INSERTO DURAN (Page 1)

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INSERTO DURAN (Page 1)
ANNO X NUMERO 149 - PAG I
IL FOGLIO QUOTIDIANO
SABATO 25 GIUGNO 2005
LA MALIARDARIA E IL BASSISTA FIGO
Come vent’anni dopo un Duran Duran continua a mandarmi in bianco
B
isognerà che qualcuno prima o poi si
occupi coi dovuti strumenti (suggerisco un seminario al Dams) di colmare
questa lacuna. Di dire che sì, d’accordo,
“Sapore di mare”, “Il tempo delle mele”,
“Via Montenapoleone”, per carità, ma il
vero film di formazione dei trentenni (e
anche il mio, sebbene io mi guardi bene
dal compiere più di ventiquattro anni e
mezzo), la vera educazione sentimentale
di gente che pure ha trascorso l’adole-
Per essere una sposabile
Ragazza Ricca non basta vincere
al Totocalcio: sarebbe un
patrimonio privo di solidità
scenza a sciropparsi Godard fingendo di
trovarlo avvincentissimo, il vero modello
comportamentale emotivo di noialtri è
“Turné”. Bisognerà che qualcuno – possibilmente qualcuno un poco più autorevole di me – prima o poi lo dica, che
quell’inizio, “Là c’è una porta rossa, la
voglio nera. Niente colori, tutto nero”, e
il produttore impressionato che lo ferma
prima di uscire, “García Lorca”, e lui
dannato come può esserlo solo uno che
beve Campari dalla bottiglietta e ingurgita pasticche come fossero birra e ama
una con la voce da 144 ma senza tette,
dannato come può esserlo solo uno che
pare dannato anche nelle scene in cui
indossa una camicia rosa, dannato come
può esserlo uno che tiene il punto di
dannazione senza cadere nella stucchevolezza persino in quelle scene in cui al
mare d’inverno si somma “Rimmel” (oddio, forse lì il fatto che avessimo quindici anni aumentava la soglia di tolleranza
allora, e il fatto di avere nostalgia dei nostri quindici anni fa perdurare la tolleranza ora), lui, dannato come uno che allora avrà avuto menoditrentanni ma era
già marcio e vocato all’invecchiamento
precoce, dannato come il James Dean
che gli anni Ottanta si meritavano, lui al
pirla che dice “García Lorca” risponde
con quel disprezzo che per esprimerlo
devi esserti fumato qualche centinaio di
stecche di Marlboro: “Mick Jagger” – bisognerà, dicevo sette incisi fa, prima o
poi dirlo, che quello è un incipit piuccheperfetto, che non riesce a rovinarlo
neppure il fatto che la produzione di Salvatores fosse all’epoca troppo squattrinata per potersi permettere “Paint it,
black” e che quindi dopo quella risposta,
“Mick Jagger”, parta un’altra canzone
(ma a casa mia la videocassetta si vede
coordinando i telecomandi e azzerando
subito dopo “Mick Jagger” il volume del
film e facendo partire Mick Jagger dallo
stereo). Bisognerà dirlo, ma bisognerà altresì dire che, per tutte le ragazze che
hanno passato l’adolescenza a cercare
un Fabrizio Bentivoglio che volesse le
pareti tinte in nero, fu un trauma l’anno
scorso vedere quel film, mi pare fosse di
Rubini, in cui a un certo punto c’è Bentivoglio nudo, una specie di ragioniere
bianchiccio e con la pancetta, uno che ha
l’aria di non essere stato sessualmente
appetibile un giorno in vita sua, altro che
aver (de)formato tutto il nostro immaginario. Il film non mi ricordo come s’intitolasse, ma so che ha segnato la fine di
un’epoca. L’epoca in cui abbiamo creduto che i belli e dannati invecchiando si
disfacessero magnificentemente. Tendenza Marlon Brando. Avevamo un sogno. Poi è arrivato Bentivoglio, nudo e
sprezzante delle nostre illusioni.
* * *
Non c’è bisogno di aver letto Scott
Fitzgerald, per sapere che i ricchi sono
diversi da noi. Ma mi piacerebbe che un
romanziere all’altezza raccontasse gli uomini cui piacciono le ragazze ricche, di
gran lunga la categoria più interessante
che la contemporaneità abbia da offire.
Sì, il loro (il vostro) modello è Gassman
in “C’eravamo tanto amati” – ma c’è molto di più. C’è l’evoluzione della specie.
Il concerto del 2005 è pieno di
ventenni. Significa che le fan
dell’85 hanno figlie ormai grandi.
E’ anagraficamente sputtanante
C’è che ci sono in giro molte più miliardarie carine che scapoli brillanti. C’è che
miliardarie brutte io non ne ho viste, non
negli ultimi decenni. Anni fa a uno di
questi, un ragazzo normale che aveva
sposato una ragazza ricca, nacque una
bambina. Li andai a trovare, e la bambina era un qualunque ragnetto neonato.
Te lo dissi, e tu – che sei un uomo saggio,
anche per questo ti piacciono le ragazze
ricche – dicesti: “Diventerà bella. Le figlie dei ricchi diventano tutte belle”. (Si
rivelò vero, d’altra parte le figlie dei ric-
chi di famiglia diventano belle con certezza genetica: vengono da generazioni
di accoppiamenti tra belli). Dicevo, gli
uomini (voi) cui piacciono le ragazze ricche. Un paio, tra quelli che conosco, mi
stanno molto simpatici, quasi certamente perché non mi piacciono. Il segreto,
per andare d’accordo con costoro (con
voi), è quel po’ di fortuna che basta a non
trovarli(vi) attraenti. Perché i ragazzi cui
piacciono le ragazze ricche sono charmant e simpatici e d’uso di mondo e di
brillante conversazione: altrimenti come
conquisterebbero le ragazze ricche? Sono ragazzi che s’impegnano. Sono ragazzi per cui il matrimonio è la terra delle
opportunità. Sono (siete) quelli che sopravvivono alla selezione della specie
non operata tramite verifica di possesso
di latifondi. Una volta ti ho chiesto se c’era una qualche possibilità che in un futuro magari remoto tu divenissi seriamente interessato a me, non dico mi volessi sposare ma quasi: magari se avessi
vinto al Totocalcio? Tu dicesti di no con
la rapidità e la certezza con cui si respinge un cibo che non t’è mai piaciuto:
“Sarebbe un patrimonio poco solido”.
Non bisogna solo essere ricche, ma anche averli ereditati. Contro certi razzismi
non si può vincere.
* * *
La villa della Ragazza Ricca è situata
nella parte alta dei Parioli, ma io questo ancora non lo so. Cioè: so che è lì che
stiamo andando, perché la proprietaria
della villa l’ha messa a disposizione dell’attrice americana sua amica, l’attrice
americana si deve far fotografare e serviva un posto tranquillo, e a questo punto della vicenda io penso ancora che la
prestatrice di location sia una signora
bene. Quando arriviamo e lei si rivela
una Ragazza Ricca, ventotto anni dichiarati e la concreta impressione che
neppure se li cali, prego che l’immobile
sia almeno roba del fidanzato (i Fidanzati Ricchi sono più alla portata di noi
Ragazze Non Ricche, generano meno
complessi). Poi, in un viavai di persona-
rucci, il primo concerto della mia vita,
John mi ha guardata, sono certa che mi
abbia guardata, e non servirà l’avvento
dell’età adulta e il comprendere che
dal palco, con le luci in faccia, non vedi
neppure tua madre, vent’anni dopo
sarò ancora convinta che lui mi abbia
guardata, e non conta ch’io preferissi
gli Spandau Ballet e fossi lì più che altro per solidarietà di compagna di banco: John era il più figo di tutti.
Flashback#2. 2004. Milano, hotel
Principe di Savoia. Fuori ci sono un po’
di femmine che strillano e piangono.
Sono mie coetanee. Quando i Duran
Duran arrivano, in ritardo per l’intervista di una decina d’ore, mi vengono
assegnati Simon e Nick. John farà l’intervista con un mensile. L’addetto
stampa dice “Tanto a te interessava Simon, no?”. Mi chiedo dove fosse negli
anni Ottanta. Certamente non nella
mia cameretta. Deve essere uno di quegli allocchi che credevano al marketing: “Sposerò Simon Le Bon”, pfui,
mai conosciuta una che volesse sposarlo, si vedeva subito che tendeva a
imbolsire. Comunque, mentre Simon si
ubriaca e Nick mi parla di stilisti, John
passa a fare ciao ciao: ha gli zigomi come una soubrette televisiva italiana e
un attacco di ernia del disco. Nessuna
traccia del ciuffo biondo che poi divenne rosso, e noi di corsa dal parrucchiere per non smettere di omaggiarlo,
prestandoci a messaggi ambigui giacché il ciuffo biondo in quel periodo ce
l’aveva anche Stéphanie di Monaco,
che allora ci sembrava roba di cui le
nostre madri leggevano dal parrucchiere, e solo la saggezza acquisita negli anni ci avrebbe poi fatto compren-
mente venir detta Ragazza Ricca).
* * *
Uno dei primi articoli che ho scritto
era sulle groupie. Sono andata a cercare
gli appunti d’epoca. Li ho trovati. Come
mi ricordavo: avevo chiesto a Enrico Vanzina come fosse la situazione quando loro giravano film con Renée Simonsen e
John Taylor era johntaylor: quello dell’isteria collettiva, quello per cui ci tingevamo il ciuffo, quello con Red Ronnie alle calcagna (allora, persino Red Ronnie
era redronnie, ovvero un ambìto contatto
per farti entrare nel backstage, ma questa sarebbe un’altra storia, la storia del
come tutto passi, persino la gloria momentanea, la storia di come si debba essere gentili con chi si incontra salendo le
scale, perché prima o poi lo si reincontrerà scendendo – un’altra storia, già). Su
quell’epoca dorata in cui John e Renée
erano ciò che David e Victoria non sarebbero mai riusciti a diventare, in cui
fuori dagli stessi alberghi c’erano le stesse ragazze che ci sarebbero state vent’anni dopo, invecchiate ma non cresciute,
epperò anche migliaia di altre che si sarebbero disperse nella crescita, sui golden days il virgolettato di Vanzina faceva
così: “Alloggiavamo al Principe di Savoia.
Lui venne a trovarla e l’albergo era pieno di ragazzine ricche: le milanesi restavano fuori, gli addetti alla vigilanza non
le facevano entrare. Quelle di fuori arrivavano con la mamma e affittavano una
stanza. Curioso fenomeno: groupie borghesi”. Dovrei trarre maggiori insegnamenti di vita dalle cose che trascrivo.
* * *
(Per fortuna sono innamorata di te,
di te che quando la notte, tornata a casa da quella fallimentare festa, ti ho
detto “Domani i Duran Duran suonano
a San Giovanni, ci andiamo?” col mio
miglior tono da donna disinvolta, di te
che mi hai risposto che non ci pensavi
neanche, li hai sempre reputati cinque
cretini. Per fortuna sono innamorata
di te, e non di uno che premuroso capisce le mie madeleine e le previene e
si procura i pass all areas e anche la
scaletta del concerto, ché uno così –
esistesse – mi stuccherebbe nel giro di
due giorni e a quel punto non avrei
più saputo con chi venirci, al concerto.
Per fortuna sono innamorata di te, e
non di uno meno tira-e-molla. Per fortuna tu sei tira-e-molla abbastanza da
chiamarmi alle dieci di sera e dirmi
solo “Dai, muoviti”. Per fortuna, perché dopo essermi fatta fuori un paio di
tacchi nel giardino della villa e un
paio nel prato della piscina volevo giusto distruggere i miei sandali di Miu
Miu preferiti nel fango attorno a San
Giovanni, mentre le ragazzine le portavano via svenute a grappoli, e quelle
che non svenivano sapevano tutte le
parole delle canzoni, e non avevano
più di vent’anni, e che ne sanno loro, e
soprattutto non hanno delle boyband
contemporanee, per cui svenire? Tu
dici che saranno le figlie delle fan, ma
io escludo categoricamente che donne
che hanno avuto le mie stesse band di
formazione abbiano già figlie grandi:
sarebbe anagraficamente troppo sputtanante. Per fortuna ci siamo andati, a
vedere la ridicola isteria dei buttafuori che continuavano a dire che era il
sottopalco era troppo pieno e a fare i
prepotenti con le ragazze educate salvo poi far entrare pressoché chiunque
facesse più il prepotente di loro o fosse amico degli amici, e gli unici che restavano fuori erano quelli col pass
“media” – giustamente, ché a Roma il
numero di stipendiati dai media corrisponde all’intera popolazione, e già il
sottopalco era un carnaio. Per fortuna
ci siamo andati, così ho potuto chie-
Dice Nick: i Blur fanno
canzoni con parole stupide.
Penso io: vabbè, vogliamo
parlare di Wild Boys?
“Tutte avevamo una cotta per
te negli anni Ottanta. Tu non
avevi una cotta per te?”
“Effettivamente…”
le di servizio che sembrerebbe un matrimonio – non fosse che a un matrimonio difficilmente il rapporto ospiti/servitù è di uno a due – spunta una signora
vestita come Emma Thompson in “Quel
che resta del giorno”. Quando l’Emma si
allontana, la Ragazza Ricca fa presente
a qualcuno che è la sua tata da ventisette anni, da quando lei aveva un anno.
Una giornata può cominciare male
(aspettando per due ore e mezza un’attrice che non avrà nulla da dire al registratore acceso) e proseguire peggio (distruggendo un paio di meravigliose
scarpe nell’erba di una villa a Monti Parioli) ma è difficile si stabilizzi su un
grado di crudeltà tale da costringerti a
passare una mattina osservando una
Ragazza Ricca muoversi disinvoltamente e sempre gentilissima nei suoi quattro piani con parco, un unico moto di
stizza quando realizza che i lavori di ristrutturazione della piscina sono più indietro di quanto dovrebbero.
dermi come potesse attecchire il falso
mito di Simon, con quella panza, e cinquant’anni e ancora fare le smorfie alle telecamere, che tristezza. Per fortuna ci siamo andati, e ora so su cosa interrogarmi per la vita che verrà: cosa
smarchettano a fare con qualunque
stilista, se poi John ha ancora la stessa
giacca con gli alamari che aveva ai
tempi di Lady Oscar?).
* * *
La Ragazza Ricca ha un paio di jeans
a vita bassa, e a un certo punto si siede
per terra, e dai jeans spunta una mutanda, ma di seta rossa e sufficientemente
larga da non essere volgare, solo disinvoltamente infantile, come si fosse messa i tacchi della mamma. La Ragazza
Ricca, seduta per terra, fa sbucare un tatuaggio minuscolo sul solco tra le chiappe, e santa pace neanche quello è volgare. La Ragazza Ricca chiede di non citare il luogo dov’è stato fatto il servizio fotografico, altrimenti il papà verrà disturbato da richieste di prestito della villa (e
già i lavori per la piscina son così indietro…). La Ragazza Ricca non è vistosamente bella, ma è inappuntabilmente carina, e a un certo punto arriva un’altra
ragazza, e lei la presenta come “la mia
migliore amica”, e neanche questa è bella, però ha la pelle eburnea e l’aria di
chi non ha pensato a cosa mettersi che
potrebbe avere soltanto la migliore amica di una Ragazza Ricca, ovvero una vicina di villa che per comodità potremmo
chiamare Ragazza Altrettanto.
* * *
Flashback#1. 1984. (Nota: dire alla
costumista di ricordarsi le spalline). Io
nana in tuta rosa con gli angeli di Fio-
John Taylor, Simon Le Bon, Nick Rhodes al Billboard Music Awards a Las Vegas, 2004 (Foto Reuters/Miller)
dere che i Duran Duran se lo sognavano, di essere rock quanto Stéphanie.
* * *
Anni Ottanta. John Taylor sta con la
donna più bella del mondo, Renée Simonsen. Ma dico, tu te lo ricordi “Sotto
il vestito niente”?
Anni Novanta. John si riproduce con
una groupie sciamannata (amica del
cuore di Courtney Love, tanto per chiarire il genere). Amanda de Cadenet, dai
tabloid soprannominata de Flabbenet.
Tempo presente. John è sposato con
Gela Nash, proprietaria di Juicy Couture
(quelli delle tute di ciniglia che a Hollywood tutti indossano per far vedere
che sono talmente fighi che stanno bene
persino con delle tute di ciniglia). Vive
nella villa della Ragazza Ricca, a Los Angeles.
Se i miei calcoli sono giusti, dovendo
ricominciare il giro John dovrebbe ripartire dalla donna più bella del mondo. Ma, non essendo dannato abbastanza da piacere a Kate Moss, passerebbe
alla tappa successiva. Groupie sciamannata. Eccomi qua. Ammesso che dalla
Ragazza Ricca si possa tornare indietro.
(Tu dirai: ma Gela Nash non è una Ragazza Ricca secondo gli standard
poc’anzi esposti, è un’arricchita – oltretutto a furia di tute di ciniglia, che non
sono manco un genere particolarmente
old money. Vero. Ma stiamo parlando di
un’americana e di uno che si tinge i capelli, sulle regole della vecchia Europa
occorre essere un po’ elastici. Per i parametri di un bassista con gli zigomi
plasticati che ebbe un momento di gloria vent’anni fa ma da allora a oggi non
si sa cos’abbia fatto, di certo non ha imparato a suonare il basso, ecco, in tale
contesto maritale Gela può tranquilla-
La festa dello stilista è in una tragica piscina a livello letto del Tevere,
tutt’un’umidità e una molteplicità di
zanzare, nel più vanziniano dei circoli canottieri, quanto di più generone
romano possa esserci, c’è anche la Ragazza Ricca, col suo abitino di quelli
che le tette devono starti su da sole,
addestrate da secoli di benessere.
Quando arrivano John e Nick (non me
l’aspettavo: certo, è ovvio siano a Roma, domani suoneranno a San Giovanni, ma saperlo avrebbe voluto dire
essere sulla notizia, ovvero contravvenire a tutti i miei principi etici), quando li vedo stringere mani di nero vestiti, l’emozione non è neppure eccessiva: dopotutto li ho intervistati pochi
mesi prima, e per un po’ ho continuato a incontrarli ovunque. Simon al
Four Seasons di Los Angeles, e non
mi ha riconosciuta; Nick era nel posto
di fianco al mio su un Los AngelesLondra, e neanche lui mi ha riconosciuta, e grazie al cielo, visto che ho
vomitato per tutto il volo, ma insomma
sembrava proprio facessimo parte
dello stesso giro, è stata un’illusione
breve ma piacevole, dev’esser così che
si sentono tutto il tempo le Ragazze
Ricche. Li guardo mentre s’avanzano
a bordo piscina, penso che l’intervista
di qualche mese fa era stata organizzata da uno stilista – un altro – e insomma non fanno altro che smarchettare per stilisti, i nostri idoli di gioventù sono diventati delle anziane
soubrette, che tristezza. Guardo la Ragazza Ricca e le dico “E pensare che
vent’anni fa avrei dato qualunque cosa, per trovarmi a una festa coi Duran
Duran”. Lei annuisce. And all Hell
broke loose after that.
* * *
* * *
La sera prima, dunque. La festa.
Non lo so come mi sono ritrovata a
chiacchierare con John Taylor. Cioè,
lo so benissimo, ma vogliamo credere
sia stato l’ineluttabile destino, no? L’ineluttabile destino è stato aiutato da
quaranta minuti in cui gli ho fatto la
posta calcolando il momento buono, e
il momento buono era quello in cui
lui, a un angolo della piscina per una
volta non circondato di postulanti che
chiedevano se please potreva farsi
una foto con la loro moglie/figlia/sorella, il momento in cui lui era impegnato nell’impresa che è nutrirsi a
una cena a buffet, ovvero addentare
delle lasagne reggendo il piatto con
una mano, servendosi solo della forchetta e dei denti, e proprio non aveva maniere da Ragazzo Ricco, la mozzarella faceva il filo e lui si stava tuffando nel piatto per contenere i danni, e io con l’aria disinvolta che – lo sai
bene – mi contraddistingue nelle occasioni sociali e ancor più nell’approccio ai sex symbol di gioventù, gli
sono passata a fianco esclamando
“Buon appetito!”’ (devo ripassare quel
manuale sulle pickup line) e poi, con
la nonchalance che immagini, sono
andata al buffet a prendermi da bere
(mai mi sarei fatta vedere a fare il filo
alla mozzarella) e lui è scoppiato a ridere, e diosanto quant’è figo quando
ride non te lo so spiegare. Comunque,
tornando gli ho detto “Tu non ti ricordi di me, ma abbiamo fatto un’intervista a Milano”. Conto sul fatto che non
si ricordi davvero, che non si ricordi
che l’intervista non l’abbiamo mai fatta, e infatti lui – che dalla sua Ragazza
Ricca deve aver imparato un po’ di
buone maniere – dice di sì, e da lì è
tutto semplice e naturale, siamo due
ospiti alla stessa festa, abbiamo pari
dignità, no? Non so com’è che mi ri-
trovo a parlare con Nick Rhodes che
dice che gli Oasis fanno schifo, e i
Blur peggio, senti qua che parole del
cazzo ha questa canzone, non so com’è
che mi trattengo dal dirgli “sì vabbè
vogliamo parlare di Wild Boys”, non
so com’è che non scoppio a ridere
quando lui mi dice che invece vuoi
mettere gli Lcd Soundsystem: annuisco grave, come avessi un’idea, sia pure vaga, di ciò di cui sta parlando. So
Cosa smarchettano a fare con
ogni possibile stilista, se poi John
ha la stessa giacca dell’84, quella
da Lady Oscar?
solo che a un certo punto passa la Ragazza Ricca, mi dà di gomito e dice
“Meno male che era vent’anni fa”.
And all Hell broke loose after that.
* * *
Per fortuna ci sono le amiche. Che mi
hanno molto consolata, dandomi consigli tardivi ma assai assennati: farla inciampare e cadere in piscina, mandare
degli hooligan a mettere a ferro e fuoco
la villa di papà, sedurle il fidanzato piacione probabilmente con nodo della
cravatta largo lasciato a casa per la serata. Per fortuna ci sono le amiche, che
mi supportano nello sdegno: non si può
avere tutto, la villa e la rockstar, il fidanzato e la balia, diamine, un po’ di rispetto, non si può essere di buona famiglia e poi svegliarsi una mattina e decidere di far la groupie. Get in line, missy.
* * *
Il problema dei personaggi di Beautiful è che non sanno di essere in Beautiful. Quando John mi ha chiesto cos’avesse detto quella lì, e se fosse una mia
amica, io – nel ruolo di Thorne – non ho
visto il tradimento all’orizzonte. Quando ha insistito per sapere cos’avesse
detto, e io ho ridacchiato, “Niente, mi
prende in giro perché le ho detto che
da piccola avevo una cotta per te”, e
Nick ha detto “Non avresti mai dovuto
dirglielo” e io ho aggiunto che era una
cosa comune, “but then we grew out of
it”, e lui ha fatto tutta la pantomima
“ah, così mi ferisci a morte”, non sapevo di essere Sally Spectra, e di stare sopravvalutando il suo umorismo e sottovalutando la sua vanità. Quando poi ci
hanno lasciati soli, e non avevamo assolutamente niente da dirci ma ce lo
dicevamo benissimo (io anche un po’
gongolando: voglio dire, stavo parlando
con John Taylor! cioè, mi fa quasi più
impressione che avere il numero di
Gad Lerner, per restare in tema di sex
symbol di gioventù), allora non sapevo
di essere in lizza per la parte di Sheila,
l’infermiera pazza, certo, gli stavo dicendo che alle elementari avevo i capelli tinti come i suoi, ma si parlava degli anni Ottanta, santa pace, sarà consapevole del delirio che lo circondava,
tutte avevamo una cotta per lui. “Tu
non avevi una cotta per te?”. “Effettivamente ero piuttosto egoriferito”. Fatto sta che quando ha detto “Beh, io andrei a fare un giro”, era per me lampante che lo dicesse solo per farsi desiderare, e che per batterlo in irraggiungibilità avrei dovuto andare a casa
prima di Cenerentola (nb: archetipo –
perdente – di Ragazza Povera). Venti
secondi dopo, avviandomi all’uscita, la
visione della disfatta da vicino. La Ragazza Ricca, da qui in poi la Maliardaria, era già stata raggiunta, invitata al
concerto, già si stava appuntando il numero di cellulare del mio John e sorridente lo rassicurava: certo, sarebbe
stato un piacere. Non mi sarei lasciata
scippare vent’anni in venti secondi
senza neanche farglielo pesare, quindi
le sono passata di fianco: “E poi dicevi
a me”. Lei non ha smesso di sorridere
Ci tingevamo il ciuffo per
somigliare a lui, mica a Stéphanie
di Monaco. Che, col senno di
poi, era molto più rock di John
a lui, liquidando me col tono da fruttivendola che puoi permetterti solo se
sei davvero di buona famiglia: “Sì, ma
a me m’ha rimorchiato lui, c’è una bella differenza”.
Per fortuna ci sei tu, che mi hai tenuto la mano per tutta questa cronaca, hai
detto in tono contrito “E’ la storia più
triste che abbia mai sentito”, e poi hai
aspettato che elaborassi il lutto. Quindici secondi. Poi mi hai chiesto il numero della Ragazza Ricca.
Guia Soncini