144 - Moto.it

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Numero 144
18 Marzo 2014
83 Pagine
Prova
Yamaha Super Ténéré
XT 1200ZE
La perfezionista
Periodico elettronico di informazione motociclistica
Nico Cereghini
Fratelli di Spagna
e le storie di altre
celebri parentele
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Novità
Horex VR6 Cafe Racer
33 ltd. Trentatre come
il numero di esemplari
prodotti
| prova cruiser |
Triumph
Thunderbird LT
da Pag. 2 a Pag. 13
All’Interno
NEWS: EICMA 1997 Aprilia ed MV lanciano la sfida! | M. Clarke I ciclomotori italiani a quattro tempi
MOTOGP: Marquez“Quest’anno io 1°, Pedrosa 2° e Lorenzo 3°” | MX: Paulin vince il 31° Starcross di Mantova
Triumph Thunderbird LT
PREGI
Stile, finiture e confort
DIFETTI
Tappo serbatoio
Prezzo 18.530 €
Prova cruiser
God save
the Twin!
Dopo la possente Commander, è ora il momento della
lussuosa LT. La Thunderbird diventa così una perfetta
macchina per viaggiare nel massimo comfort. Ha di
serie le borse e il parabrezza. Pesa tanto ma si guida
bene e frena forte. Solo su richiesta a 18.530 euro
di Andrea Perfetti
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I
l nostro viaggio in America si conclude con la prova su strada della nuova
Triumph Thunderbird LT 1700. Insieme alla Commander che vi abbiamo
già presentato è lei la novità del 2014
del costruttore inglese nel mondo
delle cruiser. Mentre la prima strizza l’occhio al
mondo delle muscle bike, la LT culla i desideri di
chi sceglie una moto di questo tipo per viaggiare, possibilmente in compagnia del passeggero.
La Triumph Thunderbird LT rappresenta il vertice della famiglia Thunderbird. È accessoriata di
tutto punto, è rifinita un gran bene (il filetto di
vernice sul serbatoio è realizzato a mano) e ha
un motore unico nel mondo cruiser. La cilindrata
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è maxi (1.699 cc), ma non è tanto questo a stupire quanto l’architettura. Il bicilindrico è infatti
parallelo ed è il più grande sul mercato con questo schema che presenta alcuni interessanti vantaggi. Triumph Thunderbird LT non nasce certo
per affrontare le code quotidiane del traffico
cittadino. Ma nessuno la comprerà per andarci
in ufficio. Nasce con altre, più nobili ambizioni.
La LT è fatta per appagare la sete di cose belle
e durevoli del suo proprietario. Zero plastica e
tanto metallo – meglio se cromato – per durare
nel tempo e non inseguire le mode del momento.
Ci sono poi i viaggi. Per questo gli inglesi l’hanno
creata ed equipaggiata. Con le borse in pelle, il
suo grande parabrezza e lo schienale la LT è una
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infaticabile divoratrice di chilometri. La sesta
marcia overdrive e la coppia bestiale del motore
la fanno viaggiare senza sforzo, come un veliero
col vento in poppa. Il segmento cruiser è cresciuto in America e in Europa (l’Italia non fa testo,
almeno finché non sarà terminata questa oscena crisi economica). Dopo aver guidato la Thunderbird e le rivali di altri marchi, comprendiamo
sempre meglio le ragioni di questo fenomeno. Le
grandi cruiser sono moto comode per viaggiare
anche in coppia, sono piacevoli da guidare e ti
fanno finalmente apprezzare anche quello che
ti scorre davanti. Riassapori vecchie sensazioni,
osservi i colori, ti godi il panorama. In altre parole,
la cruiser ammazza quella carogna che si chiama
Prove
velocità, ma che tante volte fa rima con azzardo
e ti fa rientrare a casa con qualche jolly di troppo
lasciato sull’asfalto. La Triumph Thunderbird LT
è stata il mezzo ideale per uscire da San Diego e
esplorare l’area desertica che circonda Borrego
Springs. Comoda oltre ogni immaginazione grazie a quella sella che abbiamo amato anche sulla
Commander, più protettiva per il grande plexiglass, agile nonostante il peso (380 kg con 22 litri
di benzina). E per nulla noiosa quando il rettilineo
si attorciglia tra le curve della California.
I dettagli fanno la differenza
La Triumph Thunderbird LT non è una semplice
Commander accessoriata. Ha un doppio scarico
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La trasmissione finale è invece affidata alla silenziosa e pulita cinghia. Il motore funge da elemento semi-portante all’interno del telaio tubolare a
doppio trave in acciaio. E proprio quest’ultimo è
nuovo sulle Thunderbird del 2014. Infatti la casa
inglese ha rivisto tutta la parte posteriore per
ospitare una sella più larga e bassa. E’ realizzata
con tre differenti imbottiture, ha il supporto lombare e offre una comodità stupefacente.
Sospensioni confortevoli e
frenata potente
Le sospensioni sono fornite da Showa e si fanno apprezzare in particolare per l’abbondante
escursione (120 mm davanti, 109 dietro), decisamente superiore a quanto offerto dalla concorrenza americana e giapponese. Sullo sconnesso
il posteriore rimane confortevole, ammortizza le
buche e non violenta la schiena con le martellate
tipiche delle moto custom. È giapponese anche
differente, una posizione di guida meno allungata e più confortevole (ma anche la sorellastra è
tutto fuorché scomoda). Motore, freni e sospensioni sono identici. Cambiano radicalmente le
ruote (da 16” invece che 17), ora a raggi e dotate
di pneumatici più stretti e con maggiore spalla
(bianca, un’esclusiva mondiale della Avon dato
che la pigmentazione è presente nella mescola).
Davanti abbiamo un 150/80 e dietro un 180/70.
Le borse in pelle spessa 2,5 mm sono dotate della sacca interna impermeabile che può essere
rimossa. E pure il parabrezza può essere smontato con una semplice mossa e senza l’ausilio di
attrezzi. Per sottolineare la differenza tra le due
Thunderbird anche il logo sul serbatoio cambia.
La LT ha un ottimo impianto frenante dotato di
ABS, potente e modulabile. Due i colori, rosso o
nero, al prezzo di 18.530 euro. La LT sarà disponibile in Italia su ordinazione.
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Prove
l’impianto frenante (Nissin), che dispone di tre
dischi da 310 mm e ABS. Consente alla LT di fermarsi in spazi molto ridotti: complice la generosa gommatura, la moto passa da 130 km/h a 0
in soli 64 metri. Il peso è decisamente alto, ma
l’equilibrio dinamico della moto fa in modo che
questo non sia mai un problema.
La nostra prova
La nuova Triumph Thunderbird LT sul cavalletto ti chiede di prenderle le misure. È grossa
e pesa parecchio. Così accessoriata pensi che
non sarà facile e intuitiva come la Commander.
E qui ti sbagli. Le gomme Avon, più strette (almeno dietro) e con più spalla, danno alla moto
un altro carattere. La rendono più svelta e agile
della agguerrita Commander. Nascondono parte
del peso e rendono la moto scorrevole e semplicissima da manovrare anche nei tornanti più
stretti (sì, in America ci sono anche quelli se sali
Il motore
Vale quanto detto a suo tempo per la nuova
Commander. Il due cilindri è elemento centrale
dello stile e del carattere delle nuove Thunderbird. In primo luogo perché è bello: compatto,
massiccio e con i collettori cromati che ne impreziosiscono la figura. In secondo luogo i due
cilindri affiancati e raffreddati a liquido hanno un
indubbio vantaggio rispetto ai più diffusi bicilindrici a V, non riscaldano il sotto sella del pilota.
Ne guadagna enormemente il confort d’estate.
Il bicilindrico parallelo di 1.700 cc, raffreddato a
liquido, ha oltre 94 cavalli e una coppia esagerata, ben 151 Nm a soli 3.500 giri. E’ il più grande
al mondo in questa configurazione tipicamente
Triumph. È un bialbero a corsa lunga con fasatura a 270° per dare personalità all’erogazione soprattutto ai bassi regimi. Il cambio è a sei
rapporti e ha la frizione a comando idraulico.
Media
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di quota). Ovvio che il peso ci sia e dia fastidio in
manovra, ma la seduta a soli 700 mm da terra
permette di spostare con facilità la LT. Per la sella vale quanto detto per la Commander: è fenomenale in quanto a comodità, dimenticatevi il più
piccolo indolenzimento anche dopo ore in sella.
Si tratta di un aspetto fondamentale quando si
parla di cruiser nate per viaggiare e affrontare
trasferimenti molto lunghi a velocità costante. In
più sulla LT c’è tanta protezione dall’aria, mentre
il grande motore conferma una dote molto apprezzabile: non scalda né i piedi né le gambe del
pilota. Le pedane sono avanzate il giusto e non ci
sono significative vibrazioni a disturbare il pilota.
La strumentazione è leggibile e chiara; c’è l’indicatore della benzina e il tachimetro con le principali spie. Mancano il contagiri e l’indicatore della
marcia. Altra pecca l’assenza della serratura sul
tappo della benzina. Anche il giudizio del motore è comune a quello della Commander e ve lo
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Prove
riportiamo di seguito. L’enorme bicilindrico parallelo di 1.699 cc ha una risposta dolce al richiamo del gas, ma sa essere anche rapido quando
si cerca la massima potenza e chiama in causa
di rado il cambio a sei marce. La spinta ai bassi
è forte, ma mai brusca. Consente di riprendere
velocità anche in sesta dalle basse andature. Se
poi c’è da fare un sorpasso, la Triumph 1.700 stupisce con bell’allungo. Il consumo di benzina è
basso se consideriamo la cilindrata e il peso in
gioco, alla LT bastano 4,2 litri/100 km a 90 km/h
e di 6,3 litri/100 km in città. Il cambio, dotato di
bilanciere, non è un burro, ma si rivela preciso.
Il comportamento delle sospensioni è valido;
non sono cedevoli, ma garantiscono un ottimo
smorzamento delle asperità sullo sconnesso. Sul
piano della funzionalità, e quindi della sicurezza,
si mette in luce anche la risposta potente e ben
modulabile dei freni con ABS. Sono sovradimensionati e arrestano la Triumph Thunderbird LT
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ABBIGLIAMENTO
SCHEDA TECNICA
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Prove
Triumph Thunderbird LT € 18.530
Tempi: 4
Cilindri: 2
Cilindrata: 1699 cc
Disposizione cilindri: paralleli
Raffreddamento: a liquido
Avviamento: E
Potenza: 98 cv (72 kW) / 5200 giri
Coppia: 15.9 kgm (156 Nm) / 2950 giri
Marce: 6
Freni: DD-D
Misure freni: 310-310 mm
Misure cerchi (ant./post.): 19’’ / 17’’
Normativa antinquinamento: Euro 3
Peso: 380 kg
Lunghezza: 2546 mm
Larghezza: 956 mm
Altezza sella: 700 mm
Capacità serbatoio: 22 l
Segmento: Custom
Casco Shark
Giacca Spidi
Guanti Dainese
Scarpe TCX
in poco spazio senza che l’antibloccaggio intervenga a sproposito. Il rumore del motore è una
colonna sonora dai toni bassi e dal ritmo deciso.
Il bicilindrico pulsa vivo e ci accompagna su queste fantastiche statali americane. Siamo però
convinti che la Triumph Thunderbird LT sarebbe
un’ottima compagna di strada anche sulle nostre
mitiche Dolomiti.
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Yamaha Super Ténéré XT 1200ZE
PREGI
Guidabilità e motore
DIFETTI
Peso e ABS non escludibile
Prezzo 15.390 €
Prova maxi enduro
La perfezionista
L’endurona giapponese si aggiorna con un lifting
estetico e con l’adozione delle sospensioni
elettroniche. Migliorato anche il motore, che ha
perso la ruvidità ai bassi. Ottima su strada e
contenuti i consumi. Alto il peso.
Costa 15.390 euro
di Andrea Perfetti
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Prove
15.390 euro (circa 1.000 più del modello base),
è già disponibile nei concessionari in due colori
(blu o bianco). Di serie ha le sospensioni elettroniche, il cruise control, il cavalletto centrale, le
manopole riscaldabili, i paramani, le maniglie per
il passeggero, il porta bauletto, le frecce a LED,
il computer di bordo e il parabrezza regolabile
(ora senza attrezzi). In aprile arriverà anche la
versione Worldcrosser al prezzo di 16.690 euro.
Sempre nel corso dell’anno Yamaha preparerà
gli allestimenti Sport, Touring e Touring Plus con
prezzi e accessori in via di definizione.
Elettronica: nuova e affidabile
A
umentano i componenti della famiglia Super Ténéré, nel
2014 alla moto che conosciamo da quattro anni si unisce la versione XT 1200ZE,
dotata delle sospensioni a
regolazione elettronica sia del precarico che
dell’idraulica. Non sono sospensioni attive o semi-attive, capaci cioè di variare la propria taratura
in modo adattivo durante la guida; permettono di
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modificare il setting della forcella e del mono
ammortizzatore agendo in modo molto semplice sul blocchetto di sinistra. Sulla Yamaha Super
Ténéré XT 1200ZE troviamo anche un motore
rivisto in modo importante con l’intento di accontentare i clienti, che chiedevano più brio ai
bassi e una risposta meno ruvida. I tecnici di Iwata hanno quindi lavorato sui pistoni, sugli alberi
a camme, sull’aspirazione e sulle valvole di scarico per ottenere una risposta più pronta. Grazie
anche alle nuove mappature della centralina
sono stati ottenuti due cavalli in più. Ora la moto
sviluppa 112 cavalli a soli 7.250 giri con una coppia massima di 117 Nm (11,9 kgm) a 6.000 giri. Fabrizio Corsi (product manager di Yamaha Italia)
ci spiega che la Casa giapponese ha voluto dare
un carattere nuovo, più sportivo e dinamico alla
sua Super Ténéré, ma senza toccare due qualità
indiscusse di questo modello: il confort e l’affidabilità. La Yamaha Super Ténéré XT 1200ZE costa
La Yamaha Super Ténéré XT 1200ZE riceve un
aggiustamento nella regolazione del D-Mode (le
mappe del motore). Si hanno ancora due mappature, che risultano meglio rifinite rispetto al
passato. La standard T dona un’erogazione graduale senza essere fiacca come prima, mentre
la S diverte senza per questo essere brusca.
C’è ancora il controllo di trazione TCS, che può
essere facilmente escluso in fuoristrada. E c’è
ancora l’ABS, che non si può eliminare se non
con una procedura un po’ macchinosa ma efficace (la moto va posta sul cavalletto centrale e
va fatto girare il motore con una marcia inserita finché la spia dell’ABS diventa fissa, indicandone l’esclusione). C’è poi il cruise control che
deriva da quello progettato per equipaggiare la
FJR 1300. La grande novità della Yamaha Super
Ténéré XT 1200ZE sono le sospensioni elettroniche realizzate dalla Casa di Iwata insieme ai tecnici di Kayaba. La centralina elettronica agisce
sul motore elettrico che varia il precarico della
molla su quattro livelli (pilota, pilota più bagaglio,
pilota con passeggero, pilota con passeggero
più bagaglio). Ci sono poi i motori passo passo
che intervengono sull’idraulica sia della forcella a
steli rovesciati da 43 mm che del mono ammortizzatore. In totale il pilota ha a disposizione ben
84 regolazioni. Le sospensioni elettroniche non
sono certo una novità in campo motociclistico, le
abbiamo già conosciute su Aprilia, BMW, Ducati
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Media
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e KTM. La Yamaha arriva buona ultima, ma si sa
come ragionano i giapponesi: hanno tempi lunghi
quando c’è da prendere una decisione importante e, soprattutto, mettono l’affidabilità in cima
alle loro priorità. Per loro, quindi, meglio essere
ultimi, ma con un prodotto a prova di bomba.
Motore e ciclistica
Vi abbiamo raccontato in cosa cambia la nuova
Yamaha Super Ténéré XT 1200ZE. Lo schema
meccanico e quello ciclistico sono pertanto invariati. La XT1200ZE ha un motore bicilindrico
parallelo con 4 valvole per cilindro e una cilindrata effettiva di 1.199 cc, impiega la trasmissione finale ad albero cardanico, ed è dotata di
una sofisticata gestione elettronica del motore e
della frenata. Di serie troviamo infatti ABS-UBS,
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Prove
controllo di trazione TCS, doppia mappatura
(Sport e Touring) e sospensioni elettroniche con
ben 190 mm di escursione sia davanti che dietro.
La trasmissione primaria aziona un cambio a sei
marce. La XT1200ZE è fornita di cerchi in alluminio idonei, grazie alla particolare disposizione dei
raggi, a ospitare pneumatici tubeless (110/80-19
e 150/70-17 rispettivamente all’avantreno e al
retrotreno). Il sistema di frenata combinata UBS
(Unified Braking System) ripartisce la forza frenante tra le due ruote solo quando si agisce sulla
leva del freno al manubrio (non quando si pigia il
pedale del freno); se si aziona il freno posteriore
prima di quello anteriore, la gestione elettronica
si disattiva automaticamente. Il peso complessivo cresce di 3 chili e raggiunge ora i 265 col pieno
di 23 litri e tutti i liquidi (acqua, olii).
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La nostra prova su strada
(e pure fuori)
I clienti chiedevano essenzialmente un motore
più brioso e una strumentazione più completa.
Perché per il resto la Yamaha Super Ténéré XT
1200ZE è sempre piaciuta parecchio sia per l’estetica e le finiture, sia per le indiscusse qualità
del telaio in acciaio e delle sospensioni. A noi ora
tocca raccontarvi se il bersaglio è stato centrato.
Partiamo quindi dall’ergonomia, dove troviamo
confermate le qualità di questa moto. Il serbatoio è stretto, la sella comoda e il manubrio distante il giusto.
L’ingombro tra le gambe è quindi più ridotto rispetto ad esempio alla BMW GS o alla Suzuki
V-Strom. Il peso c’è, è ancora elevato, ma non
disturba nella guida o in manovra. Lo si sente
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soprattutto quando ci si avventura in fuoristrada e si incontrano terreni viscidi. Apriamo una
piccola parentesi: la Yamaha Super Ténéré XT
1200ZE non si fa troppi problemi ad abbandonare l’asfalto e diverte parecchio anche sugli
sterrati. Non c’è bisogno di chiamarsi Cyril Despres, basta guidare in piedi e sfruttare la grande
linearità del motore. Per fare dei paragoni: non
siamo al livello della KTM Adventure 1190, favorita dal peso più contenuto, ma sicuramente la
moto giapponese sa essere molto più facile e
divertente della BMW R1200GS tra sassi e fango. Lo conferma anche la nostra lunga prova nel
deserto di Tabernas in sella alla Worldcrosser (la
trovate qui). Le finiture della Super Ténéré sono
ottime. Le plastiche sono molto robuste e la qualità dei materiali è eccellente, come dimostra la
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fattura del motore o delle sospensioni. La strumentazione è totalmente rivista e ora è provvista
di un vero e proprio computer di bordo che fornisce ogni tipo di informazione, dai consumi alla
marcia inserita.
L’otto valvole non è stravolto nel suo carattere,
ma è sicuramente migliorato. Adesso dal minimo a 3.500 giri è scomparsa la ruvidità del precedente modello. Fino a 4.500 giri manca ancora la castagna di alcune rivali, ma c’è un’ottima
progressione e una grande linearità di funzionamento che fanno della Yamaha Super Ténéré XT
1200ZE una gran bella moto da turismo, anche
in coppia. Yamaha dichiara due cavalli in più, ma
francamente la percezione della potenza massima è analoga a quella del modello conosciuto.
Ritroviamo quindi il carattere sportivo di questo
Prove
motore, che viene fuori passati i 5.000 giri e fino
agli 8.000 indicati dallo strumento digitale. La
mappa S dona alla XT quel po’ di brio in più che
diverte nella marcia sportiva sui percorsi misti.
Qui, tra le curve, si apprezza in modo netto il
controllo di trazione, che consente di scaricare
i tanti cavalli a terra quando si è ancora in piega. Il cambio ha un funzionamento impeccabile,
al pari della frizione e dei freni, potenti e modulabili (peccato che l’ABS sia così complicato da
escludere in fuoristrada.) Durante il nostro test
ci sono sembrati calati anche i consumi, che si
sono attestati sui 5 litri per 100 km, un dato molto interessante perché ottenuto prevalentemente su strade di montagna percorse a una buona
andatura. Lasciamo infine per ultima la grande
novità della Yamaha Super Ténéré XT 1200ZE,
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ABBIGLIAMENTO
SCHEDA TECNICA
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Prove
Yamaha XT1200ZE Super Ténéré € 15.390
Tempi: 4
Cilindri: 2
Cilindrata: 1199 cc
Disposizione cilindri: Paralleli
Raffreddamento: a liquido
Avviamento: E
Potenza: 112 cv (82.4 kW) / 7250 giri
Coppia: 11.9 kgm (117 Nm) / 6000 giri
Marce: 6
Freni: DD-D
Misure freni: 310-282 mm
Misure cerchi (ant./post.): 19’’ / 17’’
Normativa antinquinamento: Euro 3
Peso: 265 kg
Lunghezza: 2255 mm
Larghezza: 980 mm
Altezza sella: 845 mm
Capacità serbatoio: 23 l
Segmento: Enduro Stradale
Casco AGV AX-8 Dual Evo
Giacca Dainese EVO System D-Dry
Pantaloni Dainese Talos
Guanti Dainese Air Tex
Stivali Dainese Carroarmato
le sospensioni elettroniche. Facciamo una premessa: avevamo già espresso un giudizio molto
positivo sulle KYB di questa moto, addirittura
avevamo a suo tempo ritenuto la forcella di questa moto la migliore unità montata su una maxi
enduro. Oggi rinnoviamo questo commento. Il
sistema elettronico consente di semplificare la
gestione delle tarature, ma va anche detto che
la standard sarà quella utilizzata dai più grazie
all’ottimo compromesso di base, che riesce a
coniugare in modo esemplare tenuta di strada e
confort.
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E’
Horex VR6 Cafe Racer 33 ltd
Trentatre come il numero
di esemplari prodotti
Presentata la terza versione dell’esclusiva sei cilindri tedesca,
un allestimento più sportivo per design, assetto e ciclistica.
Prezzo da serie limitata, come da sigla...
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stata presentata al Bike Show di
Dortmund, Germania, una nuova realizzazione della tedesca Horex. Si
tratta della VR6 Cafe Racer 33 ltd,
dove 33 indica il numero di unità che saranno
prodotte per quella che è un’edizione speciale e
limitata. Altrettanto speciale, nella simbologia e
non solo, è il prezzo di 33.333 euro: ben più caro
della VR6 Classic (venduta a 24.500 euro) da cui
la nuova versione Cafe Racer 33 ltd. deriva. Un
delta di prezzo motivato dal rifacimento di alcune dettagli, a opera della LSL Motorradtechnik,
azienda produttrice di parti speciali, e dalla dotazione ciclistica più raffinata. La struttura di base
è la medesima della VR6 Classic. Identico il telaio
bitrave in lega di alluminio e, soprattutto, identico l’esclusivo motore a sei cilindri da 1.218 cc.
Questo propulsore ha una particolare configurazione a V di soli 15°, che lo fa sembrare in linea
a un primo sguardo. La testata è infatti unica e
sono soltanto tre gli alberi a camme secondo lo
schema TOHC (triple overhead camshaft), con
anche tre valvole radiali per cilindro. La potenza
News
è confermata in 126 cavalli a 8.500 giri, mentre la
coppia è di 120 Nm a 7.000 giri. Il cambio è a sei
marce e la trasmissione finale è a catena. Il peso
è annunciato in 249 kg con il pieno di benzina.
Gli interventi stilistici della LSL Motorradtechnik
hanno riguardato un differente assetto per il pilota, con la sella più corta e scavata, il manubrio
basso, il codino Anni Settanta e il parafango posteriore corto e alto. Cambiano il fanale e i relativi
attacchi, le ruote a raggi Kineo da 17 pollici sono
in nero e sono diverse le finiture dello scarico a
doppio silenziatore e di altri dettagli del motore
e non solo.
Le novità tecniche sono essenzialmente a livello di sospensioni e freni. All’avantreno spiccano
una forcella rovesciata Ohlins FGRT da 43 mm,
nuove pinze Brembo radiali per i dischi Braking
da 320 mm e l’ammortizzatore di sterzo regolabile. Al retrotreno lavora invece un mono Ohlins
TTX, sempre di estrazione racing. Scontata la
presenza dell’Abs Bosch 9MB. Le 33 VR6 Cafe
Racer 33 ltd. verranno montate dall’officina Horex di Ausburg nel corso di quest’anno.
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Correva l’anno
EICMA 1997
Aprilia ed MV lanciano la sfida!
di Maurizio Tanca | Milano 1997: esordisce la prima maxi
supersportiva di Noale, la RSV 1000, e MV Agusta rinasce
con la splendida F4 750 Serie Oro. Una manna per i 700.000
visitatori del Salone, all’esordio a settembre e con tantissime
altre novità, Yamaha R1 in testa
B
en 700.000 appassionati visitarono
la 55esima edizione di EICMA, che
nel 1997 occupava ancora gli storici padiglioni della Fiera di Milano,
adiacenti alle più recenti strutture espositive di
Fiera Milano City, al Portello. 700.000 persone
che brulicavano freneticamente in lungo e in largo, per ammirare le meraviglie esposte in quei
locali dove per la prima volta filtrava la luce del
sole settembrino. Si, perché gli organizzatori di
EICMA avevano vinto il braccio di ferro con la
concomitante Fiera tedesca, che in quegli anni
si teneva a Monaco di Baviera, accordandosi per
tornare alla logica alternanza annuale (Monaco
negli anni pari, Milano nei dispari) anziché continuare con un’assurda concomitanza che non faceva che gravare economicamente sui numerosi
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Yamaha YZF-R1 con Scott Russell
espositori. La 55a EICMA - peraltro contemporanea alla nascita di Moto.it - preludeva ad un’annata particolarmente felice per il nostro magico
mondo con due ruote e un motore. Il 1998, infatti, segnò un notevolissimo incremento globale delle vendite, tornate al livello del lontano
1982: infatti furono immatricolati 235.003 veicoli
(236.453, nell’82), sebbene suddivisi in 89.093
moto e ben 151.910 scooter, contro le 133.354
moto e i 103.099 scooter di 16 anni prima. Il grafico che potete trovare nella gallery evidenzia
chiaramente l’andamento del mercato motociclistico dall’82 al 1998: un arco rovesciato che
mostra come le moto avessero toccato il fondo
nel 1996 (50.336 immatricolazioni), mentre per
gli scooter il minimo venne registrato nel 1990:
solo 10.890 pezzi! Il nostro grafico vuol essere
una sorta di augurio per l’attuale situazione economica: nel 2013, infatti, sono stati immatricolati
153.863 veicoli (52.724 moto e 101.109 scooter:
33.500 in più rispetto al 1997!).
Pur rendendoci logicamente conto dell’estrema gravità dell’attuale crisi mondiale, ci piace
quindi sperare di trovarci come un po’ come nel
1994, anno che segnò l’inizio della ripresa. Sperando ovviamente che ciò avvenga un po’ più
rapidamente di allora. Intanto, ci sembra già di
buon auspicio lo speranzoso +10,2% di incremento medio globale (15,2% per le moto, 6,5%
per gli scooter) nell’immatricolato di febbraio di
quest’anno.
C’era gran fermento, insomma, in quel settembre del 1997, perché le novità esposte erano tantissime. E due delle più eclatanti erano
sofisticatissime supersportive italiane: l’ardita
Aprilia RSV Mille (proprio in lettere, non in cifre),
potente bicilindrica con motore V2 costruito da
Rotax, e la stupenda MV Agusta F4 750 Serie
Oro, magnifica creatura del geniale Massimo
Tamburini, che Claudio Castiglioni oculatamente
aveva scelto di far diventare la moto della rinascita di MV Agusta, anziché una nuova supersportiva Ducati, marchio ceduto proprio l’anno
prima. Queste, e non solo secondo noi, erano le
vere regine di quell’edizione di EICMA, alle quali
però affianchiamo senza alcun dubbio anche una
reginetta giapponese: la prima, formidabile Yamaha YZF-R1 1000.
Ma, come già detto, di “ciccia” quell’anno ce n’era anche tanta altra. Vediamo quindi le principali
novità, in ordine alfabetico.
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Correva l’anno
Media
Aprilia RSV Mille
Aprilia
Gran bel pezzo, la RSV Mille! La prima maximoto
della Casa di Noale, allora ancora appartenente
a Ivano Beggio, era corposa ma snella, molto curata, con un telaio e un forcellone davvero belli
e ottimamente rifiniti, e con sotto un motore
V2 stretto a 60° da 997,6 cc, con distribuzione
bialbero a 8 valvole, doppio contralbero di bilanciamento, e frizione con antisaltellamento di tipo
pneumatico PPC (Pneumatic Power Clutch).
L’Alimentazione a iniezione contava su due corpi farfallati da 51 mm con singolo iniettore, e la
potenza dichiarata era di 128 cv a 9.250 giri, con
coppia massima di 10,5 kgm a soli 7.000 giri e
una velocità massima dichiarata di oltre 270
km/h.
Quest’ultimo dato risultò poi pessimistico, tant’è
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Bimota DB3 Mantra
che quando io stesso mi occupai dei rilevamenti
strumentali della RSV spuntai ben 281 km/h....
Pur con il netto sospetto che la moto in prova
non fosse propriamente standard, cosa peraltro
abbastanza comune (più che altro per le moto
italiane, ma non solo...) in quegli anni in cui le
prestazioni massime erano la prima cosa che
un lettore sfegatato andava a cercare.... La RSV
1000, il cui prezzo fu stabilito in circa 23 milioni
di lire (11.900 euro, più o meno) venne presentata alla stampa la primavera successiva sul
magnifico circuito spagnolo di Montmelò: una
presentazione assolutamente professionale,
con una moto ed un meccanico a disposizione
di ciascun tester, per i necessari aggiustamenti
durante una lunga giornata in pista. Con somma
gioia di tutti, naturalmente!
Bimota
Undici anni dopo aver centrato il titolo F1 con Virginio Ferrari e la YB4 con motore Yamaha FZ750
a 20 valvole, la factory riminese scelse Suzuki
come partner per realizzare la moto deputata a
tentare l’assalto al titolo mondiale Superbike.
A Milano venne dunque presentata la corposa
SB8R, spinta dal motore V2 da 998 cc della Suzuki TL1000R opportunamente modificato nella
parte termica e nel gruppo iniezione.
Il tutto per ottenere 145 cv circa. Il suo massiccio telaio bitrave - derivato da quello della
SB6R a 4 cilindri, ma in questo caso composito
alluminio+carbonio - vantava un’interasse da
media cilindrata - solo 1.395 mm – pur mantenendo un forcellone piuttosto lungo.
Questa special realizzata in piccola serie era
quotata oltre 39 milioni di lire, circa 20.000 euro.
La SB8R in effetti partecipò sporadicamente al
mondiale delle derivate di serie, e fu nel 2000
che a Phillip Island vinse addirittura la prima
manche sul bagnato, per merito del gran manico del fortissimo quanto incostante australiano
Anthony Gobert.
In suo onore, ovviamente, Bimota realizzò poi la
bella versione Gobert Replica.
Al Salone milanese del ‘97 Bimota presentò anche una versione parzialmente ristilizzata dell’estrosissima naked DB3 Mantra motorizzata Ducati Monster 900, modificata più che altro nel
musetto, a doppio faro incastonato in logo del
prominente faro quadro del modello originario,
disegnato nel ’95 dal francese Sacha Lakic.
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dichiarato in 218 kg. Bella e molto divertente, la
nuova Cagivona vantava un ottimo telaio composito in acciaio con motore sospeso e forcellone
in alluminio con sospensione progressiva, ed
entrò in listino col nome Gran Canyon, al prezzo
di quasi 17 milioni di lire (circa 8.800 euro). La
Gran Canyon, della quale nel ’98 furono vendute
185 unità, venne prodotta fino al 2000, dopodiché, cessando la fornitura dei motori da parte
di Ducati – venduta l’anno prima dai Castiglioni
al Texas pacific Group – l’interessante Cagiva
bicilindrica cambiò il nome in “Navigator”, e acquisì l’ottimo bicilindrico Suzuki mutuato dalla
TL1000S. Molto interessante per i ragazzini la
nuova Planet 125 (più avanti rinominata Raptor, come le grosse naked omonime): messa
in opera dopo una lunga gestazione iniziata un
paio d’anni prima, la piccola naked ispirata alla
Correva l’anno
cuginona Monster (e quindi opera di Miguel
Galluzzi) sfoggiava praticamente il telaio della
Mito, con tanto di forcella a steli rovesciati, per
un prezzo di poco inferiore agli 8 milioni (circa
4.000 euro).
Ducati
Oltre alle versioni rinnovate delle Monster da
620, 750 e 900 cc, da Borgo Panigale era arrivata a Milano una 900SS Final Edition, versione
limitata di un modello in fase di pensionamento.
Tutta argentea e rigorosamente monoposto, la
SS F.E. sfoggiava ruote nere, svariate parti in fibra di carbonio, dischi freno anteriori flottanti e
scarichi rialzati. Ma la sorpresa vera fu la nuova,
controversa 900SS, disegnata dal quel Pierre
Terblanche che peraltro aveva convinto con
la bellissima Supermono 550. Gli arditi canoni
Ducati Supermono
BMW R1200C
BMW
Dopo aver mostrato al Salone automobilistico
di Francoforte il prototipo del particolarissimo
scooter cabinato C1, ecco che a Milano a tener
banco nello stand bavarese fu l’ambiziosa e interessante R1200C, la prima custom della storia BMW, che però era già stata presentata a
in Germania due mesi prima. Moto ovviamente
tutt’altro che convenzionale, la nuova boxer tedesca rappresentava una ventata di novità pur in
un mondo – quello delle custom, appunto – dove
l’estro e l’inventiva la fanno da padroni, e dove
secondo noi faceva davvero la sua gran figura,
anche perché manteneva i canoni ciclistici lanciati nel ’93 con la R1100RS, cioè la sospensione
anteriore Telelever e la posteriore monobraccio
Paralever. Prezzo: appena oltre i 26 milioni di lire
(13.500 euro).
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Buell
Erano piuttosto apprezzate dagli amanti delle
moto particolari, le creature dell’estroso ingegner Erik Buell, che a Milano propose una magnifica versione tutta bianca della sua S1: la White
Lightning, appunto, dotata di nuove testate ad
alta tubolenza denominate “ Thunderstorm High
Flow”, che portavano la potenza del V2 Harley
small block a 91 cv, con una coppia di ben 12 kgm
a circa 5.500 giri.
Cagiva
Da Schiranna invece arrivò l’inedita Canyon 900,
gemella maggiorata dell’omonima monocilindrica da 500 cc (poi diventati 600), ma dotata
dell’arcinoto motore Ducati Desmo bicilindrico
ad L da 904 cc (quello della Monster 900, insomma), da 70 cv a 7.500 giri, per un peso a secco
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stilistici con i quali lo spilungone designer sudafricano definì la nuova SS, fecero invece storcere
il naso agli ultras ducatisti più legati alla tradizione, almeno quanto l’introduzione dell’iniezione
sul suo bicilindrico Desmo raffreddato ad aria.
Comunque sia, il Desmodue a iniezione, montato in un telaio a traliccio identico al precedente
ma modificato nella geometria di sterzo, erogava
80 cv a 7.500 giri, con una coppia di 8,1 kgm a
quota 7.000. La nuova 900 SS andò in listino a
19,5 milioni di lire (10.070 euro), affiancata dalla versione semicarenata, che costava 500.000
lire in meno (e più avanti anche dalle omologhe
versioni da 750 cc).
Gilera
La novità del Gruppo Piaggio marcata Gilera per
la stagione 1998 era uno scooter, ma di quelli
birichni, realizzato in due versioni con motori a
Gilera Runner
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due tempi raffreddati a liquido, da 125 e 180 cc:
si trattava del Runner, nato come “cinquantino”
e decisamente appetibile per i ragazzini, ma ora
anche per i giovanotti più infoiati. Se il Runner
125 sviluppava i canonici 15 cv, il 180 (175,8 cc effettivi) ne sfoderava invece 21 a 8.500 giri, superava i 120 km/h e costava circa 5,8 milioni di lire
(3.000 euro). Uno scooter aggressivo, il nuovo
Runner 180, per il quale venne istituito un pepatissimo Trofeo Monomarca, e che nel 1998 partecipò addirittura alla mitica Pikes Peak International Hill Climb, in Colorado, iscritto nella classe
fino a 250 cc: l’ardita operazione nacque da un’idea del compianto Maurizio Virtuani, ex collega
allora collaboratore del mensile Tuttomoto, che
ne fu protagonista assieme a Cristian Mattei e
al pilota/giornalista Jimmy Lewis, collaboratore del magazine americano Cycle World. Quella
fu la prima volta che degli scooter calcavano la
celebre pista mista (asfalto+sterrato, oggi però
totalmente asfaltata) che sale al Pikes Peak per
20 km con 156 curve e tornanti, per un dislivello
di 1.439 metri, e con una pendenza media del 7%
e massima del 10,5%. E gli scooter Gilera arrivarono tranquillamente in cima senza sfigurare. Da
notare che il Runner è tutt’oggi in listino, nelle
cilindrate 50 a 2 tempi e 125 a 4 tempi; ma anche che è (tristemente) rimasto l’unico modello
a due ruote rimasto nel listino Gilera, affiancato
solo dal “tre ruote” Fuoco 500.
Honda
In attesa della nuova VFR 800, che sarebbe stata
presentata al successivo Salone di Parigi, Honda
portò a Milano l’edizione leggermente rivisitata
della Fireblade 900, con motore da 919 cc, alleggerita a 180 kg a secco e lievemente potenziata
per raggiungere i 130 cv a 10.500 giri, con coppia
Correva l’anno
massima a 9,4 kgm/8.750 giri. La vera novità
milanese fu però l’inedita Deauville 650, versione
GT da 220 kg a secco della naked NTV 650 Revere, quindi dotata di telaio a doppio trave in alluminio con sospensione posteriore monobraccio, e con l’ormai celebre motore V2 a 52° con
testate a 3 valvole, accreditato di 56 cv a 8.000
giri e 5,7 kgm di coppia a 6.000. La Deauville era
una moto molto interessante per chi ambisse ad
una vera tourer senza doversi svenare: era molto
confortevole, quel motore era notoriamente un
mulo, la trasmissione ad albero una garanzia in
fatto di affidabilità, e la moto, quasi completamente carenata, era dotata di borse incorporate non gigantesche. Ma volendo c’era anche un
voluminoso top case dedicato, e una versione
più capiente delle stesse moto valigie. La Deauville costava circa 14,6 milioni (7.540 euro),
e nel 2005 venne ridisegnata e divenne “700”,
Honda Deauville 650
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ZX-6R era stata riservata al successivo salone
parigino. Moto nuove in tutto e per tutto, col telaio diventato portante (la doppia culla inferiore
smontabile era stata eliminata) e con geometrie
anch’esse ridefinite a favore dell’agilità di guida.
Il nuovo motore – ovviamente sempre un 4 cilindri in linea, bialbero a 16 valvole, ma più compatto e leggero, e con carburatori Keihin CVK da 40
mm – era accreditato di 143 cv a 10.500 giri, con
10,3 kgm di coppia a 9.000. Il tutto con un peso
dichiarato nettamente inferiore rispetto alla ben
più corpulenta versione risalente al ‘93: 183 kg a
secco contro 218. Il prezzo fu fissato in circa 22
milioni di lire, equivalenti a oltre 11.300 euro.
KTM/Husaberg
Già ristilizzata la gamma delle “2 tempi”, dotata di sopensione posteriore PDS e arricchita
dal nuovo modello da 200 cc, a Milano furono
le “arancioni” a 4 tempi a presentarsi graficamente rivisitate. Inoltre era presente anche la
affascinante Rally 660, accreditata come principale avversaria delle debuttanti BMW di pari
Correva l’anno
cilindrata nelle massacranti maratone nei deserti. La vera novità del gruppo di Mattighofen
arrivava invece dall’acquisita Husaberg, che presentava la FE501S Enduro 2, prezzata a “ben” 17
milioni (8.700 euro).
Italjet
L’allora attivissima azienda bolognese, capitanata dal mitico quanto estroso Leopoldo Tartarini
assieme ai figli, portò a Milano il Torpedo 125,
scooter a ruote a raggi da 16” con motore a 2
tempi ad aspirazione lamellare, e curiosamente
caratterizzato da una struttura tubolare esterna
che avvolgeva la parte bassa della carrozzeria.
Il Torpedo fu presentato anche nella simpatica
versione Rossoblù, scooter ufficiale del Bologna
calcio. Mentre il cinquantino Formula Air Cooled venne addirittura adottato dalla squadra del
Chelsea F.C. londinese. Ma la novità più importante fu la presenza della versione definitiva del
cattivissimo e anticonvenzionale Dragster 50,
superscooter con telaio a traliccio in tubi d’acciaio e sospensione anteriore monobraccio.
Husaberg FE501S
Kawasaki-ZX-9R
acquisendo il nuovo motore maggiorato a 680 cc
poi montato sull’ultima versione della Transalp.
Altre novità Honda furono la CB500S, versione
semicarenata della nota naked bicilindrica, e lo
scooter Pantheon 125 e 150: ovvero il Foresight
con motore a 2 tempi, anziché a 4 tempi da 250
cc. Ma anche i sorprendenti X8R-S (stradale) ed
X8R-X (entro-fuoristrada), aggressivi scooterini
con motore a due tempi elettronicamente limitati a 45 km/h (il che fece storcere il naso a tutti
i ragazzini di allora), la cui mirabile ed esclusiva
peculiarità consisteva nell’esclusivo telaio costituito da un’ampia monoscocca in alluminio pressofuso, realizzato in Giappone.
evidentemente ispirata alle Husky da gara ma
nata da un progetto completamente nuovo, per
poter gratificare l’utente non specializzatissimo
con una moto più versatile e facile da usare - vista anche la presenza dell’avviamento elettrico
- ma comunque tranquillamente utilizzabile per
un fuoristrada anche impegnativo. Quindi sella più bassa di ben 45 mm, pedane anche per il
passeggero, telaio ridimensionato per facilitare
la guida, e motore (da 577cc) qui dotato di contralbero di bilanciamento e con un’erogazione
più dolce. Il tutto per soli 132 kg dichiarati a secco. La Husky TE610E venne a costare circa 12,8
milioni di lire (6.600 euro).
Husqvarna
Kawasaki
Oltre alle notevoli rivisitazioni all’intera gamma a
2 e 4 tempi, da 125 a 360 cc, il marchio ex-svedese di Casa Cagiva proponeva la nuova TE610E,
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Era tempo di rinnovare profondamente le supersportive Ninja, ed ecco apparire all’EICMA
la nuova ZX-9R, mentre la presentazione della
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Laverda 750S Formula
Laverda
Eh già: nel 1997 all’EICMA c’era ancora la Laverda, acquisita nel 1993 dalla società I.MO.LA
S.p.A. fondata dall’imprenditore veneto Francesco Tognon e con sede a Zané, a pochi passi
dalla storica fabbrica di Breganze, dove ancora
si tenevano i ricambi. La nuova proprietà, che
nel ’97 fatturò ben 32 miliardi di lire vendendo
1.500 moto principalmente all’estero, espose
nuove versioni dei vari modelli già esistenti da
qualche anno, ma equipaggiati con il nuovo motore da 747 cc raffreddato a liquido. Un motore
che pochi mesi prima aveva già sostituito il precedente 668 raffreddato ad aria+olio sulla sportiva semicarenata 750S. Sempre un bicilindrico
parallelo e alimentato ad iniezione, comunque,
ma accreditato di 85 cv a 9.200 giri, con una
coppia di circa 7 kgm a 7.000, contro i 70 cv
del 668; e che a Milano era montato anche sulla
40
Correva l’anno
Moto Guzzi V7 Sport 1972
Diamante, una versione alleggerita di una decina di chili della omonima 668S, grazie al telaio a
traliccio in tubi d’acciaio anziché a doppio trave
di alluminio, qui leggermente differente rispetto
al precedente: peso a secco 190 kg, prezzo 20,7
milioni di lire (10.700 euro). Inedite le versioni
con carenatura integrale, cioè la 750S standard
(prezzo 20,6 milioni di lire/10.600 euro), e la più
aggressiva e appariscente Formula, coi colori
ufficiali Laverda e col motore potenziato a 92 cv
a 9.500 giri: un’evidente riferimento alla celebre
500 Formula, anch’essa bicilindrica, protagonista dell’omonimo e seguitissimo trofeo monomarca che dal 1978 all’81 sfornò una bella serie
di bravi piloti italiani (Ferretti, Tuzii, Broccoli,
Fausto Ricci, Biliotti); ma che ben figurò anche
nell’endurance, con Brettoni e Davies, e nella
Formula TT: nel 1980, infatti, ben 7 Laverda si
piazzarono nei primi 14 posti all’Isola di Man,
nella categoria TT F2. La 750 Formula aveva
il telaio lucidato, freni Brembo maggiorati, sospensioni Paioli regolabili e scarichi Termignoni
in fibra di carbonio. Peso a secco 185 kg, prezzo
22.350.000 lire (circa 11.500 euro). Per quanto
riguarda le versioni naked, invece, la Ghost (con
telaio a traliccio) rimase 668, mentre la Strike
con telaio in alluminio divenne anch’essa 750.
MBK
La casa francese di proprietà Yamaha, ancora
molto in auge in quegli anni e diventata famosa
soprattutto per aver lanciato l’ancor oggi leggendario Booster, ne presentò a Milano l’ennesima
versione denominata Track, con telaio e sospensioni rinforzati, gomme maggiorate e ovviamente tassellate, oltre all’immancabile, nuova livrea
grafica. Prezzo vicino ai 4 milioni di lire (poco più
di 2.000 euro).
Moto Guzzi
A 25 anni dalla presentazione della mitica V7
Sport, Moto Guzzi ne lanciò a Milano l’erede,
denominata V11 e destinata alle vendite nel secondo semestre del 1998, ma in realtà arrivata
l’anno seguente, al prezzo di circa 20,5 milioni di
lire (10.600 euro). La nuova arrivata era un’attraente naked sportiva con manubrio in due
pezzi regolabile (come la celebre antenata), e
montava ovviamente il motore della precedente 1100 Sport, ottimizzato a livello di erogazione e di riduzione delle vibrazioni. Un modello
davvero appetibile, il cui V2 a 2 valvole per cilindro da 1.064 cc, raffreddato naturalmente
ad aria e alimentato tramite iniezione elettronica Weber Marelli, era accreditato di 90 cv a
7.800 giri, con una coppia massima di 9,7 kgm
a 6.000 giri. Su questo motore, oltretutto, debuttava il nuovo cambio a 6 marce già presente
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sull’interessantissimo prototipo Ippogrifo con
motore da 750 cc (di derivazione aeronautica,
con testate Heron a 4 valvole), dotato di sospensione posteriore progressiva con ammortizzatore in cantilever. Un modello davvero interessante, l’Ippogrifo, che secondo noi meritava
assolutamente di entrare in produzione, e che
ancora oggi sarebbe attualissimo. Non vale la
pena di farci un pensierino, laggiù a Pontedera?
Presenti a Milano anche le versioni Sport e GT
della corposa naked V10 Centauro disegnata da
Marabese. La prima montava un piccolo cupolino con plexiglas fumé, una nuova sella (sempre
monoposto, con possibilità di traformazione in
biposto opzionale), manubrio regolabile e puntale inferiore in vetroresina. Prezzo 21,3 milioni
di lire/11.000 euro. La GT invece era dotata di
un classico parabrezza tutto plexiglas e di portapacchi/maniglione posteriore, con schienalino
optional per il passeggero. Tra gli optional, era
MV Agusta F4 750
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previsto anche un serbatoio da ben 30 litri anziché 18. Prezzo circa 21 milioni/10.800 euro.
MV Agusta
Idealmente si giocava con l’Aprilia RSV 1000 l’ideale trono dell’Eicma, la bellissima supersportiva che Massimo Tamburini aveva creato per il
rilancio del leggendario marchio varesino dopo
circa un ventennio di oscuramento. Ma dobbiamo dire che in effetti fu lei, la MV Agusta F4 750
Serie oro, la vera regina della manifestazione,
così come 4 anni prima fu per la stessa Ducati
916. Non a caso la F4 rimane un esempio di stile
italiano che ancora oggi attuale. Approfonditamente studiata e rifinita in ogni suo particolare,
e ricca di soluzioni esclusive sia a livello di styling
che tecnicamente parlando – tipo i 4 terminali
di scarico a canne d’organo sottosella , addirittura “accordati” per produrre un suono simile
a quello di altrettanti tromboncini separati! –
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questa bellezza dal telaio composito e dal magnifico forcellone monobraccio in magnesion
era spinta da un ringhioso motore a 4 cilindri in
linea con testate a 16 valvole radiali, alimentazione a iniezione elettronica e cambio estraibile.
La potenza dichiarata era di 126 cv a 12.200 giri,
con una coppia (rabbiosetta) di 7,3 kgm a 9.000
giri, per un peso a secco di 180 kg. La velocità
dichiarata era di ben 275 km/h, e alla presentazione internazionale tenutasi all’autodromo di
Monza, quando la provammo (doverosamente
con casco “Phil Read Replica” in testa, per quanto mi riguarda), eravamo tutti emozionati come
bambini. Anche in questo caso, tuttavia, durante
i successivi rilevamenti strumentali ricordo di
aver toccato anche qui i 281 km/h effettivi! Benedetta aerodinamica!?! La F4 750 Serie Oro
venne però prodotta dai primi mesi del 1999 in
soli 300 esemplari numerati quotati 68 milioni
di lire (35.000 euro), con forcellone e svariati
Correva l’anno
altri particolari in magnesio, carrozzeria in fibra
di carbonio e forcella speciale con attacchi ruota
a smontaggio rapido. Dopodiché iniziò la produzione della meno preziosa 750S, dove il magnesio era sostituito dalla lega di alluminio, ed il
carbonio dalla plastica.
Peugeot
Il costruttore francese, precursore in Europa per
quanto riguarda la diffusione degli scooter a trasmissione automatica (vedi Metropolis 50 e 80
cc, primi anni ’80), presentò a Milano il nuovo
Elyseo, elegante “ruote basse” di piccola cilindrata dedicato principalmente agli automobilisti
stufi di soffrire su quattro ruote. Confortevole e
ben dotato quanto a capacità di carico, Elyseo
era disponibile con motori da 50 e 100 cc a 2
tempi, raffreddati ad aria forzata, e 125 e 150 cc a
4 tempi raffreddati a liquido, con albero a camme
in testa e due valvole.
MV Agusta F4 750 Serie Oro
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Suzuki TL1000R
Piaggio
Eicma 1997 fu pedana di lancio per un modello
che risultò predestinato a lunga vita: si trattava
del Liberty 125, nato in scia al già esistente cinquantino a 2 tempi e al sempre più crescente
successo dei “ruote alte” automatici.
Ma il nuovo Liberty fu anche il primo scooter a
ruote alte (16 pollici, in questo caso) in assoluto
a montare un motore a 4 tempi, nella fattispecie
mutuato dalla Vespetta ET4, con 12 cv, 95 km/h
di velocità massima e consumi tra i 40 e i 45
km/l.
Il tutto per un peso di soli 94 kg. Ma lo show milanese quell’anno fu anche l’occasione per presentare una versione aggiornata della Vespa PX,
che compiva i suoi primi vent’anni con 300.000
esemplari venduti.
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Suzuki GSX750 F
Suzuki
Debutto importante a Milano, per quella che
nelle intenzioni dei vertici di Hamamatsu avrebbe dovuto diventare l’anti-Ducati nel mondiale
Superbike: era la TL1000R, massiccia versione
racing oriented dell’interessante bicilindrica semicarenata TL1000S presentata l’anno prima
sull’ovale di Homestead, Florida. Con la quale
fortunatamente non condivideva la curiosa sospensione posteriore basata su un rivoluzionario
ammortizzatore posteriore “rotativo” (costituito da un classico elemento a molla sistemato
sulla destra, ma collegato, tramite una biella,
ad uno “scatolotto” esterno che conteneva tutta la parte idraulica), sostituito da un normale
elemento con link progressivo. La TL1000R in
effetti debuttò nel Campionato americano AMA
Superbike, tuttavia fu presto pensionata per ripiegare sulla sempre competitivs GSX-R750.
Nata in galleria del vento, la TL1000R pesava
197 kg a secco dichiarati, cioè 10 kg netti più
della TL/S, rispetto alla quale godeva di 135,6 cv
a 9.500 giri contro 126/8.500, con una coppia
massima di 10,8 kgm a 7.500 giri (10,5/8.000);
e costava oltre un milione più della S, cioè 21,1
milioni di lire. Di questa moto piuttosto corposa,
sia lo storico preparatore Yoshimura che l’importatore tedesco Bert Poensgen – che voleva
affidarla all’esperto Stephane Mertens e alla
propria figlia Katia - realizzarono versioni da Superbike, per partecipare appunto al campionato
U.S.A. e a quello tedesco, tentando nel contempo di “assaggiare” qualche gara del mondiale:
cosa, quest’ultima, che invece non accadde. Sia
Correva l’anno
la TL1000S che la R, comunque, non godettero
di un grande apprezzamento commerciale, tanto
da decretarne l’uscita di produzione rispettivamente nel 2001 e nel 2003. A Milano, quell’anno,
arrivò anche l’iniezione elettronica sul model year
1998 della ormai mitica GSX-R 750, peraltro non
particolarmente modificata nell’estetica. L’icona
supersportiva di Suzuki abbandonava dunque
la batteria di 4 Mikuni BDSR da 39 mm, a favore
dei magici iniettori che ne hanno elevato la potenza da 128 cv/12.000 giri a ben 135,6/12.300,
e solo leggermente ritoccato il valore di coppia
massima da 8,2 kgm/10.000 giri in 8,4/10.300.
Il tutto a parità di peso dichiarato (179 kg a secco), e con un prezzo addirittura inferiore di oltre
un milione di lire rispetto al modello uscente: circa 21 milioni (10.900 euro), esattamente come
la nuova TL. Furono 756 le GSX-R 750 vendute
nel 1998. Ma riapparvero anche le gemelline
GSX600 e 750F (rispettivamente 807 e 470 pezzi venduti nel ’98) con motori quadricilindrici raffreddati ad aria ed olio. Modernizzate nelle linee,
pur mantenendo le classiche carenature quasi
completamente “sigillate”, terminate all’indietro
da nuovi codoni molto rastremati con fanalini a
punta, le nuove GSX/F avevano anche doppi fari
anteriori a mascherina, anziché singoli e rettangolari. Con il medesimo motore ad aria ed olio
della mitica GSX-R750, a Milano apparve anche
la GSX, piacevole naked (o, più semplicemente,
“moto”) dedicata agli amanti della motocicletta
semplice ma elegante, con sellone comodo per
due, manubrio rialzato, e due sfiziosi ammortizzatori posteriori con serbatoi del gas separati.
Nota oltreoceano come Inazuma, la GSX750 pesava 200 kg a secco. Con l’inattesa TR50S Street Magic, simpaticissima midi-moto con ruote
da 12” e motore automatico da 50 cc a 2 tempi
con camera d’espansione all’insù, Suzuki lanciò qualcosa di davvero nuovo e divertente, che
presto prese piede, in svariate interpretazioni
cromatiche, anche nei paddock dei vari campionati. Modello che ancor oggi potrebbe avere un
perché - magari con motore a 4 tempi - lo Street
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Correva l’anno
Vertemati
I diabolici fratelli di Triuggio (Monza), dei quali
l’anno scorso Moto.it ha presentato in anteprima mondiale la leggerissima quanto sofisticata
bicilindrica Infect, portarono all’EICMA del 1997
una magnifica special da fuoristrada spinta da
un avanzatissimo monocilindrico a 4 tempi raffreddato a liquido, anche allora autocostruito,
con carterino in magnesio e cambio estraibile, e
montato in un esile telaio a doppia culla chiusa.
La moto di Alvaro e Guido era disponibile in due
versioni: la Cross, con cambio a 3 marce e peso
di soli 110 kg, e la Enduro, con 5 rapporti a 115
kg di peso. Un vero gioiello per palati finissimi, il
cui prezzo venne fissato rispettivamente in 14,5
e 14,8 milioni di lire.
Yamaha
Yamaha YZF-R1
Magic costava 3,7 milioni di lire (1.900 euro!). Altra novità Suzuki per il 1998 fu il mitico scooter
Burgman 250 (sulla cui base poi nacque il 400,
primo vero maxiscooter in assoluto), per la cui
presentazione tuttavia venne scelto il successivo
expò parigino: dell’appetibilissimo Burgman 250
nel ’98 vennero venduti ben 6.166 esemplari, al
prezzo di circa 10,3 milioni di lire/5.300 euro. Il
400, arrivato più tardi, costava circa 800.000
lire in più.
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Triumph
La Thunderbird Sport 900 fu la novità della Casa
di Hinckley per la stagione 1998: un’affascinante
sportiva stile retrò presentata in una sgargiante livrea giallo-nera o rosso-nera, motorizzata
col delizioso tricilindrico a carburatori da 885
cc (il medesimo della prima Tiger) che faceva
sfogare i suoi 83 cavalli a 8.500 giri - con 8,6
kgm di coppia a 6.500 - in un piacevole “trein-due”sovrapposto sul lato destro. Una moto
piacevolissima da usare, dotata di belle ruote a
raggi generosamente dimensionate ed equipaggiata con una generosa coppia di dischi freno
anteriori da 300 mm. E piazzata in listino a 20
milioni di lirette, poco più di 10.300 euro. Stesso
prezzo per la semicarenata Sprint Executive con
motore da 98 cv (naturalmente sempre tricilindrico), oggetto di alcuni aggiornamenti riguardanti un nuovo ammortizzatore posteriore regolabile e moto valigie dedicate.
Fiato alle trombe, in Casa Yamaha, per l’arrivo
della formidabile superbike YZF-R1, altra splendida creatura sfoggiata, durante lo sfarzoso
vernissage extra-salone, da un sorridente Scott
Russell, iridato in Superbike nel ’93 con la Kawasaki e in seguito passato al marchio dei tre diapason. Questa moto, tanto bella quanto impegnativa per quei tempi, rimane ancora oggi nel cuore
degli appassionati per le sue prestazioni e per il
suo carattere davvero esaltante. Nel suo raffinato telaio Deltabox in lega leggera era sospeso un
compattissimo 1000 a “4 cilindri” da 65 kg con
testata a 20 valvole, alimentato da un set di carburatori da 40 mm e con valvola Ex-Up a valle
dei collettori di scarico, e accreditato di 150 cv a
10.000 giri. La ciclistica aveva un interasse di soli
1.395 mm, e il peso dichiarato era di 177 kg a secco. In listino a poco più di 20 milioni di lire (circa
10.400 euro), la bomba di Iwata alla fine del 1998
risultò essere in assoluto la maxi più venduta in
Italia, con 2005 esemplari immatricolati.
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Pagine di storia
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MV Liberty
il nuovo ciclomotore, aveva una ciclistica realizzata con schemi identici a quella delle MV di maggiore cilindrata
Massimo Clarke
“I ciclomotori italiani a quattro
tempi” / Quarta parte
Il nostro viaggio nel meraviglioso mondo dei cinquantini italiani con
questo tipo di motorizzazione continua con alcune eccellenti
realizzazioni degli anni Sessanta. Un periodo molto vivace
48
Q
uando si parla di MV Agusta vengono subito alla mente gli attuali
splendidi modelli di altissime prestazioni o le formidabili moto da
Gran Premio protagoniste della scena
agonistica dagli anni Cinquanta alla metà degli
anni Settanta. Eppure questa casa lombarda ha
iniziato la sua attività in campo motociclistico
con modelli di serie decisamente umili, studiati
all’insegna della massima semplicità costruttiva,
per offrire una grande economicità di impiego e
una eccellente versatilità. Inizialmente il punto di
forza della gamma è stato un 125 a due tempi,
realizzato in più versioni; successivamente la
MV è passata con decisione ai motori a quattro
tempi realizzando anche un paio di 175 rimaste
famose per le loro prestazioni. All’inizio degli
anni Sessanta, dato che il mercato motociclistico era molto depresso, e ancora non dava
segni di ripresa, l’azienda ha deciso di realizzare anche un ciclomotore, che però non doveva
essere come tanti altri ma riprendere in piccolo le caratteristiche dei modelli a quattro tempi
targati della stessa casa. È nata così, nel 1962,
una autentica piccola moto, in tutto simile alla
125. Denominato Liberty, il nuovo ciclomotore,
oggi molto ricercato dagli appassionati, aveva
una ciclistica realizzata con schemi identici a
quella delle MV di maggiore cilindrata e veniva
offerto in due versioni (Turismo e Sport). Il telaio, a culla aperta, aveva la parte posteriore non in
tubi ma in elementi di acciaio stampati, soluzione cara alla casa. Pure le sospensioni erano allo
stato dell’arte. Spiccavano le ruote da 16 pollici.
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Pagine di storia
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Gilera 50 Cadet
Demm Sport Special
Di questo modello, rimasto in produzione per poco più di tre anni, è stata realizzata anche una versione targata di 80 cc
è stato realizzato anche un modello di 53 cc che è stato proposto in versioni Turismo e Sport
Il motore riprendeva esso pure lo schema costruttivo dei modelli di 125 cm3. Aveva la distribuzione ad aste e bilancieri con due valvole parallele e disponeva di una trasmissione primaria
a ingranaggi e di cambio a tre marce del tipo a
crociera scorrevole. La lubrificazione era a carter umido con pompa a pistoncino. Sul finire del
1965 sono stati presentati due nuovi modelli,
denominati Super Sport e America, con un telaio a doppia culla continua, interamente in tubi.
Dal 1966 su alcune versioni sono state adottate
ruote da 18 pollici. Lo sviluppo finale di questo
50
ciclomotore ha visto la comparsa di un cambio
a quattro marce con comando a pedale. Gli ultimi esemplari del Liberty, che è stato costruito
in poco più di 5000 unità, sono stati venduti nel
1969. La Demm ha fatto il suo ingresso nel settore dei piccoli motori a due tempi alla metà degli
anni Cinquanta con un monocilindrico sciolto,
che veniva venduto ad altre aziende. Già da alcuni anni produceva moto complete, dapprima di
125, a due tempi, e quindi anche di 175 cc, con
distribuzione monoalbero comandata da alberello e coppie coniche, quando questa casa con
stabilimento a Porretta Terme ha deciso di iniziare anche la costruzione di ciclomotori completi.
Nel 1956 sono così apparsi quelli a due tempi,
seguiti da analoghi modelli muniti di motore a
quattro tempi nel 1958. Questi ultimi erano di nitido disegno e di notevole interesse tecnico, con
distribuzione ad aste e bilancieri e due valvole in
testa inclinate, cosa che consentiva di avere una
camera di combustione emisferica. Rapidamente
è stato realizzato anche un modello di 53 cc, cioè
una autentica motoleggera, di identico schema,
che è stata proposta in versioni Turismo e Sport.
Nei primi anni Sessanta l’attività della Demm nel
settore dei ciclomotori si è intensificata. I modelli
meno costosi erano tutti a due tempi, ma a una
clientela più esigente veniva offerto il 4T. Tra le
particolarità tecniche di maggiore rilievo di questo motore va segnalata la frizione collocata alla
estremità dell’albero a gomito. L’albero a camme azionava le aste per mezzo di due bilancieri
fulcrati a una estremità. La trasmissione primaria a ingranaggi inviava il moto a un cambio a tre
marce del tipo con chiavetta scorrevole. Particolare successo ha avuto il modello Sport Special,
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Demm 50 serie
Dik Dik T
Nel 1956 sono apparsi analoghi modelli muniti di motore a quattro tempi nel 1958
Telaio in lamiera stampata aperto superiormente
dotato di un telaio a doppia culla continua in tubi.
Lo stesso motore parco, robusto e in grado di
fornire vivaci prestazioni è stato impiegato anche su un modello con telaio in lamiera stampata
aperto superiormente (Dik Dik). La Demm non
disponeva certo di una rete di vendita paragonabile a quella della Motom o della Moto Morini e
questo contribuisce a spiegare la ridotta diffusione dei suoi ottimi ciclomotori a quattro tempi, gli
ultimi dei quali sono stati costruiti nel 1967. Dallo
stabilimento di Porretta Terme da allora in poi
hanno continuato a uscire solo i cinquantini a due
52
tempi. A differenza di tanti altri costruttori, nel
dopoguerra la Gilera si è concentrata su robuste
e versatili monocilindriche a quattro tempi di 125
e di 150 cc, che hanno ottenuto un grande successo commerciale.
Il settore dei ciclomotori però, almeno dalla metà
degli anni Cinquanta, non poteva più essere trascurato.
La casa di Arcore aveva sempre costruito moto
a quattro tempi e quindi ha pensato di adottare questo stesso tipo di motorizzazione anche per i suoi eventuali cinquantini. Un primo,
interessante prototipo è stato presentato nel
1956, ma non è poi entrato in produzione. Dalla
fine del 1962 la Gilera ha costruito, in numeri non
molto elevati, lo scooter G50, a quattro tempi
con raffreddamento ad aria forzata e distribuzione ad aste e bilancieri con valvole parallele. Il
cambio era a tre marce.
Di questo modello, rimasto in produzione per
poco più di tre anni, è stata realizzata anche una
versione targata di 80 cc. Nel 1964, con l’intento
di offrire all’utenza un mezzo particolarmente
economico, la casa ha messo in produzione un
ciclomotore di struttura semplicissima, dotato di
motore a due tempi, denominato Gilly. Verso la
fine dell’anno ha fatto la sua comparsa il Cadet,
un singolare modello di 50 cc con parti meccaniche completamente racchiuse; il suo motore
a quattro tempi era dotato di caratteristiche
generali e di prestazioni analoghe a quelle del
G50. Assemblato inizialmente nello stabilimento
Carnielli, in Veneto, questo modello, proposto in
due versioni, non ha avuto successo. Rimasto in
listino fino all’inizio del 1968, oggi costituisce un
“pezzo” decisamente raro.
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ci si va col contagocce o la si vende, anche perché la moto spesso è un attività ludica per adulti e come tale ritenuta inutile e voluttuaria, ma
sempre meglio di altre attività per adulti come il
gioco d’azzardo, il gratta e vinci compulsivo e la
cessione rateale delle proprie sostanze a professioniste dell’amore: ricordatelo sempre alle vostre donne. Se poi siete donne, ne avete scampata una. Il fatto è che la benzina in Italia continua
ad essere venduta ai prezzi più alti dell’area Euro
con un prezzo alla pompa medio pari a circa
1,75 euro (dati dicembre 2013). E non venitemi
a raccontare che se non ci fosse l’euro -noi compriamo il petrolio in dollari e il cambio ci avvantaggia - sarebbe peggio: ad esempio il prezzo al
litro della benzina in Polonia è di 1,29 euro e loro
hanno ancora in vigore la loro valuta nazionale,
lo Zloty. Tutti in Polonia? Paesi europei in grave crisi economica come l’Italia vantano prezzi
Controcorrente
alla pompa notevolmente più bassi dei nostri,
come ad esempio la Spagna che fa registrare un
prezzo medio di appena 1,42 euro. Olè! Parliamo
dell’Austria? 1,40 euro! Germania? 1,61euro!
Francia? 1,52 euro, parbleu! Vi siete incavolati
pure voi, vero? La differenza che c’è tra tutti questi prezzi è dovuta principalmente alle imposte e
alle accise che i vari stati applicano sul costo del
carburanti, perché tutti i paesi che adottano l’Euro hanno bene o male gli stessi costi di approvvigionamento petrolifero e raffinazione. In Italia il
prezzo della benzina è di molto superiore a quello di altri stati europei a causa della pressione
fiscale che nel nostro paese ha raggiunto livelli
incompatibili con il rispetto per i cittadini e con
la voglia di farsi un bel viaggio in moto senza pensare che un biglietto aereo in business class costerebbe meno del carburante per arrivare nella
stessa destinazione in motocicletta. Adesso,
Manuale di resistenza
motociclistica
Un euro per un litro
di A. Seeger | Gira oggi, gira domani, il conto del carburante è salato.
Per chi la motocicletta la usa tutto l’anno la spesa annuale in
carburante è quasi pari a uno stipendio. Pensateci bene,
quasi un mese di lavoro solo per pagare il carburante
G
ira oggi, gira domani, il conto del
carburante è salato. Per chi la motocicletta la usa tutto l’anno la spesa annuale in carburante è quasi
pari a uno stipendio. Pensateci bene, quasi un
mese di lavoro solo per pagare il carburante per
andare al lavoro e accompagnare i figli a scuola, fare qualche commissione, giringirellare per
l’Appennino per svagarsi un po’ il fine settimana
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o per andare a prendere una birra con gli amici,
senza contare eventuali viaggi a medio raggio. E
ovviamente c’è pure da mettere in conto i consumi dell’automobile. Insomma, io mi sono stufato
di dedicare all’acquisto del carburante un mese
intero del mio anno lavorativo! Un mese per il
carburante, uno per assicurazione, tagliando,
gomme e bollo, rimangono solo dieci mesi per vivere? Io resisto. Finisce che così in motocicletta
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A parte la domanda su cosa sia stata la crisi di
Suez e il terribile pensiero che quando faccio
il pieno sto ancora finanziando il colonialismo
di Mussolini, aggiungo che le regioni possono
imporre accise locali e, se non siete contenti,
c’è pure l’imposta di fabbricazione carburanti
che porta il valore delle accise a circa 0,75 €/
litro di benzina. Ovviamente, più IVA. Cioè alle
accise bisogna pure applicare l’IVA al 22%. La
cosa grottesca è che l’ultimo aumento sarebbe
finalizzato al rilancio dell’economia, dimenticandosi però che già con i prezzi di oggi i consumi
di carburanti sono calati, causando nel 2013 un
perdita di gettito IVA pari ad un miliardo di euro,
e quindi un ulteriore aumento è paradossale.
Questo mancato incasso di un miliardo di euro
significa ovviamente nuove imposte per tutti, o
taglio di servizi pubblici. Sembra chiaro che la
ascoltatemi: invertiamo il concetto. Meno tasse ci sono sui carburanti meglio potrebbe essere per tutti. E’ un’idea, una pazzia, magari è
solo un’altra delle folli trovate che mi vengono
in mente da quando nella penombra del garage
ho iniziato la mia resistenza. La situazione è tragica, è in pericolo anche la sopravvivenza di un
settore economico che se continua così non avrà
scampo perché più costa la benzina meno moto
si vendono, è chiaro. Il prezzo dei carburanti è
uno dei tanti scogli psicologici e pratici che scoraggiano l’acquisto della moto e il suo eventuale
successivo utilizzo. Io propongo formalmente
radere a zero le assurde accise sui carburanti;
tanto per metterci tutti di buon’umore le riporto qui con a fianco la motivazione dell’aumento,
tenetevi forte:
Controcorrente
gente, semplicemente, non può comprare più
carburante di quello che già acquista, non ha più
soldi; più di così la vacca non si può mungere e
anzi la si porta al macello. Dobbiamo resistere.
Fratelli, prima di imbracciare un quattro in uno
e andare a Roma a far sentire la vostra civilissima voce, immaginiamo che un governo della
Repubblica decreti d’urgenza l’abolizione delle
accise sulla benzina, reperendo i fondi (circa 18
miliardi di euro all’anno, a spanne) con una seria
razionalizzazione della spesa pubblica, una lotta
serrata agli sprechi della burocrazia, emettendo titoli del debito pubblico a lunga scadenza e
scommettendo che il gettito complessivo terrà
botta grazie alla ripresa dei consumi, basterebbe
un incremento del PIL dell’ 1%. Senza introdurre nuove tasse a compensazione. Se la benzina
costasse meno di 1 euro al litro il limite al suo
1,90 lire (0,000981 euro) - finanziamento della guerra d’Etiopia del 1935-1936
14 lire (0,00723 euro) - finanziamento della crisi di Suez del 1956
10 lire (0,00516 euro) - ricostruzione dopo il disastro del Vajont del 1963
10 lire (0,00516 euro) - ricostruzione dopo l’alluvione di Firenze del 1966
10 lire (0,00516 euro) - ricostruzione dopo il terremoto del Belice del 1968
99 lire (0,0511 euro) - ricostruzione dopo il terremoto del Friuli del 1976
75 lire (0,0387 euro) - ricostruzione dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980
205 lire (0,106 euro) - finanziamento della guerra del Libano del 1983
22 lire (0,0114 euro) - finanziamento della missione in Bosnia del 1996
0,02 euro - rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004
0,005 euro - acquisto di autobus ecologici nel 2005
0,0051 euro - terremoto dell’Aquila del 2009
da 0,0071 a 0,0055 euro - finanziamento alla cultura nel 2011
0,04 euro - arrivo di immigrati dopo la crisi libica del 2011
0,0089 euro - alluvione in Liguria e la Toscana nel novembre 2011
0,082 euro (0,113 sul diesel) - decreto “Salva Italia” nel dicembre 2011
0,02 euro - terremoto dell’Emilia del 2012
0,024 euro - regalo del penultimo governo del “fare”
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acquisto sarebbe dato solo dalla disponibilità di
tempo libero necessario per consumarla. Ma anche se il consumo di benzina dovesse rimanere
invariato i soldi risparmiati dalle famiglie grazie
alla riduzione drastica del prezzo dei carburanti
avrebbero probabilmente tre possibili impieghi:
il primo è spenderli in carburante. Ovvero il motociclista non si negherebbe il giro in più, la divagazione in pista, la soddisfazione di raggiungere
un luogo lontano e magari di pernottarci con tutti i riflessi positivi che tale aspetto può avere sui
consumi e sulla circolazione del denaro; e anche
sui sorrisi nostri e su quelli dei concessionari. La
seconda è spenderlo in altro: infatti gli Euro mensili risparmiati in carburante potrebbero essere
spesi in consumi di altri beni a iniziare da quelli alimentari – in calo anche questi negli ultimi
anni! - per finire con l’abbigliamento (anche tecnico: caschi, guanti, giacche, sicurezza passiva)
o l’elettronica. Anche in questo caso più soldi in
giro, più economia che si muove, più aziende che
fatturano, più benessere per tutti, Stato compreso. La terza cosa che il motociclista può fare con
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i presunti 500-600 euro annui in più nelle tasche
grazie all’eliminazione delle accise sui carburanti
è risparmiarli o ridurre i propri debiti: contribuendo virtuosamente a limitare il debito del settore
privato, ridurre l’evasione fiscale, dotare i privati
di uno stock di denaro capace di investimenti o
consumi su beni durevoli e rafforzare l’equilibrio del sistema bancario che potrebbe così ricominciare a prestare soldi alle piccole e medie
imprese. Tutto questo significa benessere, posti
di lavoro, sentire che lo Stato non ti chiede più
di quello che puoi dare e anzi si spende attivamente per cercare una soluzione ai tuoi problemi. In questo modo i consumi ripartirebbero e le
banche concederebbero finalmente prestiti alle
imprese, specie le più piccole. Tutto questo solo
eliminando le accise sui carburanti. Sarebbe una
rivoluzione non facile, ma possibile. Non fate fare
tutto a me, premete il pulsante start e fate girare le ruote, trovate uno che capisca come fare
praticamente ed eleggiamolo! Ma ve l’immaginate? Con la benzina ad 1 euro lasceremmo pure
stare le battaglie per i prezzi delle autostrade!
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Controcorrente
Austriaci e svizzeri farebbero i frontalieri per venire da noi a fare il pieno e i francesi farebbero
loro compagnia! Frontiere e benzinai presi d’assalto, questa la vorrei proprio vedere! Garantiremmo un diritto completo alla mobilità a chi la
moto, il motorino o anche l’automobile ce l’ha
ma la usa pochissimo perché anche solo andare
al supermercato o dalla mamma costa 5-10 euro
di benzina e allora ci va meno spesso, o per nulla.
Giustizia sociale, oltre che motociclistica! Niente
più risse tra motard al momento di decidere la
destinazione della passeggiata domenicale, dai
meno abbienti talvolta considerata troppo lontana e costosa da raggiungere: la motocicletta potrebbe pure diventare da un mezzo per svago di
pochi ad un mezzo di trasporto di molti. Cambierebbe tutto. Fratelli e amici, ho già sproloquiato
abbastanza e me ne assumo le responsabilità e
soprattutto i rischi; vado a nascondermi, i poteri
forti non mi gradiranno: so che i folli, gli avanguardisti e gli scellerati giullari fanno sempre una
brutta fine, talvolta misteriosamente. Hasta la
manetta siempre!
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USA
Da Nashville a St. Louis.
Con la paura di cadere
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pericolosamente a salire nelle ore centrali della giornata. Prima di raggiungere il cuore del
Midwest americano abbiamo però attraversato
il Kentucky e sconfinato per un breve tratto in
Illinois. I due stati sono separati dall’Ohio river e,
se mi avete seguito nei miei articoli precedenti,
l’attraversamento di quel fiume rimarrà per sempre nei miei ricordi (e Sandro dice anche nei miei
pantaloni...). Per farla breve, dopo ore di coda il
cui motivo non sapremo mai (?!?) abbiamo deciso di visitare il piccolo centro di Paducah, uno degli antichi porti fluviali per i battelli a ruota. Mea
culpa, non ho visto l’uscita e siamo sconfinati in
Illinois, passando il fiume sul ponte dell’autostrada. Una veloce consultazione della cartina mi ha
suggerito la brillante idea di ripassare sull’altra
sponda utilizzando una stradina laterale e un
ponticello segnato a malapena. Risultato: uno dei
minuti più lunghi della mia vita, passato ad annaspare sul fondo stradale costituito da una griglia
in metallo piena di giunture. La Valorosa sembrava sul sapone e mi sbacchettava da tutte le parti,
e personalmente ogni circa cinque secondi mi
vedevo sfondare la sponda e precipitare di sotto.
Ah, tra l’altro soffro di vertigini... Sull’altra sponda abbiamo visitato la vecchia stazione turistica,
dove un vecchio battello fa ancora servizio per i
On the road
turisti, e dove c’e’ anche un vecchio e bellissimo
treno/museo, super vintage. Dopo pranzo siamo
ripartiti nella canicola che iniziava a diventare insopportabile (se solo avessimo immaginato cosa
ci aspettava più avanti...) e il cielo che prendeva
una sinistra colorazione biancastra.
L’ultimo stop, ben prima di arrivare a St. Louis
all’imbrunire è stata Nostalgiaville. Si, questo
gruppetto di piccoli edifici che esiste solo in
funzione di spillare quattrini ai turisti è effettivamente registrato come una municipalità del
Missouri. Sandro non è voluto nemmeno entrare
a dare un’occhiata e si è svaccato su una panchina sotto al portico, mentre io non ho resistito al
richiamo del kitsch, e mi sono ficcato in un’orgia
di paccottiglia inneggiante ai bei tempi andati
dell’America Anni ‘50.
Dopo altre due soste per fare benzina e soprattutto bere un gallone d’acqua a testa, siamo
finalmente arrivati a St. Louis, purtroppo una
delle città più pericolose degli States. Ho scelto
un albergo lontano dal centro, in zona aeroporto
e abbiamo scaricato le moto in fretta e furia in
un caldo appiccicoso e sotto gli occhi curiosi dei
tassisti... Sandro ha provato persino a proporre
un giro in centro. Con il buio? A St. Louis? No,
thanks!
di Pietro Ambrosioni | Caricate la Beemer e la Valorosa ci siamo
rimessi in viaggio, destinazione St. Louis, una delle città più pericolose
degli States. Attraversando il Kentucky, sconfinando in Illinois e
fermandoci a Nostalgiaville attirati dal richiamo del kitsch
D
opo la pazza notte a suono di Country e Rockabilly a Nashville ci siamo
rimessi in viaggio, destinazione St.
Louis. Nel parcheggio dell’albergo, prima ancora di salire in sella, ci siamo resi
conto di quanta roba possono caricare due
moto come la Beemer e la Valorosa, grazie alle
borse della prima e al capiente “culone” della seconda. L’unica accortezza è di non farsi
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prendere la mano, perché tante volte il gran volume a disposizione tira brutti scherzi e si finisce
per stressare il sottotelaio caricando pesi eccessivi. Da parte nostra, pur aspettandoci un mese a
zonzo, volevamo evitare di non avere nemmeno
un po’ di spazio per le solite boiate che si finiscono per comprare “on the road”. Una volta “rimpinzate” le moto siamo dunque partiti alla volta
del Missouri, con le temperature che iniziavano
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News
100 secondi su Moto.it
Qual è stato il periodo
motociclistico migliore?
Ci siamo chiesti in redazione quale sia stato il periodo
motociclisticamente più creativo, quello che ha prodotto
le moto migliori. L’hanno spuntata gli Anni Ottanta, con
un’opzione di riserva, ma voi che cosa ne pensate?
L’
avvenire ci tormenta, il passato
ci trattiene, il presente ci sfugge.
Così scriveva Gustave Flaubert. Ed
è così che finiamo per apprezzare
le cose passate, motociclette comprese, rispetto
alle attuali: ma è una regola che funziona sempre? In redazione ci siamo chiesti quale sia stato
il periodo migliore per la moto, quello più vivace e
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creativo, dall’arrivo delle prime moto giapponesi,
da quelle cioè che hanno scombinato gli equilibri e accelerato l’evoluzione della moto. Il nostro
Maurizio Tanca premia il decennio Ottanta, grazie a tante moto sportive che in un quel decennio
hanno visto la luce. E voi che cosa ne pensate al
riguardo?
E voi, lettori di Moto.it, che cosa ne pensate?
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Nico Cereghini
Fratelli
di Spagna
Gli Espargaro e i Marquez sono
le coppie dei fratelli emergenti.
Non sono i soli in attività,
è capitato anche nel passato
e di solito il fratello maggiore
aiuta il minore. Tranne il caso
di Giacomo Agostini
Media
C
iao a tutti!
Mi sa proprio
che
questa del
2014 sarà
la stagione
dei fratelli di Spagna. Aleix e
Pol Espargaro si sono infilati tra
i protagonisti della MotoGP fin
dai test invernali, e poi ci sono
i due Marquez, Marc e Alex,
separati dalla cilindrata perché
il maggiore è campione della
MotoGP e il piccolo se la giocherà nell’affollata Moto3. Due
coppie talentose, sicuramente
in crescita, molto mediatiche.
Le scenette degli Espargaro,
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quando erano impegnati in
classi diverse, sono diventate
un appuntamento fisso della
regia Dorna: l’uno trepidante
per l’altro, dita incrociate sulla linea di partenza, smorfie
di tensione dentro il box, e poi
hop! cambio di ruolo per la gara
successiva. Forse un po’ teatrali, però efficaci, perché due
fratelli molto uniti, in certi casi,
possono diventare una vera
forza della natura. Marc Marquez ha ribadito recentemente
che ancora divide con Alex la
stessa cameretta di bambini, e che anzi possono vincere
tutti i GP che vogliono ma il
sistema non cambia e rifare
il letto spetta a loro. Famiglia
semplice, all’antica, e io immagino che Alex verrà su bene: ha
già vinto una gara, e con i consigli di Marc potrà vincerne tante
altre. Chissà come si caricano
a vicenda, quando chiacchierano prima di dormire, nei loro
due lettini impeccabilmente
rifatti. L’unione fa la forza. E
mi viene da pensare che sono
state molte le coppie di fratelli
nel mondiale velocità. Ho conosciuto bene i francesi Sarron, i
Brambilla, i Villa e i Bonera; ho
sentito parlare dei fratelli Leoni
e dei Milani, e la lista si allunga
con i Checa, i De Angelis, gli
Haslam, gli Hayden, i Bostrom
e gli Aoki, gli Aoyama, i Nieto, i Roberts e chissà quanti
ne trascuro. Adesso seguo i
gemelli Lowes e i tre Laverty
nelle derivate di serie. Di solito
i fratelli-piloti si appoggiano, si
aiutano, e anche se non sono
ugualmente veloci si difendono
bene. Avere un fratello maggiore che fa il pilota semplifica
gli esordi e aiuta la carriera.
Ma non sempre. Luca Marini,
per esempio. Il fratellino di Valentino Rossi, come lui figlio di
Stefania, è in una posizione che
si direbbe avvantaggiata. Ma
sarà proprio così? Gli auguro
una luminosa carriera, però mi
viene da pensare che reggere il
confronto con il più forte pilota
dei nostri tempi possa anche
essere molto impegnativo, forse esageratamente pesante.
E poi c’è il caso del fratello di
Giacomo Agostini. Pochi se lo
ricordano, ma il fratello minore
di Mino, che si chiama Felice,
dopo aver fatto molto bene nel
motocross nazionale e internazionale con Aspes e Italjet 125,
decise di provarci anche con la
velocità. Nel ’74 vinse tra gli juniores in 125, andava forte dappertutto, aveva un bello stile ed
era velocissimo sul bagnato;
poi l’anno dopo passò tra i seniors, e anche lì avrebbe potuto
figurare molto bene (con Morbidelli e Yamaha) se Giacomo,
che peraltro era alla fine della
carriera, non gli avesse messo
i bastoni tra le ruote. I tempi
Editoriale
erano grami, le piste pericolose, e in questo caso l’intervento del fratello maggiore invece
di agevolare la carriera del più
piccolo la troncò di netto. Mino
aveva paura che Felicino cadesse e si facesse male; non era
tranquillo, sentiva che con un
altro Agostini in pista non poteva correre con la testa sgombra. Egoista? Forse sì, e recentemente, in privato, lo ha anche
ammesso. Felice sognava di
fare il pilota e invece si è fatto
da parte.
Mino aveva paura che
Felicino cadesse e si facesse
male; non era tranquillo,
sentiva che con un altro
Agostini in pista non
poteva correre con
la testa sgombra
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ma ci sono ancora molte cose
da fare per essere davvero
competitivi. La priorità in Qatar
sarà andarci piano!».
La Honda di quest’anno è molto diversa da quella Campione
del Mondo?
«No, la versione 2014 è molto
simile a quella dello scrso anno.
Abbiamo adattato la moto ai
nuovi regolamenti, soprattutto
in termini di consumo di carburante. Il telaio e il forcellone
sono diversi, ma il comportamento della moto è pressoche
identico.
La cosa importante è che
siamo migliorati. Grazie a
questi cambi e alla base dello scorso anno siamo messi
meglio, anche se si tratta di una
valutazione da fare su tracciati
diversi».
Come vedi la sfida al titolo tra
spagnoli, il ritorno di Rossi e
la classe Open?
«Il 2014 sarà un anno difficile, anche di più perché per
ora me lo sono guardato dal
divano. Ci sono tanti piloti veloci, e sarà interessante
vedere come si sviluppa questa
nuova categoria open. In teoria
davanti saranno sempre Lorenzo e Pedrosa i nostri maggiori
rivali, ma Rossi ha fatto grandi
cose da inizio anno. Aspettiamo di vedere anche il ruolo di
Ducati e di Aleix Espargaró con
le open… Sarà sicuramente una
MotoGP
stagione divertente!».
Non hai mai difeso un titolo
prima d’ora…
«Sarà interessante perché in
passato quando ho vinto sono
passato di categoria.
Sarà una nuova sfida per me.
Non correrò con il numero 1,
perché il 93 mi ha portato fortuna e non voglio cambiarlo,
ma so di essere il Campione del
Mondo e proverò a difendere
questo titolo».
Qual è il tuo pronostico per
la top3 di questa stagione,
dove Honda celebrerà il 20º
anniversario del team ufficiale
Repsol?
«Dico me, poi Dani e poi Jorge
terzo».
Marc Marquez
“Quest’anno io primo,
Pedrosa secondo e Lorenzo terzo”
Il campione del mondo in carica prevede di riconfermarsi anche nel
2014 con il compagno di squadra al secondo posto e Lorenzo al terzo.
Per la prima gara predica prudenza “la priorità in Qatar sarà andarci
piano”
I
Innanzi tutto come stai?
Hai recuperato dall’infortunio?
«Sto migliorando, il perone
si sta riprendendo e ogni volta che parlo con il dottor Mir
si parla di miglioramenti. Mi
esercito ogni giorno di più e
66
vedremo come staremo in Qatar, anche se non mi aspetto di
essere al 100%».
Come vedi l’inizio di stagione,
dopo la tua sosta obbligata?
«Ovviamente
preferirei arrivare in Qatar con la
preparazione adeguata, ma
la situazione è quella che è.
Dovrò essere paziente, soprattutto nelle prime libere
visto che è da oltre un mese
che non salgo su una moto.
Nel primo test di Sepang
eravamo andati molto bene,
In teoria davanti saranno sempre
Lorenzo e Pedrosa i nostri maggiori
rivali, ma Rossi ha fatto grandi cose
da inizio anno. Aspettiamo di vedere
anche il ruolo di Ducati e di Aleix
Espargaró con le open
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le foto più
spettacolari
del GP della
Thailandia
Cairoli di nuovo protagonista delle due manche
disputate in Thailandia, Ecco gli scatti più belli
che raccontano il GP dentro e fuori dalla pista
Foto di Massimo Zanzani
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Motocross
gp thailandia: Davide Guarneri
“Siamo l’Italia che lotta
contro il Giappone”
di Massimo Zanzani | Due ottavi posti per il pilota italiano “in un
campionato sempre più competitivo rimanere nei primi dieci è il
nostro obbiettivo”
«
E’ stata una buona
giornata per me.
Abbiamo portato
a casa due ottavo
posti e con il livello che ogni
anno è più alto rimanere nella
top 10 è il nostro obiettivo. Il
ritmo c’è e la velocità è buona.
Stiamo lavorando sulla moto,
che ricordo è italiana, come
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anche il team. Siamo molto orgogliosi di questo e vogliamo
lottare con le case giapponesi che hanno certamente più
esperienza. Nella prima manche non sono partito benissimo
ma ho rimontato subito 4-5 posizioni. Ho fatto tutta la gara intorno al decimo posto poi negli
ultimi giri avevo ancora un po’
da dare e ho superato un paio
di avversari chiudendo 8°. Nella seconda manche invece le
cose sono andate al contrario,
sono partito meglio, verso la 7ª
posizione e nonostante il caldo
torrido – 35° - ho mantenuto
la posizione. Nell’ultimo giro, a
causa di un piccolo errore ho
perso una posizione».
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ma è figlio di un ungherese e di una Taiwanese,
e Miro Sihvonen finlandese della KTM. In Gara
1 grande partenza iniziale con Strijbos, Desalle
e Paulin in duello aereo alla prima variante, seguiti da un battagliero Zecchina. Desalle riusciva
a trasitare primi al ferro di cavallo e rimaneva al
comando per tutti e 13 i giri, solo nel finale Paulin
accorciava , con Stijbos terzo, seguito da Tixier,
Leok e Zecchina, primo degli italiani. In Gara
2 Paulin scattava davanti, seguito da Desalle,
Strijbos , Beggi e Zecchina. Desalle passava in
testa a metà pista , ma al sesto giro, Paulin in variante alta lo fulminava, rifilando nel corso della
gare ben 12 secondi al pilota di La Louviere. Terzo il solito Strijbos, Sesto e primo degli italiani un
combattivo Cristian Beggi sulla Honda , settimo
Zecchina.
A quel punto la terza e decisiva manche vedeva
uno spareggio tra l’ufficiale francese della Kawasaki KRT e il numero due del mondo belga con la
Rockstar Energy Suzuki. La gara era emozionante con Paulin in testa alla prima variante, seguito
da Zecchina, Desalle e Strijbos. Paulin riusciva a
Motocross
resistere all’attacco dei belgi e prendeva un passo da lepre andando a vincere con 26” di vantaggio su Desalle, terzo e vincitore della MX2 il fortissimo Jordi Tixier con una RedBull KTM Racing
gioiello. Nel mattino è stata disputata l’Airoh Cup
1 contro 1 vinta daDesalle dopo una bella bagarre
con Jordi Tixier. L’Airoh Starcross si è confermata la manifestazione punto di riferimento in
Europa per il motocross, ha dato indicazioni sul
potenziale di Gautier Paulin come rivale di Cairoli in prospettiva mondiale e ha messo in pista
nomi come Hsu, Facchetti, Sihvonen, più il ritrovato Simone Zecchina che saranno protagonisti
di questo 2014. Il 7 volte Antonio Cairoli ha premiato le classi EUMX 85cc e 125cc e ha passato
l’intera giornata al circuito rammaricato di non
essere al via , costretto a non forzare a causa
dell’infortunio patito nel pre stagione a Montevarchi. Anche Andrea Dovizioso, asso della Ducati MotoGP e amico del Nuvolari ha assistito alle
gare con grande interesse e passione. Una bella
giornata di sport per un evento che da 31 anni
non tramonta mai.
Paulin vince il 31° Starcross
Tixier conquista la MX2
Il pilota francese di Draguignan ha vinto la 31esima edizione
dell’Airoh Mantova Starcross, battendo gli ufficiali Desalle e Strijbos.
Tixier domina la MX2 davanti al danese Olsen e all’italiano Bonini
A
l termine di una intensissima giornata di gare disputata in una giornata primaverile, lungo i 1.650
metri tirati come un biliardo del
circuito sabbioso più bello d’Europa, il pilota
francese di Draguignan Gautier Paulin ha vinto la
31esima edizione dell’Airoh Mantova Starcross
dopo tre finali molto intense, battendo gli ufficiali Suzuki Desalle e Strijbos. Jordi Tixier ha
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dominato alla grande la MX2 davanti al danese
della Honda Thomas Olsen e al nostro Davide
Bonini (KTM). Anticipo di futuro nella EUMX85cc
con il trevigliese Gianluca Facchetti (Suzuki) che
ha trionfato guidando con grande stile. Nella
EUMX 125cc, gare bellissime con il suono del 2
tempi e il successo di Michele Baraiolo con la TM,
mentre hanno impressionato Brian Hsu, il tedesco della Suzuki Geboers, che vive a Cremona
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MX USA
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Supercross AMA, Detroit
la terza di Stewart
Vittoria numero 48 per Bubba Stewart al Ford Field; Villopoto e
Dungey limitano i danni. Terza affermazione anche per Cianciarulo
T
erza vittoria stagionale per James
Stewart al Ford Field di Detroit davanti ad oltre 50.000 tifosi. La quarantottesima affermazione di Stewart lo porta a pari punti con Ricky Carmichael
fra i più vincenti della storia del Supercross.
Dopo l’holeshot di Cole Seely, Stewart ha preso il comando davanti al pilota del team Honda
Muscle Milk al termine del primo giro, incalzato
da Villopoto in rimonta. Seely ha commesso un
80
piccolo errore in zona traguardo, lasciando il
terzo gradido del podio virtuale a Ryan Dungey
all’ottavo giro. Stewart è riuscito ad accumulare
un vantaggio di 5”9 a metà gara, e con Villopoto
impegnato a difendersi da Dungey, “Bubba” ha
potuto permettersi di calare il ritmo e andare a
vincere di conserva. La vittoria di Stewart lo rende il pilota più vittorioso al Ford Field; Villopoto,
secondo. mantiene la testa della classifica con
30 punti di vantaggio su Dungey.
250 Costa Est,
allungo di Cianciarulo
Non è bastato l’holeshot a Davalos per prendere
la testa della gara: incalzato da Adam Cianciarulo e Justin Bogle, Davalos è infatti caduto all’ultima curva del secondo giro, lasciando che il leader della classifica prendesse il largo con Bogle
all’inseguimento.
A metà gara Bogle inseguiva Cianciarulo di 1”1,
mentre Davalos ha continuato ad accusare problemi scendendo fino alla nona posizione; Baggett si è portato in terza posizione dove poi ha
concluso. Bogle ha chiuso secondo, ottenendo
la miglior prestazione della sua carriera dietro a
Cianciarulo, autore della terza vittoria stagionale
e sempre più in fuga in classifica generale dove
gode ormai di diciassette punti di vantaggio.
Guarda tutte le classifiche
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Capo Redattore
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Redazione
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Marco Berti
Francesco Paolillo
Aimone dal Pozzo
Edoardo Licciardello
Grafica
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Collaboratori
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Massimo Clarke
Giovanni Zamagni
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Moto.it
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Reg. trib. Mi Num. 680 del 26/11/2003
Capitale Sociale Euro 10.000 i.v.
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