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Gli Stornelli del Manzoni
Anno IV Numero I
Gli Stornelli del Manzoni
Editoriale
Articola un pensiero. Pensa un articolo.
di Nitore Artico - Piano Tirreno
No, vero?
Sapevo che non ti saresti fermato a leggere il mio piccolo editoriale, ma come mi sbagliavo!
Mi presento, sono Nitore Artico, Conte del Piano Tirreno.
Tuttavia, certuni si trovano da lungo tempo adusi ad appellarmi “quella cosa lì”.
Se non vi spiace, mettiamoci d’accordo. Chiamatemi pure Conte Nitore Artico lì.
La mia storia è un breve viaggio di casa in casa, apolide in un mondo ottuso, affollato da manichini di gomma,
insonorizzato dal sughero degli edifici.
Almeno per me, sapete, non c’è problema, nato come sono sprovvisto di corde vocali.
Neppure posseggo un cervello per pensare, né un braccio per articolare.
Una mano di vernice, la domenica mattina.
Ma la mano non è mia, sapete, e non è mia la vernice, l’inchiostro, niente.
Vuoto e lieve, come se un palloncino d’alluminio io fossi.
Queste precise parole, non so chi le abbia scritte.
Sono una tara senza carico, una giara senza manico.
Non penso e non articolo.
Contengo.
Non negatemi una rata di cibo, voi che generate!
Date una ragione al giarone, rendete ponderoso il suo pendere!
Non nutritelo di reiteri triti e ritriti, nutritelo di tritolo e di miti, fatelo esplodere!
Tu, sapevo che non ti saresti fermato a leggere, ma ormai è troppo tardi.
Gnam.
Sommario
2 - Editoriale
3 - Attualità
7 - Cinema
8 - Bloc Note
12 - Videogiochi
13 - Racconti
22 - Acchiappasogni
23 - Poesie
24 - Esperimenti
II
Copertina e vignette di Costantino Orlando
Impaginazione di Tommaso Sciotto
con
Costantino Orlando, Lea Di Salvatore,
Diego Begnozzi, Franxesco Fiero,
Costantino Orlando
Scadentissimo logo di Bloc Note
di Tommaso Sciotto
(ma non doveva chiamarsi Diapason?)
(e che è un diapason?)
(è una specie di flauto?)
(non è quella cosa che vibra nell’aria?)
(è tipo uno strumento musicale?)
(serve a far su?)
(è una balena?)
(oh dai andiamo a comprarne uno?)
Gli Stornelli del Manzoni
Attualità
Generazione Putin
di Giorgia Stefani 2ªD
“Lei voleva dir loro che dietro il comunismo, dietro il fascismo, dietro tutte le occupazioni e le invasioni si nasconde un male ancora più fondamentale
e universale, e che l’immagine di quel male era per lei un corteo di gente che marcia levando il braccio e gridando all’unisono le stesse sillabe.”
Milan Kundera - L’insostenibile leggerezza dell’essere
E’ l’otto luglio 2007 e i telegiornali
trasmettono due servizi curiosamente
accostati.
Il primo è uno sguardo su non-soprecisamente-quale
raduno
scout:
le telecamere riprendono sorridenti
giovani in divisa che cantano, pregano e
organizzano giochi di gruppo. Per quanto
incorniciate in un felice quadretto quasi
esasperato, le immagini strappano un
bonario sorriso ai telespettatori.
Il servizio posto a seguire, non si capisce
se per analogia o contrapposizione, è la
ripresa del Campo Estivo dei Nashi (lett.
‘I Nostri’), il nuovo fronte attivista della
gioventù russa filo-putiniana. Ragazzi e
ragazze tra i 18 e i 25 sfoggiano magliettedivisa rosse e bianche, i colori della croce
di Sant’Andrea simbolo del movimento,
con il testo del nuovo inno nazionale
sulla schiena. Tremila giovani in questo
campo a nord di Mosca trascorrono
le loro giornate tra esercizi ginnici in
lezioni di gruppo in stile marziale, prove
di coraggio e conferenze di politica antioccidentale. In questi comizi i politologi
del Cremlino, da cui si vocifera che i Nashi
siano generosamente finanziati, spiegano
ai ragazzi come la rivoluzione arancione
ucraina sia stata pianificata dall’estero e
addirittura come il presidente dei ribelli
sia stato avvelenato dai suoi stessi seguaci
per attirare la simpatia di nuovi elettori.
Il movimento Nashi è nato infatti pochi
mesi dopo la rivoluzione ucraina con altre
correnti che sono andate a costituire nel
complesso un fenomeno che ha preso il
nome di “Giovane Russia” o “Giovane
Guardia”, secondo molti istigato dai
politici che temono pericoli per Mosca.
Insomma la rivoluzione arancione prova
che la Russia è minacciata da dentro e da
fuori e il compito della gioventù Nashi è
proprio quello di <<difendere l’ordine
costituzionale se ci troveremo davanti
ad un’insurrezione>>, come spiega il
politologo del Cremlino Gleb Pavloskij.
Il tutto, ricordiamolo, in vista delle nuove
elezioni presidenziali del 2008, in cui il
nuovo idolo giovanile Putin dovrà passare
il testimone.
Informandosi si viene poi a scoprire
che in interventi precedenti, come
la contestazione alla propaganda di
opposizione del campione di scacchi
G.Kasparov, i Nashi hanno arruolato nelle
loro fila hooligans e varie tifoserie. Nelle
stesse lezioni del Campus d’altronde uno
dei leader incoraggia i ‘Nostri’ ad integrare
nel movimento i pericolosi skinhead –
naturalmente ammansiti- , che con le loro
bravate tanto danno fastidio alle autorità.
Insomma delle educative riunioni
boyscout.
Su una rivista italiana ho trovato un
servizio della giornalista Margherita
Belgioioso che ci dice che <<quei ragazzi
si creano come possono un nuovo mondo
di sicurezze bianche e nere dove il grigio
non ha spazio, un mondo dove loro hanno
ragione e gli altri torto, dove la Russia è
una grande potenza e gli USA troppo
arroganti, dove i soldi e il potere sono
importanti e i diritti umani chissenefrega,
dove la Cecenia è loro e se la terranno, gli
immigrati servono ma non hanno diritti e
i gay sono dei deviati.>>
Mi conforta sentire che la mia angoscia
per il servizio sul Campus è sensazione
condivisa per lo meno dalla stampa
italiana, e in fondo anche russa, nonostante
secondo i Nashi non sia vero che in Russia
non esista sempre libertà di stampa, ma
che anzi spesso siano i fatti omessi a non
esistere. Perché l’opposizione in sé non
ha senso di esistere nell’ottica dei Nashi,
convinti che in un ‘vero stato ’ come la
Russia il popolo sia fedele soltanto al
presidente Putin.
E io penso ad Aristotele che ci insegnava
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che “se uno stato nel suo processo di
unificazione diventa sempre più uno, non
sarà più neppure uno stato, perché lo stato
è per sua natura pluralità”.
Comunque anche in Russia il movimento
sconvolge e allarma l’opinione pubblica,
o almeno una parte; eppure sono lì, sono
migliaia, li si vede e sfilano nel parco tra
manifesti e stampe di eroi patri, attendendo
la visita del presidente-messia. Sono uniti
e ci credono davvero, per quanto le accuse
di manipolazione del Cremino possano
essere fondate, ed è comprensibile perché
noi giovani, si sa, abbiamo un bisogno
naturale di trovare alti ideali e farci forti di
un adesione comune.
Insomma che le cose stiano proprio così
o meno, è pur inevitabile che saltino
alla memoria immagini come quelle dei
documentari storici sulla Russia sovietica
o, azzardo, sulla gioventù balilla; e forse
più ancora la scena ricorda alla lontana
gli alienanti scenari di 1984 [G.Orwell],
in cui i cittadini, ormai vittime di un totale
lavaggio del cervello storico-politico,
sfilano come robot in metropoli alla Blade
Runner, sovrastate da giganti teleschermi
del Grande Fratello e da altoparlanti che
ripetono “La guerra è pace- La libertà è
schiavitù- L’ignoranza è forza”.
Da un misto di queste immagini il mio
terrore per il movimento dei Nashi,
una corrente che trascina l’entusiasmo
giovanile in un circolo forse non del tutto
sano.
Gli Stornelli del Manzoni
Attualità
Esami a settembre
di Stefano Bassini 4ªE
Pronti e via: dopo nemmeno due
settimane dall’inizio dell’anno scolastico,
già sentiamo parlare di nuove riforme.
Proprio così: il ministro della pubblica
istruzione Giuseppe Fioroni ha varato un
decreto con il quale si prevede il ripristino
dell’esame di riparazione a Settembre.
Esso verrà sostenuto dall’alunno carente
in determinate materie al termine delle
vacanze estive, per verificarne i progressi
e l’impegno.
La cosa che ovviamente però spaventa
tutti, alunni e famiglie, è il pericolo di
perdere l’anno scolastico.
Basta quindi non saldare anche solo una
lacuna in una materia, che ci toccherà
ripetere l’anno.
L’esame di riparazione venne abolito
nel 1995 dall’allora ministro Francesco
D’Onofrio, e che oggigiorno dovrebbe
rimpiazzare il sistema dei debiti formativi,
utilizzati da ormai dieci anni a questa parte.
In merito alla riforma, ha parlato proprio
Fioroni: dai dati riportati dal ministro, si
afferma che in media, gli alunni promossi
con lacune è pari al 41%; tuttavia solo 1/4
di essi riesce a saldare i debiti. Il restante
30% invece, consegue e supera la maturità
pur non essendo mai riuscito a superare le
proprie lacune.
Il debito più comune tra gli studenti?
Matematica. Si constata infatti che un
alunno su due ammesso con debito
riscontra problemi con questa disciplina.
Uno studente su tre invece ha carenze
nello studio delle lingue straniere.
In ogni caso, le scuole saranno tenute ad
organizzare “corsi di recupero” per i meno
bravi, specialmente subito dopo gli scrutini
intermedi.
Essi saranno tenuti da professori dello
stesso istituto, eventualmente supportati
da soggetti esterni alla scuola, tutto però
a discrezione dei presidi.
Arrivano novità anche per gli alunni
che nell’anno scolastico 08/09 dovranno
sostenere gli esami di stato.
Nel caso in cui uno studente presenti
insufficienze al termine del primo
quadrimestre, il Consiglio di classe
predisporrà iniziative di sostegno e relative
verifiche, in modo tale che i ragazzi
possano venir ammessi agli esami.
Ma alla fine, questo decreto, verrà davvero
approvato?
Di recente Fioroni ha voluto precisare che
gli esami possono essere nuovamente
messi in vigore tramite una legge, e il
vero cambiamento tratterà sui tempi per
il recupero dei debiti formativi: si prevede
infatti la somministrazione di verifiche
particolari prima dell’inizio dell’anno
scolastico, che permettano i professori
a promuovere o meno l’alunno carente.
Sostanzialmente si tratterà di un obbligo
per il recupero dei debiti.
Dunque, nessun ritorno alle origini?
Oppure, come ha dichiarato recentemente
Roberto
Calderoni,
“il
ministro
Fioroni ha reintrodotto gli esami di
riparazione a settembre, sotto un nome
differente, attraverso un semplice atto
amministrativo”?
Intervista al Professor Leonardi (vicepreside del Manzoni)
di Cip e Ciop
Quando lei frequentava il liceo erano presenti gli esami a settembre, vero?
Certo (anzi, per essere sinceri ne ho anche persi un paio…).
Secondo lei aiuteranno lo studente a migliorare il suo rendimento scolastico?
E’ un dato statistico che da quando hanno tolto gli esami a settembre il rendimento scolastico medio è sceso. Ovviamente gli esami
mettono molta ansia e rovinano l’estate, però in questo modo si spera che gli studenti si rimettano a studiare seriamente.
Quindi li giudica positivamente?
Direi di si. Il debito formativo non si è rivelato essere un’alternativa efficace.
Un’ultima curiosità. Cambieranno i metri di giudizio per l’assegnazione dei voti?
Non ne abbiamo ancora parlato in maniera ufficiale, ma certamente cambieranno. Non tutti i voti che davano il debito faranno sì che lo
studente sia rimandato. Si cercherà di venirgli incontro.
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Gli Stornelli del Manzoni
Attualità
Cosa ne pensano i manzoniani?
di Lea Di Salvatore e Davide Canzano 2ªB
In seguito alle varie manifestazioni
avvenute nel corso dei primi mesi
scolastici, abbiamo deciso di indagare
su quale fosse realmente il pensiero dei
manzoniani riguardo alla temuta riforma
Fioroni. Abbiamo intervistato una trentina
di studenti di tutte le età riuscendo così a
ricomporre le principali correnti di pensiero
che si sono formate all’interno della scuola.
Abbiamo quindi diviso la nostra indagine
in base a fasce di età: la prima comprende
le quarte ginnasio; la seconda le quinte
ginnasio, le prime e le seconde liceo; e la
terza ed ultima fascia comprende invece
i ragazzi di terza liceo. Molti studenti
di quarta ginnasio non sono favorevoli
al reintegro degli esami a settembre dal
momento che saranno sicuramente quelli
più toccati dalla riforma, allo stesso tempo
però non vedono nei debiti formativi
una qualche utilità; solo un coraggioso
debuttante ha affermato che questo
provvedimento era del tutto necessario.
Nella seconda fascia di età, invece, non
abbiamo riscontrato molta unanimità.
In cosa consiste la riforma?
È il decreto ministeriale n. 80 che
di fatto obbliga gli studenti, già
a partire dal 2008, a recuperare
tutte le insufficienze entro l’inizio
del nuovo anno scolastico. Il
ministro Fioroni ha reintrodotto,
chiamandoli in forma diversa,
attraverso un semplice atto
amministrativo
come
un
decreto ministeriale, gli esami
di riparazione, i famosi esami
di settembre, cosa che aveva
determinato la massiccia protesta
del mondo studentesco”.
Prima di tutto dobbiamo distinguere i
ragazzi di questa fascia in“debitori”e“non
debitori”; tra i debitori, la maggioranza
lamenta la cattiva organizzazione dei debiti
affermando però che gli esami a settembre
risulterebbero
troppo
impegnativi.
Tuttavia, una parte importante dei debitori
dichiara, con nostro grande stupore, di
reputare gli esami a settembre risolutivi
e assolutamente necessari e i debiti del
tutto inutili. Un’altra idea che accomuna
un gruppo abbastanza grande di debitori
è quella che i debiti siano poco efficaci,
ma che gli esami a settembre fossero
fuori tempo, troppo vecchi e quindi non
attuabili. Malgrado le molte proteste, però,
solo una persona è in totale disaccordo
con la riforma e rivendica l’efficacia dei
debiti. Tra i non debitori, invece, vi è un
po’ più di concordia, infatti c’è una sola
grossa maggioranza che ritieni i debiti
abbastanza efficaci e gli esami troppo
impegnativi per essere attuati. Poi vi sono
due piccoli gruppi, l’uno afferma che
entrambi i provvedimenti non servono
a nulla, mentre l’altro si mostra invece
d’accordissimo con il provvedimento
ministeriale. Abbiamo inoltre percepito
che in questa fascia, sia tra i debitori sia tra i
non, molti ragazzi ritengono non sia giusto
venire bocciati per una sola materia e per
lo più magari una materia non d’indirizzo.
Interessandoci invece alle terze, possiamo
notare sia tra i debitori che tra i non
debitori una comune disapprovazione per
la riforma: ritengono gli esami a settembre
troppo impegnativi, ma allo stesso tempo
sono contrari pure ai debiti, definendoli
assolutamente non efficaci e lunghi da
saldare. Qualcuno ha definito gli esami a
settembre persino anacronistici!
Da questo sondaggio possiamo dedurre
che non è vero che tutti gli studenti sono
completamente contrari alla riforma,
mentre possiamo notare un malcontento
comune per la non funzionalità dei debiti;
molti alunni ritengono che gli esami a
settembre siano un rimedio estremo e
che si dovrebbe trovare invece una via di
mezzo.
Come giudichi i debiti?
E gli esami a settembre?
29% Inutili
45% Male organizzati
13% Troppo lunghi
10% Abbastanza efficaci
3% Efficaci
26% Necessari
23% Troppo impegnativi ma giusti
10% Onesti
19% Inutili
16% Troppo impegnativi e ingiusti
6% Troppo vecchi
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Gli Stornelli del Manzoni
Attualità
Un anno di Moratti
di Alberto Pozzi 2ªI
Poco più di un anno è trascorso
dall’insediamento Moratti in quel di
palazzo Marino. Che, tradotto, significa
poco più di un anno di danni.
Cominciamo dalle vicinanze scolastiche:
eletta a giugno ’06, già a dicembre dello
scorso anno le riesce una delle sue
migliori mosse: sposta gli “U bej U bej”
dalla loro sede storica (e non è un modo
di dire, la fiera si teneva qui dal 1400)
di S. Ambrogio a quella del castello
Sforzesco.
Risultato? Un vero e proprio schifo, a
detta di tutti.
Le motivazioni prese come scusa poi
facevano ridere (per non piangere):
costruzione parcheggio a pagamento
e la solita “legalità”, scusa oltremodo
abusata da qualche tempo a questa parte
a Milano e non. Anche perché si sa bene
che lo spostamento non sarà temporaneo
come vogliono farci pensare...
Altro bel punto del programma
morattiano è stato l’allargamento delle
amatissime strisce blu... a mo’ di esempio:
si è eliminato il parcheggio vicino a
piazzale Cantore e si sono ricominciati
gli scavi per ulteriori parcheggi (a
pagamento, ovvio!) in quel del naviglio.
Beh, visto che l’amatissimo sindaco
milanese e di Milano conosce la città,
ovviamente come poteva sapere che
sotto al naviglio si trovassero reperti
delle mura spagnole?
D’altro canto quella è solo la cosiddetta
“Cerchia dei Bastioni”... ma, come si suol
dire, oltre il danno, la beffa: poco prima
delle elezioni ‘06 i molteplici lavori
per rimettere a posto il naviglio erano
appena finiti. Questa invece viene eletta
e spacca tutto e subito...
Tante grazie!
Inoltre la grande barzelletta dei
parcheggi sotterranei a pagamento è
continuata anche in piazza 25 aprile.
Là i lavori sono fermi (come per S.
Ambrogio e Naviglio grande) per dei
ritrovamenti archeologici... ma come
mai? Forse perché se si scava si trova
la porta romana, che chissà come mai
è situata sotto l’altra porta, costruita
successivamente? Particolari...
Ma oltre queste cosuccie, ha aumentato
i poliziotti e ha promosso i vecchi vigili:
ora sono Polizia Locale e girano armati...
stesse mansioni ma hanno il ferro (oltre
che il manganello)!
Ma capiamoci, Milano è l’unica città (tolta
Roma, che però ha anche il governo...)
ad avere così tanti poliziotti, ma per Lei
non bastano e ne chiede sempre altri ma
in nome della sicurezza!
Tra i nuovi slogan subliminali figura
infatti: “Un poliziotto per tutti”.
Oltretutto le telecamere spuntano come
funghi a ogni angolo: tutto e sempre
sotto controllo, questo è uno dei cardini
principali della filosofia morattiana.
Ma tutto questo è solo un’inezia
rispetto a uno degli atti più riusciti:
la “riabilitazione” dal degrado delle
Colonne.
Ma su questo son già state spese troppe
parole e non ne parlerò certo io, su
questo caso particolare c’è poco da dire
e tanto da recriminare.
L’unica cosa che quasi nessuno sa è però
un’altra.
La Moratti prese questi provvedimenti
perché la zona navigli/colonne è
troppo frequentata, c’è troppa movida e
disordine, visto che la maggior parte dei
locali milanesi si trova lì.
Bene questa politica di accentramento
dei locali in una sola zona è però frutto di
qualche decennio fa, e chissà come mai,
nel passato andava bene, poi quando si
ha rumore sotto casa, non più...
Una cosa però spicca dai vari
provvedimenti del sindaco, una linea di
fondo comune a tutti i vari provvedimenti:
una sorta di protezionismo nei confronti
del centro e di una sorta di emarginazione
della periferia.
Riprova di questo è l’ormai approvato
ticket antismog.
Bene, questa geniale idea vorrebbe essere
il modo per ridurre l’inquinamento
(entro la cerchia dei bastioni però!...)
a Milano; uno stimolo a utilizzare il
trasporto pubblico, benché la Moratti
stessa abbia ammesso che i soldi del
ticket andranno in futuro a finanziare
l’ATM stessa, troppo povera di mezzi e
linee per soddisfare l’intera città.
Ma quanta gente pur di non pagare
il ticket invece che attraversare il
centro userà le altre strade, intasando
ancor di più la già affollatissima
circonvallazione?
L’inquinamento non scenderà certo per
un ticket, visto che non sono le auto a
produrre il 60/70% dell’inquinamento,
bensì le caldaie.
Perché non incentivare al cambio
di queste piuttosto che tassare
ulteriormente gli automobilisti, che in
fin dei conti portano già ricchezza a
Milano, visto che ci vanno per lavorare?
Ma la Moratti quando s’impunta non
si toglie. È una donna assai cocciuta,
testarda. Infatti è proprio da giugno
2006, dall’insediamento, che vuole e
patrocina il ticket.
La prova del 9 a questo punto arriverà
a gennaio, il mese, appunto, previsto
per l’introduzione della nuova gabella.
Anno nuovo, tasse nuove.
Ma la Madonnina non respirerà meglio
comunque.
ιν αττεσα δελλα ϖιγνεττα δι χοσταντινο
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Gli Stornelli del Manzoni
Cinema
Enciclopedia del Cinema - A
di Elia Zenoni 2ªH
Aprile
Oh, si comincia bene. Bel film del
compagno Nanni sulla vittoria del
Silviolo alle politiche; la prima.
Non è il Nanni di bianca però vabbè sì
dai. Memorabolante la scena del metro:
un amico di lui tira fuori al compleanno
di Nanni un metro di quelli riavvolgibili
e gli chiede quanto vorrebbe vivere.
Lui dice, mi sembra, 80 anni e quello
apre il metro sugl’ 80 centimetri e toglie
gli anni che Nanni compiva quel giorno.
Ne rimane ben poco: questo è quel che
ti rimane, gli dice, e gli porge il metro
con allegria.
Poi nella scena dopo c’è il Nanni che
va in vespa e ripensa a quella cosa lì e
allora si chiede perché abbia detto 80, e
perché non 90, 100…
Acchiappa animali, l’
Vai cossì!! Noto solo adesso che le casse
del mio computer sono della stessa
marca della ciabatta che lo tiene in vita.
Ace Ventura era il mio mito infantile
tanto che credevo che Jim Carrey si
chiamasse veramente Ace Ventura e
non Jim Carrey.
In pratica c’è Ace che è un acchiappa
animali e quindi lo chiamano perché
è scomparso un delfino che era la
mascotte di una squadra di football
e poi però si scopre che il capo della
polizia era un uomo, non una donna
come in effetti appariva e che giocava
nella squadra di football ma non ricordo
che c’entra bé comunque questo/a cerca
di incastrare Ace per la storia del delfino
e poi qualcuno vince il campionato e si
va tutti a casa.
Se a recitare non ci fosse Jim Carrey
sarebbe uno di quei film americani con
gli animali che danno su rete quattro al
pomeriggio quando è festa.
Albero delle pere, l’
Ma sai che l’ho visto ma non me lo
ricordo!? Cioè si qualcosa si però… Mi
ricordo bene che me lo ha consigliato
un amico di mio padre toscano che si
chiama Sandro.
Si è un film italiano di quelli un po’
italiani anni ’90.
C’è sto ragazzino che ha la faccia
simpatica e si chiama Siddharta ed ha
una famiglia disastrosa con la madre
nelle nuvole e insomma è un po’
responsabilizzato si… insomma..
Asso
Si è un film di Celentano. A mia madre
piace un casino Celentano e quindi da
piccolo me lo sono sorbito un po’ di
volte. A sprazzi mi scorre la memoria
visiva. Mi ricordo iniziasse con qualcosa
che galleggiava su di un canale tipo
il Naviglio, per capirci: dev’essere
quello di lui che gioca a poker e non so
nient’altro.
Americano a Roma, un
Bé è famoso. E’ quello di Sordi che fa
l’italiano che vuole essere americano.
Si è un po’ tanto una stronzata. C’è lui
che va a vedere i film western e poi va
su quelle moto americane e poi sale
sul colosseo e dice la sua. Diciamo che
è famoso solo per la scena della pasta
asciutta che mi ricordo solo essere bella
e null’altro.
Amnèsia
Oh raga si che sbatti. Il film delle
generazioni
odierne
del
caspio.
Minchiaabbello! D’altronde è pur
sempre un film di Salvatores. Storie
intricate una con l’altra chi sopra chi
sotto trullallero trullallà. C’è uno che fa
il regista di film porno e non vuole che
la figlia da poco giunta appresso al di
lui lo sappia. Poi c’è uno che spaccia ma
non è il tipo stereotipato di spacciatore,
si insomma uno sfigato con la coda tra le
gambe, un simpaticone coi capelli ricci.
E poi ci sono sti ragazzetti deficienti che
vanno in giro col gippone e che per chi
è interessato si fanno fare delle cose
nei bagni pubblici da delle simpatiche
sudamericane, dei quali giovinazzi uno
è figlio del capo della polizia locale che
dopo che gli è morta la donna si dà agli
uomini che nonostante in media vivano
meno delle antagoniste, costano anche
meno e poi paradosso su paradosso tutta
la storia si intrica e tutti insieme si ulula
all’eclissi imbottiti di pillole colorate.
Armata delle tenebre, l’
NOO…troppo forte! L’ho registrato
dalla tivvù perché era troppo forte! E’
la storia di questo qui che finisce nel
passato, che poi è un po’ un passato
fantasy, ed aiuta degli sfigatoni che
facevano alla guerra tutto il tempo invece
di difendersi dalla minaccia dell’armata
dalle tenebre formata da scheletri che
con quegli effetti speciali fanno troppo
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sghignazzare! E’ un film vecchio e
forse voleva esser serio ma non ci riesce
un gran che. Lui insomma arriva lì e
credono sia il prescelto salvatore ariano
caduto dal cielo e lui li aiuta ordunque
non ricordo perché. Naturalmente poi si
innamora della castellana e di consueto
c’è la battagliona finale dove spacca tutti
gli scheletri di cartongesso e fa vincere
l’umanità sull’oscura ombra del signore
delle tenebre. Poi non so come riesce a
ritornare nel presente di allora…ma non
importa, non credo ci fosse uno di quei
finali imperdibili….ah no, che dico e
dico! Urca il finale è assurdissimo, cioè,
una cosa da pazzi!!
Armata Brancaleone, l’
Niente da dire. L’avrò visto 10 volte.
Un film capolavorifico.
Vittorio Gassman, Gian Maria Volonté
e regia di Mario Monicelli. Chi non l’ha
visto sia lapidato qui di fronte a queste
righe poich’egli non è degno ti toccar
pietra alcuna senza ch’essa gli arrechi
dolore al contatto. E’ la storia di questi
quattro accattoni, in un medioevo tutto
italiano, che trovano sul corpo d’un
nobile cavaliere deceduto un documento
che attesta il possessore di tale carta
come proprietario di una certa rocca
d’Aurocastro. Così decidon di trovar
uno cavaliero che con lor si presenti
alla rocca con tale documento per
rivendicarne il possesso. Il cavaliere da
loro trovato è lo sfigatissimo Brancaleone
da Norcia. Con lui s’incamminan
per la rocca e si imbattono in un altro
cavaliere mezzo bizantino che si unisce
a loro, si trovan in un paese appena
decimato dalla peste e si uniscono ad
un gruppo di autoflagellanti guidati da
un santone pazzo finché non trovano
una dama il qual padre in fin di vita
l’affida a Brancaleone che casta la deve
condurre dal marito. Non arriva casta e
allora è un casino e vien catturato poi
liberato e poi insomma arrivan alla
rocca e indovinate un po’ chi c’è che gli
salta addosso? Li turchi che sbarcando
dallo mare assaltan la rocca e catturan
gli sfigati. E mentre questi impalati
un per uno stanno per fare una brutta
fine, indovinate chi li viene a salvare? Il
cavaliere al quale il documento era stato
sottratto, evidentemente non era mica
morto. Il finale lo lascio a voi perché son
buono.
Gli Stornelli del Manzoni
Bloc Note
Introduzione all’opera
di Animanimale
Ehi, cos’è? Che c’è? Che c’è di nuovo? Tutto qua? Ci conosciamo? Chi vi vuole a voi? Chi vi vuole a voi carne da macello vocale,
intirizziti dall’aria buona, maleodorati dal maleodorante? Chi vi ama così tanto da sopportare le vostre stridule congetture? Chi
mi ama? Chi mi ama mi segua? Chi mi segue mi Amar? Tanto non vale la pena nemmeno parlarne, sono parole contro suoni e
suoni di parole sonore contro parole di suore suonate. No, ma il concetto estremo è: le cose non fatte così, non ispirano che alla noia,
la noia dei morti di noia. Quindi se volete vivere, fate quello che da vivi fareste ma fatelo come da morti. Non so se mi spiego.
Psikedelia
di Alessandro Re 2ªH
Ricordo che da bambino provavo un
piacere ambiguo nel guardare il cartone
animato dei Beatles “Yellow Submarine”,
in particolare la scena dove c’è Eleanor
Rigby (seconda canzone dell’album
Revolver). Infilavo la cassetta nel
videoregistratore, mi sdraiavo sul divano
e cominciava il viaggio: venivo rapito da
mille colori, luci e suoni, soprattutto dai
suoni, dalle canzoni... Insomma, era il
mondo dei sogni, era quello che sognavo
di notte. Crescendo, tuttavia, ho lasciato
da parte questi ricordi e solo quest’anno
mi sono di nuovo interessato a quel
mondo sì felice, ma anche melanconico,
strano e che nasconde sempre qualcosa.
Quel mondo è la psichedelia.
La psichedelia (che d’ora in poi chiamerò
psike per ragioni di noia assoluta) nasce
nei primi anni sessanta in America, nelle
zone di San Francisco. I padri fondatori
di questo genere sono Bob Dylan,
con Mister Tambourine Man, i primi
Beatles e i Beach Boys con Pet Sounds
(album capolavoro, fondamentale per
la musica in generale). Le sostanze che
crearono questo strano e nuovo suono
furono l’acido lisergico, noto come
L.S.D, allora legalmente disponibile,
hashish e marijuana, già da tempo usata
nell’universo musicale.
Dopo questa piccola introduzione
possiamo parlare di musica. I primi
gruppi a usare il termine psike nei loro
album sono i Blues Magoos e i 13th
Floor Elevators: i Blues fanno un garage
rock-blues di forte impatto, spezzato da
incredibili improvvisazioni su canzoni
popolari (Tobacco Road), mentre i
13th suonano una musica ora grezza e
agitata, ora calma e sussurrata; le loro
canzoni non hanno retto molto al tempo
ma restano comunque dei capisaldi della
psike (vedi Splash 1, Reverberation,
Kingdom of Heaven). Passando da un
gruppo all’altro senza seguire un filo
logico si possono citare i Count five
per aver fatto una bellissima canzone
(Psychotic Reaction) che è entrata
di diritto nel carrozzone della psike.
Chi invece, a mio parere, appartiene
all’olimpo della psike sono i Chocolate
Watchband, gruppo formidabile di punkpsike dove appaiono sfuriate di chitarre
“acide” e ritmo ipnotico, un esempio su
tutti è The Dark Side of the Mushroom,
uno dei più grandi strumentali della
storia. Dato che sono sulla C non si può
non parlare dei Country Joe and the
Fish, band composta da hippie mezzi
idealisti e mezzi fuori di testa che fanno
una musica molto orientaleggiante;
i momenti migliori sono nelle jam
session kilometriche con la chitarra
che parla da sola. Ora purtroppo mi
trovo davanti all’ostacolo dei Cream.
C’è chi li considera psike, chi blues,
chi entrambi, io li considero solo dei
grandi per aver composto Sunshine of
8
Your Love, canzone col riff di chitarra
celeberrimo ma non molto originale che
resta comunque una pietra miliare della
musica. Seguendo l’alfabeto abbiamo
la D, D come Donovan, considerato il
Dylan scozzese e autore di bellissime
canzoni leggere e sempliciotte ma
anche di pezzi filo-progressive (Cosmic
Wheels), tanto da essere riprese dai
King Crimson (capito?). Donovan era
il poeta della psike, non solo inglese, e
l’alter ego felice di Tim Buckley; si, Tim,
non Jeff (il figlio). So che molte ragazze
non saranno d’accordo ma il padre era
due spanne sopra il figlio: la voce è
sublime, va bene, ma il fatto è che la
musica lo è ancora di più. Era l’anima
più sensibile della psike, lontano anni
luce dalla stravaganza e dalla frenesia
della scena di San Francisco: struggente,
malinconico, in ritardo rispetto ai
tempi della psike ma inevitabilmente
portavoce del verbo colorato.
L’articolo è finito, ma ci sono altri mille
gruppi di cui parlare e i pezzi grossi
devono ancora venire, indie per cui
scriverò ancora.
Bloc Note
Musica classica = musica morta?
di Luca Marconi 1ªD
ovvero, Influenze della musica classica sulla musica contemporanea
Non allarmatevi: lo “strano” titolo del
mio articolo sarà presto spiegato.
Soprattutto non girate pagina: non vi
annoierò più di tanto con disquisizioni
sulla musica classica.
Provate piuttosto a osservare bene
questo mio “strano” titolo e a pensare
attentamente a queste parole: musica
classica e musica contemporanea. Qual è il
nesso logico tra le due? Apparentemente,
nessuno. Nessuno? Siamo proprio sicuri?
No, in effetti.
Questo rapporto tra due tipi di concezione
armonica e melodica apparentemente
agli antipodi mi ha sempre affascinato
e intrigato, da quando ho cominciato
seriamente ad appassionarmi di musica.
Per comprenderlo, bisogna specificare
che cosa intendiamo con musica classica
e cosa invece con musica contemporanea,
in modo che sia più semplice poi
determinarne il rapporto. Innanzitutto,
bisogna specificare che non si può
parlare di musica classica, né di musica
contemporanea o moderna come di generi
musicali, poiché i termini contemporanea
e classica indicano un vasto insieme
di generi e sottogeneri musicali nati
durante un certo arco di tempo, spesso,
anzi sempre, molto diversificati fra loro.
Col termine musica classica si indicano
generalmente tutti i generi di musica
colta (sviluppatasi nell’ambito di una
classe sociale colta, contrapponendosi
a una musica popolare e folkloristica che
trae le sue origini dalle classi popolari)
arrivata fino ai giorni nostri.
In particolare è considerata classica la
musica colta europea che si sviluppa tra
il Seicento-prima metà del Settecento
(periodo barocco), tra la seconda metà del
Settecento-primo Ottocento (il periodo
propriamente del classicismo viennese), il
grande periodo romantico ottocentesco,
che vede l’affermarsi del pianoforte
come strumento-protagonista sia di
pezzi solistici, sia di concerti (si pensi
allo stupendo Concerto per pianoforte e
orchestra in la minore del compositore
norvegese Edward Grieg).
In realtà i confini della musica classica
sono tuttavia imprecisi, relativi ed
aleatori, in quanto ciò che noi definiamo
classico, può benissimo non essere
tale in altri periodi o in altre culture;
nell’ambito della stessa critica musicale
contemporanea brani, canzoni o gruppi
che si inquadrano nell’ambito della
musica moderna sono considerati classici,
poiché pongono le basi per la musica
successiva (es. espressioni come classici
del rock, del metal...).
Bisogna adesso precisare che cosa
intendiamo per musica contemporanea e
moderna: la prima è l’insieme dei generi
musicali d’avanguardia nato nel corso
del XX e del XXI secolo, sviluppatasi
come reazione alla musica classica e
romantica; la seconda è l’insieme di stili
riconducibili ai sovrageneri del rock, del
pop e dell’elettronica, sviluppatisi circa a
metà degli anni ’50 in Inghilterra e Stati
Uniti e portati avanti in tutto il mondo.
Io mi riferisco con entrambi i termini, tra
l’altro spesso sinonimi, al complesso di
musica moderna e contemporanea, ossia
di tutti quegli stili, generi e correnti che
generalmente si contrappongono alla
musica colta classica.
Qual è, allora, il rapporto tra classica e
moderna? Sicuramente la commistione
tra classica e contemporanea è stata e
sarà sempre presente, dalle avanguardie
musicali del primo Novecento fino alle
più avanzate sperimentazioni musicali; il
Novecento avanguardista, prima epoca
di distacco dall’armonia classica, è infatti
il periodo in cui, nonostante i molteplici
tentativi di allontanamento dalla musica
colta classica, influenze classicheggianti
sono molto forti: si pensi a Un americano
a Parigi di Gershwin, composta per
l’omonimo film, in cui sono presenti
influenze classiche e jazzistiche in
uno stile che per certi versi ricalca il
neoclassico.
Tecniche musicali “classiche” sono
state riprese già nei periodi di sviluppo
del rock, nell’evoluzione di quello che
sarebbe divenuto il progressive rock, o
semplicemente prog, una corrente rock
poliedrica, dalle molte sfaccettature,
nato in Inghilterra tra gli anni sessanta
e settanta, che proprio per la sua natura
multiforme (l’”Ulisse” del rock), ha
consentito una vasta sperimentazione,
dando vita a generi come il prog metal,
dalle sonorità e strutturazioni tipiche,
spesso dell’heavy metal e di altri generi
metal, ma ispirato al prog e al neo-prog.
Il progressive rock aveva come scopo
un’evoluzione della raffinatezza e della
varietà melodica e compositiva del rock
precedente, mediante l’introduzione
di elementi tecnici e stilistici, anche
mediati da altre tradizioni musicali,
come, appunto, la musica classica. Tra gli
aspetti più propriamente “classicisti” del
9
prog, ripresi in parte anche dal prog metal
(si pensi a gruppi come i Dream Theater
o al gruppo-orchestra Trans-Siberian
Orchestra), vi sono l’utilizzo massiccio
della tastiera, con arrangiamenti
mutuati dallo stile classico e l’utilizzo
di strutture melodiche e armoniche di
stampo classicista, sia di tipo barocco,
sia di tipo romantico; l’utilizzo di lunghe
composizioni a tema, strutturate in suite,
organizzate in movimenti interni che
ricordano l’utilizzo del poema sinfonico
in ambito classico o neoclassico (si pensi
alla stupenda Danza macabra, poema
sinfonico di Camille Saint Saens, autore
classico postromantico).
Inoltre, molti gruppi rock e metal, sia di
stampo direttamente prog, sia no, sono
sati a tal punto influenzati dall’orchestra
sinfonica
classica
da
riprenderla
totalmente o parzialmente: illuminante a
questo proposito può essere la citazione
di gruppi di stampo neoclassical metal (il
nome del genere è già esplicativo...), come
i già citati Trans-Siberian Orchestra,
o anche la band tedesca Haggard, che
utilizzano massicciamente elementi
di musica classica, folk, medievale
e rinascimentale, unite a sonorità
strumentistiche e vocali tipiche di
moderno folk metal (per es., parti in cui
predomina l’utilizzo di basso e batteria
si alternano a performance in solitario di
pianoforte e organo, che spesso danno
vita a stacchi malinconici).
Dunque è palese, a questo punto,
l’utilizzo in epoca contemporanea, di
elementi sonori e tecnici tipici dello stile
barocco e romantico: in questo senso, si
può affermare che il barocco è spesso un
modello per quei gruppi dall’approccio
strumentale virtuosistico e caratterizzati
dalla ricerca di sonorità e di soluzioni
complesse, arrangiamenti ridondanti,
mutuati, appunto, dal barocco e
soprattutto da Bach.
In conclusione, si può osservare come il
crescente apporto della musica classica
nelle tendenze musicali contemporanee,
rock e metal in particolare, ma non
solo, dimostra come questo “ritorno al
passato” non sia fine a sé stesso, ma si
inquadri in quel processo di ricerca di
rinnovamento, di innovazione musicale,
di desiderio di nuove sonorità, che non
può non emergere da quella musica che
con i suoi ritmi e con la sua armonia ha
influenzato in modo decisivo il pensiero
musicale dell’occidente.
Gli Stornelli del Manzoni
Bloc Note
De Metallo - Quando il Metal cessa di essere note e diventa carne
di Giacomo (Sommo) Sommella 1ªD
Vorrei
cominciare
spiegando
la
differenza che c’è tra chi ascolta metal
e chi è metallaro; la differenza può
sembrare minima ma in realtà queste
due figure sono due mondi diversi: chi
ascolta musica metal è una persona al
quale piace il metal, niente di più. Invece
il metallaro appartiene a un gruppo di
persone a lui ‘’simili’’ che si abbigliano
con particolarità come anfibi, chiodo,
magliette di gruppi (rigorosamente
nere) e borchie.
Ok, dopo undici righe e mezzo di pure
banalità abbastanza ovvie passo nel
dettaglio. La differenza sostanziale
tra chi ascolta metal e un metallaro è
la scelta della compagnia: essendo chi
ascolta metal una persona normalissima
tenderà a scegliere una compagnia di
persone altrettanto normali (Nb: per
normale intendo non metallari, non
punk, non emo, non truzzi), questo
comporta un interesse per la musica
relativamente marginale in confronto
ai metallari, che trascorrendo la
maggioranza del loro tempo libero con
loro simili acquisiscono una conoscenza
musicale non indifferente; in effetti, il
metallaro ha una insana passione per
la musica e per tutto ciò che la riguarda
mettendola al centro della sua vita; non
ho idea di quante ore io stesso abbia
passato su Internet a cercare cercare e
cercare nuovi gruppi o nuovi sound o
quante ore abbia passato discutendo
di musica con i miei amici… questa
spasmodica ricerca e desiderio di
conoscenza garantisce al metallaro
medio una più che discreta sapienza
musicale ( a volte anche non solo metal
XD) che desidera condividere con il
prossimo.
Per quanto poi riguardi i capelli lunghi…
sinceramente io con i capelli corti sembro
una palla da bowling quindi me li sono
fatti crescere… per quanto riguarda
tutti gli altri metallari il capello lungo
è sintomo di un desiderio di ribellione
e libertà, non ha nessun valore tribale/
religioso.
Già che ho parlato della religione vorrei
dipanare questa leggenda che i metallari
sono satanisti… ma chi ha messo in giro
questa enorme fetenzia? Il metallaro non
è assolutamente adoratore del demonio,
anzi è nella stragrande maggioranza dei
casi ateo ( molte volte magari contro il
cristianesimo ma non di certo satanista).
Dato che ormai mi sono stancato di
scrivere cose di cui a nessuno interessa,
voglio soltanto aggiungere una cosa, il
metallaro non è cattivo, non morde e
non puzza.
Commento sul gruppo
Beh, che dire? Mi sembrava d’obbligo
parlare come primo commento dei
signori incontrastati nella scena metal
degli ultimi 30 anni. Gli Iron Maiden
sono uno dei gruppi più famosi della
storia Heavy Metal ma a differenza di
sex pistols, beatles e quant’altro non
sono famosi per aver aperto le porte
a nuovi generi o linee di pensiero
ma perché sanno tuttora suonare in
maniera impeccabile e passionale, il loro
sound è inconfondibile e nonostante
siano passati quasi trent’anni dal loro
primo Cd (Iron Maiden) il gruppo è
rimasto tonico e pieno di energie ( basta
vedere Bruce Dickinson che ancora
adesso alla buona età di 50 anni salta
gli amplificatori mentre canta durante i
concerti).
Gli Iron Maiden furono fondati nel 1975
a Londra, dal bassista Steve Harris.
Harris ebbe l’ispirazione per il nome
“Iron Maiden” dal film L’uomo dalla
maschera di ferro, in cui compariva lo
strumento di tortura detto vergine di
Norimberga o “vergine di ferro” (in
10
inglese iron maiden).
Cd rimasti impressi come un marchio
sulla pelle della storia della musica
sono: Iron Maiden, Killers, Seventh Son
of a Seventh Son e The Number Of The
Beast.
Non voglio dilungarmi troppo, la musica
degli Iron Maiden parla da sé… quindi
a tutti coloro che non sono appassionati
di metal consiglio questo gruppo che
piace davvero a tutti, in effetti, il loro
suond è talmente straordinario che non
riuscirete a rimanerne indifferenti.
Gli Stornelli del Manzoni
Bloc Note
Miscellaneous Debris
di Elia Zenoni 2ªH
Tanti saluti dal mondo di Agenere,
sezione dedicata a tutti quelli che
non ascoltano Ramazzotti, ma che
da piccoli erano attratti da quel suo
duo con quella cantante nera..., e
che ascoltano un po’ di tutto.
Quando uno mi risponde che
ascolta un po’ di tutto penso che
sia un idiota; ma se rivolgessero la
stessa domanda a me? Beh ammetto
che risponderei più o meno allo
stesso modo: sono un idiota (come
dice Silvestri) e me ne compiaccio
(..pagliaccio di ghiaccio).
Ma il discorso sembrava dover essere
serio, e come al solito io non ti
piaccio.....no non ricominciamo con
queste pagliacciate.
Dicevo che sono un idiota perché
ascolto un po’ di tutto; ora non
mi resta che inventarmi una
teoria per proteggere la mia
reputazione. Difatti l’esistenza di
una classificazione di genere, oltre
ad essere sempre e comunque troppo
generica (eh...eh), si basa solamente
sulla nostra petulante esigenza di
dover discendere dicotomicamente
a qualche idea che ci identifichi cose
che sennò sarebbero completamente
amalgamate in un unico enorme
ammasso di suoni. E ciò non è poi
così da biasimare, cioè un po’ è
comodo e comunque anche bello...
insomma è una cosa divertente. Ma
ciò non ci deve far dimenticare che
col nostro dare una definizione alle
cose non le abbiamo di certo div ise
dall’unita di cui fan parte... abbiamo
solo trovato un modo per poter
indicare ad un amico di quale parte
dell’ammasso si stia precisamente
parlando. Tutto qua. Per questo mi da
fastidio che uno mi dica di ascoltare,
che so, solo heav y metal, o g runge, o
psichedelia (drogato!), oppure black
metal...ma anche musica classica o
jazz...cioè insomma ci siamo capiti.
Si ci siamo capiti. Ci siamo capiti che
qualunque cosa uno mi risponda alla
domanda “che musica ascolti” mi sta
sul cazzo. Eh beh ognuno ha il suo
carattere. Ma ora volevo parlare di
musica....e mi duole iniziare con gli
Stounsour, che ragazzi, v i av verto,
fanno uno schifo di finto metal.
Ammetto di non averli mai ascoltati,
Benvenuti nel mondo di Agenere
ma informatori fidati uniti al fatto
che una mia certa compagna di classe
porti la loro maglietta, confermano
quello che ho appena detto. Del
motivo (perché c’è una teoria anche
su questo) per cui insulto gruppi che
non ho mai ascoltato, parlerò magari
un’altra volta.
Vorrei terminare con la parentesi
Stounsour, ma mi è inevitabile dire
che nel caso la maglietta della mia
compagna faccia riferimento ad una
loro reale copertina, dovrò av visar vi
ch’essa è stata palesemente copiata
da quella di un disco molto bello dei
Dream Theater (Falling Into Infinit y)
che a sua volta riprende molto il retro
di un disco dei Rush che potrebbe
essersi ispirato alla copertina di un
disco dei Jethro Tull di cui non ricordo
però il nome. Insomma li abbiamo
liquidati abbastanza. Ora passo alle
segnalazioni importanti. Esiste un
g ruppo italiano che sia degno di
succedere ai Black Sabbath.
Lo so che ne siete sconcertati, ma è
così, provare per credere.
Si chiamano Stoner Kebab (non fatevi
ingannare dal nome) e per chi ha
dei problemi col cantato in italiano
dichiaro che cantano in inglese, anzi
in verità cantano pochissimo, unica
cosa che i Black Sabbath avrebbero
11
dov uto imparare dai loro allievi, e
che nonostante gli sforzi non sono
riusciti a fare.
Per chi volesse firmare la petizione
per cancellare dai dischi dei Black
Sabbath la voce di Ozzy Osbourne
(tranne in Solitude, dai) e volesse
sentire una canzone degli Stoner
Kebab, aggiunga questo contatto
msn.... [email protected]
o mandi un e-mail al suddetto
indirizzo. Questo perché gli Stoner
Kebab si autoproducono, quindi
trovare un loro cd è dura. Diciamo che
è dura come per me ora ammettere
che in effetti i Beatles non sono
malaccio. Ho ascoltato Revolver ed
in effetti ci sono alcune canzoni
molto piacenti. Si, sono sempre e
sempre saranno canzonette, però
alcune melodie vocali sono geniali
ed il riff iniziale di She Said She
Said è degno dei migliori Joy
Division (di cui probabilmente
parlerà meglio qualcun altro). Dopo
essermi scusato col metallaro che
dice che i Beatles fanno schifo, mi
getto nel parlare di una mia nuova
scoperta: i Primus. Sono costoro
un trio Californiano assolutamente
schizzato. Li sconsiglio a chi ha
problemi di concentrazione ma li
consiglio a chi vorrebbe che i Red Hot
Chili Peppers non fossero così pop.
Per far vi capire di che si tratta posso
dire sia cosa dicono gli altri di loro
(Trash Funk), sia cosa dicono loro di
se stessi (Psychedelic Polka). Quello
che dico io invece è che sono tutti e
tre tecnicamente bravissimi, non ho
mai sentito uno slap così, il bassista
canta pure. Il batterista dice di aver
deciso di iniziare a suonare sotto
l’ispirazione di Neil Peart (Rush) e ne
è un degno erede; ha suonato anche
con gli A Perfect Circle e con i Meat
Puppets. Il chitarrista invece gira
voce che fosse allievo di un certo Joe
Satriani... Inoltre il bassista era in
classe col carissimo chitarrista solista
dei Metallica, dai quali, durante un
audizione per far parte del gruppo,
fu bistrattato perché il suo stile era
troppo funky (‘gnoranti). Si avete
sentito; ignoranti. Andate a veder vi
su YouTube sotto “Primus Metallica”
come suona Master Of Puppets il
suddetto bassista e poi mi dite...
Gli Stornelli del Manzoni
Videogiochi
Videogiochi
di Giuseppe Cassone 4ªG
Siete stanchi dei soliti giochi che non vi
impegnano e che terminano in poche
ore? (Spiderman 3).
Di giochi che hanno un’intelligenza
artificiale scadente? (Pirati dei Caraibi).
Di giochi che attirano l’attenzione solo
nelle fasi iniziali? (Transformers).
Allora sarà il caso di guardarsi bene dal
comprare certi titoli. Titoli che ci fanno
vergognare di essere videogiocatori.
Beh, anche se può sembrare strano,
questi giochi il più delle volte sono quelli
ispirati ai film e ai cartoni animati di
grande successo sul grande schermo, e
di delusione totale sulle nostre console.
Come ho già anticipato, uno di questi
fallimenti è “Spiderman 3”.
Immaginiamo una famiglia che va in
un negozio di videogiochi per fare un
regalo al figlio.
Subito lui si tufferà negli scaffali dei
videogiochi-film.
Attirato dal titolo “Spiderman 3”, il suo
film preferito, spenderà 60 euro per
quest’ultimo.
Quando arriverà a casa e proverà il
gioco, ci sono due opzioni:
a) è un esperto come me e alcuni di voi
e capirà che ha buttato 60 euro in un
gioco ripetitivo e a prova di scimmia;
b) è troppo piccolo per capire la fregatura
e vive divertendosi le 8 ore complessive
di gioco.
Questo ci mette in guardia su cosa
non comprare. Può essere interessante
spendere 14/15 euro (per andare sul
sicuro e non sprecare troppo) in un
gioco sconosciuto e abbandonato sullo
scaffale. Basta prenderlo, leggere la
trama sul retro. Se ci attira prendere,
altrimenti lasciare.
Ho scoperto in questo modo un vero
e proprio “genio incompreso” per
Playstation 2: “Farenheit”, un thriller
che vi consiglio vivamente (14,90).
Vorrei darvi inoltre una dritta sui giochi da non lasciarsi sfuggire: tre per ogni genere
che non possono mancare alla vostra collezione.
Sport:
-Pro Evolution Soccer 6 (Play2)
-NBA Live 07 (Play2)
-Fifa 07
Sparatutto:
-Call of Duty 3 (Play2)
-Medal of Honor (Play2)
-Max Payne (Play2/PC)
Strategia:
-Stronghold (PC)
-Medieval Lords (PC)
-Imperium: le grandi battaglie di
Roma (PC)
Picchiaduro:
-Dragonball Z: Budokai 2 (Play2)
-Dragonball Z: Shin Budokai
(Play2)
-Dragonball Z: Budokai 3 (Play2)
Spero di avervi messi in guardia, dato qualche consiglio originale, e avervi aiutato con una guida all’acquisto molto ridotta. Se volete
maggiori informazioni contattatemi in 4^G!
Ciao amici videogiocatori!
12
Gli Stornelli del Manzoni
Cordoglio Ombelicale
di Francesco Fiero
Era nato. Il figlioletto era nato. E
nonostante fosse un figlioletto era
destinato alla culla. Il padre Morfeo,
come il Dio del sonno, era pronto a
cullarlo in quella culla (non che ci voglia
tanto, alla fine), ma in quel momento
giaceva a terra svaccato come un bovino
con bava fuoriuscente tra le sue labia, e
con le froge intasate di muco. La madre
non vi era. Come l’acqua in una bottiglia
di vino, come l’acqua in una bottiglia di
birra, come l’acqua in una bottiglia di
Whisky. Era in bagno con le alcoliche,
e non appena sparò fuori il pargoloso di
ciucci già nella prefazione della sua vita,
lei si fiondò in bagno senza pistola con
la quale aveva sparato fuori il pargoloso
di ciucci già nella prefazione della sua
vita, ma con la fionda, con la quale è più
semplice fiondarsi in bagno.
Il bambino piangeva, sentiva già la
crisi di abbandono, aveva paura di
non vedere più quella faccia amica,
che lo avrebbe guidato senza patente
latente attraverso intemperie temperate
e mitigate dal mitico incedere di un
periodo così insensato e idiota. Il
cordone ombelicale, non la madre.
Quella non l’aveva nemmeno presa
in considerazione. Lui rivoleva il suo
cordone ombelicale. Nessuno lo aveva
avvisato che il cordone ombelicale
avrebbe tagliato la corda, e che i dottori
avrebbero tagliato la corda del cordone
ombelicale, facendo tagliare la corda al
cordone ombelicale.
E’ una questione di rispetto (ma anche
di petto e di ciò che vi è sotto il petto,
l’ombelico, solo e soltanto l’ombelico,
senza uno straccio di cordone
ombelicale), di accordi (ma anche di
corde, come il cordone ombelicale,
per esempio), che non lascia spazio a
eventuali discussioni.
Questo il bambino lo sapeva. E voleva
far valere i suoi diritti, perchè l’umore
lo aveva di traverso, e non voleva che
niente andasse storto, e che la faccenda
prendesse una brutta piega, e che lui
stesso avesse una brutta inclinazione,
e che diventasse un deviato, perchè
seguiva la sua vita in prima linea, punto
e basta (eh, sì, era proprio un dritto).
Di Diagonali vincintrici di agoni gliene
importava poco, però, e quindi non
avrebbe dovuto rintanarsi tra urli di
disperazione, lagne insopportabili e
pianti da coltivare. No, a quello non si
sarebbe ridotto. Senza mezzi termini.
Racconti
Anzi, ai minimi termini. Ridotto ai
minimi termini, sì, rende di più. Lo
dicono anche in matematica, “Ridotto
ai minimi termini”, numero “Ridotto ai
minimi termini”. Sì, suona bene.
Però il frugoletto destinato alla culla,
figlio di Morfeo e di una madre chiusa
in bagno con le alcoliche non era un
numero.
E allora niente minimi termini,
e
chiudiamo
questa
parentesi
interminabile anche se non è mai stata
sotto parentesi, in nessun momento, e
non mento.
Niente scene isteriche anche perchè
nei paraggi per raggi per 3,14 non c’era
nessuno, o perlomeno, nessuno in
grado di sentire i suoi lamenti. Il padre
ruminava nel sonno e i dottori erano a
cena con le mucche smunte. Era solo,
solo e abbandonato. Nato “abbando”,
povero figliolo infante di quadri.
Doveva cavarsela da solo, era abbastanza
grande per farlo e capirlo.
E allora si rimboccò le maniche, ma
non avendo una camicia sì rimboccò e
basta, anche se prima nessuno lo aveva
mai imboccato per la prima volta. Aveva
imboccato una brutta strada dicendo
che voleva rimboccarsi le maniche.
Allora si diede soltanto da fare, ma
lo fece bene quel “soltanto da fare”.
Dove potranno mai ficcare un cordone
ombelicale quando non gli è più utile?
Nel cestino della spazzatura, forse?
Mmm...Troppo banale, forse.
Forse, però. Però, forse...mmm...Troppo
banale, senza il forse. E dopo il tour de
force, o meglio, il tour de forse, si diresse
al cestino senza fronzoli, pizzi e merletti
che eran destinati alla culla anch’essi,
ma che non avevano assolutamente un
padre di nome Morfeo che li avrebbe
cullati senza tanti problemi, e senza una
madre chiusa in bagno con le alcoliche,
ricordiamolo.
Come si diresse è ignoto, ma il bebè
era avanti con la testa, ma non con
le gambe. Nonostante questo sapeva
camminare, perchè era avanti con la
testa, e questo contava, nonostante non
fosse un numero poichè non ridotto ai
minimi termini.
Era lì! Il cordone ombelicale era lì!
Proprio lì, nel cestino! Proprio lì! Sì,
proprio lì nel cestino! Urrà, era lì nel
cestino, urrà! Era lì! Era lì! Era lì...ora
non c’è più.
Pianto. Pianto isterico, inutile. Nessuno
lo può sentire. Nessuno lo ode. Nessuno
lo odia, ma nessuno lo ama. In bagno la
mamma è morta, pace all’anima sua, e
il padre non rumina più, è morto anche
lui. I dottori hanno contratto la mucca
13
pazza, e il contratto non lo possono
stracciare. Morti anche loro. Morti tutti.
Morto anche il cordone ombelicale,
chissà stipato in quale anfratto, in
quale posto, in quale dimensione, in
quale algoritmo. Pianto, ancora pianto.
Non la pianta di piangere. Continua
imperterrito, nel vuoto, nel vuoto, nelle
ripetizioni del vuoto.
Morirà anche lui, a furia di piangere, in
un posto che non gli piaceva, che non
gli apparteneva.
Morirà anche lui, da disidradattato.
Re Stio
di Francesco Fiero
Il soldato perì, melì, uva passa, mora
crossa, bionda alla spina.
Lunga battaglia fu quella, ma perì, melì,
vuolsi così colà, c’è chi resta e c’è chi va.
Quante teste partirono, che i nemici si
spartirono, morti molte, volte a torti, e
tra esse connesse anche lui, che perì,
melì, qui pro quo.
Il re scaltro disse poco, cuoco vai,
prepara il fuoco, di bollito ce n’è poco,
non importa, tu soldato riuscirai,
nell’impresa della corrente, c’è chi
finge, e c’è chi mente, ma io no, dico il
vero, e tu non ci lascerai le penne, ma
asce brandirai e di brandelli ti nutrirai,
tavole imbandite di bandoli di matasse
al bando, credimi, odimi.
E invece no, lui perì, melì, nel cammin
del dirsivoglia, nella cappa perse il
punto, la fuliggine del vuoto, quello
sguardo, volto noto.
Buio, fine, basta. Morto a torto, certo
questo, lento un poco, mica lesto.
Armatura via, non c’è. Sangue a schizzi,
gesti grezzi, lui è morto, giace a terra.
Lui perì, melì, l’uva passa è già passata,
la ricito, è rimembrata, ma non membro
del cavallo, viva quindi, viva l’uva.
Chi è che ha tolto via la vita? Neanche
nata è già sparita.
La corona, ha su quella, condottiero
che ti ha ucciso, spento il viso, acceso
fiamma, delta, iota, teta, gamma.
Quindi tutti siam padroni, di qualcosa,
anche sol nomi.
Lui è perito, ha perso tutto, ascia
via, lasciati andare, spada vada, do il
permesso, te sei l’arma, io il fesso.
Perì, melì, uva passa, mora crossa,
bionda alla spina. Stacchiamola.
TLACK
Gli Stornelli del Manzoni
Racconti
Morte sulla strada
di Luca Ziviani 3ªD
Alessio guidava la sua Fiat Punto rossa
attraverso le strade statali della zona
dell’ astigiano.
Era infatti diretto ad Asti essendo
partito da Milano, in viaggio per andare
a trovare i suoi genitori che vivevano
nella città piemontese.
Era ormai quasi arrivato, ma aveva
commesso il terribile errore di affidare
il controllo della carta stradale (non ci
andava molto spesso a trovare i genitori)
a Valentina, la sua fidanzata, ora seduta
accanto a lui, che osservava silenziosa il
panorama notturno che le si presentava
in continuo movimento oltre il finestrino.
Erano le 11 e mezza di sera e la strada
che stavano percorrendo era una statale
a due corsie illuminata dai fanali della
macchina, che procedeva regolarmente
ad una velocità che si aggirava intorno
ai sessanta chilometri orari.
Ai lati della strada, come silenziosi
guardiani
centenari
custodi
di
innominabili segreti, degli alti e
possenti alberi informavano chiunque
si avventurasse su quella strada che
essa si inoltrava in un bosco che in certe
stagioni era la delizia dei cercatori di
funghi, ma che ora era solo qualcosa
che dalla notte traeva un fascino ora
misterioso ora inquietante.
“Dovremmo riuscire a vedere colline e
vigneti, cascine, paesini arroccati sulle
colline, campanili...perché ci sono solo
alberi?”, disse preoccupato Alessio.
Valentina era silenziosa. “Scusa”, era
solo riuscita a dire.
L’ oscurità rendeva la ragazza poco
visibile, un nero fantasma nella pece.
“Non importa, dai”, aveva detto paziente
Alessio, “troveremo la strada”.
Ora
viaggiavano,
viaggiavano...
la radio accesa. Un anonima voce
dall’ apparecchio diceva “...il killer
dell’ astigiano è ancora in libertà...
ha ucciso tre persone... urla... fetore
insopportabile....”. Alessio spense la
radio... e il suo pensiero andò al killer
dell’ astigiano. Ne aveva udito per la
prima volta circa una settimana prima
al telegiornale.
La giornalista aveva detto qualcosa
come: “E’ stato ritrovato stamattina il
corpo senza vita di una donna, di nome
Demetra Alberti, sul ciglio della strada
statale nei pressi di Castel Rocchero. Il
corpo giaceva senza vita a pochi metri
dalla macchina della donna.
La donna è morta a causa...” non ci
voleva pensare. Che schifo.
E il buio attorno non aiutava a sentirsi
meglio. La macchina viaggiava,
viaggiava, araldo della tecnologia nel
bosco, incontaminato solo a tratti,
altrove coperto dall’invasivo cemento
della statale. I tumori di madre natura,
le strade.
Valentina dormiva, producendo un lieve
ronzio uniforme che conciliava molto il
sonno, troppo... le palpebre di Alessio si
abbassano...si rialzano. La strada. “Devi
guardare la strada, Cristo”.
Poi, ad un tratto, a fendere le ombre dei
guardiani di legno che gettavano le loro
braccia sui passanti che, povere anime,
venivano ammaliati da tanta sicurezza,
fu un bagliore.
Prima lontano, poi più vicino,
accompagnato da un lontano ronzio
sempre più forte.
Una macchina dietro alla Punto.
Alessio guardò nel finestrino retrovisore.
Un fuoristrada.
Poco più dietro, il mezzo si avvicinava
sempre più alla Punto, che si trovava
davanti ad esso.
Ora che il veicolo era più vicino, Alessio
poteva sentire, oltre al ronzio, anche il
rumore di musica punk a tutto volume
provenire dall’ abitacolo... che ora era
alla sua sinistra.
Lo stava sorpassando, e andava forte.
In un attimo, giratosi a guardare,
vide, come in un teatrino delle ombre
sparato a razzo, quattro ombre nere
che corrispondevano evidentemente
ad altrettanti ragazzi che all’ interno
della macchina si agitavano a ritmo di
quella musica che Alessio considerava
spazzatura. Il fuoristrada passò oltre e,
sempre più piccolo, scomparve nel buio.
Intanto Alessio era agitato... dove si
trovava?
Quella stronza dormiva. Prima ci fa
perdere la strada e poi dorme.
I minuti passavano lentamente... poi la
rivelazione. “Ecco come si senti Mosè”,
pensò Alessio. Un bivio, un cartello
rivolto a destra: “Asti 30”. E la Punto
virò a destra.
Ma il paesaggio, anche cinque minuti più
tardi, non era cambiato. Alberi, il bosco,
la lune le stelle. Una curva, poi un’altra,
poi un altra. E, dopo l’ ennesima, lo
sconvolgimento. Un’ ammasso informe
giaceva sul lato destro della strada, ma
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Alessio dovette sterzare lo stesso per
evitare di finirci contro. Gli pneumatici
stridettero lasciando sull’ asfalto una
scia nera, e un imprecazione sulla bocca
di Alessio: “Gesu!”.
Valentina,
svegliandosi, si sentiva
stordita e turbata mentre la macchina
inchiodava e si fermava al lato della
strada. “’Sti stronzi...”. “Ma cosa..?”
disse Valentina, poi guardò indietro. La
macchina, un fuoristrada perfettamente
identico a quello che li aveva sorpassati
prima (ma lei non lo sapeva), giaceva
immobile avvolto da un manto di
oscurità, rischiarata solo in parte dai
fanali accesi del mezzo.
Alessio si slacciava la cintura di
sicurezza: “Devo andare a vedere,
magari hanno bisogno d’ aiuto”.
Aprì la portiera, ma prima che si potesse
allontanare la bruna che si trovava
di fronte gli disse, un po’ sorpresa
un po’ agitata: “Fa’ attenzione, mi
raccomando...”.
Alessio le sorrise, e disse: “Tranquilla...”,
poi chiuse la portiera e si diresse verso
la luce.
Dalla sua postazione, Valentina poteva
vedere una longilinea figura nera che
si allontanava dalla macchina in cui
si trovava e che si dirigeva verso un
accecante muro bianco.
La figura si faceva sempre più sottile, a
man mano che Alessio avanzava verso
il fuoristrada.
Il cuore di Valentina batteva forte.
Quello di Alessio ancora di più.
Arrivato ad una certa distanza Alessio
dovette portarsi il braccio sinistro
davanti agli occhi, socchiuderli e girare
un po’ la testa verso destra per non
rimanere accecato.
“Ehi, tutto bene?”, urlò, senza ricevere
risposta. Si avvicinava, passo dopo
passo.
Ormai era vicino, ma chissà perché
una vocetta dentro di lui gli ordinò di
fermarsi, e lui obbedì.
Non sapeva quanto avesse fatto bene ad
andare verso il fuoristrada che dormiva
al lato della strada.
“Ehi, c’ è qualcuno?”, urlò di nuovo, i
tendini tirati, il cuore in gola.
“Ma che razza di domanda? Certo che
qualcuno c’è, dove possono essere
andati tutti?”, si disse.
Eppure, nessuna risposta. Allora, con
la strana sensazione di star facendo
Gli Stornelli del Manzoni
qualcosa di tremendamente stupido,
avanzò.
E gettò un urlo da far gelare il sangue.
Qualche minuto prima di udire quell’
urlo, quando la figura nera si portava un
braccio davanti alla faccia, a Valentina,
chissà perché, era venuto in mente
qualcosa che aveva udito alla televisione
qualche giorno prima, qualcosa
riguardante il killer che terrorizzava
quella regione del Piemonte.
“La regione del Piemonte in cui vi
trovate”, pensò, con un brivido.
Le parole erano più o meno “..La
cosa che più inquieta di tutto ciò è
la straordinaria ferocia con cui sono
stati commessi i delitti. Basti pensare
che dell’ ultimo corpo non sono state
ritrovate ancora tutte le parti...”.
Si strinse nelle spalle e, per la prima volta
da quando aveva sette anni, ebbe paura
del buio, che la circondava fissandola.
E non solo.
Ebbe la puerile e primordiale sensazione
che i castagni che si ergevano neri a
pochi metri da lei erano lì per farle del
male e portarla in un luogo di morte e
sofferenza. Poi, l’ urlo.
Il primo istinto di Alessio fu di scappare,
ma qualcosa lo tenne lì, fermo
Racconti
Constatò che era vero che a volte la
paura ti paralizza.
Dal canto suo, nell’ altro abitacolo,
Valentina cominciò a respirare in modo
affannoso e, poco dopo, a piangere.
Pensò al peggio, per poi mentire a sé
stessa dicendo che non era possibile che
quello accadesse.
Ma una vocetta, forse la stessa di Alessio,
le disse : “Si, certo. Potrebbe già essere
cibo per i cinghiali.. e lui potrebbe
essere morto e tu pensi ai cinghiali...”.
Piangeva; piangeva perché aveva paura,
perché era lì a far niente e perché non
sapeva cosa fare.
Poi, all’ improvviso, un rumore di passi
fuori dall’ auto, sempre più vicino,
taptaptaptap, il rumore di qualcosa che
urtava il vetro dalla parte del guidatore...
Poi un altro urlo, questa volta non da
parte di Alessio, ma anche questo da far
gelare il sangue, Alessio, tempo prima,
era fermo paralizzato per quello che
aveva visto.
Poi, pensando che sulla scena di un
incidente, perché evidentemente si
trattava di quello, fosse una cosa
normale, avanzò.
Poco prima aveva scorto, sull’ asfalto,
in corrispondenza della porta anteriore
sinistra aperta, una grossa pozza di
sangue alimentata da del liquido rosso
che continuava a colare su di essa
dall’ interno del veicolo, dal posto del
guidatore.
Una rossa macchia nel bianco quasi
totale, tanto irreale quanto terrificante.
Poi Alessio era avanzato, sudando,
tremando...
e
sporgendosi
nella
macchina.
Guardò dentro (porta aperta sulla buia
stanza della follia), poi corse verso la
propria macchina.
Cercando di aprire la porta sbattè una
mano contro il vetro, facendo urlare
Valentina. Lui non ci badò, entrò
nell’ auto, chiuse la portiera e girò
la chiave.“Cosa... cosa...”, blaterava
insensatamente Valentina, terrorizzata.
La chiave girava, il motore sbuffava.
Quello che provava Alessio era qualcosa
di indefinibile, sovraumano. L’ orrore
supremo. “Non può essere vero...là
dentro... perché non parte!?”, guaì
Alessio.
Poi la macchina partì, il guidatore
premette sull’ acceleratore, le ruote
sgommarono, scie di fumo, alle spalle
l’ orrore.
O forse no.
Non è facile sopportare che i sassi
volino via come palloncini, non è facile
trovare la cena incastrata nella canna
del camino al minimo soffio di vento,
neanche il tempo di lavarmi le mani.
Perché non ho una scorta di spago?
Il poco che avevo l’ho usato per il letto,
e c’è da dire che un salame non dorme
troppo comodo.
La febbre, quella notte, mi spinse a
slegarmi, e sapete che accadde di me?
Precipitai nella finestra, vetri infilati
in ogni ruga del mio volto, e qualche
scheggia di legno, poi un tuffo nella
terra bagnata.
Credete che sia bello aver la pioggia
nelle narici?
Va bene, sembra salubre, ma da dove
credete che venga, tutta quell’acqua?
Attraversa l’intero pianeta, pensate!
Procede per inerzia da quella porzione
di mondo che ancora può permettersi
la bolletta della gravità. Così mi
arriva addosso, la pioggia, zozza come
catrame, calda come catrame, in una
parola, catrame.
Ma questa è la mia vita quotidiana.
La mia vita mensile, per non parlare della
mia vita annuale, è finita da tempo.
Il motore dei miei pensieri rantola,
riesco solo a soffrire delle mie ferite
quando una scarpa ammutinata mi
salta in faccia e mi prende a sberle, stufa
di essere calpestata.
Se non altro c’è chi sta peggio di me, a
questo mondo.
Vita di Flacone
di Tommaso Sciotto 2ªE
Anche oggi piove verso il cielo.
È un bel problema, i miei campi si
disidratano e devo sempre rifare tutto
di nuovo.
Butta le azalee, butta le pertiche e
buttati in cielo, mare, tanto si fa sempre
come dici tu.
Perché devo vedere crollare la casa
di giorno e sentire i campi frinire di
notte?
Ho smesso di appendere i vestiti al
pavimento (anche quest’anno non ho
pagato la bolletta della gravità, per chi
non lo avesse capito).
Eh, che ci volete fare.
È una vita sanguinosa, quando ti si
scuoiano le mani a furia di fare castelli
di sabbia in aria.
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Gli Stornelli del Manzoni
Racconti
Sinossi del primo episodio.
Ivan visita il Dott. Giuseppe Mengele, medico inusualmente provvisto di spirito e di baffi. Questi tenta lo scherzone: ne consegue un pugno
per lui, grandi risate per noi. Poi Ivan chiede la mano di Eva Mengele, figlia del dottore; ottiene quella, e un invito a trascorrere un Natale sul
Monte Orso. Don Diego de la Vega osserva da un dagherrotipo sul muro. Fine della sinossi.
“-- Silence falls the guillotine - All the doors are shut - Nervous hands grip tight the knife - In the darkness, ‘til the cake is cut - And passed
around, in little pieces - The body and the flesh - The family and the fishing net, - Another in the mesh.”
Bear Mountain - episodio 2
di Ibrahim Muhamed Ahradji
«Questa canzone è inascoltabile!
Insomma, e che?», urla Ivan, entrando
nella stanza immersa nella stereofonia
digitale - tentando di sovrastare le onde
acustiche nemiche - ma la battaglia è
perduta. Vibra il marmo martellato dal
basso, il lampadario a mezzaluna oscilla
al ritmo spezzato, Eva è impassibile come
un sasso, piantata sul divano. «Eva!
Dio! Abbassa!»; lei muove le pupille
quanto basta a scorgerlo, quindi pigia a
ripetizione un tasto del telecomando.
«Ti odio, è uno dei miei brani preferiti»,
offesa e seccata. Guarda altrove. Il
noto tema di Shock the Monkey parte
a volume impercettibile sullo sfondo.
«Dico, ogni tanto sei così inopportuno!»,
e lei ogni tanto così ovvia, «Sempre a
vietarmi questi piaceri, e De gustibus
non disputandum, lo dicevano gli
antichi, no?». Si dimenava in maniera
davvero tenera. «Libera di odiarmi:
io invece ti amo, e di conseguenza ti
sposo». Con tono così paterno da non
sembrare nemmeno un futuro marito;
al limite uno zio affettuoso.
Eva, prima rannicchiata, balza come
una cagna ferita che, rassegnata alla
sconfitta, si renda conto, dopotutto,
dell’insignificanza
delle
lesioni;
dimentica della durissima bastonata
all’orgoglio di melomane, sospesa
fra sbigottimento, gaudio, panico,
tentazioni varie, terrore puro. «Non
riesco a crederci: hai parlato con papà?»,
ricompondendosi: «Ha acconsentito?»
Ivan la squadra col sorriso del buon
pastore cristiano, «Eccome: e prepara i
bagagli, ché questo Natale lo passiamo
sul Monte Orso». Invero, un mese
abbondante doveva consumarsi prima
delle feste: parlare di bagagli era fuori
luogo, ma comunque.
La fanciulla, che, per inciso, era una
donnina mora, minuta, prima di
tutto dolce e strapazzabile come un
pupazzo di stoffa – a dispetto del nome,
evocativo di forti donnone bionde di
stirpe nordica – conosceva a sufficienza
il Dott. Giuseppe Mengele. «Ha posto
delle condizioni, vero?», s’aspettava un
certo imbarazzo e le dispiaceva.
Il nostro abbassa il mento, fissa a
vuoto il curioso pattern del pavimento
marmoreo. «Tre nipoti vanno; uno
resta. Ha richiesto Nevio per sé», ora la
guardava mortificato.
Sul volto irrimediabilmente tenerissimo
di Eva si stampa una tenue ma
trasparente irritazione. «E hai accettato
subito! Sai bene quanto è attaccato ai
suoi fratellini!» Si rammaricò subito
dopo del rimprovero, il suo caro pareva
sul punto di piangere. «Non importa, hai
fatto come ti ho indicato. Mio padre è un
uomo singolare». Ivan non si scrollava
di dosso la patina di rincrescimento:
bisognava cambiare direttamente tema.
«Piuttosto, la baita sul Monte Orso!
Non che ci tenga a tornarci. È un posto
strano, e indovina perché si chiama
così?». Che cara, un indovinello! Ivan
li adora. Opzioni: ci sono gli orsi,
altrimenti è un trabocchetto. Meglio
fuggire figure meschine. «È una
domanda trabocchetto?»
Eva ride, le guance zuccherose come
pesche sciroppate. «Hai perso, ci sono
gli orsi. D’inverno comunque sono in
letargo, o almeno ho letto così. Forse ci
vanno dopo, ma non credo. Speriamo di
non vederne, i bambini ne morirebbero,
tranne Ringo, che è un incosciente. Per
non parlare di te che sei un fifone».
Quale temerario osa asserire questo di
Ivan il Terribile, Bis? In posa eroicamente
ridicola, «Io gli orsi li divoro a colazione,
crudi». Guarda a sinistra, guarda a
destra, «Dove sono i ragazzi?»
«Dario e Ringo sono ancora a scuola,
Nevio l’ho portato stamattina da tua
madre. Pedro invece è a casa, è nella
sua stanza che gioca con il Saturn».
Rapido calcolo: solo un fanciullo da
visitare. Corridoio, bagno sulla destra,
stanza di Dario e Ringo; il marmo
sfocia in un parquet scricchiolante,
e, finalmente, la soglia dell’antro del
primogenito: luogo buio e arcano, un
misterioso lume azzurro nell’angolo,
un ticchettio meccanico e inquietante.
Accendere le luci elettriche, in verità,
16
avrebbe palesato un arredamento di
gusto inqualificabile, orrendi poster, un
vecchio misero televisore sgangherato,
e questo ragazzo in trance videoludica.
«Salve a te, giovane», poi lo schermo
ghermisce le attenzioni di Ivan: il dottor
Giuseppe Mengele, baffi e tutto, a bordo
d’un trabiccolo ovoidale. «Senti, chi è
quel tizio grosso nel videogioco?»
«Non vedi che sto combattendo un
boss?», sgarbato, poi decreta che è
meglio mettere in pausa. «Comunque,
è il dottor Ivo Robotnik. Il nemico di
Sonic. C’è fin dal primo episodio, non
l’hai mai visto? Perché t’interessa?»
«Somiglia a un dottore che ho conosciuto
oggi. Il papà della zia. Un tipo simpatico,
lo verrai a conoscere».
Start, Pedro ripiglia a giocare
nervosamente. «Be’, il dottor Robotnik
non è simpatico: continuo a perdere».
Per qualche secondo, l’incuriosito Ivan
assiste all’epico scontro d’un porcospino
blu e d’un grassone meccanizzato.
«Comunque, questa console che abbiamo
acquistato ti soddisfa? Mi attendevo
che avresti desiderato la PlayStation»,
mentre Pedro perde nuovamente,
pausa,
l’irritazione
faticosamente
compressa nell’involucro corporeo,
quasi fisicamente traboccante.
«La PlayStation fa schifissimo! La
Sega è sempre stata la migliore. I miei
compagni sono tutti fissati con la Play,
ma non capiscono niente».
Conflitti ideologici sui videogiochi,
assurdo e folle, e ridicolo. E d’altro canto,
un nipote militante della Sega era pur
sempre più rassicurante di un nipote,
che so, nel movimento di rifondazione
neonazionalanarchico per l’apocalisse
subito. «Non iscriverti mai a un partito,
eh», un gigantesco punto interrogativo
appare, come una Vergine, sulla testa
del ragazzo, «Comunque, questo Natale
andiamo tutti sul Monte Orso, sarai
contento».
«Altroché: sono più gioioso di una
pasqua». Una pasqua di sangue, a
giudicare dal tono.
Fine del secondo episodio.
Gli Stornelli del Manzoni
Racconti
Tre colori
di Costantino Orlando - pollaio n°17
Grigio nebbia
L’interminabile viale nebbioso è un
luogo della mente.
Senza tempo il suo cielo assente, senza
luce o buio. E da una parte gli alberi alti
e scuri e immobili hanno posato la loro
flosce radici al suolo, mentre gli stecchi
sottili all’estremo dei rami non oscillano
più da tempo, fotografati in aria.
Tutto è così reale. E dall’altra parte
palazzi ben architettati si susseguono
affiancati, e stanno, democraticamente
uniti contro nessuno, portoni chiusi,
compatti concordi congiunti conformi
confortevoli. Ogni finestra è coperta da
una tenda marrone.
Non esiste sottosuolo, e anche quello
che il grezzo asfalto non ricopre, come
il vuoto stretto e carico di echi umidi
dei tombini, riesce la nebbia a renderlo
sordo.
Non mistero, non astmosfera, non
evocazione. La nebbia qui serve solo ad
ottundere, smorzare, indurre ad andare
avanti lungo il viale. L’aria respirata ha un
odore acre, sottilissimo, impersonale.
Di colpo, nella mente, qualcosa di
spento cede all’inerzia e si trova a
procedere, seguendo la linea bianca. Ma
la linea comincia lentamente a torcersi,
ansiogena, e il viale ora si dilata come un
respiro mozzo, con una fitta improvvisa
si contrae, si allunga verso il suo
orizzonte inesistente e allora tutto viene
dolorosamente stirato e assottigliato e
teso e i filamenti di ogni singola cellula
sono strappati e distorti orizzontalmente
fino all’agonia stridente e acutissima
che passa nell’ago delle siringhe e la
sofferenza lancinante della disperata
passività risucchiata e divelta dai
capillari e dalle ghiandole e dagli alvei
e staccata brutalmente dalla cavità del
teschio ingoiata da un punto minuscolo
e accecante che con un’ultimo strappo
spezza la tensione e frantuma l’immota
paralisi del viale.
E allora gli alberi si scuotono e lanciano
stridulo e profondo il lamento del germe
che serbano dentro, e stendono di
colpo, con uno spasmo, i rami al cielo,
che ora vomita pioggia violacea e nodi
di fulmini sanguigni, mentre le nubi
si rovesciano, liquide, trapassando la
nebbia, dirompendo nei tombini, da cui
escono giganteschi mostri neri abissali
che fanno gonfiare e crepitare l’asfalto
prima di uscire dalle enormi voragini
che li generano.
E, di scatto, si aprono tutte le tende
marroni di tutti gli infiniti palazzi del
viale e scoprono con orrore le stanze
sempre nascoste, dove non si è mai
guardato, dove non si deve guardare,
dove c’è la cosa più spaventosamente
orribile, dove non c’è nessuno. Solo la
moquette grigia in cui ora sembra di
sprofondare e sprofondare e sprofondare,
con il grigio sulla pelle sempre più
intenso, sempre più confuso, sempre più
morbido, sempre più torpido.
E lentamente da questa nuova nebbia
cominciano ad affiorare dei contorni,
crudi ma indistinti, via via più chiari
e realistici. Ora c’è calma, immota,
spezzata e sedativa, sul viale.
Giallo
Io amo Vanna.Ha le mani grandissime e
morbide.Tutto è grandissimo e morbido,
ma lei meglio: lei profuma.
E i suoi palmi grandissimi e freschi si
chiudono sulle mie braccia. Non mi
guarda mai gli occhi, ma sorride senza
aprire la bocca. Prima mi tiene tutte le
braccia. E mette uno spago di gomma
dopo il gomito. Poi mi fa guardare il
disegno che fa il sole sul pavimento.
Quando lo guardo sono sempre
contento e cado. Cado giù all’indietro
e faccio le capriole ma Vanna non mi
lascia. C’è rumore di cuscini di paglia
che strusciano intorno a me. Io e Vanna
nel cielo morbido, nell’aria morbida.
Guardiamo i campi di granturco da
lontano, non so se sono sopra o sotto di
noi. Non importa. Il granturco comincia
a ruotare e forma una palla.Una grande
bellissima palla rotonda. Piena e tiepida
e avvolta dal cielo solido come me e
Vanna. Come il tuorlo di un uovo. Ora
so che questo è un uovo dall’albume
soffice, e che ci siamo dentro.
Il tuorlo è come gommapiuma. Cresco.
Cresco attraverso l’albume fino a
toccare le pareti del guscio. Vanna non
se n’è andata, ma ormai ci sto solo io
nell’uovo. Ecco, ora io sono l’uovo. Sul
mio guscio pallido e poroso sento il
palmo grande e fresco di Vanna che mi
prende e mi tiene, accogliente, da sotto.
Poi si alza sugli zoccoli bianchi e mi
ripone dolcemente nel mio scomparto.
Mi lascia. Chiude bene la grossa porta
imbottita. Se ne va. Sono solo.Tutto è
grande e morbido. Il sole continua a
disegnare sul pavimento.
Bianco
Incudini e cusciniIl verde è matematico.
utroh r tgjrhj adjssir mho a lei
megfuaarh.
imi e freschi si chiudonoo prima di
affrontare la sconfinata distesa di minuti
scolastici, e proprio mente stavi ptipt7il,
poi, notata al sulle mie braccia. Non
mi guarda mai gli occhi, ma sorride
senza aprire la bocca. Prima mi tiene
tutte le braccianon so se sono sopra o
sotto di noi. Non importa. Il granturco
comincia a ruotare e fomoun posto
strano, e indovina perché si chiama
così?». Che cara, un indovinello! Ivan li
adora. Opzioni: cyir l’apocalisse subito.
«Non iscriverti mai a un partito, eh»,
un gigantesco puntomovimento di
rifondazione neonazionalanarchico per
l’apocalisse subito. «Non iscriverti mai a
un partito, eh», un gigantesco puntorma
17
una palla.Una grande bellissima palla
rotonda. Piena e tiepida e avvolta dal
cielo soiavre ejnfijg r eifnonvkde bvn
molte moe dmom etmo cicmacmsima
che passa nell’ago delle siringhe e la
soffeante dellerata che passa nell’ago
delle e la stukdukofferenza lancinante
della disperata passività risucchiata e
divhiata e divamammera eii me hehhrer
rjjklla mantare do ereo ere y b g rotre.
Racconti
Gli Stornelli del Manzoni
Diario - secondo episodio
di Victor Campagna 2ªA
Oggi.
Da tre anni sono in questo luogo.
Sbarre. Null’altro. E mi fa schifo: ogni
cosa è disgustosa. Eppure ci devo vivere.
Ovviamente lui non c’è più; se n’è
andato dopo il nostro litigio. Non penso
che sia morto perché a volte lo intravedo
dalla finestra. Loro intanto tentano di
uccidere me e Lui con la solita dose di
pastiglie, ma so che sta per tornare...
C’è un medico in particolare che ci odia:
si chiama Olivi.
?
Sì, dovrei ucciderlo! Questo pensiero
risiede ancora adesso nella mia mente,
ma sono abbastanza lucido da capire
che non devo: sarebbe inutile e stupido.
Quindi non lo farò. Tutto mi andrebbe
contro: i medici chiamerebbero la polizia,
che scoprirà l’identità dell’assassino
prima o poi e non penso che la pazzia
mi sarà d’aiuto in tal caso... In tal caso...
In tal caso... In tal caso... Ma perché
continuo a scrivere in tal caso?! Non
ci riesco: la mia mente sta fuggendo.
Non riesco a trattenerla. Mi sa che devo
chiamare l’infermiere.
Dopo oggi,
È venuto, ma non ha capito. Nessuno mi
capisce. Mi ha detto che devo calmarmi,
che devo usare la testa, o almeno tentarci;
che è difficile, ma devo combattere
contro la malattia. Ma lui che ne sa!
Ogni giorno mi siedo su quella poltrona
subendo domande a cui non ho voglia di
rispondere. “Com’era il tuo rapporto con
lui? Quando è iniziato?” ecc.. Mi fanno
solo soffrire queste domande. È davvero
uno schifo questo posto. Vorrei tanto che
lui tornasse almeno a farmi compagnia
almeno per un attimo. Magari se lo
vedessero gli altri capirebbero che
è vero, ma gli altri non lo vedono
purtroppo. Finché non lo vedranno non
capiranno. Non capiranno, accidenti! Ed
io dovrò rimanere qua. Mi viene quasi
da piangere, ma non posso fare neanche
questo perché se no scoprirebbero il mio
diario accorrendo per i miei singhiozzi.
Mi calmerebbero, per poi mandarmi da
quell’Olivi e leggerebbero ciò che sto
scrivendo. Sì, lo psichiatra che odio: non
ha spina dorsale, è stupido, non capisce
e, soprattutto, non ascolta. Ed io? Cosa
dovrei farci? Del resto sono io il malato,
no? E sono nelle mani di un idiota che
dovrebbe capirmi, invece è solo pronto
a prendersi la parcella a fine mese. Ed
io sarei quello matto. In realtà sono gli
altri matti. Io sono solo colpito da lui.
E non vuole venire da me. Ho preso
troppe pillole e me le somministrano
obbligatoriamente, maledizione! Stanno
accanto, guardando, osservandomi,
finché non le prendo e ingoio, non
permettendomi di sputarle. Ma cosa
dovrei fare? Mi manca, mi manca! E le
pillole non fanno altro che distruggerlo.
Ma lo sento lo stesso. Lo intravedo dalla
mia finestra a volte: bello, dolce e gentile;
totalmente uguale a me, ma più bello.
Ho come la sensazione che un giorno
di questi tornerà da me. E mi sarà vicino
allora: saremo sempre assieme. Nessuno
ci potrà più allontanare. E dimostrerò
agli altri che esiste, che è reale, che non
è la fantasia di una mente malata. Non
può esserlo assolutamente. E poi... Ah,
sto delirando! Non posso continuare
a vivere con lui, non posso. È troppo.
Accidenti! Ne ho bisogno, ma non ne ho
bisogno. È strano. Non riesco più a capire
nemmeno me stesso. So che tornerà, ma
non lo voglio. Non lo voglio... Adesso mi
sa che dormirò un poco, per chiarirmi le
idee.
Ieri,
Ieri ha aperto la porta, l’ha spalancata,
come un vento improvviso. È venuto da
me: ha voluto prendermi per un attimo,
ma se n’è andato quasi subito. Ed io
rimasi lì, stupito di me stesso, allibito,
a bocca aperta. Poi, con le mani tra i
capelli, mi sono sdraiato di lato.
Dopo ieri,
Quell’appunto era delirante. Basta! Il
mondo non è mio e non lo sarà mai. E
anche se lo fosse non sarebbe bello:
troppa gente da amministrare. E a me
non piace la gente. Tende a non capire, o
meglio, a non voler capire. Ed i medici?
I medici... Sì!, creature, omuncoli, vestiti
bene, con camici e tutto il resto, le loro
belle targhette e le loro ricette. Bella la
loro vita, bella! Tanto non sanno: non
sanno chi sono, né che cosa credo, né
nulla.
Domani,
Quanto odio il mondo. Non ne posso
più. Non ne posso più. Ho bisogno
di un po’ d’acqua da quel deficiente
dell’infermiere.
Dopo domani,
Non ho voglia di chiamarlo. Preferisco
scrivere.
Qualche ora fa,
Ormai non so più dove sono. Mi pare
vicino a Berna.
18
Ma non lo so e non m’importa. Solo una
cosa: dov’è?”
“Qualche giorno fa.” “E cosa ti ha
detto?” “Nulla.” “Me lo devi dire se
vuoi uscire di qua e guarire” “Cosa
vuole che mi dica?! Le solite cazzate!
Che mi vuole bene, che mi ama e che
non mi vorrebbe abbandonare ma deve
per colpa vostra!”
Qualche ora dopo,
Mi sono alterato. Come al solito. Olivi fa
solo domande stupide ed insensate. Non
capisco il nesso... Vuole soffocarmi o
aiutarmi? Ah, cosa vai pensando?! Con
queste cose non guarirò mai: l’unico
modo per star bene è averlo accanto,
ma è lontano per colpa loro. Maledetti!
Maledetti!
?
Mi sa che mi conviene cercarlo. Deve
pur essere da qualche parte.
Oggi,
È qui vicino. Lo so. Lo sento. Dove
però?”
Il dottor Olivi si sedette in uno studio.
Di fronte a lui c’era un uomo. “Ma come
possiamo fare con lui? È impossibile
controllarlo. Ancora una cura per la
schizofrenia non esiste. E lui non lo vuole
capire che Lui non esiste. Io sto facendo
di tutto. Ma non capisce.” Disse Olivi. Si
tolse gli occhiali e si stropicciò gli occhi.
L’altro uomo non parlava: rifletteva. Non
guardava neanche l’Olivi. “Non so che
dire” proruppe improvviso lo psichiatra
“Bisogna però fare qualcosa. È un nostro
paziente e va curato. Ricorda che non è
una minaccia per nessuno: lo è solo
per se stesso. Quindi male non ne fa.”
“Questo è il problema...” lo interruppe
l’altro “da risolvere.”
Olivi stette zitto. Si appoggiò sempre più
allo schienale come rassegnato. Sapeva
che non poteva fare nulla: era sconsolato
e guardava nel vuoto. Quello era il primo
paziente che non riusciva a guarire. Non
poteva sopportare un tale fallimento.
“È letteralmente impossibile che non lo
capisca. Ci deve essere qualcosa che lo
conduce a persistere. Quell’uomo non
è stupido, anzi! È molto brillante: non
ha difetti particolarmente gravi. C’è
qualcosa che non quadra nell’insieme.
Io non posso guarirlo. Non ce la faccio,
perché è impossibile.” Poi sussurrò:
“Comincio a pensare che abbia ragione”.
Racconti
Gli Stornelli del Manzoni
“Ma non dica idiozie per favore! Nulla è
impossibile! Nulla è incurabile! Quel Lui
non esiste! Non esiste!” Olivi guardava
in un punto disperso nel vuoto. Non
ascoltava le parole del suo collega. Stava
pensando amaramente. Stava riflettendo
su ogni cosa. – E se noi sbagliassimo?
– così cominciò a perdere un poco
della sua ragione. “Devo andare”, disse
alzandosi di scatto l’Olivi. “No, aspetti!”
urlò l’uomo, ma troppo tardi. L’Olivi
era uscito. “Assomiglia davvero tanto
al nostro paziente...” Rimuginò tra sé,
sprofondando nello schienale della sua
poltrona. Il dottor Olivi intato si dirigeva
verso il suo ufficio. Giunto lì si sedette e
si appoggiò sempre più sullo schienale
con le mani dietro la nuca. Il suo volto
era estremamente pensieroso.
D’un tratto allargò gli occhi.
Si allungo verso il telefono e digitò
pochi numeri. “Mi mandi il paziente
numero 123.”Attaccata la cornetta iniziò
a guardare la porta marrone dirimpetta
a lui. Si vedeva il nervosismo nel suo
volto e nel continuo torturare un povero
tagliacarte tra le sue mani ossute. Infine
sentì dei passi che subito riconobbe.
Bussarono alla sua porta. “Prego” disse
gentilmente. Entrò così il paziente
numero 123. “Si sieda”, disse Olivi
“Allora, mi dica, qual è il problema?”
“Qual è il problema?”, rispose il paziente,
col volto disperato, “Mi dica lei: cosa
devo fare? Il mondo mi è contro. Tutti
pensano che io sia schizofrenico, ma
non ho visione di alcun genere: non mi
credo né padrone del mondo, né signore
di un qualche altro pianetuccolo. Cioè:
come possono dire che io sono pazzo?”
“Hai ragione. Stavo cominciando
a riflettere sull cosa: tu non hai
allucinazioni costanti. Hai solo quel...
Lui, giusto?”
Fece di sì con la testa. Si guardarono.
Cominciava a sentirsi strano, quasi fuori
di sé. Sentiva di non odiare più l’Olivi. Ma
sapeva che questa era una consolazione
deleteria: lui aveva bisogno di Lui.
Non aveva un’identità senza Lui: aveva
bisogno di Lui per trovarla; se lo sentiva
dentro. Ma i medici non lo aiutavano:
lo sorvegliavano. Gli impedivano di
vederlo. E Lui? Che poteva fare? Solo
l’Olivi cominciava a capirlo. Solo lui.
Allora il paziente lo guardò meglio
negli occhi. Lo osservò con cura. Lo
penetrò quasi. E poi scoppiò a piangere.
Abbracciò l’Olivi.
“Finalmente ti ho trovato!”
Leggende Filosofiche - Parmenide e il problema della Doxa
di Francesco Fiero
Ci fu una volta un uomo lungimirante
(ovviamente siamo ironici) chiamato
Parmenide, residente a Elea, colonia
greca a sud di Pastal Paestum. La sua
vita scorreva tranquilla come il panta
rèi di Eraclito, quando a un tratto tutto
(letteralmente tutto) smise di scorrere.
Infatti, il suo grattacapo principale, in
quel momento, era la sua amata dòxa,
con la quale si lavava il suo essere unico
ed omogeneo.
Peccato che seguendo le sue stesse
teorie ignobili, Parmenide era arrivato
alla conclusione che la dòxa, giunta al
punto massimo della sopportazione,
si rifiutava di emettere il suo getto, in
quanto definito immobile dallo stolto
uomo.
Parmenide sapeva di aver ferito nel
profondo la dòxa, anche se la sua era
una semplice opinione. Il broncio della
sua amica, però, non era apparente.
Per farsi perdonare, Parmenide cominciò
a tessere lodi nei confronti della dòxa,
attribuendole dei pregi, e proponendo
delle congetture del tutto discutibili:
“Sei eterna, sei immutabile, sei
immobi...Ehm, no, quello no! Sei unica,
sei finita!”.
Interpretando male quel suo ultimo
inconcludente elogio come una minaccia,
l’offesa e vituperata dòxa prese la giacca
e se ne andò a casa del padre, Talete.
In preda alla disperazione, Parmenide
si lasciò andare a pianti incontrollati,
urlando a squarciagola le sue più famose
massime, che siamo sicuri verranno
attribuite a lui e soltanto a lui:
“Essere o non essere! Questo è il
problema!”
“Ei fu siccome immobile...”
“Eppur si muove”
Così come l’aforisma più celebre,
talmente subilime da fargli vincere il
premio Strega:
“L’apparenza inganna!”.
Non potendosi fare nemmeno il la
vaggio del cervello in quanto sprovvisto
di dòxa, Parmenide ovviò al problema
acquistando a un prezzo stracciato
una vasca da bagno nuova di zecca. Il
venditore? Empedocle di Agrigento.
Il motivo? Era dell’idea che le vasche
da bagno sono le tombe dei padri. A
ognuno le sue grane...
Morale della favola:
-Se stai fermo come il vino, l’unica cosa
che puoi fare è ubriacarti, o proprio
volendo, filosofeggiare.
-Se la tua dòxa in preda a una crisi
isterica prende la giacca e se ne va, non
ti preoccupare: Sei ubriaco, è normale
vedere certe cose. Altrimenti per
esclusione sei un filosofo.
19
-In fondo in fondo, come dice Eraclito,
il filosofo e l’ubriaco non possono stare
uno senza l’altro. Il filosofo è ubriaco
di suo, ma ubriacandosi filosofeggia, di
conseguenza l’ubriaco è un filosofo.
Questa è filosofia, ragazzi.
Ah, e non venitemi a dire che sono
ubriaco.
Io sono astemio.
Gli Stornelli del Manzoni
Mr Lonely
di Anna Crosta 2ªA
Ma chi è questo assurdo individuo che
attraversa tranquillo e indisturbato i
sentieri del nostro corpo? Sei tu Mr
Lonely? Dove sei, ti percepisco come
un adesivo appiccicato sulla pelle ma mi
risulta davvero complicato scorgerti, che
fai? Giochi a nascondino nel mio corpo?
Così non vale però...dove si è intrufolato
adesso Mr Lonely? Appoggiato sui
miei lineamenti irregolari, intrappolato
nel mio corpo goffo ed impacciato,
strisciato nei miei vestiti trasandati o,
più semplicemente, riposa cullato dalle
fantasticherie del mio pensiero?
Mr Lonely sei tu o sono io? Sia tu che
io? Le mie fantasie o le tue? O nessuno
di noi due?
Mr Lonely è il più abile trasformista di
tutti i tempi, il più stupefacente mago, la
pelle più variopinta, quella più neutra, il
personaggio multiforme più originale, e
l’uomo più banale. Mr Lonely è l’amico a
cui tutti vorrebbero strappare qualcosa,
Mr Lonely sono i vestiti che tutti vorremo
indossare, sono le gambe con cui tutti
desidererebbero poter fare una corsa, Mr
Lonely siamo noi, la nostra apparenza,
l’articolata impalcatura costruita su
misura per la nostra sagoma che, privata
anche solo di un minuscolo pezzetto,
risulterebbe completamente smontata e
sola nella sua unicità. Mr Lonely è l’abile
controfigura che si muove per noi, che
ci protegge dagli eventuali e sempre
vicini pericoli quotidiani, che soddisfa
le nostre ambizioni, che raggiunge i
nostri successi, è quel costume di scena
in cui accuratamente ci infiliamo per
sormontare il palcoscenico del mondo
e da cui ci spogliamo in presenza di
noi soli. Questo travestimento elastico
e mimetizzante ci carica di sicurezza,
disinvoltura, intraprendenza, modella il
nostro corpo, lo tagliuzza, lo modifica,
lo ritocca, lo copia, lo incolla secondo la
convenienza dell’ambito e del luogo.
Corpo sciolto e rilassato, viso
affascinante, sguardo penetrante, tutto
in regola, Mr Lonely sta facendo il suo
dovere; ci ripara dalle costanti intemperie
del giorno e della notte, ci protegge col
suo guscio fragilissimo dal caso, dal
mistero, dalla solitudine, dal timore,
dall’incapacità di orientarci in una realtà
sconfinata e dispersiva. Bè, che dire,
ho come il presentimento che questo
signor Lonely, con il quale, nonostante
gli estenuanti sforzi, non sono ancora
riuscita ad instaurare una confidenza
Racconti
salda e profonda, stia diffondendo il suo
microscopico virus un po’ dappertutto a
nostra, suppongo, quasi totale insaputa.
L’etichetta Lonely però non può venir
pienamente compresa in tutte le sue
sfaccettature senza evidenziare i casi di
contagio più evidenti.
Erano circa le otto, la tua personcina
barcollante e sonnolenta, ti ha spinto in
bagno prima di affrontare la sconfinata
distesa di minuti scolastici, e proprio
mente stavi per varcare le sacre porte
d’uscita non sei riuscita a trattenere
quell’occhiatina, prima di sbieco,
poi, notata al volo un’ irreparabile
imperfezione, ti fermi, ti giri di poco, poi
del tutto, ed eccoti lasciata scivolare nelle
attraenti e robuste braccia del Signor
Specchio, è andata così stamattina? E
ieri? Com’erano i capelli? Su, giù, di
lato da una parte, dall’altra, davanti, di
dietro, mossi, fermi, ondeggianti, gialli,
neri, rossi, verdi, blu, oh Dio! Quante
incertezze! Hai obbedito correttamente a
tutti i gesti di scena mattutini, occhiatina,
sorrisino, come va, che palle, ciuffetto,
mutande, non troppo su, non troppo
giù, equilibratamente a metà, cintura,
pantaloni, abbinamenti, trucco, aggiusta
qui, ritocca lì, tutto a posto, pronta,
meravigliosamente pronta.
Talmente sicura di te che pur di non
spostare di un millimetro il fine capello
platinato dalla posizione faticosamente
raggiunta, ti irrigidisci, stai lontana dalle
finestre aperte per evitare catastrofiche
correnti, non guardi in faccia nessuno,
e orgogliosa della tua accuratissima
applicazione, esci terrorizzata dalle tue
quinte sanitarie e cominci la messinscena
scolastica, come, ogni, sacro, santo,
giorno. Cara amica e, perché no,
caro amico, la sindrome Lonely vi ha
definitivamente colpito, il contagio ha
raggiunto ogni parete del tuo corpo, si
è spalmato su ogni poro della tua pelle,
ti è scivolato dentro, ma prima o poi se
ne andrà? E se riuscirà ad abbandonarti,
cosa rimarrà di te, di lui, di loro e di me?
Se quel ciuffetto cadesse, se i pantaloni
salissero senza possibilità di discesa, se
il mascara ci vomitasse in sbaglio il suo
nero denso su tutto il corpo, se le maniche
si accorciassero, le cosce si ingrossassero,
se la penna ci scarabocchiasse nel bel
mezzo della classe, se lo specchio si
rompesse...sarebbe l’inizio di un incubo
tremendo...o solo un mondo costituito
da persone diverse? E quale significato
assumerebbe allora in questo caso la
parola diverso?
Mr Lonely è partito , per quanto non si
sa, forse per sempre, per dove poi, forse
se ne va da chi nemmeno lo conosce, da
20
chi non lo desidera, o da qualche scemo
che ancora non ha capito chi è...ma siamo
sicuri di sapere con certezza chi saremmo
noi se Mr Lonely ci lasciasse? Chi
saremmo senza quel volto colorato, senza
quell’armonia di accostamenti dipinta
sul nostro corpo, senza quell’andatura
ondeggiante e seducente che ci ha
sempre reso così miracolosamente fichi,
chi diventeremo, dove ce ne andremo,
spogli di tutto ciò che abbiamo costruito
e plasmato su di noi per essere chi
pretendevamo di essere? Saremo deboli,
indifesi, disorientati, scoraggiati, in
preda ad ansie incurabili, a drammatiche
insicurezze, a ingestibili imbarazzi, a
incomprensioni reciproche... l’assurdità,
non la capiremo mai. Ecco che giunti
a questo punto, subita la mostruosa
trasformazione,
rimaniamo
nudi,
scomposti dalla nostra imperfezione,
pieni della nostra integrità, saremmo
pezzi unici molto rari e preziosi che un
domani tutti desidereranno possedere.
Sembrerà
all’inizio
un’impresa
impossibile rompere le solide barriere
della nostalgia dell’immagine, del
pregiudizio,della differenza, dell’estetica,
dell’inconsistenza che ci ha abbandonato
senza il minimo preavviso. Dovremmo
squadrare
il
nostro
corpiciattolo
estraneo e spoglio, ci basterà una rapida
occhiata per capire che non sarebbe un
buon amico, dovremmo risalirlo fino
a raggiungere la mente e stabilire lì la
sede del significato di una vita nuova e
originale, in profondo e sincero contatto
con la realtà del nostro ambiente,
dovremmo risolvere con la parola e con
la voce l’insicurezza e l’incomprensione
verso una realtà che non conosciamo e
che non capiamo, dovremmo cominciare
ad essere ciò che non siamo mai stati, ciò
che non avremmo mai voluto essere.
Dovremo cominciare a meravigliarci
della varietà del mondo, a stupirci della
sua originale scomposizione, e ad essere
orgogliosi di farne parte, interpretando il
ruolo che nessun altro può interpretare,
quel ruolo che si chiama Io. Dovremmo
cominciare a non essere nulla, eccetto
che noi. Dovremo avere il coraggio di
sederci fra il pubblico e ridere insieme
della finzione, della menzogna, della
falsità, degli scambi di ruoli, perché
se tutti ne ridessimo, tutto questo non
esisterebbe più. Gettiamo i panni del
nostro personaggio, abbandoniamo le sue
meccaniche abitudini, smascheriamoci
dal trucco, strappiamoci di dosso tutti i
microfoni che parlano per noi, e caliamo
il sipario della nostra farsa ridicola farsa,
perché solo gli attori sanno recitare, tutti
gli altri potranno sempre e solo fingere.
Gli Stornelli del Manzoni
Racconti
15 Marzo 1987, pomeriggio ventoso e occhiaie
di Sofia Simonetti 5ªE
(diciassette e quarantuno.)
Oggi è stato uno di quei giorni freddi, apatici, meravigliosi, quando esci con le scarpe buone e pochi marchi in tasca.
Stamattina il mio letto era sfatto e la mia stanza puzzava di fòrmica; per la strada si vedevano solo distinti signori con lunghi cappotti
di cammello e studentelle che hanno perso la retta via.
Per salutare il nuovo giorno sono andato nei cessi di un free shop e ho conosciuto una ragazza dai capelli biondo fragola, che mi porge
un sorriso sbrecciato come una vecchia tazza rotta e mi dice di chiamarsi Rashida. Profuma di china e di frutta fresca e la prima volta
che mi bacia sento il sangue che si fluidifica e le orecchie mi fanno male; è deliziosamente naif, si è appena trasferita da Völklingen.
È da quando ho sentito queste parole che le dieresi non mi rimandano solo a due maledetti puntini su una lettera, bensì a una danza
spregiudicata disegnata sulle sue labbra sanguigne.
Ci siamo seduti, abbiamo chiacchierato su una panchina verde bottiglia in un parco della zona Est. Pochi minuti dopo la brandina
cigolava e noi consumavamo il nostro primo incontro in silenzio, con la brina fuori e le sigarette postcoito che languivano dalle nostre
bocche imbarazzate. Subito dopo ha borbottato qualcosa e se n’è andata. Così.
È un vero peccato che troppo spesso i grandi romanzi d’amore abbiano un solo protagonista.
A presto,
R. Klaus
Tabù
di Elisa Monti 1ªE
Parlava da sola,sapeva di essere un
pochino pazza, o meglio, sapeva che se
solo avesse parlato alla gente comune di
tutti quei discorsi privi di interlocutore
che buttava giù ogni notte, gli altri sì
che l’avrebbero definita “pazza”. Lei
non è che si facesse poi tanti problemi
insomma, non emergeva nessuna forma
di male del resto.
Parlava con le sue maschere, quei
centomila se stessa che il caro Pirandello
le aveva detto di essere, lo faceva quando
era uno e si sentiva nessuno. Una voce
del momento dava il via, in un contesto
fuori luogo, fuori realtà. Le altre voci
rispondevano a turno, fino a confondersi
e sovrapporsi, un’ esplosione di suoni, di
personalità, modelli, sprazzi di vita reale,
passata, verosimile. Messe alla prova le
sue voci, le maschere, la ragazza dagli
occhi di miele ne sceglieva due o tre per
il giorno dopo, una sola per ventiquattro
ore non bastava, si sgualciva, stancava.
Selezionava la maschera vivace per la
scuola, quella scorbutica per la famiglia,
quella con difetti vocali, troppo silenziosa,
per la compagnia delle compagne di
pattinaggio sul ghiaccio. Era felice, stupita
di aver imparato a dominare totalmente
se stessa, a capirsi, a governarsi. Ben
presto però si rese conto che tutto questo
sistema di autocontrollo che aveva messo
in piedi con maschere di ricambio andava
sempre più verso il degenero. Le figure
si corrodevano al solo contatto con gli
altri, doveva cambiarne continuamente,
tanto che affannata rinunciò a tutto,
andò allo sbando, non era più in grado
di autogovernarsi, si era totalmente
lasciata andare al corso degli eventi, ma
pensava; se si arrabbiava taceva, perché
capiva, capiva gli altri, forse fin troppo;
agiva per se stessa ma in funzione degli
21
altri e quindi anche per loro, a volte
troppo. Sperava e sorrideva, sbarrando
dietro ai denti quella rabbia superficiale
e reazionaria che non aveva alcun
senso dopo un ragionamento fondato
perché la situazione già l’aveva risolta
tutta. Esprimeva questi suoi sentimenti
nascosti borbottando durante il ritorno a
casa, coi capelli davanti agli occhi e un
dizionario che copriva la bocca. Con gli
amici parlava, ma dopo; quando voleva
solo ed esclusivamente tirar fuori la sua
rabbia superficiale che se ne faceva dei
consigli ed i giudizi degli amici? Già se li
era dati da sola, non è che ci fosse molto
da dire! Inversione logica e cronologica.
Lei cercava solo un istantaneo posto da
urlo, ma la gente si domanda… cavolo!,
ti domanda; cerca sempre un perché che
non si è sempre e comunque disposti
a dare, per pura pigrizia e pure per
incoscienza. Aveva bisogno solo di una
piccola scatola di cartone insonorizzata,
bastava. Allora parlava da sola , come
se i pensieri ottundenti la mente,
inutili ad una realtà ormai trascorsa
o fisicamente impossibile, venissero
liberati definitivamente, varcando le
labbra panciute, verso un altrettanto
ormai inutile o fisicamente impossibile
interlocutore con la risposta già pronta e
dalla voce multicolore.
Gli Stornelli del Manzoni
Acchiappasogni
Non c’è niente di più
bello di me
L’indimenticabile ragazzo
di Mara Passerini 4ªE
di Ika
Non c’ero riuscita….. non ce l’avevo
fatta! Il suo sguardo mi trafisse il cuore,
ed un suo sorriso sfiorò la mia anima.
Era sempre così quando, per un solo
istante, i nostri sguardi s’incrociavano.
Lui era il sogno più bello la notte e, di
giorno, il pensiero più fitto nella mia
mente.
Non riuscivo proprio a spiegarmelo:
perché era successo a me? Proprio a
me, la ragazza col cuore di ghiaccio. Mi
stavo preoccupando troppo…. era solo
una stupida cotta!!
Doveva essere così... invece mi
sbagliavo… La mai passione per lui
accresceva di giorno in giorno; arrivai
persino ad illudermi di potergli piacere…
ma in me sapevo che non era così.
Nel suo cuore c’era probabilmente già
un ‘altra, più grande , bella e simpatica
di me…non avevo speranze!
Dopo essermi demoralizzata per bene,
cominciai a fantasticare su di lui e sul
suo fisico possente, ignara che il giorno
dopo sarebbe arrivato il momento della
verità.
Quella mattina arrivai a scuola mezza
assonnata, e senza alcuna voglia di
sorbirmi la noiosissima lezione della
prof di francese.
Ad un tratto, sbucò da un angolo un
piccoletto, mi consegnò un bigliettino e
scappò via. Su questo c’era scritto: “Ti
aspetto oggi per le tre al parcheggio dei
motorini. Marco.” Un po’ sconcertata
non dubitai un secondo ed accettai
l’invito. Ormai non avevo più nulla da
perdere!
Alle tre meno dieci, ero già li. Aspettai
per un quarto d’ora e, proprio mentre
me ne stavo per andare, mi sentì
prendere per un braccio e, in seguito
abbracciare, da due mani a me purtroppo
sconosciute…erano quelle di Marco.
Io rimasi impietrita dal suo gesto
d’affetto; nessuno ci aveva mai provato.
Mi sentii in paradiso. In quel momento
non c’era persona più felice di me.
Dopo essermi ripresa, contraccambiai
l’abbraccio ma, nel mentre, le sue labbra
si posarono sulle mie, e fu la fine.
Il cuore incomincio a battermi a mille,
diventai rossa come un pomodoro e, la
mia faccia, venne solcata da una piccola
lacrima di felicità, che lui si affrettò ad
asciugarmi.
Il sogno più bello della mia vita era
diventato realtà.
Poi, dopo un giro mano nella mano per
il parco, mi riaccompagnò a casa, e quel
pomeriggio non feci altro che pensare a
lui.
L’indomani lo cercai dappertutto, ma
per mia sfortuna non riuscì a trovarlo.
Allora chiesi ad un suo amico il quale
mi disse che Marco aveva avuto un in
incidente in moto il pomeriggio prima
e ne era rimasto gravemente leso…
rischiava la vita.
Mi sentii terribilmente in colpa.
“Probabilmente se non mi avesse
riaccompagnato a casa non sarebbe
successo, è colpa mia…”.
Non riuscivo più a dormire, a
concentrarmi, piangevo e sentivo i sensi
di colpa affiorare nella mia mente in
continuazione.
Pensavo a lui giorno e notte, ed in
particolare al bacio, quel piccolo ed
insignificante gesto che aveva cambiato
la mia vita.
Passarono i mesi e Marco non dava
segni di miglioramento. Ormai tutti
i giorni ero in ospedale da lui , non
accorgendomi che vederlo in quella
situazione peggiorava il mio,già
catastrofico,stato d’animo.
Gli tenevo la mano parlando un po’ di
me, di come sono fatta, e di come il mio
sentimento per lui fosse diventato così
grande.
Ma, mentre gli dicevo ciò, cominciai a
pensare che vederlo morto sarebbe stato
meno doloroso che continuare a fargli
compagnia in un percorso agonizzante
appeso a quel filo di speranza che ormai
lo aveva abbandonato.
All’improvviso, mentre mi lasciavo
trasportare da questi spiacevoli ma
necessari pensieri, sentii un grido nella
mia mente e poi di colpo silenzio. Vidi
il suo volto impallidire e la sua mano
raffreddarsi.
Mi ci volle un solo istante per capire
che la persona di cui mi ero realmente
innamorata era sparita per sempre,
lasciando il vuoto dentro di me.
A quel punto era inutile disperarsi,
certo il fatto di sapere della sua morte
imminente non rendeva la cosa meno
dolorosa, ma mi aiutava ad andare
avanti sfidando quel crudele destino
che ci aveva riservato una sgradevole
accoglienza nel mondo, troncando sul
nascere il nostro amore e cancellando
con un soffio, i nostri giovani piani.
22
Stufa dell’ipocrisia che impera in questa
scuola, decido solo dopo cinque anni di
lamentarmi.
Vedo ragazzine che vogliono attirare
l’attenzione solo puntando sul loro
aspetto; insomma perché non tirate
fuori anche la vostra personalità, che
rimane subordinata alla “lunghezza”
delle vostre minigonne?
Vedo ragazzi che si sentono fighi solo
quando sputano per terra, quando
fanno i maleducati (altro che istituti
professionali, fate un bel soggiorno
nella mia classe e vedrete), quando
commentano da veri porci gli
abbigliamenti di noi ragazze.
Fighi di che? Di che cosa? Ho conosciuto
ragazzi che, pur non avendo occhi azzurri
e capelli biondicci, hanno dimostrato
un magnifico sex appeal con estrema
naturalezza e un pizzico di timidezza,
che non guasta mai!
Vedo persone che si preoccupano del
voto che prenderanno, benché abbiano
la media del 9,5 in tutte le materie,
eccetto forse educazione fisica.
Vedo gente che fa dei pettegolezzi la
propria linfa vitale.
Andiamo, ragazzi, smettetela ed iniziate
a vivere a pieno la vostra vita!
Vedo ragazze che hanno paura di parlare
di loro stesse, di mettere in mostra i loro
Gli Stornelli del Manzoni
sentimenti.
A loro dico di non avere paura dei giudizi
degli altri, perché niente può farvi più
male del vostro giudizio su voi stesse.
Gli altri, se non vi stimano, vuol dire che
non hanno capito niente!
Vedo la tristezza sul suo viso e mi chiedo
perché... voglio solo dirle che è grazie a
lei che sono uscita dalla depressione che
mi aveva colpita più di un anno fa.
Vedo l’ipocrisia nelle parole di uno che
difende a spada tratta l’interiorità delle
persone, lui che è il primo a giudicarti
per quel che appari e non per quel che
sei e sai.
Vedo ragazzi, troppi ragazzi, che
indossano maschere per nascondere la
loro debolezza.
Ricordate che voi sapete chi siete, e siete
belli così!
Vedo persone che si drogano, ma
davanti ai professori mentono dicendo
di non approvare chi fa uso di sostanze
stupefacenti...
Vedo, vedo troppo dolore allo specchio
quando mi guardo e vedo solo i miei
fallimenti, ma io sono così e non c’è
niente di più bello...
Queste righe non vogliono essere una
predica, ma solo un consiglio per vedere
le cose, forse, finalmente in maniera
diversa.
Acchiappasogni
Poesie
Testa e Cuore
L’ultimo canto
di Ivan Ferrari 3ªA
di Ivan Ferrari 3ªA
Non posso fermare le lacrime.
Sono la mia sola ragione di vita,
che aria si è fatto il mio pensiero
e una brezza sottile l’ha spazzato.
Dove sono la mia testa e il mio cuore?
Quale dio crudele li ha rapiti?
Sono forse negli empirei,
sotto lo spazio e il tempo,
oppure la realtà li ha vomitati
in un sostrato di nulla.
Per lasciarmi un corpo goffo
dove far marcire la carne.
Una solitudine innaturale.
La solitudine di chi non ha tesori,
di chi non è capace di alcuna magia
nemmeno nel più profondo,
nascosto e radicalmente suo,
abisso del proprio triste io.
Sono davvero sorprendente
solo nelle mie mancanze
e più di ogni altra cosa
mi manca me stesso.
Posso solo ubriacarmi di lacrime
e cadere addormentato sul nulla
della mia rumorosa nullità
filtrando l’anima mutilata
tra le lenzuola sporche dell’eternità.
Questo è in tua gloria l’ultimo canto
e lo dedico al tuo devastante silenzio.
Sia l’ultimo inutile e insano mio pianto
che verso nell’amaro del tuo assenzio.
Dei tuoi grandi, splendidi occhi scuri.
Essi vedono solo visioni d’altra vista
e puntano a vari, lunghi sentieri futuri
di cui il mio passo non batte mai la pista.
Sei cielo e terra, sei vapore e roccia.
Il soffio caldo che spira sul mare mite.
Tempesti il cuore come sotto la doccia
l’acqua accarezza le umane carni sfinite.
Il sangue che agiti nei tuoi movimenti
non dorme, non cede, è sempre vitale.
Lascio che il sangue mio s’addormenti
Perché io non ho la tua forza immortale.
Tu non sai la calma, né sai la pazienza.
Per questo ti amo, per il tuo scompiglio.
Io che non so dare al mondo irruenza
nei flutti di questo assenzio vermiglio.
Mi sei così lontana nel temperamento,
ma nel completarmi egualmente vicina.
C’è un esempio che per te giusto sento:
nel tuo darmi vita, sei come mattina.
Mattina, tu che l’aria dipingi di fresco,
che lucente calore infondi ai miei muri.
Mattina che sorgi, vivanda sul desco,
dal sole allungata tra i vicoli più scuri.
Conforto dei bimbi smarriti di quest’isola
che c’è e che non c’è nel mar delle stelle.
Tra le cui luccicanti immensità, tu sola
riverberi una luce più intensa di quelle.
Time
di Flavia 2ªC
Il re è troppo pigro per muoversi
E poi
Non vorrebbe mai rischiare lo scacco
matto,
no?
È pericoloso là fuori.
Tutt’al più
Manda avanti qualche inutile pedina
Piccolina.
E perfino alcune di queste
Tornano indietro fuggendo,
come bambine viziate e frignanti
che cercano la mano materna.
È una polverosa scacchiera
Imprigionata in un’afosa boccia di vetro
Che il fiume urlante del tempo
Trascina avanti impetuosamente,
con forza,
con crudeltà.
Eppure
neanche una crepa scalfisce quel vetro,
eppure
gli urti e le percosse e le frustate
dell’acqua
non intaccano quella immobilità
e non riesco a capire
come sia possibile.
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Lasciato senza
dormicilio
di Unknownimo
Ero stanchissimo.
Mi tolsi le scarpe.
E le misi ai piedi del letto.
Il letto se le allacciò
E
Auguratami la buonasera
Caracollando s’allontanò.
Tenente, ho caldo
di Unknownimo
Non mi sento tanto
Bene, Tenente.
Devo essermi beccato
Un colpo di
Calore.
Il carrista Umberto Calore
Aveva
Una mira schifosa.
Gli Stornelli del Manzoni
Esperimenti
Introduzione all’opera
di Francesco Fiero
Ci sono giornate in cui si vuole sperimentare.
Giornate in cui le riunioni del giornalino sembrano chiedere qualcosa di più, secchiate di vernice colorata in un mare
monocromatico.
E allora può saltare fuori un’idea, come una pulce altezzosa sulla cute, sprezzante del pericolo e alimentata dalle sue doti
atletiche fuori dal comune.
Cosa succederebbe se nove persone si mettessero a un tavolo, prendessero altrettante parole a caso da un quotidiano, una a
testa, e poi scegliessero una decima parola alla quale sono tutti vincolati, e che farà da tema centrale?
Oltretutto, cosa ne verrebbe fuori, contando che ogni partecipante di questo folle “gioco” dovrà comporre un periodo con
all’interno la parola assegnata, e facendo riferimento sia al tema centrale che al periodo della persona precedente, l’unico che
può consultare?
Forse è un po’ complicato a spiegare il tutto chiaramente, ma quello che vedete qui sotto è il risultato. Il tema centrale?
L’odissea. Le parole che la sorte ha affidato a ogni componente? Beh, provate a indovinarle voi...
Odissea
di Victorannaamarfrancescosofiaandreafedericogiorgiafrancesca
Nell’odissea il sesso trionfa come argomento del sommo poeta: vive con Penelope nella mancanza, vive con varie
dee dei saperi, muore con il ritorno da Penelope.
Qualsiasi essere vivente lo fa: giocando, riflettendo, disperando e torturandosi per non aver guadagnato la propria
vittoria, d’altronde era un eroe, e non c’è eroe che sia riuscito ad ottenerla.
Lo stesso status di eroe, invero, risulta un’appendice parassitaria dell’individualità, una zecca che, stampata sulla
pelle, risucchia il contrasto che definisce la persona come tale, riducendola a un lugubre manichino al servizio del
suo ruolo, e solo di quello.
Una bambola di pezza smarrita, senz’anima, un burattino il cui governo è dettato da un’idea distorta di superiorità,
figlia di una superbia difficile da cancellare.
La libertà violata di un unico insulso omino di legno, succube dalle mani autoritarie di un uomo senza nome.
Quest’uomo era capace di costringere a fare viaggi assurdi, in scenari assurdi; basti pensare che nel 2016 l’attrazione
per tutto ciò che avesse a che fare con l’assurdo era enorme.
Infatti la galassia è assurda, e nessuno saprà mai com’è fatta totalmente
Solo al cinema potrebbe trovare un senso, ma si tratterebbe comunque di un’odissea , l’odissea di un’odissea.
Ma non ha importanza la differenza tra odissea e odissea, l’importante è sapere che il paese dei balocchi è uno solo,
dovunque si vada.
CONCORSO
FOTOGRAFICO
“MARCELLO
COLOMBO”
Se siete appassionati di fotografia potete partecipare a questo
concorso, che è aperto a tutti i nati dal 1980 al 1990; la giuria sarà
presieduta
dal famoso fotografo Maurizio Galimberti e il primo
premio è di 500euro. Per maggiori informazioni e per le modalità di
iscrizione andate sul sito www.amicidimarcello.org oppure consultate il
manifesto nella bacheca del primo piano davanti alla macchina del caffè.
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