L`uomo, la carne, la storia

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L`uomo, la carne, la storia
L’uomo,
la carne, la storia
“GASTRONOMIA - scriveva il prof. Luigi Firpo in Gastronomia del Rinascimento - al lume della
sua dotta etimologia greca, starebbe a indicare la “regola dello stomaco”, il Corpus iuris e l’enciclopedia dell’alimentazione.
In questo generalissimo senso, è una scienza che nasce con l’uomo stesso, l’onnivoro per eccellenza, attraverso le sue innumerevoli e arrischiate esperienze di raccoglitore e consumatore di cibi
crudi, compiute con rischi mortali nel buio dei lunghi millenni. Seguì poi la conquista del fuoco e
la scoperta della sua azione sulle vivande, con virtù di mutarne, attraverso la cottura, il sapore, la
digeribilità, la conservazione. Esponendo la sua preda sanguinolenta alla fiamma viva, pazientando quei pochi attimi prima di divorarla con la sua fame lancinante, l’uomo delle caverne inventò il primo manicaretto tuttora in auge: l’arrosto”.
Sul Nilo - si legge nella pubblicazione CO.AL.VI “I piaceri della carne” - l’allevamento dei bovini per
la produzione della carne avvenne quando il controllo delle acque e l’estendersi delle coltivazioni permise un accantonamento di sufficiente foraggio. La tecnica preferita di cottura era la lessatura.
In Grecia, considerato il fatto che la cottura della carne al fuoco diretto o su griglia era ritenuto
un procedimento primitivo e barbaro, si procedeva alla bollitura prima dell’arrostimento, mentre
nei banchetti etruschi predominerà grande quantità di carne alla brace.
I romani, famosi anche per i loro proverbiali eccessi conviviali, svilupperanno nuove tecniche di
preparazione che trasformeranno la carne (mal frollata e “dura” in quanto era permesso macellare solo bovini vecchi e non più idonei al lavoro) in battuti, triturazioni al mortaio, polpette e farcie, spezzatini e piccole porzioni, comunque preferite anche per la particolare posizione dei
commensali, sdraiati sul fianco e appoggiati su un gomito.
Con le invasioni barbariche si verifica un graduale ritorno a un cibo primitivo, con appiattimento
di gusti e di consumi: la carne è ciò che differenzia i ricchi e la cucina medievale può contare su
una minore varietà di ricette rispetto a quella romana in quanto i bovini non erano allevati come
fonte di cibo, ma essenzialmente come animali da lavoro. La carne era fornita dalle grandi cacce.
Nel banchetto ricco, la quantità, i grandi cumuli di cibo danno comunque il senso della festa e i
giganteschi arrosti di vitello spesso servono da copertura esterna per una serie stupefacente di arrosti di altri piccoli animali e selvaggina, inseriti uno nell’altro “a mo’ di matrioske”.
Verso il Rinascimento la carne di manzo e di vitello è ancora considerata un piatto ricco. I banchetti diventano spettacolo e i “trincianti”, veri e propri conoscitori della cucina (ma anche della
musica, della danza, della mitologia e dell’araldica) e affascinanti comunicatori, completano l’opera
del cuoco con la preparazione delle vivande in tavola, porzionando le carni “… con naturalezza
e tocco leggero, dissimulando difficoltà e fatica, con grazia, con la persona dritta e giusta, senza
pendere da nissuna banda, composti ma non rigidi come si avesse “un palo cacciato derieto”, attenti a che l’aspero taglio… fa la tagliata carne assai manco saporosa…”
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L’uomo,
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Photo from: worldwinepassion.it
Dal ‘600 comincia a delinearsi una divisione tra la cucina quotidiana, con connotazioni regionali
di base semplice e a volte addirittura povera, e quella delle corti e dei nobili. Inoltre, la rapida diffusione in Europa di verdure esotiche (ma non solo) dall’India, dall’Oriente in generale e dalle
Americhe, fanno diventare la cucina “internazionale” .
Fioriscono poi nel ‘700 le pubblicazioni di libri gastronomici e nasce il “potager” che, con più focolai consente una gamma maggiore di possibili cotture anche per la carne (lenta, vivace, sobbollitura, graticola e fuoco dolce). Aumenta inoltre la distanza fra la cucina di tutti i giorni e quella
“colta” del professionista, lo “chef de cuisine”, presto abbreviato in “chef”.
Nell’800 la vera gastronomia diventa un fatto di soli professionisti e la cucina “colta, cosmopolita ed internazionale, che ingloba ed elabora il meglio da qualsiasi scenario culinario, diventa una
cucina di essenze e quinte essenze, con una precisione e una astrazione quasi chimica…”.
Diventa palese il grande disprezzo per tutto quanto, in materia di cucina, è esistito prima.
In realtà, attorno alla gastronomia si condensano interessi almeno a tre livelli: quello professionale, quello critico letterario e quello della divulgazione popolare “basato sulla grande diffusione
della stampa femminile d’epoca, che cercherà di riportare scampoli e brandelli dell’intransigente
Arte della Cucina, per secoli esclusivamente maschilista, sui fornelli delle nuove cucine a gas delle
signore borghesi (che si riapproprieranno per necessità della cucina quotidiana)”.
In questo contesto faranno poi la loro comparsa le macchine, che libereranno i bovini dal lavoro
dei campi e porranno fine alle preoccupazioni dimostrate da generazioni di governanti “verso lo
spreco” dell’uso dei bovini stessi per l’alimentazione.
L’allevamento specializzato e le moderne tecniche di conservazione e di distribuzione controllate
e garantite, assicureranno sempre di più disponibilità e diffusione per la tavola di tutti della carne,
da sempre portata principe.
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