella mattina arrivai a scuola mezza assonnata, e senza alcuna voglia di sorbirmi la noiosissima lezione della prof di francese. Ad un tratto, sbucò da un angolo un piccoletto, mi consegnò un bigliettino e scappò via. Su questo c’era scritto: “Ti aspetto oggi per le tre al parcheggio dei motorini. Marco.” Un po’ sconcertata non dubitai un secondo ed accettai l’invito. Ormai non avevo più nulla da perdere! Alle tre meno dieci, ero già li. Aspettai per un quarto d’ora e, proprio mentre me ne stavo per andare, mi sentì prendere per un braccio e, in seguito abbracciare, da due mani a me purtroppo sconosciute…erano quelle di Marco. Io rimasi impietrita dal suo gesto d’affetto; nessuno ci aveva mai provato. Mi sentii in paradiso. In quel momento non c’era persona più felice di me. Dopo essermi ripresa, contraccambiai l’abbraccio ma, nel mentre, le sue labbra si posarono sulle mie, e fu la fine. Il cuore incomincio a battermi a mille, diventai rossa come un pomodoro e, la mia faccia, venne solcata da una piccola lacrima di felicità, che lui si affrettò ad asciugarmi. Il sogno più bello della mia vita era diventato realtà. Poi, dopo un giro mano nella mano per il parco, mi riaccompagnò a casa, e quel pomeriggio non feci altro che pensare a lui. L’indomani lo cercai dappertutto, ma per mia sfortuna non riuscì a trovarlo. Allora chiesi ad un suo amico il quale mi disse che Marco aveva avuto un in incidente in moto il pomeriggio prima e ne era rimasto gravemente leso… rischiava la vita. Mi sentii terribilmente in colpa. “Probabilmente se non mi avesse riaccompagnato a casa non sarebbe successo, è colpa mia…”. Non riuscivo più a dormire, a concentrarmi, piangevo e sentivo i sensi di colpa affiorare nella mia mente in continuazione. Pensavo a lui giorno e notte, ed in particolare al bacio, quel piccolo ed insignificante gesto che aveva cambiato la mia vita. Passarono i mesi e Marco non dava segni di miglioramento. Ormai tutti i giorni ero in ospedale da lui , non accorgendomi che vederlo in quella situazione peggiorava il mio,già catastrofico,stato d’animo. Gli tenevo la mano parlando un po’ di me, di come sono fatta, e di come il mio sentimento per lui fosse diventato così grande. Ma, mentre gli dicevo ciò, cominciai a pensare che vederlo morto sarebbe stato meno doloroso che continuare a fargli compagnia in un percorso agonizzante appeso a quel filo di speranza che ormai lo aveva abbandonato. All’improvviso, mentre mi lasciavo trasportare da questi spiacevoli ma necessari pensieri, sentii un grido nella mia mente e poi di colpo silenzio. Vidi il suo volto impallidire e la sua mano raffreddarsi. Mi ci volle un solo istante per capire che la persona di cui mi ero realmente innamorata era sparita per sempre, lasciando il vuoto dentro di me. A quel punto era inutile disperarsi, certo il fatto di sapere della sua morte imminente non rendeva la cosa meno dolorosa, ma mi aiutava ad andare avanti sfidando quel crudele destino che ci aveva riservato una sgradevole accoglienza nel mondo, troncando sul nascere il nostro amore e cancellando con un soffio, i nostri giovani piani. 22 Stufa dell’ipocrisia che impera in questa scuola, decido solo dopo cinque anni di lamentarmi. Vedo ragazzine che vogliono attirare l’attenzione solo puntando sul loro aspetto; insomma perché non tirate fuori anche la vostra personalità, che rimane subordinata alla “lunghezza” delle vostre minigonne? Vedo ragazzi che si sentono fighi solo quando sputano per terra, quando fanno i maleducati (altro che istituti professionali, fate un bel soggiorno nella mia classe e vedrete), quando commentano da veri porci gli abbigliamenti di noi ragazze. Fighi di che? Di che cosa? Ho conosciuto ragazzi che, pur non avendo occhi azzurri e capelli biondicci, hanno dimostrato un magnifico sex appeal con estrema naturalezza e un pizzico di timidezza, che non guasta mai! Vedo persone che si preoccupano del voto che prenderanno, benché abbiano la media del 9,5 in tutte le materie, eccetto forse educazione fisica. Vedo gente che fa dei pettegolezzi la propria linfa vitale. Andiamo, ragazzi, smettetela ed iniziate a vivere a pieno la vostra vita! Vedo ragazze che hanno paura di parlare di loro stesse, di mettere in mostra i loro Gli Stornelli del Manzoni sentimenti. A loro dico di non avere paura dei giudizi degli altri, perché niente può farvi più male del vostro giudizio su voi stesse. Gli altri, se non vi stimano, vuol dire che non hanno capito niente! Vedo la tristezza sul suo viso e mi chiedo perché... voglio solo dirle che è grazie a lei che sono uscita dalla depressione che mi aveva colpita più di un anno fa. Vedo l’ipocrisia nelle parole di uno che difende a spada tratta l’interiorità delle persone, lui che è il primo a giudicarti per quel che appari e non per quel che sei e sai. Vedo ragazzi, troppi ragazzi, che indossano maschere per nascondere la loro debolezza. Ricordate che voi sapete chi siete, e siete belli così! Vedo persone che si drogano, ma davanti ai professori mentono dicendo di non approvare chi fa uso di sostanze stupefacenti... Vedo, vedo troppo dolore allo specchio quando mi guardo e vedo solo i miei fallimenti, ma io sono così e non c’è niente di più bello... Queste righe non vogliono essere una predica, ma solo un consiglio per vedere le cose, forse, finalmente in maniera diversa. Acchiappasogni Poesie Testa e Cuore L’ultimo canto di Ivan Ferrari 3ªA di Ivan Ferrari 3ªA Non posso fermare le lacrime. Sono la mia sola ragione di vita, che aria si è fatto il mio pensiero e una brezza sottile l’ha spazzato. Dove sono la mia testa e il mio cuore? Quale dio crudele li ha rapiti? Sono forse negli empirei, sotto lo spazio e il tempo, oppure la realtà li ha vomitati in un sostrato di nulla. Per lasciarmi un corpo goffo dove far marcire la carne. Una solitudine innaturale. La solitudine di chi non ha tesori, di chi non è capace di alcuna magia nemmeno nel più profondo, nascosto e radicalmente suo, abisso del proprio triste io. Sono davvero sorprendente solo nelle mie mancanze e più di ogni altra cosa mi manca me stesso. Posso solo ubriacarmi di lacrime e cadere addormentato sul nulla della mia rumorosa nullità filtrando l’anima mutilata tra le lenzuola sporche dell’eternità. Questo è in tua gloria l’ultimo canto e lo dedico al tuo devastante silenzio. Sia l’ultimo inutile e insano mio pianto che verso nell’amaro del tuo assenzio. Dei tuoi grandi, splendidi occhi scuri. Essi vedono solo visioni d’altra vista e puntano a vari, lunghi sentieri futuri di cui il mio passo non batte mai la pista. Sei cielo e terra, sei vapore e roccia. Il soffio caldo che spira sul mare mite. Tempesti il cuore come sotto la doccia l’acqua accarezza le umane carni sfinite. Il sangue che agiti nei tuoi movimenti non dorme, non cede, è sempre vitale. Lascio che il sangue mio s’addormenti Perché io non ho la tua forza immortale. Tu non sai la calma, né sai la pazienza. Per questo ti amo, per il tuo scompiglio. Io che non so dare al mondo irruenza nei flutti di questo assenzio vermiglio. Mi sei così lontana nel temperamento, ma nel completarmi egualmente vicina. C’è un esempio che per te giusto sento: nel tuo darmi vita, sei come mattina. Mattina, tu che l’aria dipingi di fresco, che lucente calore infondi ai miei muri. Mattina che sorgi, vivanda sul desco, dal sole allungata tra i vicoli più scuri. Conforto dei bimbi smarriti di quest’isola che c’è e che non c’è nel mar delle stelle. Tra le cui luccicanti immensità, tu sola riverberi una luce più intensa di quelle. Time di Flavia 2ªC Il re è troppo pigro per muoversi E poi Non vorrebbe mai rischiare lo scacco matto, no? È pericoloso là fuori. Tutt’al più Manda avanti qualche inutile pedina Piccolina. E perfino alcune di queste Tornano indietro fuggendo, come bambine viziate e frignanti che cercano la mano materna. È una polverosa scacchiera Imprigionata in un’afosa boccia di vetro Che il fiume urlante del tempo Trascina avanti impetuosamente, con forza, con crudeltà. Eppure neanche una crepa scalfisce quel vetro, eppure gli urti e le percosse e le frustate dell’acqua non intaccano quella immobilità e non riesco a capire come sia possibile. 23 Lasciato senza dormicilio di Unknownimo Ero stanchissimo. Mi tolsi le scarpe. E le misi ai piedi del letto. Il letto se le allacciò E Auguratami la buonasera Caracollando s’allontanò. Tenente, ho caldo di Unknownimo Non mi sento tanto Bene, Tenente. Devo essermi beccato Un colpo di Calore. Il carrista Umberto Calore Aveva Una mira schifosa. Gli Stornelli del Manzoni Esperimenti Introduzione all’opera di Francesco Fiero Ci sono giornate in cui si vuole sperimentare. Giornate in cui le riunioni del giornalino sembrano chiedere qualcosa di più, secchiate di vernice colorata in un mare monocromatico. E allora può saltare fuori un’idea, come una pulce altezzosa sulla cute, sprezzante del pericolo e alimentata dalle sue doti atletiche fuori dal comune. Cosa succederebbe se nove persone si mettessero a un tavolo, prendessero altrettante parole a caso da un quotidiano, una a testa, e poi scegliessero una decima parola alla quale sono tutti vincolati, e che farà da tema centrale? Oltretutto, cosa ne verrebbe fuori, contando che ogni partecipante di questo folle “gioco” dovrà comporre un periodo con all’interno la parola assegnata, e facendo riferimento sia al tema centrale che al periodo della persona precedente, l’unico che può consultare? Forse è un po’ complicato a spiegare il tutto chiaramente, ma quello che vedete qui sotto è il risultato. Il tema centrale? L’odissea. Le parole che la sorte ha affidato a ogni componente? Beh, provate a indovinarle voi... Odissea di Victorannaamarfrancescosofiaandreafedericogiorgiafrancesca Nell’odissea il sesso trionfa come argomento del sommo poeta: vive con Penelope nella mancanza, vive con varie dee dei saperi, muore con il ritorno da Penelope. Qualsiasi essere vivente lo fa: giocando, riflettendo, disperando e torturandosi per non aver guadagnato la propria vittoria, d’altronde era un eroe, e non c’è eroe che sia riuscito ad ottenerla. Lo stesso status di eroe, invero, risulta un’appendice parassitaria dell’individualità, una zecca che, stampata sulla pelle, risucchia il contrasto che definisce la persona come tale, riducendola a un lugubre manichino al servizio del suo ruolo, e solo di quello. Una bambola di pezza smarrita, senz’anima, un burattino il cui governo è dettato da un’idea distorta di superiorità, figlia di una superbia difficile da cancellare. La libertà violata di un unico insulso omino di legno, succube dalle mani autoritarie di un uomo senza nome. Quest’uomo era capace di costringere a fare viaggi assurdi, in scenari assurdi; basti pensare che nel 2016 l’attrazione per tutto ciò che avesse a che fare con l’assurdo era enorme. Infatti la galassia è assurda, e nessuno saprà mai com’è fatta totalmente Solo al cinema potrebbe trovare un senso, ma si tratterebbe comunque di un’odissea , l’odissea di un’odissea. Ma non ha importanza la differenza tra odissea e odissea, l’importante è sapere che il paese dei balocchi è uno solo, dovunque si vada. CONCORSO FOTOGRAFICO “MARCELLO COLOMBO” Se siete appassionati di fotografia potete partecipare a questo concorso, che è aperto a tutti i nati dal 1980 al 1990; la giuria sarà presieduta dal famoso fotografo Maurizio Galimberti e il primo premio è di 500euro. Per maggiori informazioni e per le modalità di iscrizione andate sul sito www.amicidimarcello.org oppure consultate il manifesto nella bacheca del primo piano davanti alla macchina del caffè. 24